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Lo sguardo è la nostra guida
Nel suo ultimo libro – Albe di un nuovo sentire. La condizione neocontemplativa (il Mulino, 2020) – Raffaele Milani apre una riflessione ad ampio raggio sull’estetica della contemplazione, cogliendo i molteplici aspetti del vedere e, di conseguenza, immaginare oltre il visibile, nella prospettiva aperta dalla Einbildungskraft kantiana, la forza del gioco dell’immaginazione nella contemplazione delle forme conformemente a certe idee, esaltazione della poiesis che apre la strada ai Romantici con la potenza dello sguardo per scorgere le idee estetiche. Le idee estetiche sono tante nella prospettiva di questo libro, ricco di relazioni e rinvii, che sonda il terreno del «sentire», quel nuovo sentire avido dell’antico, tra natura arte e cultura, nato nel ‘700 che trova nelle categorie del pittoresco e del sublime i cardini di un sentimento che Goethe ha ben espresso nel Trionfo del sentimentalismo.
Milani, profondo conoscitore delle categorie estetiche, tenta il recupero di ciò che stiamo perdendo, il theorein, vale a dire, come insegna la tradizione greca, «osservare lontano ad occhi socchiusi» per cogliere il sacro nella scena del mondo nella visibilità senza bordi del mito. Ricordo che il termine viene dal teatro greco dove lo spettatore osserva la presenza del demonico tanto caro a Goethe.
Il legame tra l’attività teoretica, del bios theoretikos come alta forma di vita versata appunto alla contemplazione, ripresa dal VI libro dell’Etica nicomachea di Aristotele come condotta eccellente – “virtuosa” dice Milani – che esige una seria applicazione, e l’estetica del sacro è uno dei cardini di un percorso alla ricerca di una condizione neocontemplativa, profonda in vedute e visioni tra immaginazione e sogno, recuperata dal mondo antico e dal suo reverente stupore per il sacro. Quel sacro perduto insieme alla vera contemplazione, quello – mi piace ricordare – che Fernando Pessoa ricorda con nostalgia, quando sostiene che «gli dei non sono morti: è morta la nostra facoltà di vederli. Non se ne sono andati: abbiamo cessato di vederli. Abbiamo chiuso gli occhi, oppure un velo di nebbia si è insinuato fra noi e loro. Sussistono, vivono come vivevano, con la stessa divinità e la stessa calma» (Fernando Pessoa, Il poeta è un fingitore). Il velo di nebbia si dilegua con la restituzione del sogno grazie all’arte moderna e contemporanea. L’arte è sempre in rapporto dialettico con il theorein. Il parallelo che ci siamo permessi di fare deriva dalla richiesta nostalgica di un’estetica contemplativa da parte di Milani, comune a quella di Pessoa: «abbiamo perso la facoltà di vedere».
Afferma Milani: «Possiamo aggiungere il fatto che la contemplazione della natura si fonda su di un vedere legato al sacro la cui simbologia si manifesta per mezzo di oggetti e di esseri i quali divengono tutt’altro, senza tuttavia cessare di partecipare al loro ambiente naturale» (p. 69). Vengono in mente gli «esseri belli di un mondo di fiaba» di Schiller. Abbiamo perso l’attività teoretica di un mondo poetico, della poiesis, del fare costruttivo capace di costruire immagini, mondo della vita, del sogno «infinita ombra del vero», come ha scritto Giovanni Pascoli in Alexandros, sottolineato da Milani (p. 66).
L’operazione di Milani è semplice e allo stesso tempo complessa. Semplice perché mira a superare i limiti dell’imitazione che «riverbera di citazioni e ornamentalismi» del postmoderno per una rivisitazione dell’«aura contemplativa». Complessa per la domanda che pone: «Qual è, oggi, la natura del vedere e dell’immaginare, … per un ampio sguardo che raggiunge l’alba di un nuovo sentire?» (p. 7), che è anche un ricordare accorto, in rapporto con la natura, il paesaggio, il giardino, una poiesis della dimensione verde nell’equazione curare – giardino – orto – biblioteca per migliorare il mondo.
In effetti, senza la cura, che è cultura, cioè – ricordiamo – coltivazione del campo, non miglioriamo il mondo. Ciò rientra nell’aura contemplativa, nella facoltà di cogliere ancora la profondità dell’esistenza oltre il limite, oltre l’orizzonte. In quest’aura gioca la tradizione, fin dall’archetipo, aura dell’inizio umano nel pensiero di Elémire Zolla. Un pensiero discusso in parallelo a quello di Tomás Maldonado per il loro comune errore nel valutare il rapporto tra estetica, arte e natura nella società virtuale già imperante ai loro tempi. Si tratta di una fiducia errata nei confronti delle nuove tecnologie, che Zolla vedeva quale «rovesciamento salutare della rivoluzione industriale che tutto sbalestra e rimette in gioco» (p. 22). Oggi – sottolinea Raffaele Milani – è evidente la prigionia della mente e non la sua liberazione e in questo contesto recupera il «buono» in Zolla, l’idea di tradizione come teofania, idea dell’essere nella sua perfezione massima, parallela all’auspicato ritorno della contemplazione.
Milani ci invita a contemplare a fondo il mondo, in silenzio e in solitudine, con l’occhio di Plotino per superare l’attuale inflazione limitante e impura della realtà virtuale che ci circonda, cambiando la percezione del mondo con l’inflazione d’immagini che ci priva del theorein. Una realtà che stiamo vivendo e che limita non solo il pensiero, ma soprattutto i contatti umani con le emozioni collegate, oggi vietati a causa del virus Covid-19. Milani sottolinea anche la ricchezza della contemplazione che sfocia nella dialettica armonia - musica con l’accordo delle note. La sua operazione forte è il recupero dell’antichità come futuro, tema percorso a suo tempo da Rosario Assunto che riprende aprendo, direi, la nostra fantasia alla nostalgia, al sogno romantico del ritorno dell’antico. L’armonia è un’arte della contemplazione, «sogna l’antichità come futuro ricorrendo modelli che si vorrebbero eterni, vola sulle ali del simbolo e disegna aure di grazia nella mappa delle categorie storico-stilistiche» (p. 119).
Il volume, introduce il cammino «di un ampio sguardo che raggiunge l’alba di un nuovo sentire», uno sguardo rivolto al mito e all’antichità per il futuro, nella dimensione sentimentale de «l’arte della contemplazione, la capacità suprema di oltrepassare il visibile per raggiungere le immagini consce e inconsce della rappresentazione» (p. 11). Si manifesta così il percorso verso una dimensione, oltre che condizione, neocontemplativa, critica dei nostri tempi, come scritto a pagina 8 che cito: «Sul nuovo sentire, che è anche un ricordare assorto, si muove un vivo rapporto, inedito fino ad ora, con la natura, con il paesaggio e il giardino, da parte di tanti cittadini che non vogliono essere esclusi da una poiesis della dimensione verde. Non si tratta di fare valere solo architetti famosi, ma persone che presentano la volontà di una creatività comune e condivisa: un vento d’estetica e arte ambientale. Accanto a ciò vediamo crescere la lezione e l’esperienza del silenzio e della lentezza del fare dell’arte, cosa che implica la ripresa diretta e indiretta delle tecniche tradizionali. Allo stesso tempo ritorna l’insegnamento dell’antichità per il futuro».
Con la critica all’intelligenza artificiale Raffaele Milani ricorda il celebre drammatico film di Spielberg A.I. Intelligenza artificiale, che racconta una storia dove gioca l’assenza di emozioni in un mondo di Mecca, robot dall’aspetto umano, in una realtà dove si vuole raggiungere la perfezione con la creazione di un robot bambino capace di amare, che però supera l’artificialità per l’amore genuino: desidera diventare un bambino vero per entrare nel luogo dove nascono i sogni.
Il mondo del nuovo sentire è il mondo delle emozioni, nell’aura sentimentale che – aggiungiamo – Schiller ha delineato nello scritto Sulla poesia ingenua e sentimentale (la cui edizione italiana è stata curata da Elio Franzini e Walter Scotti nel 1986), ci permette di ricreare col sentimento una natura scomparsa che noi moderni, contrariamente agli antichi che la vivevano, evochiamo come un bene perduto. Così ci viene in soccorso l’antichità come futuro e il mito che, come ha ben sostenuto Walter Friedrich Otto, storico e filosofo delle religioni, alimenta la poesia, l’arte figurativa, la musica e l’architettura. E, aggiungiamo con Raffaele Milani, la contemplazione.
In questa direzione si muovono i tre capitoli del volume. Il primo, dedicato alla condizione neocontemplativa, parte da una filosofia della rappresentazione per aprire, con la contemplazione attiva, un mondo di fantasia e di sogno. Il secondo capitolo attraversa archetipi e antiche suggestioni, avvalendosi delle categorie estetiche dove emerge il sacro per il recupero della visione romantica dell’antichità come futuro, che ci conduce al terzo capitolo dedicato all’armonia come arte della contemplazione che, rileggiamo, «sogna l’antichità come futuro ripercorrendo modelli che si vorrebbero eterni, vola sulle ali del simbolo e disegna aure di grazia nella mappa delle categorie storico-stilistiche» (p.119). Così, «contemplazione e armonia si fondono insieme alla ricerca di una migliore condizione dell’umanità» (p. 138). A questo proposito, mi sia permesso un ricordo personale: le lunghe passeggiate romane con Rosario Assunto discutendo dell’etica della contemplazione, di cui «sento», nel senso proprio del sentire senza tempi, l’acuta nostalgia di un ritorno impossibile.
Massimo Venturi Ferriolo
N.d.C. - Massimo Venturi Ferriolo, filosofo, già ordinario di Estetica al Politecnico di Milano, è stato visiting professor e ha tenuto conferenze in diverse università europee e americane. Al centro dei suoi interessi scientifici e didattici c’è il tema del paesaggio tra etica ed estetica, fra teoria e progetto.
Tra i suoi libri: Traduzione e note di Aristotele, La Politica (Le Monnier 1980); Introduzione e cura di Rodolfo Mondolfo, Polis lavoro e tecnica (Feltrinelli 1982); Aristotele e la crematistica. La storia di un problema e le sue fonti (La nuova Italia, 1983); con A. Tagliolini (a cura di), Il giardino. Idea, natura, realtà (Guerini e Associati, 1987); Nel grembo della vita. Le origini dell'idea di giardino (Guerini, 1989); con J. Raspi Serra (a cura di), Il nuovo sentire. Natura, arte e cultura nel '700 (Guerini, 1989); Giardino e filosofia (Guerini, 1992); Giardini del Giappone (Fenice 1993); (a cura di), Mater herbarum. Fonti e tradizione del giardino dei semplici della Scuola medica salernitana (Guerini, 1995); Giardino e paesaggio dei romantici (Guerini, 1998); con L. Giacomini, E. Pesci (a cura di), Estetica del paesaggio (Guerini, 1999; 2001); con P. Capone (a cura di), Paesaggi. Percorsi tra mito natura e storia (Guerini, 1999); Etiche del paesaggio. Il progetto del mondo umano (Editori riuniti, 2002); Paesaggi. La trasformazione del mondo umano (Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per i beni architettonici ed il paesaggio, 2003); Paesaggi rivelati. Passeggiare con Bernard Lassus (Guerini, 2006); Paesaggi. Sguardo dal theatron, a cura di D. Perrotti (Ed. l'Orbicolare, 2007); Percepire paesaggi. La potenza dello sguardo (Bollati Boringhieri, 2009); con P. L. Paolillo, Relazioni di paesaggio. Tessere trame per rigenerare i luoghi (Mimesis, 2015); Paesaggi in movimento. Per un'estetica della trasformazione (DeriveApprodi, 2016); Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio (Einaudi, 2019).
Sul libro Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio (Einaudi, 2019), v. i commenti di: Carlo Tosco, Il giardino tra cultura, etica ed estetica (1 luglio 2019); Roberto Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto (13 marzo 2020).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 26 MARZO 2021 |