Francesco Lazzari  
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PAESAGGI DELL'EMIGRAZIONE ITALIANA IN BRASILE


Commento al libro di Décio Rigatti e Elio Trusiani



Francesco Lazzari


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Il raccontare l'emigrazione italiana in terra brasiliana attraverso il paesaggio e l'architettura, quali risultato di un'intensa e originale storia di incontri, di ibridazioni e di meticciamenti di stili di vita e di culture, è il merito del volume bilingue, Architettura e paesaggio in Serra Gaúcha. Migrazione italiana e territorialità / Arquitetura e paisagem na Serra Gaúcha. Migração italiana e territorialidade, curato dall'italiano Elio Trusiani dell'Università di Camerino (Unicam) e dal brasiliano Décio Rigatti della Universidade Federal do Rio Grande do Sul (Ufrgs) di Porto Alegre (Ed. Nuova Cultura, 2017). È un merito che va ovviamente riconosciuto anche ai numerosi Autori di questo interessante e stimolante lavoro di ricerca svolto in termini comparativi tra l’estremo Sud brasiliano e la dorsale adriatica italiana che attraversa principalmente il Veneto, il Trentino, il Friuli e la Lombardia. I ricercatori italiani e brasiliani che compongono il gruppo di ricerca sono infatti riusciti a declinare in termini di interdipendenza e di reciproca influenza i processi messi in moto, a partire dalla fine dell'Ottocento, dalla mobilità italiana e che potremmo sintetizzare in tre parole chiave: emigrazione, paesaggio e architettura rurale.

Il libro si compone di cinque capitoli. Il primo si occupa di questioni socio-storiche, e cerca di tracciare il contesto italiano di partenza e di comprendere perché si emigrasse, in particolare dall’Italia tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, e dall’Europa in generale, a cominciare dall'affamata Pomerania (Germania) che ha contribuito, ancor prima degli italiani, ma poi insieme a loro, a colonizzare alcuni stati brasiliani, in particolare Santa Catarina e Espírito Santo. Gli italiani si insediarono nelle citate terre di Santa Catarina e Espírito Santo, ma anche in numerosi altri stati come Rio Grande do Sul, Paraná, São Paulo, Mato Grosso do Sul, etc. Tra il 1875 e il 1913 si stima siano entrati in Brasile circa 1.500.000 italiani, e tra questi i veneti, circa 84.000, giunti in Rio Grande do Sul (p.56). Le mutate condizioni agricole, economiche e sociali in Italia e l’abolizione della schiavitù in Brasile (1888) sono alcuni degli elementi che spingono centinaia di migliaia di triveneti verso il Brasile, verso la “Merica a catar fortuna”, a conquistare un pezzo di terra da coltivare con la prospettiva di diventarne proprietari.

L'iniziale emigrazione triveneta predilige gli stati del Sud, soprattutto Rio Grande do Sul, Santa Catarina e Paraná, in cui il governo brasiliano incoraggiava la colonizzazione europea con l’assegnazione di terre sviluppando così, cosa nuova in Brasile, un’agricoltura diretto-coltivatrice così diffusa, peraltro, nell'Italia del Nord. Altre vie segue invece l’emigrazione in São Paulo che, sempre tra l’Ottocento e il Novecento, vede una massiccia presenza di imprenditori e di operai italiani che, dopo la pesante crisi della caffeicoltura, contribuiranno allo sviluppo industriale della sua capitale economica e dell'intero paese. Gli italiani, e gli europei, si sono ritrovati a rimpiazzare nelle piantagioni dell’interno la manodopera nera degli schiavi appena liberati. Piccoli proprietari senza prospettive di sviluppo in Veneto, coloni armati della sola forza della fede e della volontà in Brasile. Falcidiati dalle malattie e dalle intemperie climatiche, dalla durezza del quotidiano e dallo sfruttamento, hanno saputo resistere e trasformare pezzi di Brasile in città e paesaggi veneti/triveneti. Si sono visti assegnare, essendo stati ammessi dopo i pomerani, lottizzazioni poco adatte all'agricoltura, terre poco fertili, rocciose e con poca acqua. Animati però da un forte spirito di resilienza, sostenuti dalla famiglia, cellula produttiva e affettiva, rinfrancati da una forte religiosità, seppero trasformare con il loro lavoro realtà ostili in una natura a loro congeniale, simile alle pendici del Montello, dei Colli Euganei, dei Monti Berici o bellunesi e insieme ai tedeschi, l’altro popolo della diaspora del Novecento, hanno disboscato, dissodato e ricreato città dai nomi di casa come Garibaldi, Nova Padua, Nova Bréscia, Nova Veneza, Nova Bassano, Nova Trento, etc. Vi hanno piantato grano, ortaggi e vigne tanto da trasformare il Brasile, paese che non conosceva il vino, in un discreto produttore ed esportatore e dando vita ad un ecosistema denominato oggi dalla guide turistiche la Vale dos vinhedos. Si sono dedicati all’allevamento di animali divenendo, forti delle loro tradizioni regionali, produttori di formaggi, latticini, insaccati, etc. Paesi e cittadine che si inseguono nella Rota do vinho della Serra Gaúcha, come Bento Gonçalves, Caxias do Sul, Monte Belo do Sul, Santa Tereza, etc., e che a percorrerli oggi fanno sentire a casa chiunque sia cresciuto nel Triveneto, con le atmosfere e i colori, i contorni e le abitazioni, i rumori e i suoni di un luogo familiare, lontano ma presente. Presente nei sapori e nei discorsi, nel conversare a tavola e sulla strada. Presente nella lingua e nei nomi, nelle tradizioni civili, religiose, nel paesaggio e negli oggetti artigianali, nella architettura e nelle strade come ben si può ancora oggi apprezzare percorrendo da Bento Gonçalves il Roteiro caminhos de pedra che ripropone uno scorcio di abitazioni dei primi coloni italiani, oggi valorizzate a livello turistico e tutelate a livello storico. Una dimensione paesaggistico-architettonica che si integra con l'economia rurale, valorizzandola, dando ricchezza e un indicatore di sviluppo umano (Onu) tra i più alti a livello internazionale. Una vera e propria architettura dell'immigrazione italiana che il volume di Rigatti e Trusiani documenta e spiega secondo un rigoroso approccio metodologico illustrato in particolare nel secondo capitolo, Paesaggio e territorio, alla ricerca di una sintassi spaziale che permetta di leggere e comprendere, in un’analisi comparata, i paesaggi delle terre di partenza e quelli delle terre di arrivo (p.74) nel tentativo di evidenziare anche il rapporto tra vegetazione naturale e vegetazione antropogenica. D’altro canto, come sottolinea Livia Salomão Piccinini «ricostruire il rapporto tra i primi immigrati e l’ambiente naturale che li ha accolti è fondamentale perché permette di capire le soluzioni tecnologiche adottate in Brasile, sulla base di dati reali (materiali, clima, topografia, fiumi) e le conoscenze da loro importate» (p.60).

Il paesaggio è solo uno degli elementi culturali che caratterizzano le identità dei “taliani” in terra sul-riograndense. Figli, nipoti e pronipoti, dopo cinque e più generazioni parlano ancora la lingua della Serenissima Repubblica di Venezia o quello che il meticciamento linguistico-culturale ha generato, el talian appunto, dando vita ad una nuova koiné, un sincretismo di portoghese, veneto e altri idiomi regionali del Trentino e del Friuli, che da alcuni lustri ha anche un suo dizionario veneto-portoghese. Un altro significativo elemento culturale di identificazione e di costruzione dell’identità collettiva è indubbiamente rappresentato dall’uso che si fa dello spazio, nel senso che gli edifici, la casa, ma non solo, «sono i mezzi attraverso cui la società come astrazione si realizza nello spazio e, di conseguenza, si rappresenta» (p.106), ove appunto l'atto del costruire è chiaramente «un'arte sociale» (p.107). Ne discende, come viene illustrato nel terzo capitolo, Architettura della casa rurale all'epoca della migrazione, che architettura, linguistica, musica, agricoltura, storia e altri ambiti di studio ancora, devono convivere ed essere considerati in modo integrato in uno studio di indagine interculturale quale è appunto lo studio dell’esperienza italo-triveneta in Rio Grande do Sul. Lo studio della casa come sistema di relazioni (economico-produttive, storiche, identitarie, architettoniche e delle tradizioni) condotto da Rigatti, Trusiani e collaboratori esemplifica in modo paradigmatico l’importanza di questi intrecci e ibridazioni socio-culturali di cui l'edificio per antonomasia si fa espressione (p.109). Casa come riparo e come fulcro centrale della vita della famiglia e delle relazioni intra e interfamiliari, ma anche come elemento simbolico da presentare all'esterno permeato di contenuti socio-culturali (p.120).

Molto interessante è quanto emerge dal dettagliato e accurato studio comparato sulle abitazioni bellunesi e sul-riograndensi; queste ultime approfondite nel capitolo quarto, Un caso studio. Gli Autori ne individuano differenze, spesso legate alle ristrettezze economiche e alle diversità climatiche, produttive e di rappresentatività sociale (p.299) e aspetti comuni che i migranti hanno mantenuto e estratto, insieme a barbatelle e talee, dalle loro valigie di cartone trasmettendone il valore identitario di generazione in generazione.

Lo studio sul campo qui presentato, e riassunto nel capitolo quinto, Conclusioni, apre nuovi orizzonti molto interessanti sulla storia e sulla memoria delle migrazioni italiane in Brasile, in particolare su quelle rurali, e, come gli stessi Autori affermano, può costituire un supporto storico-scientifico, tipologico e tecnico-costruttivo nell'implementazione di opportune politiche di conservazione e di tutela di questa realtà che fa memoria di una importante pagina della storia brasiliana e di tante genti venute da altrove. Può rappresentare un punto di partenza per lo sviluppo di «piani di recupero e valorizzazione del paesaggio rurale» (p.301) alla luce anche delle esigenze emergenti. E da ultimo, non meno importante, può costituire «l'opportunità per strutturare e testare metodologie di ricerca tali da permettere studi comparati tra realtà socio-spaziali differenti oltre a fornire possibilità di articolare fra loro spazio, cultura e società» (p.301). Un’ulteriore opportunità per imparare a leggere e comprendere i modelli di sviluppo all'interno di una visione sistemica e integrata di sviluppo sostenibile in cui uomo, natura e tecnica sono al servizio della persona e non degli affari e del mercato.

Francesco Lazzari

 

 

 

N.d.C. – Francesco Lazzari è professore ordinario di Sociologia generale all’Università degli Studi di Trieste. Presso lo stesso ateneo è stato coordinatore del corso di laurea magistrale in Servizio sociale, politiche sociali, programmazione e gestione dei servizi e del dottorato di ricerca in Sociologia, servizio sociale e scienze della formazione. È cofondatore e direttore del Centro studi per l’America Latina (Csal) dell’Università di Trieste. Fa parte di diversi comitati scientifici, tra cui quelli dei periodici «Studi Emigrazione», «Studi di Sociologia», «Visioni LatinoAmericane», «Italian Sociological Review». Dirige la rivista «Visioni LatinoAmericane».

Tra i suoi libri: L’altra faccia della cittadinanza. Contributi alla sociologia dei processi migratori (FrancoAngeli, 1994; 1999); con G. Giorio e A. Merler (a cura di), Dal micro al macro. Percorsi socio-comunitari e processi di socializzazione (Cedam, 1999); L’attore sociale fra appartenenze e mobilità. Analisi comparate e proposte socio-educative (Cedam, 2000; 2008); con G. Giorio e R. Serra (a cura di), Valori, appartenenze, paradossi nel nordest italiano. Il caso Treviso (FrancoAngeli, 2003); con A. Merler (a cura di), La sociologia delle solidarietà. Scritti in onore di Giuliano Giorio (FrancoAngeli, 2003); Le solidarietà possibili. Sistemi, movimenti e politiche sociali in America Latina (FrancoAngeli, 2004); Persona e corresponsabilità sociale (FrancoAngeli, 2007); L’attore sociale fra appartenenze e mobilità. Analisi comparate e proposte socio-educative (Cedam, 2008); (a cura di), Servizio sociale trifocale. Le azioni e gli attori delle nuove politiche sociali (FrancoAngeli, 2008); (a cura di), 1989: l'eccidio di San Salvador. Quando l'Università è coscienza critica (Mgs Press, 2010); con L. Gui (a cura di), Partecipazione e cittadinanza. Il farsi delle politiche sociali nei piani di zona (FrancoAngeli, 2013); La sfida dell’integrazione. Un patchwork italiano (VP, 2015).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

16 OTTOBRE 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
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Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

F. de Agostini, De carlo e l'ILAUD: una lezione ancora attuale, commento a: P. Ceccarelli (a cura di), Giancarlo De Carlo and ILAUD (Fondazione Ordine Architetti Milano)

P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo (a cura di), Progetto e racconto (Donzelli, 2020)

A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)

P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (2020)

C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)

F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)

R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)

E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)

A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)

F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)

G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)

P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)

V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)

E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)

A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)

G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
donne.it, 2019)

F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)

L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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