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Sul quotidiano “il manifesto” del 22 febbraio 2020, Maurizio Giufrè, introducendo alcune delle tante novità editoriali uscite nell’anno del centenario della nascita di Giancarlo De Carlo (2019), così rifletteva su come nel tempo alcune parole si sostituiscano ad altre, a dare un significato debole là dove era netto:
“Se il lessico rispecchia i tempi che si vivono, quello di Giancarlo De Carlo ne è una prova evidente. Alle sue parole, quali 'riuso', 'partecipazione', 'abitare popolare' e 'territorio', si sono sostituiti quelle di 'rigenerazione', 'consenso', 'social housing' e 'smart land'. La differenza non è formale. Con i nuovi lemmi è come se si fossero indeboliti i significati riformatori che contenevano i primi. Ad esempio ne esce debilitato il riferimento alle disuguaglianze, alla rendita immobiliare, ritenuta un vanto, o alla salvaguardia degli spazi pubblici, sempre più ristretti. Insomma, il nuovo lessico urbano riflette le ciniche regole neoliberiste che bruciano risorse pubbliche senza concedere nulla in cambio e il linguaggio vi si adegua. Al contrario, quello di De Carlo fu un lessico interpretativo condiviso insieme a una élite di urbanisti e architetti impegnati dagli anni Cinquanta intorno alla questione dei centri storici, alla crescita urbana, alla mancanza di alloggi. (…). Nella sua opera, specchio del suo argomentare, è perfetta la coerenza tra comportamento etico e l’esito finale della sua produzione urbanistica e architettonica. Alla base della sua teoria c’è la prospettiva ideale della 'città giusta', conseguenza di risultati verificabili, responsabili, condivisi.”
Tra le numerose attività che De Carlo tesse lungo la traiettoria di questa prospettiva nel corso della sua intensa esistenza, così radicalmente legata allo spirito del tempo che attraversa, a partire dal 1976 vi è l’Ilaud, International Laboratory of Architecture e Urban Design. Per molti versi insoddisfatto dalla deriva che l’Accademia sta attraversando ma consapevole della necessità della ricerca su alcuni punti chiave – uno su tutti l’inscindibilità di architettura e urbanistica nel progetto del territorio in senso transcalare che invece proprio nella sua scuola, lo Iuav veneziano, stava facendosi strada –, De Carlo si immagina un laboratorio ‘residenziale’ in cui coinvolgere realtà internazionali, secondo una formula fino ad allora inedita, di confronto orizzontale tra docenti e studenti. Per farlo, si ispira da una parte agli animati incontri del Team Ten dei primi anni Sessanta, dall’altra alle sue successive esperienze di insegnamento negli Stati Uniti, dove fu visiting professor ad Harvard, Yale e Mit, con numerose incursioni sulla costa ovest a partire dal 1966. Da entrambe, come vedremo, attinge a piene mani coinvolgendo molti dei protagonisti a partecipare al progetto come sempre con spirito inclusivo e sperimentale: van Eyck, Bakema, Candilis, Erskine e gli Smithson, così come Donlyn Lyndon, Denys Lasdun Charles Moore e molti molti altri.
L’Ordine degli Architetti di Milano, nel 2019, ha deciso di celebrare De Carlo con un affondo culturale sulla figura di formatore, proponendo all’attuale Ilaud una mostra e un libro, curati rispettivamente da Connie Occhialini e da Paolo Ceccarelli, Giancarlo De Carlo and ILAUD: A movable frontier, la prima inaugurata a giugno, il secondo - edito dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano - uscito a novembre 2019 e presentato il 12 dicembre: un modo per tracciare la sintesi di un’avventura non del tutto nota e divulgarne gli intenti considerati ancora attuali, ma soprattutto occasione per orientarne il futuro. Un’esperienza, l’Ilaud, di cui Connie - purtroppo per noi improvvisamente scomparsa proprio nei giorni di inaugurazione della mostra da lei curata - fu discreta custode sin dalla sua fondazione.
La prima parte del libro raccoglie testimonianze di docenti e allievi che negli anni si sono alternati ai corsi ‘residenziali’. Da queste emerge l’importanza dell’esperienza Ilaud sia in termini formativi – per il riverbero avuto sull’insegnamento nelle scuole che nel corso del tempo hanno aderito al programma, soprattutto americane e nordeuropee – sia per la pratica professionale degli allievi coinvolti. Tanto per chi proveniva da oltreoceano – dove l’esperienza di insegnamento di De Carlo nei caldi fine Sessanta sarà generatrice dell’idea di laboratorio – così come per chi veniva da realtà profondamente diverse, come i paesi del Nord Europa, i contesti storici dall'identità fortissima con cui studenti e docenti erano chiamati a misurarsi – Urbino, Siena, e poi San Marino, Venezia – risultavano per molti versi estranei, sconosciuti, e per questo molto impegnativi in termini interpretativi e progettuali. Questo anche per chi, come l’Università di Barcellona, trova consonanza orgogliosamente riconosciuta oltre che spunti nel lavoro svolto sullo spazio pubblico che connota l’Ilaud, travasato in tante esperienze di Bohigas e Acebillo nell’Ayuntamento di quegli anni eroici.
La formula è apparentemente semplice: laboratori con gruppi in cui si mischiano casualmente gli studenti di provenienza internazionale, affidati a figure senior delle diverse università, che lavorano sul luogo in cui risiedono, dunque sul campo, di volta in volta stimolati da diversi programmi di progetto. L’esercizio passa non tanto attraverso un metodo, quanto un’attitudine e una capacità di lavoro straordinario che mette studenti e docenti sullo stesso piano di discussione, raramente ideologica. In questo contesto si succedono la sera conferenze di relatori provenienti dalle più diverse estrazioni culturali, spesso non architetti, legati alla storia o al tema in discussione che a loro volta poi partecipano alle revisioni il giorno dopo. Come ci spiega Donlyn Lyndon, “un modo per tenere insieme molte voci e far discutere attivamente idee nel contesto di un luogo stimolante, capace di impartire lezioni e incoraggiare discussioni tra docenti studenti relatori di vari paesi e punti di vista.” Ma soprattutto e in ogni finale di edizione gli elaborati di progetto servono a “favorire nuove discussioni e alla fine essere mostrati e spiegati agli abitanti del luogo”. Un altro aspetto essenziale del lavoro dell’Ilaud è il mantenimento delle attività nel corso dell’anno, con la produzione di bollettini e yearbook dedicati al lavoro fatto e da fare, con incontri itineranti nelle facoltà coinvolte dedicati ai tutor e preparatori dei corsi ‘residenziali’ dell’anno successivo.
In quasi trent'anni di esperienza si passa, come suggerisce Christer Malmstom, “da un approccio più politico e legato ai temi della partecipazione, a temi totalmente nuovi come molteplicità di linguaggio contro eclettismo”, in stretta relazione con il post modern allora dilagante. Senza mai voler essere, come scrive Zardini, “una scuola ma un laboratorio, un luogo di confronto sulla organizzazione dello spazio fisico, senza soluzione di continuità tra architettura e urbanistica, di esplorazione, senza soccombere a formalismi”. Parallelamente si consuma una profonda mutazione delle università, la nascita degli Erasmus e un’internazionalizzazione inedita, che nel tempo comporta la trasformazione della formula ILAUD. Anche per questo, con la morte di De Carlo nel 2006 è tempo di girare il cannocchiale, secondo una sua nota metafora, trasformando i workshop in momenti di confronto molto più brevi, ma soprattutto itineranti nelle diverse università coinvolte, sempre più legate a realtà emergenti come India, Africa, Medio Oriente, Sud America e Cina. Il numero di partecipanti e la durata dell’esperienza si riducono. Tra gli esempi riportati nella seconda parte del libro, anche attraverso la testimonianza di alcuni partecipanti a questo nuovo corso, vi sono ad esempio la lettura degli intrecci tra culture molto diverse esistenti nella vecchia Delhi; dei complessi rapporti tra ambiente costruito e natura, in una metropoli come Buenos Aires o in una città-oasi come Jericho; della scarsa adattabilità ai mutamenti sociali ed economici delle città pianificate contemporanee, esemplificata da Curitiba; del peso dell’eredità coloniale a Canton o a Cape Town, e così via.
In conclusione, Paolo Ceccarelli – direttore dell’Ilaud dopo la morte di De Carlo – racconta quale futuro aspetta l’Ilaud, a partire da due problemi su cui concentrarsi. Il primo è l’attuale modo di formare architetti e urbanisti, considerato inadeguato ad affrontare ad esempio i gravi problemi ambientali, le disfunzioni degli insediamenti umani, la crisi del sistema dei servizi e le crescenti diseguaglianze che ne derivano: è necessario – sostiene Ceccarelli – contrastare la frammentazione, ristabilire una forte interazione tra i progettisti e i luoghi fisici e le comunità in cui operano. Il secondo ha per oggetto la professione: un’attività che sembra incapace di fronteggiare con successo i rapidi mutamenti dell’organizzazione del lavoro, l’impatto delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Ict), big data e intelligenza artificiale, uniformata invece ai processi di frammentazione e specializzazione delle competenze, dove si sostituisce l’esperienza diretta con la genericità delle informazioni web. Questo ha prodotto un drammatico divario rispetto ai grandi processi di trasformazione in atto nel mondo che, al contrario, richiederebbero azioni fortemente integrate, interdisciplinari e partecipate da tutta la società.
Pur essendo una piccola organizzazione, l’Ilaud può stimolare e promuovere nuove pratiche e indicare a suo modo un cambiamento nella filosofia pedagogica così come nella prassi professionale, esaminando i problemi più pressanti, come ad esempio i cambiamenti climatici, l’insorgere di nuove malattie proprie degli insediamenti umani, così come la pressione umana sull’ambiente e le sue risorse, i modi di vita, sia della popolazione delle aree urbane in forte crescita sia delle comunità nelle aree marginali in crisi; ma anche l’impatto dell’Ict e dell’Ai (Artificial Intelligence) sull’organizzazione del lavoro e la qualità dei suoi prodotti, così come sulle nuove forme e necessità di mobilità. E poi le forme partecipative, gli squilibri di genere e sociali, il tema dell’identità e il nuovo ruolo delle “modernità indigene”. Questo con l’ambizione di indicare alcune chiavi che passano attraverso modalità di insegnamento e progettuali aperte ma integrate, per far fronte a mutamenti che dovranno essere apportati negli insediamenti esistenti, per contrastare gli effetti negativi del mutamento climatico, di epidemie, del prevalere assoluto del modello di vita urbano e del dominio della tecnologia. Recuperando esperienze e saperi spesso considerati marginali e anomali, modalità di resilienza, come di frequente avviene nelle aree apparentemente fragili delle nostre società, che riescono a sopravvivere in modi molto più flessibili e durevoli di sistemi rigidamente consolidati ed “efficienti”. Insomma, offrire esperienze di apprendimento basate sull’applicazione pratica delle conoscenze in diversi contesti culturali, socio-economici ed ambientali, confermando la dimensione etica della progettazione. Un programma triennale, il prossimo, che si annuncia ricco di occasioni internazionali, tra Addis Abeba, Rio de Janeiro, Shanghai e Milano – appuntamenti in gran parte rinviati a causa della pandemia ma ancora in programma. La sfida è aperta e il lavoro ben avviato, anche con un sito web dove tutti possono attingere informazioni circa quanto proposto: una frontiera mobile che sa ancora usare un lessico netto e determinato è certamente cosa preziosa e da alimentare. O no?
Francesco de Agostini
N.d.C. - Con Giancarlo De Carlo dal 1992, cui è stato associato fino al 2005, Francesco de Agostini si è occupato della stesura e del coordinamento di numerosi progetti, specie nel campo del restauro architettonico e urbano, fino alla loro direzione lavori: Pesaro, Urbino, Venezia, Recanati, Colletta di Castelbianco (SV). Nel 2005 ha aperto il proprio studio cui ha affiancato la partecipazione a numerosi concorsi con lo studio Cerasi e avviato collaborazioni con diversi studi internazionali: Mecanoo Arkitecten, Alberto Cecchetto e altre Società di ingegneria. È stato coordinatore e project manager dal 2007 al 2010 di grandi interventi urbani per Intertecno e lo studio Centini Levi. All’attività professionale, prevalentemente orientata al recupero, restauro e costruzione sul costruito, ha affiancato l’attività di ricerca e didattica organizzando corsi, seminari e mostre, scrivendo su periodici nazionali e internazionali.
Dal 2007 a maggio 2017 è stato capo redattore del sito dell’Ordine degli Architetti PPC della provincia di Milano. Oltre che occuparsi del coordinamento di eventi culturali, è stato fautore e responsabile scientifico di ‘Milano che cambia’, Atlante delle trasformazioni dell’area metropolitana milanese. Esperienza che si è ampliata attraverso la collaborazione con il Centro studi Pim, Ance Assimpredil e il suo ufficio di monitoraggio delle attività edilizie urbane E-mapping; Osmi/Tema Camera di Commercio. Tutto ciò è sfociato in progetti di comunicazione degli strumenti urbanistici e territoriali a favore di un processo di informazione della cittadinanza, tra cui la pubblicazione interattiva sul sito dell’Ordine del Pgt del Comune di Milano nel 2012 e della città Metropolitana nel 2016.
Dal 2017 è stato parte attiva dell’Ilaud, International Laboratory of Architecture and Urban Design, fondato nel 1976 da Giancarlo De Carlo e oggi diretto dal prof. Paolo Ceccarelli, con cui cura l’organizzazione di seminari in collaborazione con diverse università del sud del mondo e conduce ricerche per enti internazionali.
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 09 OTTOBRE 2020 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo (a cura di), Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)
P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (2020)
C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)
R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)
E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)
A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)
F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)
G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)
P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)
V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)
E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)
A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)
G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)
C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)
G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle donne.it, 2019)
F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)
R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)
L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)
L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)
A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)
P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)
W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)
L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)
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