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Lo scorso ottobre è uscito Quadri per Milano. Prove di architettura (LetteraVentidue, 2017) in cui sono raccolti nove progetti di Angelo Torricelli per il capoluogo lombardo, redatti in un arco temporale compreso tra il 1991 e il 2017, ordinati secondo una logica che deriva dalla loro localizzazione dentro la città e, soprattutto, in ragione delle soluzioni adottate. Il volume, curato da Giovanni Comi e pensato come il catalogo della mostra omonima organizzata presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Palermo, ha poi assunto, anche, il carattere di una riflessione a più voci sui rapporti tra rappresentazione/progetto/luogo. I testi (dell'autore) volutamente scarni, che accompagnano i progetti, si limitano a indicare le ragioni e gli obiettivi delle proposte. I tre saggi iniziali e quello in chiusura, invece, propongono chiavi di lettura dei progetti che rinviano a riflessioni più generali originate, proprio, dall'apparente semplicità delle trasformazioni e dalla chiarezza degli assunti teorici nonché dall'evidente uso del disegno come irrinunciabile strumento di indagine e di progetto, assai distante da qualunque forma di rappresentazione che possa rendere l'architettura accattivante, seducente, fotogenica.
In tutti i saggi si evidenzia la coerenza costante nell'interpretare la modernità nel rapporto con la storia dei luoghi, sebbene i progetti siano nati per occasioni e in tempi diversi. Annoto alcune altre considerazioni degli autori. Andrea Sciascia sottolinea come la interazione tra progettista e città si concretizzi "in una selezione dei materiali esistenti molto serrata" e "in un lavoro di scavo dove il progettista ha il dovere di esprimere con precisione delle domande dovendo, poi, formulare con altrettanta oculatezza delle risposte"; e, ancora: "Tutti i ritratti insieme - scrive Sciascia - permettono di vedere la Milano progettata da Torricelli come un'unica immagine dove architetto, architettura e città, pensiero e realtà, si sovrappongono senza distinzione". Chiara Baglione sostiene che "il valore dei progetti di Torricelli non deriva da un'aprioristica volontà di produrre immagini dimostrative, ma è la conseguenza dell'applicazione coerente di un metodo tanto nella lettura del tessuto urbano e delle sue fratture, quanto nella definizione di strumenti progettuali per agire su quel tessuto con appropriatezza". Giovanni Comi, invece, rileva che "il concetto di luogo architettonico si trova esposto nelle relazioni di progetto e in diversi testi, nei quali la descrizione che Torricelli fa di alcuni suoi edifici non è affrontata a partire dagli aspetti di pura immagine ma, per contro, dalla precisazione del significato di luogo - riconosciuto nell'insieme delle condizioni storicamente determinate - a sottolineare il debito che ciascuna opera ha con il carattere del sito". Giuseppe Di Benedetto conclude che: "Quella utilizzata da Torricelli è una rappresentazione nel senso della Vorstellung, che contiene una dimensione concettuale e riguarda non l'immagine in sé o come espressione autonoma (Darstellung), ma la forma nella sua strutturazione assoluta, nella sua potenzialità costruttiva e nella sua condizione storica. Visti nel loro insieme, nel loro essere connessi da un'unica 'direttrice lineare' di racconto - prosegue Di Benedetto - le sperimentazioni architettoniche per una Milano possibile appaiono generate da riflessioni fenomenologiche e trascendentali sulla Milano com'è".
Vorrei, ora, riflettere sui "quadri" per Milano, attraverso la mostra di Palermo che consente di coglierne la sequenza con maggior chiarezza e facilità. Mi sono interrogata sul significato del titolo: ché Angelo Torricelli, essendo profondo conoscitore della pittura e delle tecniche pittoriche, mai potrebbe confondere il bozzetto di un quadro con lo schizzo di un progetto e viceversa; né praticherebbe una rappresentazione dell'architettura che sia fine a se stessa. Il quadro coincide con l'opera ed è condizionato dai bordi della tela (come le ossessioni di Mondrian testimoniano). Il progetto è l'idea di un'opera, rappresentata secondo i rapporti di similitudine dettati dai teoremi di Euclide. E la dimensione del disegno/rappresentazione non è determinata dal supporto cartaceo o elettronico, bensì dal rapporto scalare scelto in funzione delle questioni da affrontare e risolvere. Perché allora "Quadri per Milano"? Anche ripensando all'attenta e puntuale spiegazione di Chiara Baglione sul significato di "quadro" a proposito dei progetti di Torricelli, le perplessità rimangono.
Il progetto è come il bosone di Higgs. Il bosone di Higgs genera un campo che fornisce la massa alle particelle: in sua assenza la materia, come la conosciamo, non esisterebbe. Il bosone di Higgs si comporta allo stesso modo quale che sia il tipo di particelle in cui si imbatte e quale che sia il punto dell'universo in cui le intercetta. Analogamente, il progetto dà forma a un luogo che prima ne era privo o non ne aveva una riconoscibile. Il progetto tras-forma la natura in artificio, in una cosa fatta ad arte, intenzionalmente, con un obiettivo, con un fine: in sua assenza non ci sarebbe la città; non ci sarebbe, in generale, l'habitat umano. Torricelli più volte motiva i propri progetti con la necessità di risolvere luoghi irrisolti o di dare continuità a luoghi che l'hanno persa. Ma irrisoluzione e discontinuità sono la condizione per fare un progetto: per esempio, in piazza Castello (che luogo irrisolto non sarebbe) lo svelamento di una irrisoluzione recente - la perdita del "carattere di grande scena urbana" - ne fornisce l'occasione. E poi, il progetto - ancorché sostanziato dalla consapevolezza propria di chi pratica il mestiere dell'architetto - ha sempre natura concettuale; preleva dai luoghi reali solo quanto occorre a innescare un processo logico di trasformazione; riverbera sui luoghi reali ipotesi di assetti formali futuri; riacquisisce, da questi ultimi, materia per ulteriori concettualizzazioni e per mantenere attivo quel tasso di labilità necessario a consentire altre trasformazioni.
Sono, ora, convinta che sia stata l'occasione della mostra - cioè l'ultima fase del processo appena descritto - a trasformare in "quadri", in entità relativamente separate e concluse in sé, i progetti per Milano e a restituire un'idea di città quale si desume dal "quadro" intitolato "Matrici e progetti di Milano": una Milano che compare/scompare in filigrana; che fornisce l'occasione per ragionare sulla natura e i caratteri del progetto contemporaneo; che è potente non perché è un luogo reale (con i suoi tracciati, allineamenti, tessuti, fratture, sconnessioni...) ma perché suscita immagini di Città. Come il bosone di Higgs è il presupposto perché si formi la Materia (non di una specifica galassia), così il progetto è il presupposto perché si formi l'Idea di Città (non di una specifica città).
C'è un precedente letterario illustre in cui Milano è restituita per frammenti o per parti. Alberto Savinio, in Ascolto il tuo cuore città (1944), racconta aneddoti, mescola alla rinfusa gli argomenti tra di loro (dalla gastronomia all'architettura), costruisce un testo di pagine sparse il cui ordine potrebbe essere cambiato senza perderne di senso. L'immagine della città che ne proviene può essere sintetizzata in questi due passaggi. Il primo: "Milano, anche come conformazione fisica, è atta alla civiltà chiusa. La sua forma a ruota la destina a raccogliere e ad accentrare. (…) Civiltà chiusa è la civiltà molto matura che non aspetta più nulla dall'esterno e fa tesoro di quello che già possiede". Il secondo: "Tali sono le qualità domestiche di questa città che strade e piazze danno il sentimento dell'abitazione, sono case senza tetto. (…) Le piazze di Milano non hanno nulla di apprestato: sono incontri casuali di vie nelle quali il vento della fantasia si raccoglie e gioca, perché in questa città tranquilla e felice altro vento non tira se non quello di una fantasia sottile e pacata". Milano città domestica; Milano città isotropa e isomorfa e introversa: la città di Savinio.
Qual è la Milano di Torricelli delineata attraverso i "quadri" e, soprattutto, attraverso ciò che è stato a-stratto dai luoghi per innescare il processo progettuale? Ciascun progetto sviluppa un tema formale originato da una specifica struttura rinvenuta nei luoghi, che si manifesta in un tessuto (Rho-Pantanedo) piuttosto che in una direttrice prevalente (Scalo Farini) o in un insieme di giaciture (Garibaldi-Repubblica); e che, inoltre, genera manufatti architettonici, tipologicamente definiti, tra i quali si stabilisce una relazione topologica, di prossimità relativa, in ragione della definizione indiretta di uno spazio pubblico centrale (Campus Bovisa). Le relazioni di prossimità sono particolarmente evidenti nei progetti per il Castello-Foro Bonaparte e per la Darsena, nei quali a riconfigurare i luoghi sono - rispettivamente - la sequenza degli spazi pubblici e una nuova orografia. Altri temi formali si intravedono nei progetti. Cittadella Militare di Baggio: il "recinto", reinterpretato, trasforma un segno di segregazione in un elemento di identificazione del luogo; Chiesa ai Tre Ronchetti: la "marginalità", recepita come valore positivo, è utile per istituire nuovi rapporti tra l'orizzonte lontano dei campi e quello vicino della città; Expo dopo Expo: la "metamorfosi", assunta come qualità specifica della forma, avviene attraverso edifici capaci di restituire immagini forti di tipologie storicamente consolidate (crescent, piastra…).
Tutti i progetti formano un sistema complesso riconoscibile, come tale, dalla costanza delle relazioni tipo-morfologiche e di prossimità prima indicate. Suggeriscono un'idea di città che ammette l'esistenza di molti "luoghi centrali", per certi versi autoreferenziali rispetto al sito ma analoghi ad altri "luoghi centrali" in altre parti del mondo; prospettano una Milano che, perduta la sua relativa omogeneità, per ciò stesso si collocherebbe di nuovo nel novero delle grandi capitali europee. Infatti, il disegno torricelliano riprende la logica di contenere la forte centralità della città a favore di nuovi caposaldi, capaci di istituire relazioni con ambiti territoriali più ampi, alcuni lustri dopo una proposta simile - quella dei "Nove parchi per Milano" (originata nel lontano 1994 dalla collaborazione tra università e amministrazione comunale) - che contemplava un insieme di progetti autonomi, su aree dismesse, connessi da un'infrastruttura complessa. Milano città globale; Milano città di città: la città di Torricelli.
Marcella Aprile
N.d.C. - Marcella Aprile è professore ordinario di Architettura del paesaggio all'Università degli Studi di Palermo.
Tra i suoi libri: con Michele Argentino, Anna Maria Fundaro, La dimensione dell'azione: ambiente e costruzione. Partecipazione, autogestione, autocostruzione (Palermo: Centro studi sull'architettura nella sua conformazione tecnica. Istituto di composizione architettonica. Facoltà di architettura dell'Università, 1977); Museo (Palermo: Flaccovio, 1993); Le soluzioni di continuità (Palermo: Flaccovio, 1993); Casa, dolce casa. Riflessioni, esempi, divagazioni sulla casa unifamiliare contemporanea (Palermo: Flaccovio, 1977 e. 1997); Dal giardino al paesaggio (Palermo: Flaccovio, 1998); Palermo Panormous (Palermo: Flaccovio, 1999); con Carlo Bellavista, Paesaggi di costa (Palermo: Flaccovio, 2002); (a cura di), Rotte di mare e di terra (Palermo: Officine Tipografiche Aiello & Provenzano, 2006); (a cura di), Sul paesaggio. Questioni, riflessioni, metodologie di progetto (Milano: FrancoAngeli, 2007); (a cura di) con Cesare Ajroldi e Andrea Sciascia, Note sulla didattica del progetto (Palermo: Caracol, 2008); (a cura di), Breve storia del paesaggio (Palermo: Caracol, 2009); Paesaggi attraverso. Cinque ville comunali siciliane (Palermo: Caracol, 2014); con Giuseppe Guerrera e Gaetano Licata, Paesaggio e strutture urbane. Lungo il mare e dintorni (Palermo: Caracol, 2015).
Per Città Bene Comune ha scritto: Paesaggio: dal vincolo alla cura condivisa, commento al libro di Guido Ferrara (7 settembre 2017).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 09 MARZO 2018 |