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Potrebbe sembrare inutile un nuovo sottotitolo a questa antologia che rispetto alle altre edizioni, a parte la data (2019 anziché 2018, 2017 o 2016), mantiene inalterato tanto il suo titolo, Città Bene Comune, quanto i suoi contenuti essenziali: tutti i contributi all’omonima rubrica pubblicati online sul sito web della Casa della Cultura di Milano nel corso dell’anno precedente la sua pubblicazione (per l’esattezza 42 di 38 autori). Inutile perché, nella sostanza, questo lavoro continua a rappresentare il tentativo, forse vano, di ricomporre un discorso plurale e sfaccettato – quello sull’urbanistica contemporanea, sulla situazione e il futuro della città, del territorio, dell’ambiente, del paesaggio, intesi nelle molteplici dimensioni che li caratterizzano (fisica, sociale, culturale, economica, ecc.) – attraverso la discussione di un limitato ma significativo numero di libri – e dunque di riflessioni, idee, esperienze – su questi temi. A dire il vero potrebbe sembrare superflua perfino la stessa antologia se si considerasse che – come il lettore potrà constatare più avanti – molti dei temi affrontati sono gli stessi degli scorsi anni. Senza significative variazioni o polarizzazioni. In questo come in altri luoghi di confronto ma, soprattutto, nella realtà. Qualcosa che renda davvero urgente riparlarne e riscriverne. Aggiungendo sostanza a quanto sia già stato detto.
Eppure, probabilmente, proprio inutile non è. Non lo è nel senso che resta inalterato il proposito di capire – e restituire a un pubblico più ampio di non addetti ai lavori – di cosa, e soprattutto in che termini, si sta discutendo in ambito scientifico quando si parla di città, territorio, ambiente e paesaggio. Quali le questioni che – pur con punti di vista differenti e persino contrastanti – vengono affrontate o si ritiene debbano essere finalmente considerate colmando quello scarto che sussiste tra realtà, percezione e governo della realtà stessa. Questa – lo diciamo per inciso – è stata ed è una delle ragioni di fondo di Città Bene Comune. Degli sforzi che la Casa della Cultura (associazione tradizionalmente vocata al dibattito pubblico) e il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano (istituzionalmente luogo di una ricerca scientifica plurale) stanno compiendo congiuntamente nel produrre questa iniziativa. Nello stesso tempo, col susseguirsi delle edizioni pare prendere più chiaramente forma anche la prospettiva culturale entro cui questo lavoro si colloca. Prospettiva che proprio la sequenza dei sottotitoli di questa serie di pubblicazioni – e quindi proprio l’attenzione che di volta in volta viene data a un particolare aspetto – pare enunciare: Per una cultura urbanistica diffusa (2016); Leggere l’urbanistica per immaginare città e territori (2017); Quale urbanistica e per quale città? (2018). Dunque, la scansione temporale che ci siamo dati – una antologia ogni anno –, pur riconducibile a ragioni pratiche e del tutto strumentali, non fa che richiamarci periodicamente a riflettere sul senso e il portato di una narrazione a più voci ampia e articolata, sulla sua eventuale, ma del tutto auspicabile, utilità culturale e civile.
Da questo punto di vista non poteva mancare qualche considerazione sulla necessità, oggi, della critica urbanistica e, al tempo stesso, su quella di un’urbanistica che sappia assumere criticamente le condizioni di contesto in cui opera, che voglia e/o possa, attraverso i suoi strumenti analitici e progettuali, condurre quell’esercizio che le appartiene di consapevole interpretazione del presente e prefigurazione di un possibile futuro delle realtà in cui opera. Intendiamoci, non un futuro qualsiasi – cosa che rappresenterebbe già un passo in avanti rispetto a quanto le previsioni ambientali più fosche prospettano – ma un futuro che, com’è nel Dna della disciplina, ambisca esplicitamente a migliorare le condizioni del presente: fisiche, sociali, funzionali, ambientali, economiche, paesaggistiche, culturali. Tutte quelle che, giocoforza, il progetto urbano e territoriale intercetta. Perché – come afferma Luca Marescotti nel suo Urbanistica e paesaggio: una visione comune (10 giugno 2019) a commento del libro di Joan Nogué, Paesaggio, Territorio, Società Civile. Il senso del luogo nel contemporaneo (Libria, 2017) – “questo è il dominio dell'urbanistica; anzi – scrive – di più, la logica porta a affermare la sua centralità, nella duplice accezione di pianificazione urbana e pianificazione territoriale, nel vivere sociale, ivi compresa l'economia” (p. 191).
Le cose, però, – lo denunciano in molti – non stanno andando in tale direzione: né la realtà sembra avere un futuro migliore del presente, né l’urbanistica pare in grado di prefigurarne uno, di indicare una qualsivoglia credibile prospettiva. In questi anni – osserva, per esempio, Michele Talia nel suo Salute e equità sono questioni urbanistiche (11 aprile 2019) a commento al libro curato da Rosalba D'Onofrio ed Elio Trusiani, Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018) – “la contrazione delle risorse, la distribuzione sempre più squilibrata della ricchezza e gli effetti del cambiamento climatico attendono risposte concrete e tempestive” (p. 154) che l’urbanistica fatica a dare. Piuttosto, – scrive Maurizio Carta nel suo Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica (17 gennaio 2019) a commento del libro di Gabriele Pasqui Urbanistica oggi. Piccolo lessico critico (Donzelli, 2017) – “negli ultimi decenni l'urbanistica più conformista - con pochi e inascoltati critici e innovatori - è stata troppo occupata a progettare città che mineralizzano il suolo, che aumentano le emissioni di gas serra, che soffocano la diversità, che amplificano diseguaglianze e che erodono le risorse naturali e culturali” (p. 54). Pare cioè che questa disciplina abbia per molti versi abbandonato quella che tra Otto e Novecento era stata la sua missione principale finendo con l’assecondare, se non – e ciò sarebbe anche più grave – col pianificare, un tipo di trasformazione urbana e territoriale che evita di sporgere lo sguardo sugli esiti del proprio operare. Rinunciando ad analizzarli criticamente e, soprattutto, dal punto di vista dell’interesse collettivo. Ignorando gli impatti di lungo periodo delle proprie scelte progettuali sulla società civile, l’ambiente, la vita di tutti gli esseri viventi, quelli di oggi e quelli di domani. Un approccio – osserva Paolo Pileri nel suo L’ossessione di difendere il suolo (e non solo) (25 ottobre 2019) a commento del romanzo di Simona Vinci, Rovina (Einaudi, 2019) – riscontrabile “in cento, mille e forse più situazioni in Italia. [Situazioni che] non sono nate dal caso ma – scrive – anche da noi urbanisti, noi architetti, noi tecnici, noi politici” (p. 324). E la cosa ancor più grave – aggiunge Pileri – è che “per noi - noi urbanisti, architetti, ingegneri, geometri, imprenditori, politici e amministratori - certe cose fanno parte del gioco” (p. 325), sembrano essere diventate una consuetudine che stancamente perpetuiamo…
È chiaro che il problema non è solo dell’urbanistica in sé – e tantomeno solo degli urbanisti – perché riguarda tutte le discipline e le figure (politiche, amministrative, imprenditoriali, professionali) coinvolte nelle trasformazioni urbane e territoriali così come nel governo della città e del territorio e, più in generale, la società nel suo insieme. Ma è altrettanto evidente che questa disciplina proprio per la sua capacità/possibilità di incidere significativamente il presente da diversi punti di vista non può esimersi dall’offrire un contributo significativo alla ricerca di possibili soluzioni alle questioni che la società si trova ad affrontare. Per esempio, secondo Carta, la situazione ambientale è di una tale gravità che “ci chiama, come urbanisti, a una nuova sfida: ridurre l'impronta ecologica delle attività umane sul pianeta rimodellando lo spazio insediativo e utilizzare attivamente l'intelligenza collettiva che deriva dalle idee e dalla sensibilità umana nei confronti dell'ambiente re-immaginando le funzioni urbane” (p. 55), ma anche – aggiungiamo noi – le forme degli insediamenti e le loro relazioni con i contesti paesaggistici e ambientali. Una sfida che, come urbanisti, non può che essere colta con una rinnovata consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo sociale. “Ruolo – afferma Silvia Viviani nel suo Urbanistica: e ora, che fare? (12 luglio 2019) a commento del libro di Patrizia Gabellini, Le mutazioni dell'urbanistica. Principi, tecniche, competenze (Carocci, 2018) – sicuramente caratterizzato da ‘solitudine’, ma forte della deontologia che lo disciplina (‘un sistema di valori riferito alla competenza’) e dell'attitudine ad assumersi responsabilità, ‘per molti versi anche condizione di convivenza civile’” (p. 245). Una responsabilità che richiede uno sforzo di non secondaria entità in quanto presuppone una presa di coscienza a tutti i livelli della società e l’intenzione condivisa di dare delle risposte. Richiede cioè che l’inerzia del nostro agire sociale non prevalga, che la nostra visione politica del mondo e della società vada in quella direzione. Perché, in realtà – come sostiene Paolo Pileri nel suo Suolo: scegliamo di cambiare rotta (28 giugno 2019) a commento del libro di Rosario Pavia, Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (Donzelli 2019) – “siamo noi a dover cambiare. Noi a dover cambiare modo di progettare lo spazio in cui viviamo. Noi a dover decidere quali principi etici portare in alto e quali non sono più principi, ma pattumiera e guasti travestiti da smart-qualcosa. È tutto nelle nostre mani – conclude Pileri –, non di altri” (p. 221).
Per Pier Carlo Palermo si tratta di una “missione impossibile” specie se – come osserva nel suo Oltre la soglia dell’urbanistica italiana (13 settembre 2019) a commento dello stesso libro di Gabellini di cui prima – l’urbanistica viene “intesa come atto demiurgico”. Tuttavia, anche per Palermo “resta intatto uno spazio, anzi – sostiene – il bisogno di un'azione disciplinare modesta e tenace, tesa - insieme ad altre forze ed istituzioni - a migliorare le condizioni urbane, ambientali e sociali” (p. 285). Uno spazio necessario, dunque, anche “per sfuggire – sottolinea Mauro Baioni nel suo Urbanistica per la nuova condizione urbana (6 giugno 2019) a commento del libro di Antonio Galanti, Città sostenibili. Cento anni di idee per un mondo migliore (Aracne, 2018) – all'irrilevanza in cui pare confinato un sapere disciplinare […] che non sembra disporre di risposte immediatamente spendibili e che è rimasto privo di committenza politica” (p. 181)...
...clicca qui per continuare la lettura di questo testo e dei contributi di Ilaria Agostini, Mauro Baioni, Marcello Balbo, Luisa Bonesio, Guido Borelli, Fabrizio Bottini, Paola Briata, Patrizia Burlando, Federico Camerin, Maurizio Carta, Carlo Cellamare, Alberto Clementi, Paolo Colarossi, Giancarlo Consonni, Maddalena d'Alfonso, Duccio Demetrio, Francesco Forte, Francesco Indovina, Luca P. Marescotti, Giampaolo Nuvolati, Carlo Olmo, Liliana Padovani, Pier Carlo Palermo, Gabriele Pasqui, Domenico Patassini, Rosario Pavia, Agostino Petrillo, Paolo Pileri, Claudio Saragosa, Enzo Scandurra, Roberto Tadei, Michele Talia, Graziella Tonon, Carlo Tosco, Serena Vicari Haddock, Andrea Villani, Maria Rosa Vittadini e Silvia Viviani relativi ai libri di Michele Achilli, Ilaria Agostini e Enzo Scandurra, Giandomenico Amendola, Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio, Ivan Blečić, Enrico Borghi, Vito Cappiello, Alessandra Capuano e Fabrizio Toppetti, Edoardo Colonna di Paliano, Giorgio Frassine, Lorenzo Castellani Lovati e Andrea Maspero, Maria Antonietta Crippa e Ferdinando Zanzottera, Roberto Cuda, Susanna Curioni, Alessandro De Magistris e Aurora Scotti; Antonio De Rossi, Rosalba D'Onofrio e Elio Trusiani, Francesco Erbani, Patrizia Gabellini, Luca Gaeta, Antonio Galanti, Henri Lefebvre, Ezio Manzini, Michela Murgia, Joan Nogué, Giampaolo Nuvolati, Carlo Olmo, Gabriele Pasqui, Rosario Pavia, Agostino Petrillo, Brigida Proto, Enzo Scandurra, Richard Sennett, Samuel Stein, Giancarlo Storto, Massimo Venturi Ferriolo, Simona Vinci. © RIPRODUZIONE RISERVATA 02 APRILE 2021 |