UN BAMBINO VIENE VENDUTO

La manipolazione del materiale genetico umano non sconcerta più come qualche decennio fa. I vantaggi che ne ricaviamo in termini di cura delle malattie e di promessa di longevità mettono a tacere dubbi e domande. Quando si tratta di procreazione, però, in alcuni paesi, come nel nostro, la giurisprudenza è prudente: in Italia la legge 40 permette solo l’inseminazione omologa. Basta fare un salto Oltralpe, comunque, per risolvere situazioni più complesse. Se poi non si tratta solo d’infertilità, maschile o femminile, si va negli States, oppure in India, dove tutto è permesso. La questione del come si nasce resta però delicata perché alimenta le nostre fantasie: l’enigma della nascita, con quello della sessualità e della morte, è uno dei tre misteri che ci tormentano. Per questo ciò che è espulso dalla porta rientra dalla finestra, ed ecco le polemiche a proposito della step child adoption e il vespaio scatenato dall’atto di Nichi Vendola che ha ritirato un bambino come una torta di compleanno ordinata su misura. Molte donne sono insorte, altre, una minoranza, si sono dichiarate solidali con lui. Donne la cui parola ha un peso: filosofe, giornaliste, femministe storiche. Quelle per il no all’utero, in affitto o in prestito che dir si voglia, benché più numerose, avanzano argomentazioni che definirei sentimentali, più fragili di quelle del fronte del sì.

Si comprende perché. Assentire significa concordare con lo spirito del tempo che considera il poter diventare genitori un diritto come gli altri. Perché no ? Il ragionamento è ispirato a una scienza (in questo caso medica) che va a braccetto con la difesa dei diritti individuali.

Chi lamenta che non ci siano limiti, come ha replicato giorni fa la giurista Marilisa D’amico all’obiezione di una psicoanalista che in Casa della Cultura discuteva i diritti dei transessuali(1), lo faccia presente al legislatore, crei un gruppo di pressione.
Giusto. Gli psicoanalisti però, come le donne, non costituiscono un insieme e non formeranno mai un gruppo di pressione che difende l’etica del limite in un mondo senza limiti, come lo chiama il mio amico Jean-Pierre Lebrun(2). Una verifica empirica? La chiacchierata fatta subito dopo, a caldo, con un collega, da me apprezzatissimo, che trova ineccepibile il ricorso alla maternità ” per altri “. Non è il caso di vietare né di fare battaglie di retroguardia, sosteneva.

Io, invece, sono contraria alla mercificazione dei bambini e a quella dell’utero delle donne e mi sento partecipe della contrarietà oscura che serpeggia a proposito della maternità locata. Lo dico in soldoni, il lettore mi perdonerà se non lo argomento, ma dirò fra un attimo perché.

Una donna può avere sentimenti ambivalenti nei confronti del proprio bambino perché lo considera una parte di sé. Può anche desiderare di ucciderlo, di maltrattarlo, di rimangiarselo come fosse un pezzo del proprio corpo, ma non di concepirlo per smerciarlo. Succede, certo, ma non fa parte delle fantasie femminili.
Anche per l’antropologia (Levy-Strauss) il bambino è un oggetto di scambio simbolico fra i sessi, non un oggetto di mercato. I bambini sono stati sempre venduti è stato obiettato (in genere da madri povere a donne ricche). Si trattava però di bambini già nati, non fabbricati come polli da mercato. Fabbricare un bambino per venderlo rientra nella sfera dell’impensabile, oserei dire della barbarie.

Luisa Muraro ha felicemente definito l’oggetto-bambino che la madre porta in grembo e il rapporto che ha con lui, qualcosa che appartiene alla sfera dell’indisponibile(3): acquisire la centralità di questo punto, sostiene, è una questione di civiltà. Aggiungerei: di umanità, che è un equivalente di civiltà. Che non si possano fabbricare esseri umani per poi venderli dovrebbe essere un assioma che, come tale, non ha bisogno di dimostrazioni. Non si dovrebbe doverlo spiegare. Il ” no ” all’utero in affitto fa parte di quest’assioma.

1)Frontiere della psicoanalisi. Le nuove antropologie 1 marzo 2016
2)Jean Pierre Lebrun: Un monde sans limit Points hors ligne érès 1997
3)Luisa Muraro articolo del 3 marzo pubblicato sul sito della Libreria delle Donne