Renzo Riboldazzi  
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PROGETTARE CON LA NATURA


Michele Manigrasso a Città Bene Comune



Renzo Riboldazzi


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Mercoledì 12 maggio prosegue Città Bene Comune, ciclo di incontri sulla città, il territorio, l’ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali, prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e patrocinato dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), dalla Società Italiana degli Urbanisti (SIU) e dalla Società dei Territorialisti e delle Territorialiste (SdT). Alle ore 18 – in diretta streaming sul sito web e sui canali Facebook e YouTube della Casa della Cultura – Michele Manigrasso – autore di La città adattiva (Quodlibet, 2019) – dialogherà con Massimo Angrilli, professore associato di Urbanistica all’Università degli Studi 'G. d'Annunzio' Chieti-Pescara, Eugenio Morello, professore associato di Tecnica e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano e Laura Ricci, professore ordinario di Urbanistica alla Sapienza Università di Roma.

 

 

Perché questo libro

Nel 1969 l’architetto scozzese Ian McHarg pubblicava a New York, per tipi di Natural History Press, Design with Nature, un libro che insieme e sulla scia di altri – The image of the city di Kevin Lynch (1960), The death and life of great American cities di Jane Jacobs (1961) o Townscape di Gordon Cullen (1961), per citarne alcuni – inaugurava una stagione di revisione critica dell’urbanistica moderna e, nel caso specifico, di ripensamento del disegno urbano in rapporto alla natura e al paesaggio. Il libro ebbe successo. Fu tradotto in diverse lingue e tutt’oggi lo si trova nelle librerie, anche in Italia. Ciò che qui interessa, tuttavia, è che questo testo ha aperto un solco entro il quale nel tempo sono poi germogliati diversi altri semi di un approccio al progetto urbano che persegue la sintonia non solo con i contesti fisici o sociali ma con la natura e, più in generale, con l’ambiente. Tra gli ultimi possiamo annoverare quello di Michele Manigrasso, La città adattiva. Il grado zero dell’urban design (Quodlibet, 2019), un lavoro che torna a intrecciare due temi che ai più appaiono ancora lontani: natura e disegno urbano, appunto.

Ritornare su questa relazione oggi non è un vezzo intellettuale. Tanto le condizioni ambientali di una molteplicità di contesti, così come quella della Terra nel suo insieme, quanto le ragioni culturali, sociali ed economiche nelle quali dovrebbe trovare la sua legittimazione il disegno urbano sono profondamente cambiate e vanno necessariamente riconsiderate e ripensate. L’antropizzazione del territorio – ovvero il nostro modo di edificare e trasformare i contesti naturali, i nostri modi di produrre e commerciare alimenti, beni o servizi così come i nostri stili di vita (quando diciamo ‘nostri’ intendiamo soprattutto delle società occidentali e orientali fortemente sviluppate e di tutto ciò che queste hanno esportato nei paesi del Terzo Mondo) – è stata ed è tutt’oggi altamente impattante sugli ecosistemi locali e planetari. E – lo hanno denunciato e lo stanno denunciando in molti – lo è stata e lo è al punto da aver alterato e continuare ad alterare i delicati equilibri ambientali che nel lungo periodo ne avevano regolato l’esistenza, che avevano consentito la vita sulla Terra, finendo col mettere a repentaglio se non il pianeta sicuramente la vita o la salute delle persone e di molte specie animali e vegetali. Una situazione che – ha scritto per esempio Maurizio Carta in questa rubrica – “ci chiama, come urbanisti, a una nuova sfida: ridurre l’impronta ecologica delle attività umane sul pianeta rimodellando lo spazio insediativo e utilizzare attivamente l’intelligenza collettiva che deriva dalle idee e dalla sensibilità umana nei confronti dell’ambiente re-immaginando le funzioni urbane” (17 gennaio 2019), ma anche – aggiungiamo noi confortati dall’autore del libro – le forme degli insediamenti e le loro relazioni con i contesti paesaggistici e naturali.

È di questo che, in estrema sintesi, ci parla Michele Manigrasso. Del contributo che l’urbanistica può dare tanto alla riduzione degli impatti dell’antropizzazione sull’ambiente e soprattutto di quello che può/deve dare (ormai – dimostra – è diventato un imperativo imprescindibile) alla prevenzione e alla mitigazione delle conseguenze che – emerge chiaramente nel libro – sono sempre più devastanti, pericolose e persino costose. La ricca messe di dati che l’autore snocciola attingendo da una serie di attendibili fonti scientifiche è eclatante. Gli effetti del cambiamento climatico determinati dall’azione antropica sono – oggi, nel presente di ciascuno di noi – tangibili e misurabili in termini di distruzioni di contesti urbani, di messa a repentaglio della vita e della salute, di costi che le comunità devono sostenere per rimediare a tutto ciò. Soprattutto le esondazioni e le ondate di calore sono fenomeni che colpiscono con frequenza crescente anche realtà come la nostra in cui per secoli le condizioni ambientali sono state decisamente favorevoli alla vita dell’uomo e – pur nell’incertezza previsionale che caratterizza questo tipo di studi – non sono certo destinate a diminuire. Così – osserva Valter Fabietti nella postfazione del libro intitolata L’urban design come strumento di mitigazione del rischio – il tema del mutamento climatico trova […] una specifica declinazione [e giustificazione] nelle politiche urbane e disegna nuovi possibili scenari e corsi d’azione che inevitabilmente oltre a richiedere una revisione delle discipline dell’urbanistica e dell’architettura rispetto al proprio ruolo, costituisce [l’occasione per] una riflessione critica sulle capacità di adattamento delle città e, di conseguenza, sui modi di costruzione/ricostruzione della città stessa” (p. 380).

Non limitarsi a immaginare politiche (che pure non vengono trascurate) per affrontare il problema e restituire al progetto urbano, nella sua specifica accezione di disegno dei contesti, un ruolo cruciale per la società contemporanea non è cosa secondaria. Non lo è innanzi tutto perché la questione da cui muove questa scelta è di una tale rilevanza che se questa fosse – come prova a dimostrare Manigrasso catalogando pazientemente un’infinità di casi concreti – una possibile seppur parziale soluzione di certo andrebbe considerata. E non lo è per il ruolo, via via sempre più marginale, a cui era stata relegata questa dimensione progettuale nell’urbanistica del secondo dopoguerra e soprattutto negli ultimi decenni. Da un lato - ci riferiamo agli anni più recenti - abbandonata dalla pubblica amministrazione alle esigenze e ai desideri degli operatori immobiliari che in molti contesti – anche quelli europei dov’era più forte la tradizione di una pianificazione pubblica attenta al controllo delle forme urbane – non ha saputo o voluto governare tale aspetto fondamentale per la qualità della vita dei cittadini. Dall’altro ridotta – come ha osservato Cristina Bianchetti nel suo Spazi che contano. Il progetto urbanistico in epoca neo-liberale (Donzelli, 2016) di cui si è discusso in questo ciclo nel maggio 2017 con Vittorio Gregotti, Giancarlo Paba e Pier Carlo Palermo – a scelte progettuali “riferite alla grammatica delle azioni di un soggetto scarnificato, astratto, che si muove in modo assolutamente prevedibile. [Con il risultato che] il problema – secondo Bianchetti – [si era dunque ridotto a essere quello di] «reconquérir les rues»: ovvero togliere macchine, mettere persone; limitare regolamenti, moltiplicare la paccottiglia sui frontages, nuovo suolo sacro dell’abitare contemporaneo. E tutto ciò – scrive – in nome dell’armonia, dell’estetica, dell’igiene, della sicurezza, della tranquillità” (p. 71).

La domanda che vien da porsi – a cui Manigrasso per molti versi risponde nella sua articolata trattazione – è dunque: quale disegno urbano? O, meglio, quali caratteristiche deve avere un progetto urbanistico che muove da problemi dell’entità di quelli descritti dall’autore? Ma, soprattutto, quali forme di urbanità devono o possono assumere i contesti edificati per affrontare e rispondere efficacemente agli effetti della crisi ambientale? Ciò che Manigrasso propone – così come per certi versi avevano già fatto Ivan Blečić e Arnaldo Cecchini nel loro Verso una pianificazione antifragile. Come pensare al futuro senza prevederlo (FrancoAngeli, 2016) di cui si era discusso in questa sede nel 2017 con Corinna Morandi, Maurizio Tira, Andrea Villani – sono un progetto (dunque una qualche forma di prefigurazione) e una città o un territorio (dunque qualcosa di assolutamente concreto) che – oltre a mettere in campo tutti gli strumenti di cui oggi disponiamo per ridurre gli impatti dell’antropizzazione sull’ambiente e sul clima – sappiano in qualche modo da un lato accogliere o quanto meno accettare l’imprevisto degli eventi naturali, dall’altro riadattarsi rapidamente sempre e il più possibile in sintonia con la natura, non – questo è importante – in opposizione a questa. E nel fare ciò colgano tale occasione per ridisegnare città e territori restituendo allo spazio pubblico (urbano, periurbano o extraurbano) un ruolo significativo.

Ciò che in sostanza Manigrasso auspica – ed è forse questo l’aspetto più interessante del libro – non è tanto il progetto di nuove e più potenti strutture che assumano un atteggiamento dal carattere puramente difensivo dagli effetti dei cambiamenti climatici così come se ne sono realizzate a bizzeffe nel corso del Novecento per proteggere le coste marine, fluviali o per imbrigliare nel cemento fiumi e torrenti. Quanto, piuttosto, il ricorso a strategie e tecniche che sappiano accogliere l’imprevisto di tipo climatico; che ne prevedano nel modo più naturale possibile la soluzione o almeno la gestione; che, al contempo vadano nella direzione di ricostruire relazioni più equilibrate tra Uomo (il singolo e la società, le case, le strade, le fabbriche, ecc.) e Natura. Non tutti gli esempi riportati nel libro vanno contemporaneamente in tali direzioni e dunque non tutti sono, da questo punto di vista, convincenti. Ci sono casi in cui, per esempio, la soluzione del problema delle esondazioni ha comportato la realizzazione di strutture caratterizzate da livelli di artificializzazione non secondari oppure altri in cui l’urbanità si è fortemente appannata a favore di una più stretta relazione tra casa e natura. Tuttavia, l’insieme di questi esempi che Manigrasso ha raccolto e studiato rappresenta, nel suo insieme, la prova che andare nella direzione che prospetta non solo è necessario ma è anche tecnicamente e progettualmente possibile. Avvalora cioè la tesi che “l’adaptive urban design – a cui Manigrasso ci invita con forza a guardare – realizza una ‘terza natura’ implicita nei luoghi e capace di attivarsi per dare forma al cambiamento” (p. 371).

Renzo Riboldazzi


© RIPRODUZIONE RISERVATA

07 MAGGIO 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)

 

 

 

 

 

 

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