FULVIO PAPI. FILOSOFO, TESTIMONE, GUIDA

Sullo stato della filosofia si ascoltano da tempo analisi e pronostici piuttosto pessimistici e oscuri. Fulvio Papi compendia in sé la straordinaria capacità di confermarli nel giudizio e nello stesso tempo di smentirli di fatto con la semplice presenza del suo lavoro, della sua opera, della sua vita. Una vita che ha attraversato mondi diversi ed esperienze complesse: dalla formazione con Antonio Banfi e i maestri della Scuola di Milano, della quale Papi è oggi il più completo e illustre rappresentante, alla intensa esperienza politica, all’impegno accademico presso l’ateneo pavese e in altri ancora, alle innumerevoli iniziative culturali, tra le quali la direzione di riviste di altissima qualità come “Materiali filosofici ” e “Oltrecorrente

Che cosa sia oggi un filosofo Papi se lo è chiesto in un libro di questo titolo del 2009, precisando che intendeva parlare appunto di un filosofo, non del filosofo. Già questa notazione mostra la profonda consapevolezza di quale debba essere la sostanza e lo stile di una filosofia del nostro tempo, lontana dalle vecchie illusioni ‘umanistiche ‘ e tuttavia non arresa alla superficiale attualità. Nessuno come Papi ci guida in questa difficile navigazione, nessuno come lui è consapevole del fatto che, come ebbe a ascrivere, “Il filosofo è solo“; nel contempo proprio il filosofo più di tutti sa (come disse Marx) che non è la nostra coscienza che fa la società, ma è la società che forma le nostre coscienze. Così il filosofo, come Papi lo propone e l’intende, è da un lato la “microstoria di una scrittura autobiografica“; dall’altro il testimone e il compagno che, muovendo dagli “amati dintorni“, fa da ponte e reca con sé le irrinunciabili memorie del passato, trasformandole per tutti in possibili radici del futuro. Non esistono infatti immaginari “fondamenti” ultimi; esistono piuttosto, ha scritto Papi, “parole filosofiche” e accanto a esse, e grazie a esse, la presenza di un “fondamento extra-filosofico che è dato dalla esistenza”, dall’esistenza stessa di chi prende la parola. È così che nella “trama del discorso” può emergere “la forma d’essere contingente in relazione alla quale prendiamo la parola“: forma d’essere che, attraverso la nostra particolare esistenza, testimonia della profondità inesauribile del mondo, un mondo che ci sottende e ci ricomprende nel cammino.

Papi è un filosofo lontanissimo dalla moda e dalle mode; però è a lui che dobbiamo le pagine più persuasive e più profonde relativamente al rapporto attuale della filosofia con questo fenomeno pervasivo e inquietante. La continua promozione della moda, specialmente tra le giovani generazioni, ha osservato Papi, svolge, nella società di massa, la strutturale esigenza della estensione del mercato. Naturalmente, anche la filosofia “ha sempre avuto una sua mondanità” e così, anche nei nostri anni, la pratica filosofica “agisce in un reticolo sociale entro il quale si forma, si trasmette, si istituzionalizza, si deforma il pensiero filosofico“. In questo senso la filosofia, come ogni altra merce, non incarna solo un valore d’uso; essa entra piuttosto a far parte di una politica dello spettacolo e dell’evento, per esempio promossa dagli enti locali e da altre istituzioni. Queste iniziative, oggi così diffuse, hanno il merito, dice Papi, “di spezzare l’automatismo della recezione televisiva“, producendone però un altro, che tende a ridursi al semplice “essere lì” collettivo; partecipazione che per lo più non crea nessuna reale comprensione e nessun tempo che si prolunghi nel futuro: “quello che accade è tutto qui, adesso”. E il filosofo che parla è percepito come un ‘personaggio “che agisce in ‘uno spazio orale di rapido consumo“.

Ora, tentare la dimensione della “piazza“, osserva Papi, non è un male in sé, ma la ricerca di un successo e di una popolarità mediatica, al di là dei suoi effetti extra-filosofici, non può non produrre una modificazione sulla forma e sulla modalità dell’enunciato filosofico: “Il proseguire su questo malinteso o equivoco può persino condurre il filosofo a perdere contatto con la modalità specifica del fare filosofia e tradurre il suo discorso in una dimensione retorica e demagogica“.

Un rischio che Fulvio Papi non ha inteso correre; egli resta da sempre fedele al suo compito di intellettuale e di maestro, incarnando, per parafrasare il titolo di un altro suo libro, una delle più limpide e schiette tra le “voci dal tempo difficile“. Papi prosegue sereno e, vorrei dire, inflessibile il suo lavoro, elargendo continui ed esemplari doni di scrittura. Essi comprendono la sua non comune abilità di raccontare in proprio e di esercitare una memoria preziosa, estesa al commento di altre voci: poeti, scrittori, scienziati, politici, filosofi del presente e del passato. Un vero “lusso” della cultura irrinunciabile in un tempo, dice Papi, di “catastrofi” in cui ha preso forma il nostro mondo, coinvolgendo ogni luogo del pianeta e la nostra vita quotidiana.

Senza darsene l’aria e quasi senza avvedersene, l’incredibile fecondità del lavoro di Papi, che gli anni hanno incrementato piuttosto che rallentare, offre a tutti un modello per non cadere preda delle contraddizioni e del pericolo di non senso che assediano oggi il promuovere cultura e il fare filosofia. Egli, lo sappiamo, è là, in una distanza discreta ma insieme partecipe, in una solitudine popolosa; è là che lavora, per sé e per noi, a tessere un filo tenace, a tenere desta una luce nella sera. Il fatto di sentirlo e di saperlo è per tutti noi un aggancio indispensabile alla profondità del reale, una conferma che la bellezza, la verità, soprattutto la concretezza dell’operare con le parole e la scrittura è ancora possibile. La presenza e la continuità di questo lavoro suscita, in chiunque se ne trovi fortunatamente coinvolto, un sentimento di riconoscenza non formale, perché tocca le sorgenti stesse del senso della vita.

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