Impagabile Blob, la trasmissione di Rai Tre che va in onda quando in genere siamo a tavola o solo un attimo prima. A quell’ora, protetti dalle mura domestiche, e con le difese abbassate, ci lasciamo toccare più facilmente da ciò che non va nel mondo. Enrico Ghezzi, che Blob l’ha inventato, da qualche decennio ci costringe a guardare ciò che abbiamo già visto in TV e che abbiamo tralasciato, cancellato, dimenticato. Più esattamente: che abbiamo rimosso. L’altra sera, nella successione rapida d’immagini, proposte a più riprese e con la stessa logica di uno spot pubblicitario, è stata inserita la sequenza breve di un bambinetto di tre o quattro anni che corre affannato mentre un mondo di macerie gli crolla addosso. La macchina da presa, o forse solo un cellulare, lo segue verso la sua meta: il portabagagli di una vecchia macchina aperta e stipata di altri bambini, rannicchiati, dove un uomo, il padre probabilmente, lo aiuta a salire in fretta. Scappano dalla guerra. É il loro Capodanno “collaterale”, secondo il titolo della trasmissione: l’augurio per il nuovo anno è la speranza di trovare la salvezza in un portabagagli. Una stretta al cuore e due tratti, indelebili si fissano nel mio ricordo: l’angoscia del bambino e il gesto fermo del padre che la placa. Placare l’angoscia è una funzione centrale della paternità. Nessuno più di un padre può farlo. Quel fotogramma del padre che soccorre il suo piccolo malgrado l’inferno che gli esplode intorno, è, fra le immagini del nostro Capodanno 2016, fatto di misure di sicurezza nelle piazze e finta allegria, il più profondo e toccante.
UN CAPODANNO
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