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Dopo un anno di sospensione dovuto alla situazione pandemica, mercoledì 5 maggio, alle 18, torna Città Bene Comune, ciclo di incontri sulla città, il territorio, l’ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali, prodotto dalla Casa della Cultura di Milano e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Si tratta dell’ottava edizione di un’iniziativa che quest’anno si tiene esclusivamente online e che è patrocinata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), dalla Società Italiana degli Urbanisti (SIU) e dalla Società dei Territorialisti e delle Territorialiste (SdT). La formula adottata è la stessa dal 2013: un libro (i suoi temi, le questioni che pone, le ipotesi che avanza) e il suo autore (o i suoi autori) a confronto con tre qualificati discussant. Questo allo scopo di promuovere una cultura urbanistica diffusa stimolando la lettura, il pensiero critico e il dibattito pubblico.
Il primo incontro è dedicato al libro di Arturo Lanzani, Cultura e progetto del territorio e della città (FrancoAngeli, 2020), di cui l’autore discuterà con Giancarlo Consonni, professore emerito di Urbanistica del Politecnico di Milano, Dino Gavinelli, professore ordinario di Geografia dell'Università degli Studi di Milano, e Maria Chiara Tosi, professore ordinario di Urbanistica dell'Università Iuav di Venezia.
Una introduzione che è fondamento
Definire questo libro “Una introduzione”, come fa l’autore nel sottotitolo, di primo acchito potrebbe sembrare eccessiva umiltà o falsa modestia. Si tratta infatti di un lavoro di 374 pagine fitte di testo e di centinaia di riferimenti bibliografici riferibili a una pluralità di campi disciplinari che, nonostante la totale assenza di immagini, a tutto fa pensare fuorché a un’introduzione. Leggendolo, invece, si comprendono bene i motivi per cui Arturo Lanzani battezza così il suo Cultura e progetto del territorio e della città (FrancoAngeli, 2020).
In primo luogo, quello di Lanzani è uno sforzo di non secondaria importanza – anzi diciamo pure rilevante per la quantità di letture, teorie e interpretazioni su cui si fonda e di cui sintetizza i concetti chiave – di sistematizzazione degli ambiti dove è allignata la cultura urbana e territoriale occidentale e di tutti, o quasi, i filoni possibili che hanno generato l’idea, tipicamente novecentesca ma di lunghissima gestazione, che città e territorio si possano e si debbano progettare e trasformare ad uso e consumo della società. Siamo cioè di fronte a un tentativo dal carattere quasi enciclopedico che nel suo proposito di richiamare e ordinare campi del sapere che per ragioni diverse intersecano temi urbani e territoriali ci introduce, appunto, in mondi culturali che a loro volta paiono rendersi disponibili a ulteriori approfondimenti, ad altri studi, altre ricerche, altre riflessioni oltre a quelle che in una ampia ma pur sempre sintesi l’autore ci offre.
In secondo luogo, quello di Lanzani appare come il tentativo di accompagnare passo a passo anche il lettore meno ferrato su questi specifici temi in un suo personale percorso interpretativo degli stessi. Nel suo vagare negli ambiti – ammesso che questi siano davvero distinguibili e circoscrivibili – della cultura del territorio e della città oltre che di quella progettuale che li riguarda, Lanzani infatti non teme di apparire eccessivamente descrittivo o perfino didascalico e, senza pedanteria ma con un linguaggio chiaro e la pazienza di un vero didatta, ne scova e ne richiama i fondamenti nella storia e nella riflessione critica che l’hanno attraversata. Inanella senza sosta tesi, punti di vista, scoperte scientifiche che, in sostanza, fanno comprendere quanto proprio quella cultura del territorio e della città oggi troppo poco considerata permei consapevolmente o inconsapevolmente il nostro agire collettivo, il nostro modo di stare al mondo, di abitare la Terra, di vivere con gli altri. E dunque quale sia la sua rilevanza nella storia dell’Uomo, quanto sia radicata nella società occidentale e allo stesso tempo nei paesaggi urbani e rurali, quanto – in altri termini – sia importante per chiunque avventurarvisi senza paura per conoscerla e comprenderla a fondo. Un libro fatto per spiegare, dunque. Dove il punto di vista dell’autore, tuttavia, non è né neutrale né secondario, tant’è che emerge costantemente e chiaramente tra un passaggio e l’altro ma senza prevaricare il lettore. Senza negare altre possibili chiavi interpretative che potrebbero maturare sulla base di quelle stesse argomentazioni portate dall’autore. E infine – questa è la seconda ragione per cui il sottotitolo scelto appare corretto – prospettando, a chi intenda percorrerli, possibili sentieri interpretativi sulla base di quello che sin qui è stato detto, scritto e fatto soprattutto nel mondo occidentale. Ciò che, appunto, viene generosamente ‘introdotto’ nel testo come “primo supporto a un proprio autonomo viaggiare e, quindi – scrive Lanzani –, [come qualcosa] di cui disfarsi al più presto” (p. 13).
Infine, si tratta effettivamente di “una introduzione” perché Lanzani – oltre a ricordarcelo nel testo in due o tre occasioni preannunciando ulteriori sviluppi di questo lavoro – ci conduce fin sulla soglia del periodo in cui l’Urbanistica prende effettivamente corpo e si consolida, quello in cui questa bistrattata disciplina assume le molteplici fattezze sottese alle enormi trasformazioni urbane e territoriali del Novecento. Quelle che in tutto o in parte conosciamo ma di cui, ancora oggi, vengono date interpretazioni assai distanti una dall’altra che non aiutano a leggere il presente e a prefigurare un possibile futuro. L’ultimo capitolo del libro, infatti, si ferma al XVIII secolo ovvero un attimo prima di quando questo sapere incontrerà il suo “momento di massimo e consapevole sviluppo” (p. 333). L’autore sembra cioè aver voluto delineare una sorta di ampia premessa “indispensabile – scrive – per affrontare alcune questioni emergenti nella contemporaneità” (p. 334). Dunque, quella tratteggiata non è una storia disciplinare. Piuttosto si tratta di uno sguardo in prospettiva storica necessario per andare alla radice di temi e questioni che la nostra società è chiamata ad affrontare.
Per tutt’e tre le ragioni ci pare interessante assumere questa “introduzione” come punto di partenza per imbastire, nell’ambito di questa ottava edizione di Città Bene Comune, una riflessione sulle condizioni e il futuro della città, del territorio, dell’ambiente e del paesaggio.
Infatti – rispetto al primo punto – nel panorama di una letteratura scientifica sempre più specialistica, parziale e assai frequentemente eccentrica rispetto al cuore della disciplina – perché la realtà è estremamente complessa da interpretare, perché l’Urbanistica effettivamente appare afasica di fronte a temi e questioni cruciali, per effetto dei meccanismi che nelle università regolano la valutazione della ricerca nonché, infine, perché anche la ricerca ha le sue stagioni e insegue le sue mode – pare utile ogni tentativo di ricostituzione di una cornice conoscitiva ampia e profonda, che sappia intessere i fili della cultura urbana e territoriale tra loro e con quelli più generali della cultura occidentale, qualcosa che in ultima analisi ci consenta di comprendere se l’urbanistica ha ancora senso nella società contemporanea oppure no. In questo – lo diciamo per inciso – Lanzani sembra prestare man forte a Patrizia Gabellini che, nel suo esplorare i caratteri dell’urbanistica contemporanea sulla base della ricerca più recente (v. Le mutazioni dell'urbanistica. Principi, tecniche, competenze, Carocci 2018 di cui si è discusso proprio in questa sede nella scorsa edizione di Città Bene Comune) considerava ormai "ineludibile tentare di decifrare che cosa hanno comportato […] decenni di sconfinamenti e contaminazioni per riuscire a procedere consapevolmente nel lavoro" (p. 12) teorico di ridefinizione dell'identità disciplinare e del suo fare concreto, quello che investe la vita di tutti i cittadini. In altri termini, quello di Lanzani è uno di quei lavori sempre più rari nel panorama della produzione scientifica degli ultimi anni che si configura come un complemento sia agli ‘specialismi’ sia agli ‘strabismi’ disciplinari, senza dubbio utili ma sicuramente anche meno efficaci nel definire lo sfondo in cui si collocano, l’orizzonte generale a cui guardano, il loro senso ultimo. Questo testo – precisa l’autore – lascia “invece ai margini sia le riflessioni e i progetti di chi, agendo sullo spazio urbano e sul territorio, ha fatto proprio un approccio strettamente ‘settoriale’, anziché relazionale (negando, in questo modo, l’utilità di riferirsi a un comune ‘campo di riferimento’) sia chi ha fatto proprio un approccio puramente analitico e distaccato da ogni prospettiva d’azione normativa, progettuale, pianificatoria” (p. 15).
Rispetto al secondo punto sopra evidenziato – quello relativo all’intento pedagogico dell’autore – possiamo considerare questo libro un punto di partenza per una riflessione pubblica perché – come ha sostenuto Giancarlo Consonni in questa rubrica nel suo Le pratiche informali salveranno le città? (15 novembre 2019) – “c'è da vincere l'analfabetismo di ritorno in materia di città che caratterizza tanto coloro a cui spettano le decisioni sulla configurazione dell'habitat quanto gli stessi abitanti”. Una cultura urbanistica diffusa è infatti la precondizione necessaria a qualsiasi vero processo partecipativo sui temi della città, del territorio, dell’ambiente, del paesaggio; alla formazione di una consapevolezza rispetto a ciò che succede intorno a noi che, in sostanza, fa la differenza tra l’essere cittadini e sudditi. Oltre tutto il lavoro di Lanzani non si traduce mai in una forma di indottrinamento rispetto a questa o quella prospettiva culturale ma, al contrario, è volto a creare le condizioni perché nel lettore ne maturi una, qualunque essa sia. Da questo punto di vista restituisce quindi all’Università il suo ruolo civile all’interno della società contemporanea che – pur in una condizione di estrema accessibilità delle informazioni e di altrettanto estrema possibilità di comunicare – è, in realtà, disorientata su molte questioni e incapace di forgiare adeguati strumenti di interpretazione e governo dei fenomeni urbani e territoriali: adeguati rispetto all’entità dei problemi da affrontare, in primis quello ambientale; rispetto alla necessità di rendere le decisioni sul futuro della città e del territorio qualcosa di effettivamente condiviso, democratico, attento alle future generazioni.
Infine – rispetto al terzo punto –, è a nostro avviso essenziale che la legittima critica all’Urbanistica moderna – legittima perché i suoi esiti sono, nel bene e nel male, sotto gli occhi di tutti – che dagli anni Sessanta matura dentro e fuori una disciplina che ha avuto un ruolo cruciale nel definire materialmente le condizioni delle città e dei territori in cui viviamo sia il meno possibile estemporanea, il meno possibile in balia delle mode culturali, delle esigenze del consenso politico o di quelle dei poteri economici-imprenditoriali. Fondata cioè su un patrimonio di conoscenze e di riflessioni ampio che metta il più possibile al riparo da frettolose quanto pericolose semplificazioni.
Un'introduzione (la nostra) ai temi di Arturo Lanzani
Quello che Lanzani compie è dunque un viaggio. Un viaggio nel tempo e nelle culture alla ricerca delle radici di quella urbana e territoriale. Che muove fin dai primi momenti della vicenda umana sulla terra ripercorrendo la nascita dell’agricoltura, dell’allevamento e delle prime forme di stabilizzazione sul territorio da cui “si può osservare – scrive – un continuo e strutturale coevolvere di una componente naturale ed ecologica e di una sociale” (p. 41) e da cui si può dedurre la necessità di “riconsiderare nelle attività di organizzazione del territorio e di progettazione e pianificazione l’ambiente naturale come soggetto co-protagonista e non come un oggetto totalmente plasmabile” (p. 43).
Un viaggio che passa attraverso i processi di ‘territorializzazione’ avvenuti nei secoli, ovvero di appropriazione, nominazione, suddivisione del territorio dove i saperi degli agrimensori e quelli degli agricoltori si confondono, in cui dimensione pratica e sacra sono per lungo tempo inscindibili. Territorio che nei secoli si fa “palinsesto sovraccarico di tracce del passato, dove vecchie e nuove scritture convivono e si sovrappongono” (p. 49) al punto che “il confronto con le preesistenze e con le permanenze o il rifiuto di ogni rapporto con esse (facendo tabula rasa del passato) è un aspetto centrale in qualunque teoria o pratica urbanistica e di pianificazione territoriale” (p. 50). È anche qui che si possono rintracciare i geni di un’urbanistica “come attività più cogente nell’infrastrutturazione e nell’articolazione del territorio” (p. 72) e le prime intersezioni “con una qualche forma di diritto” (p. 75).
Un viaggio che incrocia la nascita dei primi insediamenti, i primi dialoghi tra costruzione e costruzione, tra architettura e spazio aperto e, a seguire, il formarsi delle prime città, a partire dalle quali matureranno nei secoli successivi “potenti economie di agglomerazione” (p. 89), che sono “impronta dell’agire sociale e anche al tempo stesso matrice, vincolo, risorsa, presa di processi sociali” (p. 93), culla della politica e dell’urbanistica. Come, per esempio, testimonia Ippodamo da Mileto nel suo “originale e specifico modo di associare i problemi dell’organizzazione materiale della città con i problemi più generali di organizzazione della vita politica della polis e di distribuzione delle sue risorse” (p. 127). È fin dall’antica Grecia che viene a galla il “carattere pluriattoriale di ogni azione di progettazione e pianificazione urbana e territoriale, ma anche dei confini labili e mobili tra pratiche di governo, pratiche amministrative e pratiche tecniche che – scrive Lanzani – alimentano questo agire” (p. 130).
Un viaggio che passa per quella lunga stagione di transizione tra Impero romano, Medioevo e Rinascimento, dove non mancano le analogie con l’epoca che stiamo vivendo. Anche di questo periodo va colta la lezione e, nell’incertezza attuale, secondo l’autore occorre predisporsi all’ascolto di qualche debole segnale che, oggi come allora, possa indicarci “le tracce di una possibile riorganizzazione territoriale che potrebbe emergere a valle di radicali innovazioni tecnologiche e di profondi mutamenti socio-economici” (p. 151). Guardandosi, tuttavia, dagli estremismi – ammonisce Lanzani – anche sul fronte del progetto urbano e territoriale, ovvero procedendo “senza plateali abbandoni di alcune pratiche di pianificazione e progettazione urbana e territoriale che ci vengono da una lunga tradizione, con ingenue volontà di veloce azzeramento ma attenti a un loro inevitabile uso sempre più parziale” (pp. 151-152).
È tra Basso Medioevo e primo Rinascimento che prende corpo una sorta di “modello idealtipico” della città europea che – osserva l’autore – in molti casi continua a caratterizzare il volto delle città in cui abitiamo ma in cui, al tempo stesso, sono emerse contraddizioni di non secondaria importanza sia tra Otto e Novecento sia tutt’oggi. Attualmente questi tessuti sono infatti in diversi casi fortemente caratterizzati “dall’abitare temporaneo dei consumatori che vi convergono da ampi contesti regionali o da turisti che vi arrivano da tutto il mondo” (p. 170) al punto da risultare sostanzialmente sottratti ai cittadini di quelle stesse città. Tuttavia, la loro spazialità che l’urbanistica moderna in molti casi ha provato a modificare se non a cancellare, andrebbe – secondo Lanzani – riconsiderata per diverse ragioni. In primo luogo – scrive – “per meglio cogliere la diversità radicale dello spazio costruito sempre più diffusamente nel XX secolo [e quindi per spiegare] una sorta di alterità antropologica di questo spazio di contatto e scenico, da quello contemporaneo di connessione e di rete e per l’essere una sorta di apogeo di un’idea di architettura urbana da cui prendiamo commiato, senza – afferma – una piena consapevolezza di ciò che stiamo perdendo […] oppure per certi versi, all’opposto, per meglio comprendere le ragioni che ancora li fanno apprezzare, per svelarne la ‘lezione’ che da essi si potrebbe trarre per meglio lavorare nella città contemporanea, evitando retrograde ipotesi di mimetica riproduzione, ma cogliendone alcuni dei tratti più profondi” (p. 171). In altri termini, in fatto di progetto urbano la cultura scritta nelle pietre e nei mattoni delle città medioevali e rinascimentali – di cui Lanzani individua i caratteri essenziali e le ragioni economiche, sociali e culturali che li hanno determinati – può ancora, a saperla e volerla leggere, insegnarci molte cose.
Un viaggio che attraversa il Quattrocento – incontrando trattatisti, utopisti, progetti di città immaginarie intrecciati a ipotesi di governo urbano e territoriale – quando “il controllo dell’immagine della città comincia a realizzarsi anche attraverso la gestione fortemente coordinata se non unitaria delle trasformazioni urbanistiche relative ad alcune importanti porzioni urbane” (p. 195). O che attraversa gli oltre due secoli che vanno dalla scoperta dell’America al manifestarsi dei prodromi della rivoluzione industriale. E dunque passa dalla cultura barocca – che “valorizza la dimensione scenografica dello spazio urbano, la possibilità che lo sguardo scorra senza interruzione, l’idea che dai vuoti urbani – strade e piazze – si definiscano i pieni degli edifici attraverso una rigida regolazione dei caratteri omogenei della cortina edilizia” (p. 249) –. Passa dal progressivo affermarsi di uno spazio urbano caratterizzato da “un’integrazione tra progettazione e valori comuni, ripetibili e uniformi, e [dalla] valorizzazione di una tecnica che, in senso leonardesco, non ha assunto ancora i tratti dittatoriali e totalmente disgiunti dalla sensibilità artistica e da una sensibilità ‘per la vita di ogni giorno’” (p. 256). Arriva fino all’affermazione della rivoluzione industriale che, per tutta una serie di articolate ragioni e interventi sul territorio garantiti dal progredire delle tecniche e dalle conoscenze cartografiche, statistiche, amministrative o agrarie, comincia – secondo Lanzani – a mettere in discussione “l’originario dualismo medievale-rinascimentale tra città e campagna in Europa e inizia a delineare quei quadri ibridi urbano-rurali che così spesso caratterizzeranno la geografia insediativa del XX secolo” (p. 300).
Un viaggio, infine, che passa anche dalle forme di descrizione e rappresentazione (cartografica, pittorica, letteraria) di città, territori, paesaggi e dai processi di maturazione di alcuni concetti chiave per la cultura urbana e territoriale soprattutto per i riflessi che hanno avuto, e hanno tutt'oggi, sul loro progetto e le loro trasformazioni. Ci riferiamo, per esempio, a quello di ‘spazio’ “dove le cose (e le persone) possono essere collocate qui e altrove, senza pregiudicare il loro essere, e dove la localizzazione è totalmente indipendente dalla cosa” (p. 233). A quello di ‘luogo’ che – secondo Lanzani – “può essere inteso per il suo intimo legame con le cose, le persone e le storie che vi prendono forma e vi danno forma, come una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun’altra, che non può essere scambiata con nessun’altra senza che tutto cambi” (p. 214). O a quello di ‘paesaggio’ che può essere inteso come “un dispositivo di pensiero che lega in modo indissolubile ciò che vediamo e come lo vediamo” (p. 354).
Questo, in estrema sintesi, è il lungo viaggio in cui ci accompagna Lanzani. E questa è solo la prima tappa.
Renzo Riboldazzi © RIPRODUZIONE RISERVATA 30 APRILE 2021 |