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Sebbene presentato con rilievo sulle pagine dei maggiori quotidiani italiani (1) il recente libro di Beppe Sala – Società: per azioni (Einaudi, 2020) – non sembra ancora aver suscitato un confronto ampio e originale. Le non dissimulate ambizioni che traspaiono dalle riflessioni del sindaco di Milano meritano invece una maggiore attenzione, se non altro, perché rappresentano un portato significativo del suo recente impegno politico-amministrativo e insieme una reazione - forse non tutta intenzionale - alle impietose condizioni poste dalla crisi pandemica in corso.
Tale complesso di circostanze sembra motivare la volontà di guardare oltre l’immediato, procedendo in forma riflessiva, a tratti autobiografica - si pensi alle belle pagine sul senso di smarrimento di fronte all’assassinio di Aldo Moro, o quelle sulla sua Brianza di origine e sul rapporto con i genitori o, ancora, sulla misura della malattia e il valore della cooperazione e del tempo - per interrogarsi, poi, con stile costruttivo sul destino della sinistra e della politica, finanche nel delineare un nuovo socialismo dell’epoca planetaria, come recita il sottotitolo del volume (2.).
Una rapida scorsa alla titolazione dei paragrafi, oltre che alle note conclusive riguardanti testi e personalità di riferimento della sua riflessione (da Aldo Moro ad Antonio Gramsci, da Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira a John Kennedy, per limitarci ad alcuni), sembra avvalorare queste prime impressioni: un contributo importante e originale, dunque, che riprende alcuni dei fili avanzati nel precedente libro Milano e il secolo delle città (La nave di Teseo, 2018) dislocandoli tuttavia in un quadro di problematiche assai più ampio e per nulla scontato. A partire da un titolo volutamente provocatorio, quasi irritante: Società: per azioni. Il quale, se richiama esplicitamente le forme storiche dell’organizzazione proprietaria dell’impresa capitalistica lo fa per incitare il ragionamento politico a non perdere di vista l’agire sociale e a praticare un’azione e un impegno continuo mirato a generare società e, ciò facendo, a riprodurre le stesse condizioni fondamentali per una legittimazione estesa della funzione politica.
Il primato della società
Non è perciò arbitrario partire proprio da qui e riconoscere quanto Beppe Sala non dissimuli affatto la sua origine ‘aziendale’ di conoscitore attento del mercato capitalistico, ma scelga invero di orientare e ibridare questa originaria esperienza per porre interrogativi radicali sul futuro della sfera pubblica democratica. Tale scelta - merita evidenziarlo - sembra informare l’intera riflessione contenuta nel saggio e rappresenta un’opzione di fondo dirimente. In altre parole, il punto di vista originale dal quale muove Sala per interpellare la politica e il suo futuro è quello radicato nella cosiddetta ‘società civile’; cioè in quell’impasto di logiche e processi che riguardano la società e il mercato intesi come macro-istituzioni della regolazione sociale, campi caratterizzati da molteplici soggettività culturali e intraprese economiche (3) le quali connotano da oltre due secoli il profilo plurale delle società democratiche più evolute: quel tratto un tempo distintivo dell’Occidente (4).
Un approccio, quello seguito dall’autore, che taglia per così dire orizzontalmente il tema del politico, tradizionalmente attestato sull’asse verticale della statualità e del sistema di rappresentanza istituzionale nelle sue articolazioni nazionali e locali. È bene tenere a mente questa prospettiva, anche per valutare il portato e le implicazioni del discorso avanzato nel libro e apprezzarne l’originalità, oltre che la sua eventuale presa sulla realtà dei processi in corso.
Ai tanti orfani dell’autonomia del politico, alla ricerca perenne di una rinnovata autorevolezza dei partiti e delle leadership politiche che spesso trascende le condizioni effettive della realtà contemporanea, Sala sembra rispondere con spirito immanente, radicato nell’esperienza quotidiana e faticosa del governo dei processi. In lui, che muove in questo scritto dal riconoscere di essersi trovato nel corso della vita a svolgere diverse azioni di governo (p. 3) è sempre vivo un profondo senso di inadeguatezza - personale ma anche collettivo - che viene ricondotto in ultima istanza alla drammatica mancanza di un’idea di mondo (p. 4).
In questa lettura della politica avanzata dalla prospettiva della società, per così dire, non vi è nulla che alluda all’impossibilità di una mediazione politica del sociale, al contrario implicita in molte teorizzazioni ispirate a una versione estremizzata di autonomia del sociale (si pensi alle posizioni alla Toni Negri, per intendersi). Per un politico radicato nell’esperienza del governo dello spazio urbano contemporaneo emerge tuttavia esplicitamente la necessità di liberare la società e le sue forze dalla morsa della politica e dell’economia (alias: stato e mercato), alla ricerca di ciò che viene efficacemente indicato come un diverso rapporto geometrico tra società, economia e politica (p. 20). Sebbene stilizzate, sono pagine chiare e convincenti quelle a proposito della necessità di affermare un’idea sociale del benessere e, in ciò, un primato della società che si incarni nell’azione sociale, cioè nell’insieme di azioni con le quali una società si organizza per prosperare (p. 21).
L’essenza della città-mondo come riferimento forte
È a questo punto del saggio che si percepisce il filo rosso che lega l’evoluzione nel pensiero di Sala, a partire dal volume del 2018 centrato sul ‘secolo delle città’. Poiché l’orizzontalità alla quale si richiama la sua riflessione trova proprio in campo urbano quella necessaria densità sociale ed emotiva che dovrebbe sostanziare il legame di fraternità e di fare comune connotandone la prospettiva della Società per Azioni (p. 21). Un aspetto questo decisivo per affrontare con efficacia l’impegno considerato prioritario contro le diseguaglianze e le varie forme di esclusione sociale che proprio nelle grandi città si manifestano con maggior virulenza, in quanto “la città che si sente rifiutata è il volto più profondo della città, un volto che segna il limite del nostro fare, di ogni nostra vanità” (p. 36).
A questo proposito è interessante notare che se nel volume del 2018 il tema di Milano città-mondo era solo allusivamente richiamato nella parte finale per sottolineare quanto nello scenario globale la leadership internazionale di Milano presupponga (e domandi) di essere sostenuta a beneficio dell’intero Paese; bene, in questo più recente contributo il tema di come interpretare la città (p. 23) si intreccia saldamente con il modo di intendere e praticare la proposta della Società per Azioni e il riferimento alla città-mondo diviene il perno di un mutamento di prospettiva (p. 24) in contrapposizione esplicita all’idea – secondo Sala anacronistica - della città-stato, inadatta quest’ultima a confrontarsi con la contemporaneità per il suo profilo di chiusura, isolamento e irrilevanza.
La città-mondo, al contrario, si manifesta come “un aggregato di culture e esistenze, proteso alle connessioni e al commercio con tutto il pianeta, capace di esercitare l’apertura e lo scambio con le altre città-mondo, insieme alle quali fa parte di una rete globale in costante movimento” (p. 24). Aggiungendo Sala, con forza, che “la vita della città-mondo (…) non coincide con la superficie geografica cittadina - e che essa invece indica - le finalità strategiche dell’agire sociale, gli obiettivi che sono a loro volta gli elementi essenziali per una connessione tra le varie città di rilevanza mondiale” (p. 24) e, tra questi obiettivi, appare significativo che oltre alla già citata questione del superamento delle disuguaglianze - sociali, di genere e culturali (5) - venga richiamata l’esigenza di superare le disparità spaziali inerenti le gerarchie città-campagna e quelle centro-periferia.
È proprio dalla nuova prospettiva rappresentata dalla città-mondo, dunque, che per Sala è possibile l’apertura verso questo insieme di obiettivi e la consapevolezza, ma pure l’urgenza, che tale apertura necessiti ancora di esser tradotta in programma politico (p. 24). Ecco il punto che ci preme in ultimo sollevare: quello riguardante la necessità di tradurre l’insieme delle riflessioni avanzate dal sindaco nel vivo di un programma politico che intrecci la dimensione ideale a quella operativa. Nell’affermare quindi un’idea di mondo, per richiamare la sua espressione, che non eluda la questione di individuare percorsi concreti e agibili operativamente in forma partecipata (quel richiamo insistito a un ‘io collettivo’).
A me pare che proprio questa curvatura della riflessione avanzata da Sala evidenzi un’elevata sensibilità del profondo mutamento del nesso tra società e spazio in corso nelle dinamiche contemporanee, sulle quali tra l’altro si imprime ulteriormente l’accelerazione impressa dalla drammatica vicenda della crisi pandemica globale (6).
Verso un nuovo socialismo declinato nella società e nello spazio
In tale prospettiva le argomentazioni di Sala assumono il valore e il significato di una ‘riflessione ponte’ tra il lungo ciclo economico-spaziale che abbiamo alle spalle - quello neoliberista e globalista, per intendersi, dominato dalla pervasiva retorica centrata in prevalenza sul nesso competitività e innovazione - e il duro confronto con gli impatti della crisi epidemica e l’aggravarsi delle disuguaglianze sociali e spaziali a tutti i livelli. Se si conviene su questa lettura, per Milano tale passaggio è particolarmente pregnante. La città ha infatti beneficiato ampiamente – per propensioni spontanee, potremmo dire, oltre che per capacità di intrapresa e di iniziativa pubblica – del ciclo dinamico della globalizzazione urbana (quel riferimento un po’ enfatico al secolo delle città, per l’appunto) che ha accompagnato gli ultimi due decenni, caratterizzando in questo senso la propria traiettoria di modernizzazione: dal successo di Expo all’affermarsi di una vera e propria economia degli eventi in chiave mondiale, dal recupero demografico alle voluminose trasformazioni immobiliari, dalla scoperta di una città trainata dalla cultura al rafforzamento della vocazione universitaria e scientifica, solo per richiamare alcuni tra gli aspetti della rinnovata centralità milanese.
Tuttavia, se tale modello di crescita ha rilanciato Milano nelle relazioni dinamiche della rete mondiale delle città, esso è stato nondimeno foriero di rilevanti e crescenti divari in termini territoriali: siano essi misurati nella realtà urbana con l’emergenza ‘periferie’, piuttosto che nelle dimensioni riferibili al contesto metropolitano e macro-territoriale del Nord che fa da sfondo a processi di regionalizzazione del fenomeno urbano in corso da tempo. In altre parole, Milano ha marciato speditamente, raccogliendo successi materiali e simbolici, ma ricentralizzando fortemente la geografia dello sviluppo alle diverse scale (7).
Non è qui il caso di soffermarsi su tali traiettorie di crescita per valutarle con la dovuta analiticità (8), ma ci basti richiamarle per sottolineare quanto a nostro avviso sia importante tenere insieme il rilancio di una prospettiva socialista con la necessità di non eludere le modalità contraddittorie dello sviluppo economico-territoriale del capitalismo italiano (9). In questa prospettiva, una sinistra che voglia tornare ad essere la voce degli ultimi, di tutti gli ultimi, per rappresentarli al potere (p. 69) e che al contempo assuma quella nozione verticale - così la chiama Sala - della persona intesa come perno di ogni speranza e fiducia (p. 73) non può che proporsi di trasformare i rapporti sociali e spaziali di potere, sforzandosi di esercitare una pressione permanente in tal senso nell’ambito di un’azione di governo accorta, sperimentale e sempre correggibile in itinere.
Sala fa inoltre bene a mio avviso a sottolineare l’importanza di fondare la propria utopia concreta sulla ricerca di una rinnovata centralità del lavoro, oggi messa radicalmente in discussione. Una cultura del lavoro che deve sapersi però confrontare non solo con la scarsità delle risorse materiali ma pure con l’infinità delle risorse umane (p. 77), soggette queste ultime a forme evidenti e subdole di alienazione e di privazione: sia quando la valorizzazione del lavoro viene nei fatti mortificata, sia quando si è implicati nella produzione di dati sensibili senza averne nemmeno coscienza. Sono pagine assai stimolanti quelle che Sala dedica alla metamorfosi del lavoro in epoca digitale e alla produzione del valore estratto dalla semplice connessione delle persone alla rete, senza alcun investimento soggettivo e private di qualsiasi forma di voce e di rappresentanza.
Temi sociali e politici tutti ragguardevoli per la ricostruzione di una cultura socialista e di sinistra, ma per nulla dissociabili - come si diceva - dalle forme concrete di organizzazione di una società nello spazio. Un nesso, quello spazio/società che viene oggi per molti versi esaltato e radicalizzato dalla crisi pandemica in corso: si pensi al tema del ‘lavoro remoto’ (il cosiddetto smart working) e al suo impatto sui luoghi di lavoro tradizionali, o sulle stesse relazioni tra ‘lavoro’ e ‘capitale’ che segnano le diverse culture aziendali; si pensi alla logica di agglomerazione spaziale di molte attività economiche oggi messa radicalmente in discussione dagli effetti della pandemia. E questi fenomeni, nel loro insieme, devono misurarsi nel complesso di una profonda riorganizzazione delle catene mondiali del valore supportata dalla rivoluzione digitale e dall’automazione, e oggi ulteriormente pressata dall’emergenza Covid (10).
Milano come riferimento
Ebbene, sull’insieme di tali questioni il contributo di Sala ci consegna riflessioni importanti e - nel farlo - ci invita a rimanere con i piedi per terra, nel merito di un approccio alla politica orientato sempre all’azione sociale e al governo dei processi. Nella consapevolezza che quelli individuati non siano affatto campi pacificati e di facile convergenza: non lo sono culturalmente, nella riflessione e nelle proposte individuabili, non lo sono per una pratica sociale e politica intenzionata a sperimentare più avanzati livelli di cooperazione finalizzati a superare vecchie e nuove gerarchie socio-spaziali.
Riconoscere la dimensione conflittuale di tali questioni è dunque un passaggio essenziale che investe innanzitutto la classe dirigente milanese del tema - essenzialmente politico - di una possibile egemonia della città in questa fase difficile. Di fronte all’esaurirsi del vecchio modello di crescita urbana e sfidato dalle conseguenze drammatiche della pandemia, un nuovo sentiero di sviluppo urbano non può che affermarsi in fertile tensione con gli assetti di potere sociale e spaziale precedenti. Tale percorso appare una condizione ineludibile per il formarsi di nuove coalizioni sociali e alleanze territoriali a sostegno di un progetto sostenibile di modernizzazione e di riorganizzazione degli spazi di vita e di lavoro nella metropoli.
In una Milano così duramente segnata dalla crisi pandemica non può certo venir meno la consapevolezza di essere punto di riferimento e principio di condotta per altri. Il tema che abbiamo di fronte mi pare proprio sia quello di tradurre questa disposizione egemonica della città, questo suo essere ‘cervello sociale’ in metamorfosi, in modo spazialmente aperto e progressivo. Esso assegna a Milano un ruolo di mediazione attiva tra i ‘territori’ e il ‘mondo’, per il quale appare urgente precisare una rotta da declinare politicamente nel tempo e nello spazio.
Matteo Bolocan Goldstein
Note
1) Il 3 giugno 2020 su la Repubblica Enrico Letta firma l’articolo-recensione La sinistra può vincere solo se batte l’indifferenza; lo stesso giorno, sulle pagine del Corriere della Sera esce l’intervista di Aldo Cazzullo Beppe Sala: serve un nuovo socialismo, la sinistra recuperi un’idea politica di società.
2) B. Sala, Società: per azioni. Affetti ed emozioni, azioni e produzioni - le idee per il nuovo socialismo dell’epoca planetaria. Per realizzare lo spirito e l’utopia, una società composta da azionisti dalle risorse infinite: tutti noi, Einaudi, Torino 2020.
3) Quella dimensione corrispondente ad affetti ed emozioni, oltre che ad azioni e produzioni, termini tutti evocati nel lungo sottotitolo programmatico del volume.
4) Ci preme richiamare che il riferimento alla ‘società civile’ consente, da un lato, di individuare lo spazio sociale che rende possibile pratiche concrete di solidarietà e di pluralismo socio-istituzionale (la società civile intesa appunto come sfera della regolazione sociale), dall’altro lato, esso rappresenta una leva importante per attivare comportamenti orientati alla progettualità sociale. Per una significativa panoramica su questi temi: M. Magatti a cura di, Per la società civile. La centralità del ‘principio sociale’ nelle società avanzate, Angeli, Milano 1997; per un’originale concettualizzazione della democrazia come regime sociale: C. Donolo, Il sogno del buon governo. Apologia del regime democratico, Anabasi, Milano 1992. Per una riflessione politica che incalza e problematizza con intelligenza il “mito del primato della politica”, mi piace ricordare il contributo di Riccardo Terzi: R. Terzi, La pazienza e l’ironia. Scritti 1982-2010, Ediesse, Roma 2011.
5) Con la necessità di conseguire standard di equità sociale declinati in termini di formazione e abitazione e salute (p. 24).
6) Riguardo gli effetti della pandemia sulla centralità urbana a livello mondiale: S. Armondi, M. Bolocan Goldstein, Geografie dell’urbano e il mondo di ieri, Blog DAStU-Politecnico di Milano, giugno 2020; per una lettura geografico-spaziale della crisi in corso e sulle implicazioni sulle relazioni tra città e territori: M. Bolocan Goldstein “Spazialità contese in una congiuntura critica del mondo. Ripensare il nesso tra città e territori”, Pandora Rivista, 2, 2020.
7) Su questi temi, un’interessante contributo di Edoardo Campanella e Francesco Profumo sul Corriere della Sera: Cambiano le gerarchie urbane ma le città non moriranno (26 settembre 2020).
8) Per un riferimento: Centro studi PIM, Spazialità metropolitane. Economia, società e territorio, Argomenti & Contributi, n. 15, 2016. Un aggiornamento di questa analisi è in corso di elaborazione.
9) Recuperando, in questo, una tradizione importante della sinistra e del movimento operaio internazionale storicamente radicata nelle società locali e nei governi delle città e dei territori regionali: F. Anderlini, Terra rossa. Comunismo ideale e socialdemocrazia reale. Il PCI in Emilia-Romagna, Istituto Gramsci Emilia Romagna, Bologna 1990; G. Sapelli, Comunità e mercato, Rubettino, Messina 1996; P. Dogliani e O. Gaspari a cura di, L’Europa dei comuni. Dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, Donzelli, Roma 2003.
10) Sulle relazioni tra salti tecnologici, dinamiche dell’economia mondiale e impatti della pandemia insiste un’interessante contributo di P. Bianchi, “La crisi industriale determinata dal coronavirus e la riorganizzazione delle catene del valore”, Pandora Rivista, 2, 2020.
N.d.C. - Matteo Bolocan Goldstein, professore ordinario di Geografia economica e politica presso il Dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano, dal 2014 è presidente del Centro studi PIM - Programmazione Intercomunale dell’area Metropolitana milanese.
Tra i suoi libri: con B. Bonfantini, Milano incompiuta. Interpretazioni urbanistiche del mutamento (Angeli, 2007); Geografie milanesi (Maggioli, 2009); con S. Botti e G. Pasqui, Nord Ovest Milano, uno studio geografico operativo (Mondadori Electa, 2011); Geografie del Nord (Maggioli, 2017).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 13 NOVEMBRE 2020 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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M. Balbo, Trasporti: più informazione, più democrazia, commento a M. Ponti, Grandi operette (Piemme, 2019)
F. C. Nigrelli, Senza sguardo territoriale la ripresa fallisce, commento a: A. Marson (a cura di), Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)
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F. Lazzari, Paesaggi dell'immigrazione in Brasile, commento a: D. Rigatti, E. Trusiani, Architettura e paesaggio in Serra Gaúcha (Ed. Nuova Cultura, 2017)
F. de Agostini, De carlo e l'ILAUD: una lezione ancora attuale, commento a: P. Ceccarelli (a cura di), Giancarlo De Carlo and ILAUD (Fondazione Ordine Architetti Milano, 2019)
P. O. Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura, commento a C. Olmo (a cura di), Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
A. Mela, La città e i suoi ritmi (secondo Lefebvre), commento a: H. Lefebvre, Elementi di ritmanalisi, a cura di G. Borelli (Lettera Ventidue, 2019)
P. Baldeschi, La prospettiva territorialista alla prova, commento a: (a cura di) A. Marson, Urbanistica e pianificazione nella prospettiva territorialista (Quodlibet, 2019)
C. Magnani, L'architettura tra progetto e racconto, commento a: C. Olmo, Progetto e racconto (Donzelli, 2020)
F. Gastaldi, Nord vs sud? Nelle politiche parliamo di Italia, commento a: A. Accetturo e G. de Blasio, Morire di aiuti (IBL, 2019)
R. Leggero, Curare l'urbano (come fosse un giardino), commento a: M. Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto (Ponte alle Grazie, 2019)
E. Zanchini, Clima: l'urbanistica deve cambiare approccio, commento a: M. Manigrasso, La città adattiva (Quodlibet, 2019)
A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)
F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)
G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)
P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)
V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)
E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)
A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)
G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)
C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)
G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle donne.it, 2019)
F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)
R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)
L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)
L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)
A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)
P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)
W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)
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