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RIAPPROPRIARSI DELLE ORIGINI (DI MOGADISCIO)
Sul catalogo della mostra curato da Abdulkadir, Restaino, Spina
Lucio Carbonara
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Primo Levi nel suo libro I sommersi e i salvati afferma: “La memoria è uno strumento meraviglioso ma fallace. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti e strati”. La mia unica visita a Mogadiscio risale al 1973 e il ricordo che mi è rimasto impresso, appunto sfumato dal tempo, è quello di una città affacciata su una deserta spiaggia corallina e su un mare di rara bellezza e limpidezza, caratterizzata da un centro storico che, anche se in parte rimaneggiato, era dotato di precisa identità; al tempo stesso colpiva la forte presenza dell’impronta coloniale dell’edilizia pubblica e l’impianto urbanistico della parte più moderna della città organizzato secondo il Piano del 1929.
Come evidenziato nello studio di Alberto Arecchi Habitat in Somalia (“Aria e Acqua”, n. 4 – maggio 1977) agli inizi degli anni ’70 la popolazione era in forte crescita e le periferie si stavano riempiendo di nomadi che si accampavano tutt’intorno alla città: “Mogadiscio aveva nel 1935 circa 40.000 abitanti; nel 1950, all’inizio della Amministrazione Fiduciaria Italiana 70.000 che divennero alla fine del mandato 102.000. Nel 1970 la popolazione era quasi raddoppiata, raggiungendo le 204.000 persone, nel 1970 toccava i 225.000. In quindici anni gli abitanti di Mogadiscio sono triplicati. Nel 1970 l’area occupata dalle abitazioni stabili e precarie, legittime ed abusive, era di circa 1.500 ettari… Secondo il censimento urbano del 1970 a Mogadiscio esistevano circa 10.000 abitanti stabili in muratura, abitate da 74.000 abitanti, contro quasi 20.000 abitazioni precarie (nel numero delle quali però erano contati cariish e baracche, ma non gli aqual che circondano la periferia urbana) in queste abitazioni precarie viveva una popolazione di 149.000 abitanti)”.
Un secondo aspetto, prevalente forse per la mia età di allora, fu la piacevolezza e la ricchezza dei rapporti umani, soprattutto con la popolazione più giovane e con gli studenti che, pur se coinvolti in un progetto di trasformazione sociale e culturale secondo i principi del socialismo scientifico generato dalla rivoluzione, sembravano quasi non provare o aver messo da parte il risentimento verso il passato coloniale degli italiani, confermato negli anni successivi dall’avvio di una cooperazione tecnica e scientifica tra la Somalia e l’Italia che ha portato a creare, insieme, l’Università nazionale somala. Questo antico piacevole “ricordo” ha sicuramente contribuito, negli anni a seguire, a far sì che una parte importante della mia attività universitaria, didattica e scientifica (ma anche sperimentale/professionale), fosse rivolta principalmente verso lo studio o la riqualificazione delle città coloniali di molti paesi dell’area mediterranea, del Medio Oriente e dell’Africa: Algeria, Libia, Mozambico, Albania, Libano, Eritrea, Emirati Arabi Uniti; quindi, non solo delle ex-colonie italiane.
A distanza di quasi cinquant’anni, questo catalogo (Gangemi, 2020) della mostra curata da Gabriella Restaino e Maria Spina Mogadiscio e la sua evoluzione storico-urbanistica: pagine di storia della città – presentata nel 2018 a Mogadiscio e nel 2019 ad Ascoli Piceno, nella Scuola di Architettura e Design dell’Università di Camerino –, dischiude un nuovo ambito di ricerca su questa “grande città fortificata, con case di quattro o cinque piani, con grandi palazzi e molte moschee dai minareti cilindrici” (Vasco da Gama, 1499), di cui in realtà si sa piuttosto poco. Curato da Khalid Mao Abdulkadir oltre che dalle stesse Restaino e Spina, il catalogo è composto da quindici brevi saggi di studiosi somali e italiani oltreché da una selezione di 280 immagini, fra quelle rintracciate negli archivi italiani pubblici e privati. La descrizione della città, e del suo centro storico, segue un criterio di “passeggiate virtuali” effettuate sulla base degli itinerari consigliati dalle guide che il Touring Club Italiano ha pubblicato nella prima metà del secolo scorso (in particolare quelle del 1929 e del 1938). Il tutto espresso in tre lingue italiano/somalo/inglese per consentirne la comprensione al maggior numero di persone possibile.
Pier Giorgio Massaretti – autore, con Giuliano Gresleri, dei due più importanti testi sull’architettura italiana d’oltremare editi nel 1993 e nel 2008 e presente in catalogo con il saggio Un’irrinunciabile esigenza “cooperativa”. Per restituire le “storie” delle ex colonie italiane – ha ricordato che questo studio sull’evoluzione storico-urbanistica di Mogadiscio è la logica continuazione di un ventennale percorso di cooperazione culturale internazionale – per me iniziato tra il 1983 e il 2000, in Mozambico, per conto del Ministero degli Affari esteri italiano – nonché di una ricerca universitaria più ampia, che ho condiviso con molti degli autori di questo catalogo (Maria Spina, Gabriella Restaino, Pier Giorgio Massaretti, Elio Trusiani) e che è stata oggetto di un Programma di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN) dal 2006 al 2010 dal titolo “Restituiamo la Storia”, pubblicata in quattro volumi per i tipi di Gangemi, tra il 2010 e il 2014. Un lungo e paziente lavoro di analisi e rivalutazione dei modelli urbanistici esportati dall’Italia in epoca coloniale, per riscoprire il contributo fornito allo sviluppo delle città in terra d’Oltremare e che ha coinvolto, oltre alla Sapienza, molte università italiane ed enti stranieri. A distanza di quasi un secolo dalla fondazione delle prime città italiane in Africa e nel bacino del Mediterraneo, il quadro della vicenda urbanistica dell’Italia coloniale era ancora in buona parte da interpretare per mancanza di aggiornamento critico e nonostante la sterminata bibliografia e la straordinaria documentazione spesso inedita. Tale circostanza, oltre a rendere obiettivamente difficile la consultazione delle fonti documentarie, ha nel tempo impedito una lettura sistematica di questa particolare vicenda della nostra storia urbanistica alla quale avevano concorso, con pari impegno, tecnici di varia provenienza: dagli specialisti del Genio militare ai funzionari del Genio civile e del Lavori pubblici alle figure di primo piano dell’architettura e dell’urbanistica italiana degli anni Trenta.
All’epoca del PRIN, tuttavia, si decise di escludere Mogadiscio tra i casi di studio a causa della guerra in corso. Sarebbe stato infatti impossibile recarsi in quei luoghi per incontrare i referenti scientifici locali e per verificare l’esistenza di fonti e archivi locali (che ora sappiamo essere stati distrutti) o di parti superstiti delle collezioni del museo nazionale, purtroppo depredate e rivendute. I contatti epistolari assiduamente intrattenuti con l’ing. Nuredin Hagi Scikei – residente a Mogadiscio ma laureato a Bologna e attento studioso del patrimonio culturale della Somalia nonché autore di Banaadiri. Il risveglio di una millenaria identità (CLUEB, 2002) e Exploring the Old Town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017) – e i successivi incontri in Roma con l’on. Khalid Mao Abdulkadir hanno poi consentito di verificare l’elevato interesse dell’Università Nazionale Somala, che nel 2014 aveva riaperto i corsi chiusi per la guerra - nonché dell’Ambasciata Italiana a Mogadiscio e del Ministero degli Affari esteri - verso un progetto che prevedeva di “restituire”, sulla scia del PRIN, la storia della città e la memoria culturale identitaria agli abitanti. Progetto rivolto soprattutto ai giovani somali, nella speranza – nonostante l’avvenuta distruzione e dispersione degli archivi storici locali – di riuscire ad avviare un processo di ricerca storica collettiva per riappropriarsi delle origini della propria città anche attraverso la sua storia urbanistica.
Il processo di “ricostruzione” della memoria, tuttavia, non è facile e questo catalogo lo ha appena iniziato. Su indicazione di Nuredin Hagi Scikei, e con il sostegno di Khalid Mao Abdulkadir, deputato del Parlamento somalo e Presidente della Commissione parlamentare permanente per la Cultura, sono stati avviati con il Rettore dell’Università Nazionale Somala, Mohamed Ahmed Jimale, i primi passi ufficiali per la creazione, di un “centro di ricerca per la tutela e la promozione dei beni culturali” (Jimale, p. 20), che possa anche essere un “centro di coordinamento di consulenza che aiuti a gestire la ricostruzione della capitale” (Osman, p. 18) o di un più ampio “Istituto per la Conservazione e il Restauro” (Bortolotto, p. 34). Istituzione scientifica e di ricerca che, insieme all’Archivio Somalia (di documentazione web multimediale open access), già realizzato dal Centro Interdipartimentale di studi Somali dell’Università di Roma Tre diretto da A. Volterra, potrebbe “far maturare - come giustamente afferma Susanna Bortolotto - una consapevolezza, da parte della popolazione locale di possedere un rilevante patrimonio da tutelare, che va dai siti archeologici alle testimonianze del Moderno”; contribuire al processo di ricostruzione dell’identità nazionale somala; far comprendere alle autorità locali l’importanza del patrimonio edilizio storico ancora esistente e minacciato da interventi di demolizione e pertanto “impedire che logiche di speculazione edilizia possano completare l’opera distruttiva della guerra” (Del Re, p. 10).
La qualità e la quantità del patrimonio edilizio delle costruzioni medievali e del periodo italiano è purtroppo oggi molto ridotta - il quartiere di Shingaani è stato raso al suolo durante la guerra mentre buona parte delle costruzioni di Hamarweyne si è miracolosamente salvata. L’unica speranza, come afferma Maria Spina, “è che, anche attraverso questo catalogo i giovani somali - il 75% della popolazione ha meno di 35 anni e non ha mai visto Mogadiscio prima che tanti suoi tesori fossero sfregiati o distrutti durante il conflitto civile scoppiato nel 1991 - possano vedere la loro città con altri occhi e soprattutto con un altro stato d’animo, adoperandosi per il recupero delle architetture “residue” e impedendo nuove distruzioni”.
Questo progetto, per essere attuato, necessita di appoggio internazionale e di essere condiviso e diffuso. Per questo, la mostra diventerà itinerante per raggiungere la diaspora dei somali nel mondo. Come prima tappa, sta proseguendo il suo viaggio a Stoccolma, in Svezia, dove appunto c’è una nutrita comunità di somali espatriati.
Lucio Carbonara
Clicca qui per scaricare il catalogo Khalid Mao Abdulkadir, Gabriella Restaino e Maria Spina Clicca qui per visitare la mostra curata da Gabriella Restaino e Maria Spina Clicca qui per vedere il video di presentazione della mostra
N.d.C. – Lucio Carbonara, già professore ordinario di Urbanistica alla Sapienza Università di Roma, è stato direttore del Dipartimento di Pianificazione territoriale e urbanistica della medesima università, presidente del corso di laurea in Architettura dei giardini e paesaggistica, direttore del master di II livello in Pianificazione e gestione dei centri minori e dei sistemi paesistico-ambientali, preside della Facoltà di Architettura e Pianificazione dell'Università E. Mondlane di Maputo (Mozambico).
Tra i suoi libri: Le analisi urbanistiche. Riferimenti e metodi (NIS, 1992); a cura di, Immaginando il paesaggio (Aracne, 2004); a cura di, Restituiamo la storia. Giornate di studio. Per una condivisione dei documenti sull'oltremare: esperienze e opinioni (Gangemi, 2009); a cura di, RKM. Rome Kiev Moscow. Save urban heritage (Gangemi, 2012).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri. © RIPRODUZIONE RISERVATA 23 LUGLIO 2021 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Luca Bottini Oriana Codispoti Filippo Maria Giordano Federica Pieri
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- cultura urbanistica:
- cultura paesaggistica:
Gli autoritratti
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Le letture
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