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Walter Tocci è personaggio popolare a Roma, non solo tra coloro che hanno a cuore le sorti della città e nemmeno esclusivamente per la sua esperienza passata di vicesindaco e assessore alla Mobilità nelle giunte di sinistra. La sua popolarità è legata al suo impegno assiduo di studioso, ricercatore, militante che si è speso senza riserve per cercare di analizzare e affrontare il declino di questa città. Lo testimoniano, tra l’altro, i suoi libri diventati testi fondamentali per chiunque si accinga a studiare Roma: da (solo per citarne alcuni), Roma. Non si piange su una città coloniale (goWare, 2015) a Avanti c’è posto. Storie e progetti del trasporto pubblico a Roma (Donzelli, 2008).
In quest’ultimo libro, Roma come se. Alla ricerca del futuro per la capitale (Donzelli, 2020), Tocci torna ai temi a lui cari con un valore aggiunto rispetto ai precedenti, ovvero la domanda su come Roma saprà, o potrà, rielaborare l’eredità storica che tanti al mondo le invidiano: “Come utilizzare le formidabili opportunità che possiede considerato che di queste se ne osservano, al momento, solo gli aspetti negativi legati al collasso dell’amministrazione pubblica?”. Innescando un dibattito pubblico che nella capitale manca da anni, forse dai tempi di Petroselli, anche se associazioni e gruppi (che a Roma non mancano) tentano inutilmente di aprirlo nei riguardi di una amministrazione cieca e sorda.
Il voluminoso libro si compone di diverse parti, ma è sulla proposta, Roma come se…, che Tocci invita a riflettere: quale destino per Roma? Tocci parla di percorsi interrotti: “il cozzo delle idee”, come sosteneva Quintino Sella, inteso come luogo internazionale del confronto dei saperi moderni e della ricerca scientifica, o la rinascita dell’Agro, nel tempo saccheggiato e sfigurato. E da questi sentieri interrotti c’è forse la via d’uscita dalla crisi della città coloniale – nel libro è ricorrente il richiamo alla poesia di Pasolini, Non si piange su una città coloniale (1) –. Un cambiamento di paradigma, dunque: “se la capitale otto-novecentesca è stata generata dalla coppia nazione-città, la capitale del nuovo secolo troverà le sue opportunità nella coppia mondo-regione”, intesa “come un insieme di relazioni orizzontali, di natura sociale e culturale, nell'economia endogena e creativa” (p. 28).
In questo riannodare i fili della storia risiede forse il vero concetto di modernità tanto agognato: rielaborare criticamente l’eredità ricevuta. Non la modernità fatua di architetture senza storia che appartengono a un circuito internazionale indifferente ai luoghi né quella effimera dell’industria del turismo di massa che il Covid ha messo a tacere. Contro la mercificazione dell’architettura e dell’urbanistica omaggiante ai nuovi riti e ai valori del mercato che stravolgono e sfigurano l’immagine della città, proporre un centro mondiale della produzione di cultura.
“In conclusione” afferma Tocci “i sentieri interrotti costituiscono la dolorosa domanda su come sarebbe stata la capitale se fossero stati realizzati i migliori propositi dell’Ottocento. La riflessione storica qui non solo non è pacificata ma sovverte il conformismo attuale e riapre la prospettiva” (p.28). Rievocando questo passato, Tocci sembra anche penetrare nel mistero dell’identità o “natura” (chiamatela come volete) romana come, a suo tempo, riuscì solo ad Anna Maria Ortese con Napoli – Il mare non bagna Napoli (2) – descrivendo la crisi politica ed esistenziale di Luigi Compagnone, allorché questo impegnato intellettuale di sinistra si accorge che l’anima della città era più forte di qualsiasi ideologia. E a Roma la retorica politica che in passato è stata utilizzata dalle classi dirigenti per esaltare il discorso nazionale (Cavour, il fascismo), si è trasformata in una “metonimia” più ambigua dove ha prevalso lo stereotipo romano: “il cinismo, il barcamenarsi, il favoritismo” (p.9), quei difetti diventati celebri nei racconti di Carlo Levi (3).
Una ulteriore riflessione riguarda lo stereotipo del “ritardo” o dell’arretratezza “che è sempre stato l’argomento principale del discorso pubblico” (p.15). In proposito Tocci sembra ripercorrere le orme di Franco Cassano (Il pensiero meridiano) quando dice: “tuttavia, paradossalmente, Roma può essere contemporanea proprio perché non è stata moderna. O meglio può interpretare la tarda modernità proprio perché ne ha conosciuto la vitalità dell’inizio e ne ha evitato il successivo irrigidimento nel sistema” (p. 52). O l’angelo della storia di Benjamin quando Tocci afferma che: “in una città storica, ancora in cerca di una sua storicità, il futuro non è rivolto progressivamente in avanti ma procede di spalle con lo sguardo turbato verso le rovine di ciò che è stato” (p. 53). E ancora, a proposito dello stereotipo di “ritardo” suonano profetiche le parole di Nicolini: “ Che bisogno c’era [… di] adattare Roma alla miseria di dover diventare moderna? Un insulto quando si gode della sorte di essere di più di una città moderna” (4). E forse oggi, aggiungo io, in piena pandemia, bisognerebbe riflettere sul presunto “successo” della città di Milano vista come il modello vincente della modernità.
Roma come se è appunto il naturale epilogo di una possibile nuova storia che sa guardare al futuro con lo sguardo rivolto al passato. Il “messaggio nascosto” è che c’è bisogno di una nuova visione politica (una politica visionaria, verrebbe da dire) che sa valorizzare le storie e le bellezze del passato. Nel marasma generale della politica romana, con schiere di aspiranti sindaci mossi da grandi ambizioni e idee non sempre all’altezza e il tracollo di una miope amministrazione pubblica, lo sguardo “visionario” di Tocci restituisce senso e concretezza al passato, e presente, di una città che non ha nulla da invidiare alle altre sue “simili” situate ai vertici di una ipotetica classifica mondiale, perché possiede nel proprio dna i germi fecondi del proprio sviluppo e l’antidoto ai mali della falsa modernità.
Roma ha, inoltre, una peculiare diversità da tutte le altre città italiane. Che consiste nel fatto che in questa città sono al lavoro centinaia di gruppi, associazioni, organizzazioni e singoli che svolgono attività di sussidiarietà, di assistenza, di cura senza la quale la città sarebbe in balia della propria profonda crisi. Tuttavia, questi gruppi e associazioni sono spesso in concorrenza tra loro, custodi gelosi della propria identità e del proprio pezzo di territorio conquistato, senza che nulla cambi, anzi rafforzando, involontariamente, un equilibrio instabile che perdura da anni: “L’amministrazione si chiude nei suoi automatismi proprio mentre le istanze e le aspettative diventano più complesse. D’altro canto anche le esperienze sociali spesso sono costrette a ripiegare per proteggere il proprio progetto, avendo perso la fiducia in un cambiamento più generale” (p. 259).
Tocci, coerentemente con le proprie analisi, propone di abolire il vecchio Comune di Roma, considerato un’istituzione troppo grande e al tempo stesso troppo piccola: “troppo grande quando deve rispondere ai problemi dei quartieri e dei servizi alla persona, come un elefante che coglie un fiore. Troppo piccola rispetto ai fenomeni sociali e urbanistici che hanno superato di gran lunga i pur ampi confini comunali” (p. 225). Ed ecco dunque la proposta: “in alto la Città metropolitana che con le nuove risorse diventa l’istituzione del governo strategico della città consolidata e della sua Corona, […] in basso gli attuali municipi trasformandoli in comuni urbani, come quelli di Berlino, Parigi, Londra, pienamente sovrani nella dimensione locale e nei rapporti con i cittadini” (p. 226). Una proposta che viaggia ortogonalmente allo stato delle cose, dove la Città metropolitana è oggi “una scatola vuota” (p. 226) e i Municipi non hanno pressoché alcun potere nel rispondere ai bisogni dei propri cittadini.
Il libro di Tocci apre nuovi sentieri a questa crisi senza rimuoverne la memoria storica ma anzi partendo da questa e delineando percorsi possibili a partire dalle formidabili (e latenti) opportunità che essa già offre, ma mai sfruttate. A conclusione riporto questa breve frase di Anna Maria Ortese (5), convinto che molti di noi aspettano una rinascita della città: “E tu che vuoi fare?” chiede la scrittrice al giovane e generoso Pasquale Prunas. La risposta: “Non è possibile che non succeda mai niente. Un giorno, forse, capiterà qualcosa. Allora mi farà piacere essere rimasto qui, ad aspettare”. “E se non capitasse niente?”, risponde la scrittrice.
Enzo Scandurra
Note 1) La poesia è stata pubblicata, con la recitazione dell’autore, da Luca Sossella editore con un cd nel 2005. La citazione era già apparsa nel precedente lavoro di Tocci pubblicato per goWeare nel 2015. 2) A. M. Ortese, Il mare non bagna Napoli, Adelphi, Milano 1954. 3) C. Levi, Roma fuggitiva, a cura di G. De Donato, Donzelli, Roma 2002. 4) R. Nicolini, Un romanzo d’architettura del 1934 a Roma. I diari e il trattato di Redenzio R.A.M.I. (M De Renzi), a cura di V. Palmieri, Libria, Melfi 2018, p. 78. 5) A.M. Ortese, Il mare non bagna Napoli, cit.
N.d.C. - Enzo Scandurra, saggista, scrittore, già professore ordinario di Urbanistica, ha insegnato Sviluppo Sostenibile per l'Ambiente e il Territorio all'Università La Sapienza di Roma, dov'è stato direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica e coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ingegneria per l'Architettura e l'Urbanistica. È tra i soci fondatori della Società dei Territorialisti, membro del comitato scientifico della rivista “Luoghi comuni” e collabora a "il manifesto".
Tra i suoi ultimi libri: Vite periferiche (Ediesse, 2012); con Giovanni Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni (DeriveApprodi, 2012); con Giovanni Attili, Pratiche di trasformazione dell'urbano (FrancoAngeli, 2013); Recinti urbani. Roma e luoghi dell'abitare (Manifestolibri, 2014); con Ilaria Agostini, Giovanni Attili, Lidia Decandia, La città e l'accoglienza (manifestolibri, 2017); Fuori squadra (Castelvecchi, 2017); con Ilaria Agostini, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018); Exit Roma (Castelvecchi, 2019), La disgrazia (Castelvecchi, 2020), Contronarrazioni (a cura di, con T. Drago) (Castelvecchi, 2021).
Per Città Bene Comune ha scritto: La strada che parla (26 maggio 2017); Dall'Emilia il colpo di grazia all'urbanistica (19 ottobre 2017); Periferie oggi, tra disuguaglianza e creatività (18 ottobre 2019); Nel passato c’è il futuro di borghi e comunità (5 marzo 2021).
Sui libri di Enzo Scandurra, v. i commenti di: Giancarlo Consonni, In Italia c’è una questione urbanistica? (15 giugno 2018); Francesco Indovina, Non tutte le colpe sono dell’urbanistica (14 settembre 2018); Renzo Riboldazzi, Agostini e Scandurra a Città Bene Comune. Le ragioni di un incontro (3 maggio 2019); Carlo Cellamare, Roma tra finzione e realtà (18 luglio 2019); Graziella Tonon, Città: il disinteresse dell’urbanistica (11 ottobre 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 16 LUGLIO 2021 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
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G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)
R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)
M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)
S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)
G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)
E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)
R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)
C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)
F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)
G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)
M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)
F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)
F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)
P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)
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