Silvia Saccomani  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

LA CASA: VECCHIE QUESTIONI, NUOVE DOMANDE


Commento al libro di M. Filandri, M. Olagnero e G. Semi



Silvia Saccomani


altri contributi:



  silvia-saccomani-casa-dolce-casa.jpg




 

Casa dolce casa? Italia, un paese di proprietari (il Mulino, 2020) è un libro che in poco più di cento pagine ci mette sotto gli occhi (ancora una volta) l’irrisolta "questione casa" in tutte le sue dimensioni e in tutta la sua drammatica durezza: in primis, l’abitare come “elemento cruciale” nella definizione delle “disuguaglianze sociali" (p. 131). Tema principale del lavoro di Marianna Filandri, Manuela Olagnero e Giovanni Semi, infatti, non è la casa in sé, ma l’abitare, come condizione che inevitabilmente intreccia tre elementi: gli abitanti, la casa e il territorio. Esistono quindi diverse "questioni casa": la questione casa per chi la cerca, la vive o non ce l’ha e non riuscirà ad averla; la questione casa per la politica, il mercato e i meccanismi di domanda e offerta; la questione casa per il contesto territoriale in cui è collocata, in cui si vive, si lavora. È questa la dimensione complessa che i tre autori cercano di indagare.

Nella prima parte del libro – Casa e questione abitativa – viene tracciato un quadro sintetico della questione abitativa in Italia. Dapprima si indagano, da un punto di vista sociologico, quante e quali forme e modi di abitare esistano nel paese e come queste si siano modificate nel tempo. Questo anche andando oltre le tradizionali categorie del ‘titolo di godimento’ (proprietà, affitto, ecc.), mettendo in luce altre “circostanze abitative” e sottolineando, in particolare, la necessità di distinguere fra la casa “come bene” e la casa “come diritto”. Tra le situazioni esaminate con maggior attenzione c’è il legame fra casa e relazioni familiari per le implicazioni economiche che comporta, le sue conseguenze sulla scarsa mobilità residenziale e il sostegno intergenerazionale che determina. Vengono poi considerate da un lato alcune forme di disagio abitativo, e dall’altro, con un certo approfondimento, alcuni “stili abitativi” che – secondo gli autori – comportano anche forme di “auto rappresentazione di sé” attraverso il bene casa. Forme che, nonostante l’estrema diffusione della proprietà della casa, rimangono un tratto caratteristico di alcune classi sociali. Infine, nel terzo capitolo di questa prima parte, viene delineata una sintetica storia dei tentativi di soluzione del problema casa attraverso “interventi sul fronte edilizio e urbanistico” da un lato ed azioni “sul fronte economico e sociale” dall’altro (p. 43). In questo caso, la sintesi di un tema complesso che ha una storia decennale appare talvolta un po’ schematica, soprattutto nella valutazione degli esiti. In particolare – a giudizio di chi scrive – quella relativa ad alcuni strumenti messi in campo nella fase più recente quando di passa dal tema della casa a quello delle politiche integrate e dei programmi complessi: politiche descritte come “una nuova pedagogia dell’abitare” (p. 50) che – secondo gli autori – non ha dato i frutti sperati.

Al centro della seconda parte c’è invece il tema della proprietà della casa – La proprietà abitativa: un bisogno ‘irrinunciabile’ –, visto come origine di molte disuguaglianze sociali. Gli autori sfatano, dati alla mano, alcuni luoghi comuni sul tema della proprietà della casa. Tra questi quello secondo cui l’Italia sarebbe il paese europeo dove più alta è la percentuale di proprietari di case; quello secondo cui il nostro sarebbe il paese dove da più lungo tempo è presente la proprietà della casa; oppure quello secondo cui sarebbe il paese dove c’è un rapporto diretto e forte fra condizioni di disagio abitativo e non proprietà della casa. In particolare, gli autori ricostruiscono bene come in Italia certe politiche di lungo periodo abbiano determinato il formarsi di una “società di proprietari” e, al contempo, la diffusione di una “cultura dell’abitare in proprietà”. Cosa che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non ha generato una diminuzione delle disuguaglianze ma, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, il loro inasprirsi. Le crescenti difficoltà nell’accesso alla proprietà della casa, infatti, hanno finito per riprodurle ulteriormente anche per effetto della contrazione dello Stato sociale. In sintesi, si è passati dalla casa in proprietà promossa dalle politiche pubbliche come strumento di inclusione e cittadinanza alla casa in proprietà come strumento di riproduzione di disuguaglianze. In questa seconda parte, c’è anche un capitolo dedicato ai rischi del mercato del credito ed alla “finanziarizzazione del bene casa”. Partendo dalla constatazione che la proprietà della casa produce un reddito “in natura” (l’affitto che si dovrebbe pagare per lo stesso immobile) in grado di combinarsi con le risorse del mercato del lavoro nello strutturare le disuguaglianze sociali, viene poi affrontato il tema della diffusione delle seconde case, delle diverse motivazioni che ne hanno determinato l’acquisto nel tempo e, soprattutto, delle conseguenze di questo fenomeno nei contesti in cui è avvenuto: dall’aumento dei prezzi nel mercato immobiliare, all’insorgere di processi di gentrification, oltre alla stagionalità o limitata periodicità nell’occupazione di immobili per la maggior parte dell’anno chiusi e inutilizzati.

Nella terza parte – Le case in città: geografie, rendita e cittadinanza – gli autori focalizzano l’attenzione sulla dimensione territoriale della questione abitativa da diversi punti di vista. Una prima riflessione riguarda il rapporto fra proprietà della casa e turismo, soprattutto in alcuni centri storici e in alcune aree del paese. Un fenomeno esaltato dalle piattaforme web che si occupano di affitti brevi che hanno contribuito a determinare nuovi processi di estrazione della rendita urbana e, di conseguenza, nuove forme di disuguaglianza in questi territori. Disuguaglianze che, tuttavia, vengono individuate anche nelle aree interne, dove si è costruito molto, in momenti diversi e “con tipologie e morfologie diverse”, che oggi vivono “uno stato di degrado che va di pari passo con lo svuotamento demografico e il rallentamento della crescita economica…” (p. 113). A ciò si sommano forme di abusivismo edilizio, responsabili di consumo di suolo e di problemi ambientali. L’abusivismo edilizio viene indicato come “prodotto di un patto politico” tra “famiglie, imprese e Stato, dove si consente di immobilizzare le rendite dei decenni di crescita passati in manufatti fisici, ammettendo de facto una sanatoria fiscale prolungata nel tempo e consentendo un sacco ambientale di coste e territori urbani e suburbani.” (p. 115).

Al tema dell’abusivismo e dell’estrazione della rendita si connette poi anche quello dei legami fra economie legali ed illegali. Il risultato di questi processi è un’ulteriore crescita delle disuguaglianze sociali e territoriali, che sono alla base di una vera questione democratica, le cui dimensioni vengono ricordate nell’ultimo capitolo di questa parte del testo: ad esempio, l’aumento degli sfratti negli ultimi anni accanto alla crescita degli alloggi vuoti e, allo stesso tempo, la riduzione della disponibilità di affitto sociale tramite l’edilizia pubblica; oppure, l’andamento altalenante della tassazione sulla casa e le disuguaglianze “ereditate”, ovvero generate dai modi in cui uno strumento tributario incide su donazioni e successioni fungendo o no da fattore di riequilibrio intergenerazionale. Proprio il tema della tassazione, tuttavia, fa emergere una considerazione e qualche interrogativo. La considerazione è che se la casa è un indicatore delle disuguaglianze della nostra società, è anche vero che questa rappresenta un terreno su cui si potrebbe agire (attraverso la tassazione) per ridurne l'impatto. L’interrogativo che una società civile dovrebbe tornare seriamente a porsi è se la casa “va tassata” e come farlo in maniera “giusta”, in una logica che abbracci l’interesse collettivo oltre che quello individuale. A queste domande viene implicitamente data una risposta nell’ultimo paragrafo di questa terza parte: la casa – secondo gli autori – non deve essere un bene e il tema dell’abitare deve essere interpretato come “un diritto e non un privilegio” (p. 127).

Nelle conclusioni, gli autori sottolineano quattro ambiti di criticità che, a loro giudizio, le politiche attuali per la casa non sembrano in grado di affrontare.

La prima riguarda il numero elevato di case vuote, tenute vuote per scelta individuale, ma anche per cause esogene. Fra queste – è il secondo noto problematico – l’influenza degli squilibri territoriali, che mette in luce forti disuguaglianze nelle condizioni dell’abitare nelle diverse aree geografiche (spaccature fra aree urbane e aree metropolitane, ma anche fra aree interne e il resto del paese) e nel ruolo del bene casa. Ed infine, una questione cruciale: “l’economia della rendita e la connessa questione sociale” (p. 136). Qui riemerge il tema del mercato degli affitti brevi attraverso le piattaforme informatiche che in parecchie aree del paese è diventata una nuova forma di estrazione della rendita con il conseguente divario nella stratificazione sociale che alimenta. A queste si aggiunge la questione ambientale, ovvero le conseguenze del consumo di suolo, dei cambiamenti climatici legati ai cicli immobiliari dei decenni passati, a loro volta fortemente connessi alla questione sociale al cui centro c’è sempre stato il tema casa. Ciò che gli autori mettono chiaramente in luce è la mancanza di un’attenzione pubblica al tema dell’abitare all’interno delle politiche di welfare, l’assenza di politiche “convintamente redistributive” (p. 139), quasi una legittimazione delle disuguaglianze sociali dove ad essere maggiormente colpiti sono gli individui più fragili.

Il libro è ben scritto, di agevole lettura, e non è difficile concordare con gran parte delle conclusioni a cui giungono gli autori oltre che, pur con qualche distinguo che abbiamo cercato di evidenziare, con i giudizi espressi. Letto in questi tempi dove subiamo gli effetti della pandemia da Covid-19, tuttavia, emerge una domanda di fondo: la realtà è ancora quella descritta?

Il libro è stato pubblicato a febbraio 2020 e scritto poco prima dell’esplosione della pandemia. Qui sta il punto. Da febbraio 2020 – e dai mesi precedenti quando è stato scritto e i dati citati dagli autori e i loro ragionamenti erano, per me, chiari e convincenti, quasi ovvi, – è cambiato qualcosa di significativo. A me, e non solo a me, sembra che la pandemia stia modificando qualcosa di sostanziale proprio in quei processi che il libro affronta: in particolare, il nesso fra casa, abitare e territorio che, come dichiarato nell’introduzione, suscita oggi, più che in passato, un grande interesse nell’ambito delle scienze sociali (p. 14).

Provo a fare qualche esempio. Le aree interne, le aree di fondovalle ai margini di quelle metropolitane, quelle a “rischio di abbandono”, di “degrado” e di “svuotamento demografico” di cui si parla nella terza parte (1), cambieranno per effetto dell’estendersi e del consolidarsi del cosiddetto smart working? La possibilità di lavorare a distanza e il venir meno, in tutto o in parte, della necessità di frequentare quotidianamente i luoghi del lavoro cambierà qualcosa negli equilibri territoriali? Davvero continuerà la fuga dalle aree interne? Un recente articolo (Bréville, 2020) relativo a dinamiche urbane inglesi e francesi post covid descrive situazioni contraddittorie da questo punto di vista, in cui emergono spinte da parte delle classi dirigenti a spostarsi nelle zone rurali con conseguenti processi di “gentrificazione rurale” (Tommasi, 2018), con effetti negativi sulla popolazione locale e, anche qui, nuove forme di disuguaglianze sociali. Dunque, quali caratteri avranno, in Italia, i nuovi squilibri territoriali generati dalla pandemia?

E ancora: quali sono oggi rispetto a un anno fa le dimensioni, quantitative e qualitative, del disagio abitativo, in particolare nella periferia di una grande città? La crescita del disagio è evidente: lo dimostra, pr esempio, l’aumento degli sfratti per morosità incolpevole nelle grandi città. Ma torniamo alla casa in proprietà di cui si occupa il libro: se ne parla, giustamente, come di un elemento che avrebbe dovuto essere un segno del benessere abitativo raggiunto che, in realtà, è diventato uno strumento di riproduzione di disuguaglianze. Oggi invece, nella nuova situazione che stiamo vivendo, sta forse trasformandosi in fattore di disuguaglianze non necessariamente economiche che impattano da altri punti di vista sulla vita quotidiana di molte persone, sulla qualità della loro vita. Affermo ciò facendo riferimento a un piccolo, e forse banale, esempio: ho davanti agli occhi le immagini che rimbalzano dai telegiornali al web di ragazzi che in alloggi della periferia torinese – alloggi probabilmente anche di proprietà della loro famiglia, la cui proprietà in parecchi casi è stata raggiunta come un traguardo negli anni passati con grande fatica e ancora costa cara in termini di mutui da pagare – si contendono il bagno di casa per la loro quota di DAD col tablet o magari anche col solo telefonino! Se è vero – come si afferma nelle conclusioni del libro – che l’abitazione si costituisce “come elemento cruciale nella definizione delle disuguaglianze” (p. 131), allora forse dobbiamo aggiungere che oggi, nella situazione che tutti stiamo vivendo e probabilmente vivremo ancora per un po’, anche la casa in proprietà sembra essere sempre meno qualcosa che garantisce dal disagio abitativo: quello che moltissime famiglie, dal secondo dopoguerra in poi, hanno cercato di lasciarsi alle spalle.

Quelle che pongo sono solo alcune delle domande che la situazione attuale suscita. Esempi di una realtà in cui “più che la casa, ad essere stati abbandonati sono stati gli individui e le famiglie più fragili…”.

Silvia Saccomani

 

 

Note

1) Peraltro, non sono del tutto d’accordo con la visione piuttosto negativa relativa alle cosiddette ”aree interne” fornita dal testo, perché mi pare che negli ultimi anni proprio in parti significative di questi territori si siano sviluppati processi politici e di governance, con riflessi anche economici innovativi, una sorta di opera di “riterritorializzazione”. Di questi c’è traccia, ad es., in alcuni dei testi della raccolta curata da Antonio De Rossi (2018) citata anche in questo testo, e nelle azioni sviluppate dalla Strategia Nazionale Aree Interne

 

 

Bibliografia

Bréville B. (2020), "La rivincita delle campagne. Metropoli private della loro attrattiva dal Covid 19." Le Monde Diplomatique, il manifesto (n.12, dicembre 2020): 1, 15
De Rossi, A., Durbiano G., "Torino 1980-2011. La trasformazione e le sue immagini", Torino, Allemandi
Tommasi G. (2018), "La gentrification rurale, un regard critique sur les évolutions des campagnes françaises", Géoconfluences


 

N.d.C. - Silvia Saccomani, già professore associato di urbanistica, ha insegnato Pianificazione territoriale e strategica al Politecnico di Torino.

Tra le sue pubblicazioni recenti: con F. Governa: nel 2009, "Housing and Urban Regeneration Experiences and Critical Remarks Dealing with Turin", European Journal Of Housing Policy, 9/4; nel 2010 "Il progetto strategico di Torino: risultati e criticità", in: Ingallina P. (a cura di), Nuovi scenari per l'attrattività delle città e dei territori: dibattiti, progetti e strategie in contesti metropolitani mondiali (FrancoAngeli); nel 2013 "La questione della casa e il "diritto alla città", in: Gaeta L., Janin Rivolin U, Mazza L. (a cura di), Governo del territorio e pianificazione spaziale (CittàStudi Ed.); nel 2014 "Torino: una Città Metropolitana di 315 Comuni", Urbanistica, 153; con N. Caruso nel 2017 "Turin Metropolitan Region: From path-dependency dynamics to nowadays challenges", in A. Balducci, F. Curci & V. Fedeli V. (Eds.), Post-Metropolitan Territories: Looking for a new urbanity, Routledge e "Il "tassello" di Torino: le sfide di un territorio in transizione", in: A. Balducci, F. Curci, V. Fedeli (a cura di), Oltre la metropoli. L'urbanizzazione regionale in Italia (Guerini Scientifica); con N. Caruso e E. Pede nel 2018, “La Città Metropolitana di Torino, una questione non solo urbana”, Contesti, 1-2; nel 2019, “Rigenerazione Urbana e Periferie, Guardando Torino. Contraddittorieta’ e Frammentazione”, Archivio di Studi Urbani e Regionali, 125;

Per Città Bene Comune ha scritto: Territori europei tra governo e pianificazione (29 settembre 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

16 APRILE 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

 

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)

 

 

 

 

 

 

I post