Anna Casaglia  
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L'INVENZIONE (E L'ILLUSIONE) DEI CONFINI


Commento al libro curato da Luca Gaeta e Alice Buoli



Anna Casaglia


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Il libro curato da Luca Gaeta e Alice Buoli – Transdisciplinary Views on Boundaries. Towards a New Lexicon (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020) – conferma l’importanza assunta dai confini negli ultimi decenni nel dibattito accademico e non solo. Fino a non molto tempo fa i confini, pur mutando e riconfigurandosi di continuo, hanno dato un’idea di stabilità che ha condizionato anche la loro concettualizzazione. Le modifiche alle linee di demarcazione tra stati sono sempre state viste come il risultato della configurazione “naturale” del terreno, l’esito di conflitti di diversa scala e portata o dell’imposizione di poteri imperialisti e coloniali. La relativa stabilità della carta politica di buona parte del mondo, specialmente durante la lunga fase della 'guerra fredda', ci ha abituati a dare per scontato l’esistenza di un limite alla sovranità nazionale, ai nostri diritti di cittadinanza, alla nostra identità culturale e sociale. Ma i confini, a pensarci bene, sono un’invenzione e un’illusione, per quanto potente e convincente. Un’invenzione in quanto cristallizzazione spaziale di un’idea politica e di una affermazione di potere sullo spazio. Un’illusione perché trasmettono un’idea di sicurezza e di permanenza non sempre corrispondente alla realtà, e che spesso finisce per alimentare paranoie securitarie.

L’aspettativa di un mondo senza confini in voga durante gli anni Novanta del Novecento, alimentata dall’accelerazione dei processi di globalizzazione del capitale, dalla costituzione dell’Unione Europea, e dalla fine della 'guerra fredda', ha riportato l’attenzione sulla natura dei confini, portando molti, erroneamente, a pensare che la loro funzione si stesse esaurendo per lasciare posto a forme di governance sovranazionale o transnazionale. Al contrario, il confine si è evoluto insieme ai processi che lo hanno attraversato, e ha riacquistato una forza simbolica e un valore concreto che lo hanno messo al centro del dibattito politico e accademico.

Il libro curato da Gaeta e Buoli è il risultato di due convegni multidisciplinari sul tema dei confini, che hanno portato i partecipanti a sentire l’esigenza di elaborare un linguaggio comune transdisciplinare che possa aiutare a comprendere il confine nelle sue diverse manifestazioni e portare a una teoria generale. L’esperimento concettuale portato avanti dagli autori si basa su due importanti premesse: non inventare parole nuove e utilizzare termini che risultino adeguati ad ambiti disciplinari diversi, così come a tipologie di confini diverse: internazionali e interni, materiali e simbolici, naturali e artificiali. Questa premessa restringe il campo a dieci concetti chiave attorno a cui si articolano i diversi capitoli del libro, che in realtà cercano anche di superare la dicotomia che descrive il confine alternativamente come artefatto divisorio o come astratta idea di differenza.

La diversità dei contributi accentua la difficoltà di circoscrivere il campo degli studi di confine e mette anche in luce, a mio avviso, i rischi insiti nel tentativo di elaborare una “teoria generale” per dare conto di un processo politico e sociale complesso. Nel libro si alternano capitoli più teorici ad altri che utilizzano i concetti per analizzare casi studio specifici, e si sovrappongono diverse tipologie di confini, da quelli politici che dividono stati nazione a quelli che segnano una demarcazione, ad esempio, tra urbano e rurale, tra pubblico e privato, o che segnano forme di cittadinanza, o ancora che indicano l’esito di processi storici di territorializzazione. Un filo conduttore che si può riscontrare, al di là del comune obiettivo di definire un lessico interdisciplinare, è l’accentuazione dell’aspetto costruito di qualsiasi forma di confine, visto come prodotto spaziale e sociale di dinamiche politiche in evoluzione, e l’insieme dei contributi sottolinea quindi la contingenza del confine e delle sue funzioni.

 

Nell’introduzione si propone un’aggregazione dei diversi capitoli per assonanze tematiche o di approccio, che trovo in parte utile per sintetizzare qui la diversità degli elaborati. I capitoli di Alice Buoli, Giulia Scotto e Alessandro Frigerio guardano alle diverse modalità di produzione dello spazio attraverso la creazione e trasformazione di confini politici e/o sociali in diverse aree dell’Africa settentrionale e subsahariana. Gli autori utilizzano, rispettivamente, i concetti di “borderscap-es/-ing”, infrastrutture e mappatura che, per quanto diversi, aiutano nel complesso a comprendere il carattere artificiale e costruito delle divisioni e delle connessioni, così come degli spazi a cui questi danno vita. Questi contributi mettono anche in luce l’aspetto relazionale dei processi che costituiscono e ridefiniscono i confini, sottolineando la tensione tra l’imposizione di pratiche coloniali dall’alto e la agency degli attori locali.

La prospettiva storica guida i contributi di Gianluca De Sanctis e Laura Di Fiore, concentrati sul confine come oggetto e sulla sua “invenzione” in epoca romana in relazione al mito, in un caso, e sulla storicità dei processi di creazione del confine che implica il coinvolgimento di diversi attori nell’altro. La prospettiva storica permette di ripensare il confine distaccandosi dall’idea rigida e scontata che si è abituati ad avere e consente di vederne la vera natura di prodotti storici, politici e sociali.

Diversi capitoli analizzano il ruolo di artefatti materiali come elementi performativi nella creazione o rimozione di connessioni/separazioni. Paolo Patelli, attraverso esempi eterogenei, mostra come gli oggetti, a partire dalla dicotomia ponti-porte, possono rappresentare e mettere in atto al tempo stesso istanze connettive e divisorie, evidenziando quindi la capacità fondamentale dei confini di filtrare e di definire gerarchie di accesso. Il design è al centro del contributo di Micol Rispoli, che ne accentua il carattere politico e le possibilità inclusive, relazionali e persino sovversive rispetto a un approccio tecnocratico e impositivo. Anche Giulia Scotto, concentrandosi sulle infrastrutture come confini, enfatizza l’importanza di analizzare criticamente gli oggetti materiali come assemblaggi tecnopolitici in grado di impattare sull’uso dello spazio creando forme di disuguaglianza.

I confini, a volte invisibili, che definiscono lo spazio urbano sono analizzati nei contributi di Camilla Perrone e Rossella Ferorelli. Il primo propone un ragionamento sulla trasformazione dell’urbano e il superamento del concetto di frattura tra urbano e rurale, tra paesaggio costruito e naturale, esaltando i processi di interconnessione socio-naturale che ne ridefiniscono la relazione. Il secondo, invece, analizza diverse concezioni di pubblico/privato mostrando come questi concetti astratti siano continuamente negoziati e in trasformazione, anche alla luce dei processi di digitalizzazione che ridefiniscono l’idea di pubblico.

Luca Gaeta, infine, offre un contributo teorico che permette di superare il dualismo materiale/sociale attraverso l’uso del concetto di pratiche. In questa elaborazione, il confine risulta una parte stessa delle pratiche di mobilità, e non quindi un semplice artefatto o un simbolo.

 

La diversità degli approcci e la varietà di casi studio e concetti utilizzati hanno senz’altro il merito di rimarcare la molteplicità e complessità delle cosiddette “bordering practices”. Invece di essere considerati una caratteristica “naturale” della configurazione politica e territoriale del mondo moderno, i confini vanno intesi come il risultato di specifiche contingenze storiche (Paasi 2009, p. 216). Questo cambiamento nell'approccio ai confini offre l'opportunità di esaminarli non solo come oggetti di studio ma come ambiti di indagine, lenti attraverso cui comprendere fenomeni politici e sociali della contemporaneità, e di riconoscere la loro natura fluida e mutevole, la complessità dei processi che li definiscono (Amilhat Szary e Giraut 2015) e che li fanno operare quella che è stata definita come “inclusione differenziale” (Andrijasevic 2009; De Genova 2002; Mezzadra e Neilson 2013).

Guardare al confine con queste premesse significa anche analizzarlo come una tecnologia che riproduce divisioni sociali e afferma asimmetrie globali. I curatori del libro ammettono l’assenza di un concetto fondamentale nella comprensione dei confini, cioè il potere. In realtà nel testo, anche se non esplicitamente, la nozione di potere fa spesso capolino, e sarebbe strano il contrario, dal momento che la principale funzione del confine di definire la territorialità si costituisce sulla base di relazioni di potere. L’intervento conclusivo di Agostino Petrillo rimette al centro proprio questo aspetto, così come la crescente disuguaglianza che il confine produce a livello planetario e la sua essenza politica.

La conclusione del libro in qualche modo permette di rileggere i diversi contributi nel quadro presente di un mondo in cui l’accesso a cittadinanza, diritti, welfare, servizi, sicurezza e quant’altro è sempre più esclusivo. La rinnovata importanza del confine va letta infatti alla luce delle funzioni che esso esercita nel controllo delle migrazioni globali, nella gestione della logistica, nella prevenzione del terrorismo, nel dibattito politico populista, per dirne alcuni. L’anno appena trascorso ci ha mostrato come i confini e la loro chiusura, su diversi livelli, siano ancora lo strumento prescelto per la sicurezza della cittadinanza, anche nella guerra (termine scelto non a caso) a un virus minuscolo e invisibile che sicuramente non rispetta i confini degli stati nazione. Al contempo, la chiusura dei confini per arginare la diffusione della pandemia è stata un'occasione per riflettere sulle geografie ineguali create da minacce e disastri in relazione a diversi gruppi di popolazione, sollevando preoccupazioni fondamentali su questioni di ingiustizia spaziale e sociale. Una ragione in più per continuare a riflettere sui temi del libro, sui diversi modi e le diverse scale con cui forme di divisione continuano a caratterizzare gli spazi quotidiani e quelli globali e a produrre e riprodurre differenze, disuguaglianze e ingiustizie.

Anna Casaglia

 

 

Riferimenti bibliografici
Amilhat Szary, A. L. and F. Giraut (2015). Borderities and the Politics of Contemporary Mobile Borders. London: Palgrave Macmillan.
Andrijasevic, R. (2009) Sex on the move: Gender, subjectivity and differential inclusion. Subjectivity, 29(1), 389-406.
De Genova, N. (2002) Migrant ‘Illegality’ and deportability in everyday life. Annual Review of Anthropology, 31, 419-447.
Mezzadra, S. and B. Neilson (2013). Border as Method, or, the Multiplication of Labor. Durham: Duke University Press.
Paasi, A. (2009). Bounded spaces in a ‘borderless world’: border studies, power and the anatomy of territory, Journal of Power, 2(2), 213-234.

 

 

N.d.C. – Anna Casaglia è ricercatore in Geografia economico-politica presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento dove insegna Geografia economica e politica, Geographies of Security, The Geopolitics of the Anthropocene. I suoi interessi di ricerca riguardano la geografia politica critica. In particolare, si occupa di confini e mobilità, aspetti spaziali delle relazioni di potere e ingiustizia, populismo e revival territoriale, crisi climatica e sicurezza, popular geopolitics.

Tra i suoi libri: Nicosia beyond partition. Complex geographies of the divided city (Unicopli, 2020).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

14 LUGLIO 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

R. Pugliese, Comporre nuove urbanità, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (Donzelli, 2018)

L. Bonesio, Dall'uso-consumo all'uso-cura del mondo, commento a: O. Marzocca, Il mondo comune (Manifestolibri, 2019)

G. Amendola, La città è fatta di domande, commento a: A. Mazzette e S. Mugnano (a cura di), Il ruolo della cultura nel governo del territorio (FrancoAngeli, 2020)

C. Bianchetti, Incoraggiare rotture e nuovi germogli, commento a: Camillo Boano, Progetto Minore (LetteraVentidue, 2020)

M. Balbo, La città pensante, commento a: A. Amin, N. Thrift, Vedere come una città (Mimesis, 2020)

G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)

 

 

 

 

 

 

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