Alessandro Balducci  
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STUDIO, ESPERIENZA E COSTRUZIONE DEL FUTURO


Commento al libro postumo di Guido Martinotti



Alessandro Balducci


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Sei lezioni sulla città di Guido Martinotti (Feltrinelli, 2017) è, come dice l'Autore nell'introduzione, un "libro sulla città che è stato scritto per tutti" (p. 13). Perché Martinotti - scomparso improvvisamente e prematuramente nel 2012 - è stato un sociologo urbano capace di parlare a differenti gruppi sociali: ai suoi allievi in primo luogo, alla comunità italiana e internazionale dei sociologi, alla politica milanese e nazionale, agli economisti, agli architetti e agli urbanisti. È da questa prospettiva che vorrei tentare una lettura di un libro importante che Serena Vicari Haddock ha meritoriamente curato e ricomposto, a partire da un progetto interrotto quando era prossimo alla sua conclusione.

Per gli architetti e gli urbanisti Guido Martinotti è stato uno dei sociologi più influenti. Ha introdotto concetti e strumenti interpretativi che hanno consentito veri e propri balzi in avanti delle conoscenze sulla città, non solo per chi fa ricerca ma anche per chi le progetta. Ma questo libro pubblicato postumo è rilevante anche per una serie di approfondimenti e di messaggi che l'Autore ci lascia in eredità da cui traspare il suo carattere appassionato, ironico, profondo, innamorato della città. Di seguito, ne parlerò brevemente facendo ampio uso di citazioni e sottolineando i passaggi che più direttamente interessano la cultura del progetto urbano.

Nella prima lezione, Cos'è la città?, Martinotti introduce subito un assunto assai importante: la città è un artefatto complicato perché "non è il prodotto di una unica volontà, [ma] - scrive - il risultato di un complesso insieme di dinamiche interrelate, ma indipendenti, messe in moto da un numero molto grande di attori individuali e collettivi, ciascuno dei quali persegue propri fini cercando di adattare i suoi intenti a quelli di tutti gli altri in un complicato sistema di interrelazioni reciproche, il cui prodotto - osserva - il più delle volte, sfugge anche alle intenzioni e al controllo degli attori più potenti" (p. 18). E più avanti aggiunge: "la città è meglio rappresentabile come un feticcio, come spiega bene Bruno Latour, un oggetto fatto da un soggetto umano con una buona parte di intenzionalità, ma anche con una buona dose di spontaneità e causalità, e soprattutto, un oggetto che a sua volta produce effetti" (p. 39). Questa riflessione sulla complessità della città chiarisce a chi pretende di progettarla i limiti entro i quali la sua azione può essere efficace. Non riduce l'intenzionalità a tentativo privo di senso, ma la colloca dentro a una prospettiva di consapevolezza sociologica. Si ricollega alla critica agli assunti dei CIAM e del Movimento moderno e anticipa anche posizioni più recenti come, per esempio, quella di Ash Amin e Nigel Thrift nel loro libro Seeing like a City del 2016. Questi due autori, la cui riflessione si è spesso incrociata con quella di Martinotti, sostengono che abbiamo guardato alle città come fossero degli stati, dei soggetti di cui sono facilmente identificabili confini, caratteri e modalità di funzionamento, mentre sempre più le città presentano un tale livello di integrazione fra sistemi socio-tecnici, infrastrutture, movimenti locali, politici, agenti umani e non umani che dovremmo piuttosto usare la città come paradigma per guardare non solo ad essa nella sua reale fenomenologia, ma anche alla società nel suo complesso ed allo Stato, in una sorta di curioso rovesciamento di prospettiva. La posizione di Martinotti anticipa per molti aspetti quest'idea: "la crescente complessità urbana - osserva - obbliga a rinnovare i nostri strumenti interpretativi e ad approfondire la ricerca rifuggendo dalla retorica e dal "demone dell'analogia" (p. 40). Il bersaglio della sua critica sono gli studiosi della città che si limitano a evocare fenomeni piuttosto che a spiegarli, a stupire anziché descrivere e chiarire. Un "demone" maledettamente presente anche nell'opera di chi deve progettare le città e dalla cui applicazione dipendono purtroppo tanti fallimenti. "Negli ultimi trent'anni - scrive Martinotti - i cambiamenti avvenuti hanno coinvolto (e sconvolto) l'essenza profonda delle relazioni tra fenomeni sociali, fisici, introducendo innovazioni radicali nelle interazioni spazio-temporali fra esseri umani, e fra umani e macchine" (p. 43). È da qui che si dovrebbe ripartire.

Nella seconda lezione su Le origini della città Martinotti ripercorre la nascita e lo sviluppo delle città nella storia, mettendo in luce ascesa e declino delle formazioni urbane, delle quali ci propone un'interessante interpretazione. "L'urbanizzazione antica - osserva Martinotti - ci parla dell'evoluzione della specie umana come un processo non lineare. È più plausibile descrivere questo processo attraverso l'immagine di un 'albero kierkegaardiano' in cui a ogni fase si presentano diverse alternative e fra queste ne viene poi seguita inevitabilmente una sola. Ripercorrendo all'indietro e, per così dire, dalle foglie al tronco, la successione degli eventi, si può talvolta - secondo l'autore - ricostruire la logica di una sequenza di scelte successive. Ma non quella di alternative che, essendosi perse nel tempo, sfidano la ricostruzione razionale al pari dell'indagine sul futuro. In un certo senso ciò che è reale è razionale, ma solo nel senso in cui, come dice Weber, 'la storia è un dado truccato' e quindi la necessarietà degli eventi successivi è dipendente solo dalla restrizione delle alternative data dagli eventi precedenti. Non dunque da un 'grande disegno' immanente o rivelato che sia" (pp. 88-89).

La terza lezione, Dalla metropoli alla meta-città, ridiscute le significative innovazioni che Guido Martinotti ha introdotto nel corso di un lavoro di anni teso a spiegare, chiarire e interpretare il nuovo fenomeno urbano. Ripartendo dalla scuola di Chicago e dalla definizione di città proposta da Louis Wirth sulla base di tre semplici variabili: taglia, densità ed eterogeneità, Martinotti mostra come nessuno dei tre parametri sia oggi utile a definire l'urbano. Non lo è la taglia perché la città si è allargata nel territorio inglobando precedenti strutture insediative; non lo è la densità perché in una città che ha perso i suoi confini spesso troviamo densificazioni che si alternano a rarefazioni; non lo è l'eterogeneità che pone problemi di scala. Quella avvenuta è una trasformazione profonda non percepibile alla scala dell'esperienza quotidiana. Una trasformazione che rende superati sia il concetto di città che quello di metropoli di prima generazione. L'esplosione della mobilità e lo sviluppo straordinario dei sistemi di comunicazione sono responsabili della dissoluzione dei confini urbani. Due processi che si sviluppano in parallelo e non il secondo a scapito del primo come si era pensato per lungo tempo. "Le grandi città oggi - scrive Martinotti - sono compresse dalla sovrapposizione di due grandi cicli tecnologici: trasporto materiale e trasmissione di informazioni" (p. 124).

I confini urbani tradizionali sono solo uno degli elementi che condizionano le nostre capacità di azione senza determinarle. La crescente importanza della Popolazione Non Residente, è un'altra leva che scardina le modalità di funzionamento della città tradizionale. Un tema che lo stesso Martinotti ha introdotto nel suo lavoro sulle nuove popolazioni urbane il cui esito è stato raccolto in Metropoli. La nuova morfologia sociale delle città pubblicato dal Mulino nel 1993. Un tema che continua a essere ignorato dalle statistiche ufficiali e dalle politiche, ancora sostanzialmente basate sulla città dei residenti senza considerare una popolazione sempre più importante che vive, attraversa, usa la città senza che sia riconosciuto il suo impatto. Si tratta di popolazioni diverse che si configurano come attori importanti della trasformazione della metropoli, che determinano domande di hotel, uffici, luoghi di incontro e di svago, ristoranti, centri commerciali e che trasformano la città sotto la loro spinta. Vivono negli aeroporti, nei centri commerciali, nelle stazioni dell'alta velocità, nei business district, che non sono "non luoghi" (qui la polemica con Marc Augé è esplicita), ma i veri luoghi della contemporaneità, un nuovo layer che si sovrappone a quello della città tradizionale, complessificandone la struttura spaziale.

Grande attenzione è dedicata allo sviluppo delle reti sociali a distanza, di cui Martinotti si è occupato fra i primi con i suoi studi sugli effetti spaziali delle nuove tecnologie fin dagli anni '80. In questa lezione ritorna sul tema: pur osservando che non era mai avvenuto in passato che si potessero intessere relazioni in tempo reale con interlocutori che non conosciamo, che non possiamo collocare socialmente e geograficamente, Martinotti non assume un atteggiamento 'millenarista', di dissoluzione dello spazio, ma ci propone una prospettiva la cui parola chiave è "ricombinazione". Ricombinazione fra spazio pubblico e spazio privato, tra spazio delle relazioni a distanza e spazio fisico, con una importanza decrescente di quest'ultimo che però continua a offrire una resistenza allo sviluppo del complesso delle relazioni tra umani, e tra umani e non umani. "Come è accaduto in gran parte dei casi di innovazione tecnologica - scrive Martinotti - il processo non è un gioco in cui se l'uno vince l'altro deve per forza perdere ma uno scambio positivo e sinergico" (p. 138). E concludendo su questo nota che "risulta ormai evidente che in ogni parte del mondo la città tradizionale e la 'metropoli di prima generazione' che hanno caratterizzato la vita urbana nella porzione centrale del secolo scorso, hanno ceduto il passo a un tipo del tutto nuovo di morfologia urbana che sta creando una serie di Grandi Regioni Urbane in cui forme differenti di insediamenti umani si mescolano inestricabilmente fino a costituire un'entità urbana nuova ma ancora indefinita, che qui - scrive - per ragioni analitiche già dette, chiamiamo meta-città" (p. 136). Per quanto riguarda il nostro Paese, Martinotti trova sorprendente "che nel periodo di circa cinquant'anni in cui l'Italia urbana si è trasformata prima in paese metropolitano e poi in un conglomerato di meta-città, il sistema pubblico non sia riuscito a darsi pure una parvenza, non di governo metropolitano, che forse oggi è anche un concetto obsoleto, ma neppure - afferma - di una qualsivoglia forma di coordinamento o di governance, chiamiamola come vogliamo, mentre la cultura urbanistica si baloccava con l'idea di 'ritorno alla campagna' o altro. Così - conclude l'autore - l'intera iniziativa dello sviluppo periurbano è stata lasciata ai developers, particolarmente ai grandi padroni dei flussi, ferrovie autostrade, oleodotti, metanodotti, linee elettriche, network elettronici e via dicendo" (p. 135).

La quarta lezione, Le disavventure del bardo urbano, contiene un appello al rigore metodologico nella ricerca sociologica urbana. È un testo scritto in modo graffiante, ironico e fortemente polemico nei confronti di alcuni studi che vengono smontati e rimontati criticamente per metterne in evidenza debolezze, anche però con la capacità di identificare ricerche esemplari che quelle debolezze sono state capaci di evitare. Quello del rigore nella ricerca è un tema ricorrente in tutto il libro, che parte dall'insegnamento di Alessandro Pizzorno e viene ripreso in tutte le sei lezioni. Ma, in particolare, viene ripreso nella quinta, dedicata a Città e violenza, dove si affronta il tema in chiave di impegno civile, sottolineando quanto sia importante districarsi tra una comunicazione politica che per ragioni di bottega di partito agita paure che non hanno riscontro nella realtà dei dati, e una ricerca fondata su dati empirici, solidi, quelli necessari per costruire politiche appropriate.

La sesta lezione si intitola Una città per tutti? È quella in cui Martinotti si interroga sul futuro della città osservando che, pur non essendo facile prevederlo, ci sono alcune grandi "navi" che hanno imboccato rotte che difficilmente potranno essere completamente invertite. Un primo grande tema è quello della popolazione del pianeta che Martinotti ci invita a considerare con gli strumenti delle scienze demografiche. E, da questo punto di vista, se guardiamo a quanto è avvenuto nel XX secolo, ci rendiamo conto che non è detto che non si possa arrivare a una stabilizzazione della popolazione anche nei paesi del Sud del mondo, quelli in cui oggi la crescita è più sostenuta. Analogamente dobbiamo riconoscere l'inevitabilità e la necessità di trattare il tema delle migrazioni che sono sempre state ingrediente fondamentale della capacità delle città di innovarsi e trasformarsi. "La società multiculturale intesa come società in cui sono presenti popolazioni di culture diverse - scrive Martinotti - è un dato di fatto, ma non dobbiamo illuderci che si tratti di uno stato pacifico della società" (p. 235). Altre grandi tendenze in atto sono quelle che riguardano i processi di urbanizzazione, le modificazioni dell'ambiente, degli stili di vita e dei rapporti tra generazioni. E proprio a conclusione di quest'ampia riflessione sul futuro viene a galla un atteggiamento pieno di speranza che ci fa riflettere su cosa può fare un progetto di fronte alla grande complessità dei fenomeni sociali urbani. Qualsiasi progetto, forse anche quello di vita di uno studioso come Guido Martinotti.

Il libro si conclude con un passo tanto saggio e condivisibile quanto commovente che voglio riportare a chiusura di questo mio scritto senza alcun commento:

"Chi trasmette la propria esperienza - scrive Guido Martinotti - ha l'ambizione e l'illusione di consegnare al destinatario un messaggio esauriente in cui ogni virgola, ogni accento ha un significato ben preciso che non dovrebbe andare perduto. Ma il destinatario recepisce solo dei frammenti e li riutilizza come meglio gli riesce: solo con lo studium, cioè la fatica dell'imparare, che va molto al di la di quella che ci viene imposta nelle aule scolastiche, ciascuno di noi riesce a dare un senso più o meno coerente ai frammenti della propria vita, unendoli ai frammenti dell'esperienza della vita di chi ci ha preceduto, in un'opera di costruzione del futuro sul passato che non ha mai fine".

Alessandro Balducci

 

 

 

N.d.C. - Alessandro Balducci è professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, ateneo di cui è stato prorettore vicario. Ha presieduto il Centro nazionale di studi per le politiche urbane, la Società italiana degli urbanisti e l'Association of the European Schools of Planning. È stato tra i fondatori della European Urban Research Association e assessore all'Urbanistica del Comune di Milano.

Tra i suoi libri: Enti locali e territorio. Le competenze dei Comuni in materia di urbanistica (Milano: Ufficio studi ACLI, 1981); Con Mario Piazza, Dal parco sud al cemento armato. Politica urbanistica e strategie immobiliari nell'area milanese (Milano: ACLI, 1981, suppl. a "Il giornale dei lavoratori"); Il rapporto tra obiettivi ed esiti nella pianificazione urbanistica. Un esame del contributo offerto da alcuni filoni di analisi delle politiche pubbliche e dagli "studi di caso" dei processi di piano (Venezia: DrPT/IUAV, 1987); L'implementazione di grandi progetti pubblici. Una indagine sui processi decisionali relativi all'ampliamento dell'aeroporto della Malpensa e alla rilocalizzazione del Policlinico di Milano (Milano: Clup, 1988); Disegnare il futuro. Il problema dell'efficacia nella pianificazione urbanistica (Bologna: il Mulino, 1991); con Paola Ielasi, Emanuele e Ranci Ortigosa (a cura di), Ci sarà una casa. la progettazione partecipata di un hospice nella USSL di Melegnano (Milano: Franco Angeli, 1995); con altri (a cura di), I territori della produzione. Riorganizzare gli spazi della produzione in provincia di Vicenza (Firenze: Alinea, 2006); con altri (a cura di), Atlante dei progetti e delle azioni per l'abitabilità della Provincia di Milano. Progetto strategico città di città (Milano: Provincia di Milano, 2007); con altri, Per la città abitabile. Scenari, visioni, idee: progetto strategico città di città (Milano: Provincia di Milano, 2007);con Valeria Fedeli (a cura di), I territori della città in trasformazione. Tattiche e percorsi di ricerca (Milano: Franco Angeli, 2007); con Valeria Fedeli e Gabriele Pasqui (a cura di), In movimento. Confini, popolazioni e politiche nel territorio milanese (Milano: FrancoAngeli, 2008); con altri (a cura di), Brasilia. Un'utopia realizzata 1960-2010 (Milano: Electa - La Triennale, 2010); con Francesca Cognetti e Valeria Fedeli (a cura di), Milano, la città degli studi. Storia, geografia e politiche delle università milanesi, (Milano: Abitare Segesta, 2010); con Valeria Fedeli e Gabriele Pasqui, Strategic planning for contemporary urban regions. City of cities: a project for Milan (Burlington: Ashgate, 2011); con Raine Mäntysalo (a cura di), Urban planning as a trading zone (Dordrecht [etc.]: Springer, 2013); con Luca Gaeta (a cura di), L'urbanistica italiana nel mondo. Contributi e debiti culturali (Roma: Donzelli, 2015); con Valeria Fedeli e Francesco Curci (a cura di), Metabolismo e regionalizzazione dell'urbano. Esplorazioni nella regione urbana milanese (Milano: Guerini, 2017); con Valeria Fedeli e Francesco Curci (a cura di), Oltre la metropoli. L'urbanizzazione regionale in Italia (Milano: Guerini, 2017); con Valeria Fedeli e Francesco Curci (a cura di), Post-metropolitan territories. Looking for a new urbanity (London-New York: Routledge, 2017); con Valeria Fedeli e Francesco Curci (a cura di), Ripensare la questione urbana. Regionalizzazione dell'urbano in Italia e scenari di innovazione (Milano: Guerini, 2017), con Louis Albrechts e Jean Hillier (a cura di), Situated Practices of Strategic Planning. An International Perspective (Londra-New York: Routledge, 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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01 MARZO 2018

 

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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