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L'ARCHITETTURA MODERNA IN SICILIA
Commento al libro di Giuseppe Di Benedetto
Martina Landsberger
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La chiave di lettura del bel volume di Giuseppe Di Benedetto – Antologia dell’architettura moderna in Sicilia (40due edizioni, 2018) – credo stia tutta nella titolazione che, come molto spesso accade, denota fin da subito una ben precisa scelta di campo. Il termine antologìa – dal greco ἀνϑολογία, propriamente “raccolta di fiori”, composto di ἄνϑος “fiore” e λογία, derivato del verbo λέγω, “scegliere” – fa riferimento, come riportato nel dizionario Treccani, a una: «raccolta di passi in prosa o in versi di vari autori (solitamente di quelli ritenuti più significativi) di una letteratura, di un’epoca, di un genere o di un gusto particolare». Raccogliere passi letterari significa compiere una rigorosa selezione all’interno di uno specifico panorama di riferimento. Perché tutto ciò possa realizzarsi è necessario mettere in atto un procedimento conoscitivo, di tipo razionale, in grado di rendere manifesto il punto di vista e l’obiettivo motore della selezione stessa. È evidente come una simile operazione possa essere applicata ai più svariati campi “artistici”, cosa ben dimostrata dalla cospicua produzione di antologie di cui è ricco il patrimonio editoriale in genere, risultando, invece, piuttosto deficitario quello architettonico di cui, invece, il lavoro di Di Benedetto rappresenta un ottimo esempio.
Il volume nasce e si colloca all’interno dell’università ma, per struttura e respiro, si rivolge a un pubblico più ampio, a tutti coloro cioè che siano interessati a comprendere un particolare momento della costruzione di uno specifico, e molto caratterizzato, territorio italiano. Il fatto che lo sfondo del lavoro sia una lunga ricerca che ha trovato una sua ulteriore fase di approfondimento all’interno di uno dei diversi percorsi di studio caratterizzanti il panorama universitario italiano – il dottorato di ricerca – è importante, perché porta all’attenzione del lettore la necessità di tornare a considerare l’architettura come una scienza e non solamente una “disciplina artistica”, come oggi si tende sempre più spesso a fare. Il bel saggio di Cesare Ajroldi, che introduce il volume, rivendica proprio l’urgenza di un ritorno al «riconoscimento della esistenza di uno statuto disciplinare dell’architettura» attraverso cui rendere evidente come qualsiasi scelta progettuale non possa essere ascritta a scelte formali per così dire estemporanee, ma debba essere frutto di un attento studio utile alla costruzione di conoscenza e capacità critica. È dunque lo studio lo strumento che sta alla base del progetto in genere, sia si tratti di una architettura che di una antologia.
Giuseppe Di Benedetto fonda tutta la sua ricerca su una precisa necessità, quella di garantire un alto grado di scientificità al proprio lavoro. Da qui il ricorso alla consultazione di archivi, biblioteche e specifici fondi attraverso cui rintracciare documenti utili alla descrizione della realtà cui lo studio si riferisce. Rintracciare documenti è normalmente il compito di uno storico. Nel caso del volume in oggetto invece, allo storico si sostituisce l’architetto, o meglio l’occhio dell’architetto che guarda all’architettura per comprenderne le ragioni ideative connesse a quelle compositive, che guarda alla relazione fra le diverse scelte – tipologiche e costruttive, per esempio – e che non rinuncia a considerare la dimensione storica e culturale in cui l’opera si colloca, ben cosciente del fatto che l’architettura migliore è quella in grado di esprimere e rappresentare una società.
La Sicilia di cui si parla nel volume è un’isola che, in virtù della presenza di alcuni dei più importanti architetti italiani del moderno (Giuseppe Samonà, per esempio) accetta di confrontarsi con quanto si sta diffondendo sul “continente” cercando, però, di mantenere una propria particolare identità. I principi del razionalismo del movimento moderno, che in Italia intorno agli anni Trenta, si diffondono anche grazie ad alcune importanti mostre (V e VI Triennale di Milano) cui però partecipano pochi rappresentanti degli architetti locali siciliani, riesce a prendere piede sull’isola spesso grazie al lavoro di architetti stranieri che già dalla fine del 700 qui hanno la possibilità di lavorare e soggiornare.
Di Benedetto individua tre diverse fasi che contraddistinguono altrettanti momenti di sviluppo del moderno siciliano. Fra il 1930 e il 1940 i modelli del razionalismo europeo vengono assunti con l’obiettivo di superare l’accademismo e il tradizionalismo che ancora contraddistingue l’architettura siciliana, al fine di costruire un nuovo linguaggio espressione della nuova forma politica e istituzionale. La mancanza di una committenza colta in grado di comprendere e sostenere questa nuova visione del mondo determina una sporadica adozione dei suoi principi che, per lo più, vengono applicati nella costruzione di opere pubbliche. L’architettura “moderna” vera e propria prende piede in Sicilia fra il 1943 e il 1960, periodo della ricostruzione post-bellica, e nel decennio successivo (1960-70) quando attraverso la figura di alcuni architetti impegnati anche nel campo dell’insegnamento universitario (Pasquale Culotta e Giuseppe Leone, Vittorio Gregotti, fra gli altri) si comincia a studiare con maggiore determinazione e attenzione la morfologia della città e le sue preesistenze per proporre progetti che la rafforzino nei suoi punti di maggiore debolezza.
Di Benedetto compone la sua antologia suddividendola in due grandi capitoli. Il primo – composto a sua volta in tre sotto-capitoli riferiti alle tre diverse periodizzazioni – è quello dedicato alla descrizione dell’ambiente culturale e storico all’interno del quale la nuova architettura si manifesta; il secondo, invece riguarda l’antologia vera e propria. In questa seconda parte, secondo una suddivisione di tipo geografico (per province) vengono analizzati i progetti selezionati. A una scheda propriamente descrittiva si accompagna un ricco apparato iconografico originale in cui alle immagini fotografiche si affiancano disegni utili alla comprensione del progetto nella sua complessità. Un apparato di riferimenti bibliografici e archivistici rappresenta, infine, un utile strumento per lo studioso che volesse proseguire nella ricerca.
Un’ultima questione cui fare accenno riguarda il tema del restauro del moderno, questione di cui si occupa Ajroldi nel suo saggio introduttivo cui si è già fatto riferimento. Si diceva che il volume nasce all’interno dell’università e in particolare all’interno del dottorato di progettazione Architettonica di Palermo. Proprio in quest’ambito è stato sperimentato il progetto applicato a edifici del moderno restaurati o da restaurare e “riusare” con l’obiettivo di sperimentarne la lettura attraverso le diverse fasi progettuali. Ciò che si è cercato di mettere in evidenza è come non esista una differenza fra progetto e restauro, che cioè una operazione di restauro è di per sé progettuale in quanto tesa a mettere in evidenza le qualità dell’edificio a partire da una sua interpretazione che non può prescindere dal punto di vista contemporaneo volto al riconoscimento della sua autenticità intesa nella sua accezione greca («ciò che la cosa è in sé stessa»), con un chiaro riferimento al «farsi progressivo» nella sua relazione con la dimensione storica: «Questa identificazione – scrive Ajroldi – comporta il riconoscimento della molteplicità delle storie che segnano qualsiasi edificio o manufatto (anche appartenente alla modernità), quindi la molteplicità delle sue origini, la molteplicità delle sue autenticità». Anche rispetto a questo tema sempre più attuale, dunque, il volume di Giuseppe Di Benedetto rappresenta un ottimo punto di partenza su cui cominciare a costruire una ricerca progettuale.
Antologia dell’architettura moderna in Sicilia è dunque un libro importante e ricco in grado di offrire tanti spunti di approfondimento per tutti coloro che si occupano del progetto, nei suoi diversi aspetti, ma anche un ottimo strumento di conoscenza per coloro che semplicemente intendano avvicinarsi a un particolare momento della storia architettonica della Sicilia sicuramente ancora non troppo nota e studiata.
Martina Landsberger
N.d.C. – Martina Landsberger è professore associato di Composizione architettonica e urbana al Politecnico di Milano. Ha tenuto lezioni in università nazionali e internazionali, svolto attività ricerca di interesse nazionale nell’ambito di programmi Prin e Murst; praticato il progetto architettonico e urbano.
Tra i suoi libri: (a cura di), Architetti italiani a confronto, catalogo (Edicit, 2008); con Michele Caja e Silvia Malcovati (a cura di), Tipologia architettonica e morfologia urbana. Il dibattito italiano - antologia 1960-1980 (Lampi di stampa, 2010; Libraccio, 2012); con Giulio Barazzetta, Produrre_muoversi_abitare. Struttura e forma nell'architettura milanese contemporanea (Fondazione dell'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Milano, 2013); La lezione di Auguste Choisy. L'architettura moderna e il razionalismo strutturale (FrancoAngeli, 2015); (a cura di), Laboratorio sull'abitare. Progettare la casa e lo spazio della città (Maggioli, 2016); con Michele Caja e Silvia Malcovati (a cura di), Tipo forma figura. Il dibattito internazionale. Antologia 1970-1990 (Libraccio, 2016); (a cura di), con Marco Biraghi e Gianni Braghieri, Aldo Rossi, Il gran teatro dell'architettura (Silvana Editoriale, 2018); (a cura di), Fernand Pouillon, Maître d'oeuvre. Scritti e conversazioni di architettura (Quodlibet, 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 06 NOVEMBRE 2020 |
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G. Pasqui, La Storia tra critica al presente e progetto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Lazzari, Paesaggi dell'immigrazione in Brasile, commento a: D. Rigatti, E. Trusiani, Architettura e paesaggio in Serra Gaúcha (Ed. Nuova Cultura, 2017)
F. de Agostini, De carlo e l'ILAUD: una lezione ancora attuale, commento a: P. Ceccarelli (a cura di), Giancarlo De Carlo and ILAUD (Fondazione Ordine Architetti Milano, 2019)
P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo (a cura di), Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)
P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)
C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)
R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)
E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)
A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)
F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)
G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)
P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)
V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)
E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)
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M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)
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