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I tempi calamitosi che stiamo vivendo, rivelati in tutta la loro drammaticità dalla pandemia da Covid-19, squadernano le contraddizioni e le insostenibilità sulle quali si è edificata la globalizzazione planetaria. Eppure, almeno dai tempi del Rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo, per non parlare di autori come Bateson, Latouche, Panikkar, Shiva e in tempi più recenti Magnaghi e Sloterdijk, lucide analisi sull’insostenibilità – ambientale, etica, economica – del modello di sviluppo globale non sono certo mancate, inascoltate da pressoché tutti i fronti politici e geopolitici. Troppi i presupposti e gli sfondi ideologici e gli enormi interessi economici che sarebbero stati messi in discussione, tutti accomunati dall’ideale faustiano e nichilistico dello “sviluppo”; troppe le retoriche e le autoidentificazioni intellettuali e ideologiche cui restare abbarbicati contro ogni evidenza. Oggi, stracciate in un tempo rapidissimo e drammatico le giustificazioni e le ideologizzazioni che le avevano avallate nel mondo dell’intellettualità, occorre più che mai insistere nel fare il punto della situazione concettuale, interpretativa, economica e dunque strategica del mondo in cui ci siamo ritrovati. Il volume di Ottavio Marzocca, Il mondo comune. Dalla virtualità alla cura (Manifestolibri, 2019), riprende una serie di argomenti analizzati dall’Autore in precedenza, in dialogo con le principali correnti di pensiero, filosofico ed economico, che definiscono le due macroprospettive di comprensione e di intervento sul mondo globalizzato, quella tecno-economico-finanziaria e quella (in realtà una costellazione di approcci) volta alla salvaguardia e valorizzazione dei beni comuni, o meglio di quel bene comune supremo che è la Terra nelle sue varie incarnazioni territoriali e culturali.
In questo volume Marzocca, docente di Filosofia etico-politica e Politica del mondo comune all’Università di Bari, affronta il tema dell’insostenibilità dell’abitare contemporaneo nel mondo, insieme con la crisi della democrazia liberale, ma soprattutto registra la drammatica distruzione del bene comune, che pure oggi è posto come obiettivo vitale per la sopravvivenza non solo delle culture, ma anche dello stesso pianeta. Il nuovo cosmopolitismo politico – rappresentato da due schieramenti contrapposti, le istituzioni internazionali globali da un lato e le organizzazioni non governative e le forme di cittadinanza consapevole che denunciano i rischi globali dall’altro – insieme al ricorso a specifici modelli interpretativi della catastrofe ecologica globale, tendono a eliminare le dimensioni del mondo comune, le specificità dei luoghi, ma anche a denegare l’immensità della crisi ambientale e a delegittimare le modalità “ethiche” (da ethos) di vivere, progettare e produrre sul pianeta, che pure hanno costituito un contromovimento e una nuova modalità del pensare il nostro rapporto con la Terra. Marzocca evidenzia come sia il neoliberismo ad aver maggiormente accentuato il distacco (se non l’ostilità) dal pianeta come bene comune per eccellenza, rendendo tutto, anche la Terra e i disastri ecologici, strettamente fungibili all’interno di una prospettiva economicistica in cui ogni dimensione o problematica può essere ridotta alla prospettiva di un calcolo economico; d’altro lato, proprio la tecnica, esaltata come salvifica, è ciò che, con i suoi effetti e processi in realtà incalcolabili e distruttivi, fa sì che “l’esposizione rischiosa della società al futuro è cresciuta incalcolabilmente, rendendo definitivamente impossibile ricondurre al dato ‘naturale’ ciò che può accadere” (p. 134). La denegazione faustiana dei limiti, la spinta all’oltrepassamento che trova nella tecnica scatenata e negli imperativi distruttivi della mondializzazione il suo carburante, nonostante segni inquietanti, crisi e crolli nelle costruzioni dettate dalla potenza tecnica e dalla rincorsa alla “crescita” economica, non manca di generare solerti interpreti e visioni sempre più distopiche che poi finiscono per realizzarsi (si veda la pandemia globale del covid), rivelando fragilità costitutive insite nel funzionamento stesso della megamacchina planetaria. Perciò le strategie del cosiddetto “sviluppo sostenibile”, di cui Marzocca ricostruisce puntualmente le ascendenze, non a caso affiancheranno, con i concetti di rinnovabilità, capitale naturale, contabilità ambientale, quelli economicistici di rendimento, produttività biologica, efficienza, ritraducendo l’inaggirabile e drammatica questione della sopravvivenza di un pianeta abitabile in una faccenda di bilanci e di rilanci autodistruttivi. Questo approccio alla governamentalità politica ma anche ambientale, Marzocca, attento studioso di Michel Foucault, lo identifica nel neoliberalismo, per il quale mercatizzazione dell’ambiente e green economy non sono in contraddizione e anche l’ethos individuale e sociale possono rientrare nelle proprie pratiche di governo. Marzocca mostra come l’approccio foucaultiano – decisivo per quanto riguarda la comprensione del potere esercitato attraverso il controllo e la messa in forma del territorio, dello spazio architettonico e dell’ambiente – sia fondamentale per comprendere le trasformazioni del mondo attuale, dominato dalla deregulation dell’uso del suolo, dell’urbanizzazione illimitata e della privatizzazione crescente dello spazio, peraltro dominato dal ruolo chiave accentratore e privatizzato delle global cities (p.198): “Non è inutile rimarcare il fatto che il capitalismo oggi è l’impedimento maggiore alla liberazione politica e alla cura ecopoietica del mondo, come dimostrano le sue attuali forme trans-politiche, meta-territoriali e anti-ecologiche” (p. 258), capitalismo che si è coniugato anche alle varie versioni del socialismo, anch’esso dominato dall’ethos economico-produttivistico. Analogamente, non va minimizzata l’azione capillare della virtualizzazione inarrestabile del mondo in tutti i suoi aspetti, nel progressivo appannarsi delle distinzioni locale/globale, prossimo/remoto, presente/assente, tangibile/virtuale, vero/falso, che nella retorica delle “narrazioni” sembra poter liquidare come pura prospettiva soggettiva la distinzione locale/globale che è alla base delle visioni dei movimenti che riscoprono la centralità del locale nella progettazione dei territori e delle loro dinamiche, teorizzate e sperimentate dalla Società internazionale dei Territorialisti, di cui Marzocca è un importante esponente. Il presupposto teorico del pensiero territorialista, con tutte le implicazioni progettuali, etiche e politiche che ne derivano, è il concetto di luogo come identità di lunga durata: la territorializzazione è l’opposto della delocalizzazione e della volatilità globalista, il suo sforzo di ri-costruzione dell’identità dei luoghi è la forma di resistenza alla deterritorializzazione ubiquitaria e in-differente, che cerca forme resilienti, responsabili e partecipate dell’abitare nel mondo, ogni volta specifico di una vocazione (il genius loci) e di un “locale” come riscoperta e progetto condiviso del territorio, teorizzato e articolato con lungimiranza e tenacia da Alberto Magnaghi, fondatore del progetto territorialista italiano e poi internazionale (www.societadeiterritorialisti.it).
Non a caso l’ultima sezione del volume di Marzocca è intitolato Koinon ethos: è il mondo comune con i suoi beni e le sue forme genealogiche, espressive, associative, identitarie e progettuali che deve essere riscoperto, ripensato e riprogettato con consapevolezza e responsabilità etica e politica. In particolare, ambiente, territorio, città e terra costituiscono beni comuni necessari a tutti, ma anche “sottoposti al rischio di rapido e irreversibile degrado” (p. 222), che vanno compresi nelle specifiche forme di differenziazione e di funzione, ma soprattutto come beni comuni di cui deve essere garantita la possibilità di fruizione collettiva, e dunque la regolazione dei loro limiti, del loro uso, della loro gestione (come nello stato italiano accade per il paesaggio e il patrimonio storico-artistico), tenendo conto di quei caratteri individuanti di lunga durata che ne definiscono la singolarità (quelli che Magnaghi chiama le “invarianti”, ma anche gli “usi” civici, regole consolidate di impiego della terra).
Ethos e oikos, dunque, non si possono separare, come ha argomentato a suo tempo e definitivamente Martin Heidegger; la deterritorializzazione e il degrado dell’ambiente sono le facce di una stessa medaglia, anche se per troppo tempo sono stati visti come problemi distinti, comunque non degni di essere pensati e assunti come questioni etiche e politiche, dispersi e travisati ideologicamente. È solo con l’incrinarsi rapido e catastrofico delle tracotanti certezze moderne che la consapevolezza antropocenica si fa strada, sia pur sempre troppo debolmente, a fronte dall’orizzonte catastrofico di quei “tempi interessanti” – evocati nella maledizione cinese in quest’ultimo anno così spesso citata – che si sono condensati nella distopica pandemia planetaria. D’altra parte, Marzocca non manca di sottolineare che “l’emergenza come normalità sia una componente tutt’altro che secondaria della situazione in cui l’interagire fra processi di globalizzazione economica e pratiche di governo pongono il territorio”: di fatto “le emergenze rappresentano un elemento sempre più ricorrente del quadro in cui le questioni territoriali vengono affrontate” (p. 193), come mostra la terribile impreparazione del territorio lombardo nell’affrontare la pandemia, nonostante la sua ricchezza economica. In fondo, proprio la pandemia potrebbe rappresentare una formidabile occasione per decostruire dalle fondamenta il prevalente approccio tecnicistico astratto alle questioni che minacciano l’umanità nel suo insieme, sia pur sempre con specifiche accentuazioni locali; per farlo, però, occorrerebbe sovvertire il primato dell’“uso-consumo” con quello dell’“uso-cura” (p. 234). Espressione di una posizione e di un lessico etico che appaiono ai più desueti, in totale antagonismo con l’imperativo assoluto del consumo sulle cui fragili e immorali basi si è edificata la società contemporanea, la cura riconnette nella consapevolezza e nelle scelte “la dimensione naturale del vivere e il mondo artificiale dell’abitare”, assumendo un insopprimibile significato etico: “essa diviene ethos, che è un altro modo di vivere e una forma di co-esistenza e maniera di stare al mondo (ibidem).
Luisa Bonesio
N.d.C. - Luisa Bonesio, già professore associato di Estetica all'Università di Pavia e di Geofilosofia del Paesaggio in vari corsi e scuole di specializzazione, da molti anni dedica la sua riflessione teorica alla geofilosofia, in particolare alle forme della modernità, al territorio, al paesaggio e alle tematiche dei luoghi. Accanto a quella didattica e di ricerca ha sempre affiancato un'intensa attività divulgativa. È stata responsabile scientifica del Festival del Paesaggio del Comune di Pavia (2006-2008); è membro del Consiglio direttivo e del Comitato scientifico della Società dei Territorialisti; fa parte del Comitato scientifico dei periodici "Scienze del Territorio" e della collana "Territori" edita da Florence University Press. Dal 2015 dirige il Museo dei Sanatori di Sondalo, che ha contribuito a fondare (www.museodeisanatori.com), ed è membro del comitato scientifico del Progetto Emblematico Cariplo “Le radici di una identità. La Valtellina dalla preistoria al Medioevo”.
Tra i suoi libri: Lo stile della filosofia. Estetica e scrittura da Nietzsche a Blanchot (FrancoAngeli, 1983); Il sublime e lo spazio. Ricerca sul simbolismo dell'ideale estetico (FrancoAngeli, 1985); La ragione estetica (Guerini, 1990); La terra invisibile (Marcos y Marcos, 1993); Geofilosofia del paesaggio (Mimesis, 1997); Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia (Arianna Ed., 2002); Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale (Diabasis, 2007; Mimesis, 2017); con C. Resta (a cura di R. Gardenal), Intervista sulla Geofilosofia (Diabasis 2010); con D. Del Curto (a cura di) Il Villaggio Morelli. Identità paesaggistica e patrimonio monumentale (Diabasis 2011; Mimesis 2017).
Per Città Bene Comune ha scritto: Emendare i territori intessendo relazioni (8 novembre 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 02 LUGLIO 2021 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Luca Bottini Oriana Codispoti Filippo Maria Giordano Federica Pieri
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2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
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- cultura paesaggistica:
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G. Amendola, La città è fatta di domande, commento a: A. Mazzette e S. Mugnano (a cura di), Il ruolo della cultura nel governo del territorio (FrancoAngeli 2020)
C. Bianchetti, Incoraggiare rotture e nuovi germogli, commento a: Camillo Boano, Progetto Minore (LetteraVentidue, 2020)
M. Balbo, La città pensante, commento a: A. Amin, N. Thrift, Vedere come una città (Mimesis, 2020)
G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)
R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)
S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)
G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)
R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)
M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)
S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)
G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)
E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)
R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)
C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)
F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)
G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)
M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)
F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)
F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)
P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)
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