|
|
Guido Borelli colma meritoriamente una lacuna editoriale traducendo dal francese l’ultima opera di Henri Lefebvre – Elementi di ritmanalisi. Introduzione alla conoscenza dei ritmi – con, in aggiunta, un saggio introduttivo, una prefazione di René Lourau e una postfazione di Remi Hess. Il libro – edito da LetteraVentidue nel 2019 – si raccomanda ai lettori curiosi della riflessione di Lefebvre che vogliano guardare oltre il piattume del diritto alla città, ormai ridotto dall’abuso indiscriminato a uno slogan protestatario. Ci sono altri tesori intellettuali ancora da scoprire nella vasta produzione di un autore insofferente delle chiusure disciplinari. Parte della fertilità del suo pensiero, ancora oggi, risiede nel carattere transdisciplinare ben esemplificato dalla ricerca sui ritmi.
Il pensatore francese elabora i testi sulla ritmanalisi in età avanzata. Dalle pagine traspare un nuovo atteggiamento contemplativo non più schierato sulla prima linea dell’impegno militante. Lefebvre si dispone alla conoscenza dei ritmi consapevole di avere dato tanto alla causa della rivoluzione, forse desideroso della filosofia come rimedio terapeutico all’aritmia di un corpo fiaccato.
Borelli e Lourau sottolineano che il progetto della ritmanalisi era stato concepito molti anni prima, a corollario della grandiosa e altrettanto incompiuta critica della vita quotidiana. Indubbiamente esiste una relazione stretta tra questi due temi, come si evince dai numerosi riferimenti alla vita quotidiana presenti nel testo. Affrontato negli ultimi anni di vita, tuttavia, il progetto della ritmanalisi imbocca un sentiero autonomo, ancora all’insegna dell’affrancamento dall’alienazione, ma più orientato alla teoria della conoscenza.
La ritmanalisi pone le basi di una teoria della conoscenza che assegna il primato al corpo prendendo con decisione le distanze da ogni forma di spiritualismo. Il primato del sensibile nella conoscenza è, in Lefebvre, uno sviluppo del materialismo storico di Marx integrato dal vitalismo di Nietzsche. Gli apporti di entrambi i filosofi tedeschi confluiscono in un abbozzo teorico originale.
E la città? Chi conosce l’opera di Lefebvre sa quanto l’urbano sia stato un importantissimo terreno di ricerca negli anni Sessanta e Settanta. Nelle pagine di questo volume la città compare spesso, ed è protagonista di due capitoli: quello sui ritmi delle città mediterranee e quello sul ritmo circadiano della folla parigina percepito dalla finestra di un appartamento. La teoria dei ritmi aiuta a decifrare fenomeni urbani, ma questo non è che uno dei suoi molteplici valori. Per comprendere l’ambizione di questo progetto incompiuto occorre mettere da parte ogni divisione settoriale del sapere.
Il carattere sincopato della scrittura di Lefebvre, e la sua costante preoccupazione di tenere unita la conoscenza alla prassi rivoluzionaria che ne può derivare, non impediscono al lettore di intuire che il problema del ritmo è impostato a un livello di massima generalità, paragonabile nella sua portata teoretica ai problemi dell’essere e del divenire, da un filosofo che conosce bene i trabocchetti della metafisica. Uno dei trabocchetti più insidiosi è quel dualismo che colloca il raziocinio in un apriori chiamato anima, coscienza, psiche, e più recentemente linguaggio, dove avrebbe sede tutto ciò che eleva gli esseri umani al di sopra dell’istinto animalesco. Lefebvre rifiuta questa svalutazione del corpo di cui vede chiare le implicazioni politiche. Già in Platone la “strategia dell’anima”, come la chiama Carlo Sini (1989), si traduceva politicamente nella separazione di classe tra gli intellettuali destinati ai compiti di governo e i popolani obbligati ai lavori manuali. Ma il peggio è venuto, molti secoli dopo, quando la ragione si è incarnata nelle macchine, quando si è fatta strumento automatico per la produzione di merci, riducendo il lavoro manuale alla ripetizione insensata di gesti ritmati dal moto di leve e ingranaggi. Il macchinismo industriale ha spalancato l’abisso tra il pensiero razionale e la corporeità, spossessando uomini e donne non solo dei mezzi di produzione, ma della capacità di creare, di sviluppare i talenti e di godere appieno la vitalità del corpo. Il processo di alienazione che estranea la coscienza dal corpo vivente penetra in tutte le pieghe e in tutti gli strati della società, con l’effetto di rinsaldare lo status quo dei rapporti di produzione.
Il ritmo delle fabbriche, infatti, è sociale oltre che meccanico: il mercato lo rallenta e lo accelera, lo interrompe bruscamente durante una crisi. Lefebvre inizia a occuparsi della vita quotidiana quando si accorge, analogamente a Ernst Jünger (1930) e Sigfried Giedion (1948), che nell’epoca tra le due guerre mondiali il ritmo della macchina è fuoriuscito dalle officine. Quel ritmo s’intrufola nella vita privata, nel tempo libero, nei luoghi urbani, persino nelle campagne, generando forme nuove e più insidiose di mortificazione del corpo. Sempre negli anni tra le due guerre, Walter Benjamin (1936) aveva osservato gli effetti della riproducibilità tecnica sull’opera d’arte e sul processo di creazione artistica. Lefebvre è tra i primi in Europa a indagare le riverberazioni del macchinismo industriale sull’organizzazione della vita sociale nel suo complesso, senza nascondere il disagio nei confronti dello stacanovismo sovietico. Così aggiornata, la problematica dell’alienazione umana è una cifra fondamentale dell’opera di un infaticabile critico della modernità capitalista.
Borelli riferisce di un primo accenno lefebvriano alla “ritmologia” presente nel secondo volume di Critica della vita quotidiana, dove Lefebvre è attento «alla persistenza dei tempi ritmici nel tempo lineare, quello della società moderna» (1961, tr. it. p. 60). Anni dopo, egli preferisce il neologismo “ritmanalisi” usato da Gaston Bachelard (1950) per criticare Bergson e per dare nome a una nuova componente delle scienze psicologiche.
Il progetto ritmanalitico prende lentamente forma in analogia e in opposizione alla psicanalisi quale terapia della psiche, ancora incardinata nel dualismo mente-corpo. La psicanalisi è terapeutica, ma non si riduce allo studio della malattia mentale. Essa è anche un metodo di conoscenza dei processi psichici e delle strutture mentali. Allo stesso modo la ritmanalisi è teorizzata con un doppio intento: conoscitivo e terapeutico. Per evitare la trappola del dualismo, Lefebvre non qualifica la ritmanalisi come una scienza del corpo. Egli crede di aver individuato un concetto universale, il ritmo appunto, esteso all’insieme dei fenomeni naturali e sociali. Il ritmo è una vibrazione dell’essere direttamente accessibile agli esseri viventi, per i quali è un veicolo di conoscenza. L’analista dei ritmi, Lefebvre lo sottolinea più volte, inizia dalla percezione dei ritmi del proprio corpo. Imparando a riconoscerli, a distinguerli, a isolarli uno dall’altro, egli sviluppa la comprensione dell’euritmia e dell’aritmia: la consonanza e la dissonanza dei ritmi corporei. Questo genere di conoscenza non è intellettuale, non è separabile dalla corporeità, non chiama in causa la coscienza. Il soggetto e l’oggetto del conoscere sono immedesimati nel concreto pulsare del sangue, nel ritmo respiratorio, nell’alternarsi del sonno e della veglia. Il corpo secondo Lefebvre pensa e conosce naturalmente: è partecipe di una corrente ritmica universale che gli è intimamente accessibile. Imparare a conoscere i ritmi del proprio corpo apre la via alla conoscenza generale dei ritmi.
La ritmanalisi studia pertanto l’armonia e la disarmonia del corpo umano con i ritmi biologici e con quelli imposti dalla tecnica. Il corpo è immerso in grandi cicli di origine cosmica, biologica e socio-tecnica. I ritmi ciclici e lineari si accavallano, interferiscono gli uni con gli altri, danno luogo a quel tempo sociale che misurano gli orologi. Lefebvre appronta l’apparato concettuale per diagnosticare la ritmopatologia della vita quotidiana, per parafrasare il titolo di una celebre opera di Freud. A ben vedere, la psicanalisi è un modello latente oltre che un avversario dichiarato della ritmanalisi. Molte sono le analogie delle rispettive tecniche di autoanalisi. La funzione del sogno come rivelatore delle pulsioni inconsce è assolta da quei comportamenti irrazionali, come la consultazione degli oroscopi, dove il ritmo cosmico torna a dominare le azioni umane.
Lefebvre si interessa all’affiorare quotidiano di gesti, emozioni e sensazioni che rivelano l’esistenza di un tempo ciclico e di uno spazio differenziale, tanto quanto si interessa alla genealogia del tempo lineare e dello spazio sociale. L’assuefazione ai ritmi meccanici non è mai definitiva proprio grazie al corpo, all’urgenza dei suoi bisogni, alla prepotenza del suo desiderio. Rivalutare queste presenze, isolarne i ritmi e rimetterli in sintonia con i cicli della natura è la scommessa del ritmanalista.
La fondamentale distinzione su cui poggia l’analisi dei ritmi è quella tra il ciclico e il lineare. Con il primo, Lefebvre si riferisce a un ripetersi nel quale «c’è sempre qualcosa di inaspettato, qualcosa di nuovo che entra nelle ripetizioni: della differenza» (p. 77). Il rinnovarsi di un ciclo «è sempre fresco come una scoperta e un’invenzione» (p. 39), scrive insieme a sua moglie Catherine Régulier. Qui la differenza, come spiega Deleuze (1968, tr. it. p. 1) in un altro contesto, «non implica il negativo», il distacco dalla pienezza dell’identità. Il ritmo ciclico, ripetendosi, conserva la vitalità del suo evento. Il ritmo lineare, invece, secondo Lefebvre ambisce alla ripetizione assoluta, senza differenza, come il funzionamento di un macchinario. Qui la differenza non è abolita, ma negata e censurata in nome dell’efficienza. Allo stesso modo Lefebvre (1974, p. 330, traduzione mia) scriveva pochi anni prima che lo spazio astratto «non è omogeneo: esso ha l’omogeneità come scopo». Il ritmo lineare è parte di un’ampia strategia di mobilitazione produttiva che si realizza nella moderna società capitalistica. Questo punto di vista non sembra coincidere con quello di Marx che, nel Capitale, descrive il ciclo capitalistico con la celebre formula D-M-D’, cioè una ripetizione tale per cui il denaro investito nel produrre merci ritorna denaro con l’aggiunta del profitto. Il denaro è fine a se stesso dentro un ciclo di accumulazione che non è solo quantitativo, perché contiene lavoro non pagato (pluslavoro), altro sia dal denaro sia dalla merce.
È noto che Lefebvre disdegna le versioni economiciste del marxismo, in aperta polemica con Louis Althusser. Egli è più interessato al riprodursi dei rapporti di produzione nella vita quotidiana, teatro «di un conflitto tra i grandi ritmi indistruttibili e i processi imposti dall’organizzazione socio-economica della produzione e del consumo, del traffico e dell’habitat» (p. 39). La ritmanalisi inizia dal «dominio del tempo lineare su quello ciclico» (p. 17), come scrive Borelli, ma immediatamente afferma la dialettica, cioè l’unità conflittuale, dei ritmi che interferiscono tra loro nella quotidianità. In questo modo, Lefebvre si tiene a prudente distanza dal rischio di cadere nell’errore che rinfaccia agli assertori del dualismo ontologico. Il dominio di un ritmo sull’altro non è assoluto, irreversibile: semmai è lo stato delle cose entro un divenire conflittuale, agonistico, aperto a sviluppi imprevisti. Il saggio scritto a quattro mani con Catherine Régulier sui ritmi delle città mediterranee imposta il confronto di queste ultime con le città oceaniche su una differente articolazione dialettica dei poteri. Nel mondo mediterraneo, una vita ricca di contrasti interni, una società urbana corrispondente a ciò che Robert Ardrey (1966) chiama un noyau, mantiene con lo Stato un «regime di compromesso» (p. 57) a causa della tenace poliritmia dei rapporti sociali. Nel mondo oceanico, laddove le città vivono di rapporti contrattuali più che rituali, lo Stato penetra in profondità riuscendo a imprimere alla vita urbana un ritmo egemonico tendente all’uniformità e al conformismo.
Tuttavia, il saggio più notevole tra quelli raccolti nel volume è senza dubbio quello in cui Lefebvre si dedica all’analisi dei ritmi parigini da una finestra della sua abitazione affacciata sulla piazza del Beaubourg. Questo esercizio di ritmanalisi compiuto da un insonne vegliardo è impareggiabile nel discernere, con tutti i sensi allertati, i ritmi ciclici e lineari del traffico automobilistico, dei passanti frettolosi, delle folle spaesate di banlieusard e dei rumori diurni o notturni. Nel caos apparente, chi si abbandoni alla sensazione del ritmo apprende regolarità dapprima insospettabili, misure esogene oppure endogene della vita quotidiana in una moderna metropoli. Lefebvre è abile come il direttore di un’orchestra nel conoscere il timbro di ogni singolo strumento, ma soprattutto nel saper ascoltare la vibrazione dei ritmi nel proprio corpo, sospendendo la coscienza dell’io. Non è la coscienza che riflette il mondo come uno specchio: è il corpo invece che conosce il mondo per risonanza.
Il ritmo esercita un potere nascosto sul corpo. Il breve saggio dedicato al dressage, che in francese significa ammaestramento, indaga alcuni degli effetti del ritmo sull’acquisizione di comportamenti e posture da parte degli esseri umani. Il dressage si attiva nella socializzazione di bambini e adulti, nell’educazione scolastica e nell’apprendistato lavorativo, ma più ancora per inculcare gestualità e movimenti in coloro che entrano a far parte di istituzioni totali come l’esercito, la prigione, oppure il manicomio. Qui il discorso ricorda quello di Michel Foucault, un autore che Lefebvre conosce e rispetta pur nella dichiarata divergenza di posizioni politiche. L’addestramento basato sul ripetersi ritmato di gesti viene fatto discendere dalle tecniche di ammaestramento degli animali, a ulteriore comprova del fatto che il corpo apprende senza bisogno di postulare l’anima a questo scopo. Sotto forma di rituali, sostiene Lefebvre, i ritmi disciplinano la condotta sociale senza peraltro escludere la devianza e l’insubordinazione dovute all’interferenza dei ritmi di origine cosmica e biologica.
I restanti capitoli in apparenza sono gli abbozzi di testi più organici, nei quali l’analisi è rivolta alla partizione ritmica del tempo mediatico e di quello musicale. Nel primo, ai mezzi di comunicazione di massa è attribuita la scansione delle giornate in fasce per diverse categorie di pubblico e diversi stimoli emotivi (eccitazione, rilassamento, ecc.). Nel secondo, è affermata la necessaria «relazione tra il tempo musicale e i ritmi del corpo» (p. 143), che passa in modo assai significativo attraverso la scrittura musicale. Qui ritorna la tematica della misura, presente nel primo capitolo, in una sorta di rifacimento pitagorico al numero (arithmos in greco antico) come principio universale. Si narra che Pitagora udisse il suono dei corpi celesti prodotto dal loro moto e misurato da numeri costanti nel tempo. Il numero esprime l’idea di una progressione ordinata, ritmica, affine al suono musicale. La progressione dei gesti compiuti dal musicista che suona uno strumento è catturata da particolari scritture usate per la rappresentazione dei suoni musicali. Queste scompongono i gesti corporei del musicista in unità elementari, scritte in successione sul pentagramma. Il gesto musicale è trascritto. Per chi legge la musica silenziosamente, come un musicologo, le note hanno un significato sonoro che nasconde, tuttavia, i gesti necessari a ricavare quella melodia da uno strumento. Così chi legge silenziosamente un libro è attento al significato delle parole, è attento al ritmo se legge una poesia, tuttavia non presta attenzione ai caratteri alfabetici che trascrivono il discorso orale (Sini 1992). La particolarità della scrittura musicale, intuita in un certo senso da Lefebvre, è quella di trascrivere il ritmo del gesto vivente. Quando scrive che «i ritmi sfuggono alla logica, e tuttavia contengono una logica, un possibile calcolo di numeri e relazioni numeriche» (p. 83), egli riflette sul nesso tra ritmi, corpi e numeri. In campo musicale questo nesso sembra individuabile in un certo genere di scrittura. Ma noi potremmo ugualmente interpretare la scrittura matematica come trascrizione dei movimenti di corpi animati e inanimati, avvicinandoci al suo mistero.
Il ritmanalista non ha potuto farci odorare tutte le essenze di quello che era, secondo René Lourau, il suo «giardino segreto» (p. 69). La provvista di sementi che ha lasciato, in questa e in altre opere, basta per generazioni di buoni coltivatori.
Luca Gaeta
Riferimenti bibliografici Ardrey R. (1966), The Territorial Imperative: A Personal Inquiry into the Animal Origins of Property and Nations, Atheneum, New York, tr. it. L’imperativo territoriale, Giuffrè, Milano 1984. Bachelard G. (1936), La dialectique de la durée, Boivin, Paris, tr. it. Dialettica della durata, Bompiani, Milano 2010. Benjamin W. (1936), “Die Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduziertbarkeit”, Zeitschrift für Sozialforschung, n. 5, pp. 40-66, tr. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966. Deleuze G. (1968), Difference et répetition, PUF, Paris, tr. it. Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997. Giedion S. (1948), Mechanization Takes Command: A Contribution to Anonymous History, Oxford University Press, New York. Jünger E. (1930), “Die totale Mobilmachung”, in Id. (hrsg.), Krieg und Krieger, Junker und Dünnhaupt, Berlin, tr. it. “Mobilitazione totale”, Il Mulino, n. 301, 1985, pp. 753-770. Lefebvre H. (1961), Critique de la vie quotidienne II. Fondements d’une sociologie de la quotidienneté, L’Arche, Paris, tr. it. Critica della vita quotidiana, vol. II, Dedalo, Bari 1977. Lefebvre H. (1974), La production de l’espace, Anthropos, Paris, tr. it. La produzione dello spazio, Moizzi, Milano 1976. Sini C. (1989), I segni dell'anima, Laterza, Roma-Bari. Sini C. (1992), Etica della scrittura, Il Saggiatore, Milano.
N.d.C. – Luca Gaeta, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, è coordinatore del dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani.
Tra i suoi libri: Segni del cosmo. Logica e geometria in Whitehead (LED Edizioni, 2002); con P. Briata e L. Liberatore, Sotto un unico tetto. Fatti e storie della cooperativa edificatrice di Lampugnano (M&B, 2004); Il seme di Locke. Interpretazioni del mercato immobiliare (FrancoAngeli, 2006); Il mercato immobiliare. Beni, diritti, valori (Carocci, 2009); La democrazia dei confini. Divisioni di suolo e sovranità in Occidente (Carocci, 2011); con M. Bolocan Goldstein, S. Moroni e G. Pasqui, Modelli e regole spaziali. Liber amicorum per Luigi Mazza (FrancoAngeli, 2013); con U. Janin Rivolin, L. Mazza (a cura di), Governo del territorio e pianificazione spaziale (CittàStudi Ed., 2013 e 2018); con A. Arcidiacono, A. Bruzzese e L. Pogliani, Governare i territori della dismissione in Lombardia: caratteri, contesti, prospettive (Maggioli, 2015); con A. Balducci (a cura di), L’urbanistica italiana nel mondo. Contributi e debiti culturali (Donzelli, 2015); La civiltà dei confini. Pratiche quotidiane e forme di cittadinanza (Carocci, 2018); con A. Buoli (a cura di), Transdisciplinary Views on Boundaries: Towards a New Lexicon (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020).
Del libro di Luca Gaeta La civiltà dei confini. Pratiche quotidiane e forme di cittadinanza (Carocci, 2018) hanno scritto in questa rubrica: Gabriele Pasqui (11 gennaio 2019) e Agostino Petrillo (15 giugno 2019).
Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), 25 settembre 2020.
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 04 DICEMBRE 2020 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
powered by:
Le conferenze
2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2019: G. Pasqui | C. Sini locandina/presentazione
Gli incontri
- cultura urbanistica:
- cultura paesaggistica:
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020:
O. Codispoti, Città e paesaggi tra percezione e progetto, commento a: L. Burckhardt, Il falso è l’autentico, a cura di G. Licata, M. Schmitz (Quodlibet, 2019)
F. Indovina, Come combattere la segregazione urbana, commento a: I. Blanco, O. Nel·lo, Quartieri e crisi, ed. it. a cura di A. Mazza e R. Paciello (INU Edizioni, 2020)
L. Bottini: Il valore dei luoghi e dello spazio, commento a: M. Lussault, Iper-luoghi, ed. it. a cura di E. Casti (FrancoAngeli, 2019)
G. Consonni, Città: come rinnovare l'eredità, commento a: G. Piccinato, Il carretto dei gelati (Roma TrE-Press, 2020)
L. Piccioni, La critica del capitalismo da Salzano a Nebbia, commento a: G. Nebbia, La terra brucia, a cura di L. Demichelis, (Jaca Book, 2019)
M. Bolocan Goldstein, Spazio & società per ripensare il socialismo, commento a: B. Sala, Società: per azioni (Einaudi, 2020)
M. Landsberger, L'architettura moderna in Sicilia, commento a: G. Di Benedetto, Antologia dell’architettura moderna in Sicilia (40due edizioni, 2018)
M. Balbo, Trasporti: più informazione, più democrazia, commento a M. Ponti, Grandi operette (Piemme, 2019)
F. C. Nigrelli, Senza sguardo territoriale la ripresa fallisce, commento a: A. Marson (a cura di), Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)
G. Pasqui, La Storia tra critica al presente e progetto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Lazzari, Paesaggi dell'immigrazione in Brasile, commento a: D. Rigatti, E. Trusiani, Architettura e paesaggio in Serra Gaúcha (Ed. Nuova Cultura, 2017)
F. de Agostini, De carlo e l'ILAUD: una lezione ancora attuale, commento a: P. Ceccarelli (a cura di), Giancarlo De Carlo and ILAUD (Fondazione Ordine Architetti Milano, 2019)
P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)
P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)
C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)
R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)
E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)
A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)
F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)
G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)
P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)
V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)
E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)
A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)
G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)
C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)
G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle donne.it, 2019)
F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)
R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)
L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)
L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)
A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)
P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)
W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)
L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)
I post
|