Rosario Pavia  
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LE CITTÀ DI FRONTE ALLE SFIDE AMBIENTALI


Commento al libro di Livio Sacchi



Rosario Pavia


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In che misura le città contemporanee delineano il loro futuro? È questo il tema del denso libro di Livio Sacchi, Il futuro delle città (La nave di Teseo, 2019), che offre un’ampia rassegna dei caratteri delle recenti urbanizzazioni nelle diverse parti del mondo. Il futuro è già impresso nelle loro realtà. La globalizzazione ha conferito alle città caratteri comuni: certamente nell’architettura che, più di ogni altro, interpreta e rappresenta il loro rango e le loro aspirazioni; nelle grandi infrastrutture della mobilità, nei tentativi di contenere gli effetti di una crisi ambientale che colpisce ogni area geografica; nelle tecnologie e nelle reti digitali per il controllo del loro funzionamento.

Ovunque le città, nella forma di metropoli e di grandi conurbazioni, dominano i loro territori e i loro stati organizzandosi in gerarchie interconnesse. È sempre la globalizzazione a far cogliere la diversa tensione delle città nei confronti del loro passato, il diverso rapporto tra centro e periferia, la resa all’omologazione e la ricerca di identità. La prima parte del libro affronta questi temi, la seconda fornisce un sistematico aggiornamento dei recenti progetti urbani delle città del mondo, dall’Europa all’Oceania. L’impressione è che prevalga un diffuso appiattimento, una omologazione a modelli consolidati, ma le differenze ci sono e appaiono nel dilagare di periferie miserabili, nella presenza di intorni urbani illegali, dove esplodono le disuguaglianze e il disagio urbano. La città nasconde un male che compromette il suo futuro, la sua stabilità e credibilità.Tutto questo traspare nel libro solo a tratti, come se ci fosse un presentimento, uno spettro da rimuovere: le città sono “mortificate” (Sacchi utilizza il significato che Tertulliano tra il I e il II secolo d.C. dava al verbo mortificare, “mettere a morte”, “far morire”, nel senso che “l’assenza di un disegno per il futuro costituisce una condanna a morte per la città” (p. 26).

L’Autore passa in rassegna centinaia di città, di metropoli, di nuovi insediamenti, ma non inserisce nel libro nessuna immagine, forse è un invito a una ricerca visiva che oggi possiamo fare via Internet con un doppio sguardo: osservando le superfici urbanizzate dallo spazio per poi scendere a terra per vederle da vicino. Dall’alto il pianeta risulta incredibilmente abitato, nel buio della notte spaziale, in assenza di coperture nuvolose, ecco apparire le luci della diffusione urbana, le concentrazioni più dense: l’India settentrionale e il Pakistan, le pianure e le coste della Cina, il Giappone la Corea meridionale, l’addensamento russo intorno a Mosca, la megalopoli lungo la costa orientale degli Stati Uniti che scende fino al golfo del Messico cui si contrappone la più sottile diffusione urbana della costa del Pacifico che si densifica a Nord tra Seattle e Vancouver e a Sud tra San Francisco e Los Angeles; e poi ancora: la metropoli di Città del Messico, la concentrazione urbana nordeuropea che si estende tra Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi; più in basso la luce della pianura padana, l’orlo luminescente del lago mediterraneo, con le coste urbanizzate tra l’Italia e la Spagna e sulla sponda opposta quelle tra Israele, il Libano e la Siria, con il filamento luminoso della valle del Nilo. Le luci rivelano le città ma anche immense zone oscure: sono le catene montuose, i deserti, le aree inospitali dell’artico e della Siberia, le grandi foreste pluviali dell’Amazzonia, dell’Africa, dell’Indonesia, i mari e gli oceani. Intorno a queste aree di oscurità possiamo riconoscere macchie luminose lungo le coste della penisola arabica, dell’Australia, dell’America latina, della penisola indocinese, della Malesia con la abbagliante Singapore. Le luci appaiono lungo gli itinerari del commercio mondiale, lungo la via della seta, attraverso gli stretti di Suez, del Bosforo, di Gibilterra, della Malacca, di Hormuz, di Bab el-Mandeb, del capo di Buona Speranza. La geografia della luce con la sua intensità e il suo spessore rivela l’impronta dello sviluppo urbano e forse poteva costituire la trama di una narrazione più efficace di quella tradizionale per continenti utilizzata da Sacchi.

A terra le indicazioni contenute nel libro sono precise e rivelano l’intensità dell’edificazione degli ultimi anni: centinaia di città nuove, in particolare in Cina dove “ce ne sarebbero più di quante ne siano mai state costruite in tutta la precedente storia” (p.8), ma anche in India, in Nigeria e in paesi come il Marocco, l’Algeria e l’Egitto; nuove capitali come Astana (Kazakistan), Abuja (Nigeria), Manama (Bahrain), città tecnologiche e sostenibili come Masdar vicino ad Abu Dhabi, Songdo (Corea del Sud), Konza Tech City (Kenia); ovunque dominano i grattacieli e i centri direzionali, in Asia da Pechino a Singapore, da Hong Kong a Bangalore, da Seul a Tokio, nel Medio Oriente da Dubai a Istanbul, in Europa da Londra a Milano, in Africa da Nairobi a Johannesburg, in America del Sud da Santiago del Cile a Bogotà, e naturalmente nel Nord America da New York (dove nell’area del World Trade Center sorgono ora nuove torri), a Toronto; una diffusione di programmi di riqualificazione dei waterfront, da Oslo a Buenos Aires, come aree strategiche per il tempo libero e il turismo; migliaia di edifici per la cultura, lo sport, la ricerca, la ricettività; vasti programmi di edilizia residenziale di qualità diversa a seconda del rango sociale degli utenti in grado, quartieri autosufficienti, recinti esclusivi, mentre intorno alle città, con la stessa intensità, crescono i ghetti, gli slums e le bidonvilles; infrastrutture immense e vitali come gli aeroporti, la cui architettura, affidata a studi professionali di prestigio, ha il compito di anticipare la potenza di vaste regioni metropolitane (Zaha Hadid a Pechino, Massimiliano Fuksas a Shenzen, Kisho Kurosawa a Kuala Lumpur…); e poi porti, insediamenti produttivi come le ZES (Zone Economiche Speciali), gallerie, autostrade, isole artificiali, dighe, ferrovie, gasdotti, reti di cavi sottomarini per un mondo che vuole essere sempre più connesso e accessibile, ma che fagocita energia, risorse, suolo e informazione. Un mondo globalizzato in cui i linguaggi locali si confondono e si perdono in un magma visivo in cui emerge un nuovo international style privo di tradizione, ma capace di imporsi attraverso la ripetizione di dispositivi visivi spettacolari che tuttavia, nella loro ricerca di differenziazione, rendono le parti centrali delle metropoli incredibilmente simili.

Nonostante la spettacolarità delle architetture, la realizzazione di intere città nuove, il successo di importanti progetti urbani e la mobilitazione internazionale di una pluralità di studi di architettura e ingegneria (la rassegna di Sacchi è su questo punto estremamente puntuale e rivelatrice di una rete professionale ricorrente in ogni angolo del mondo globalizzato), c’è qualcosa che non convince. La città contemporanea non vive nel futuro, ma lo condiziona prepotentemente. La città, al culmine della sua potenza, appare del tutto sguarnita rispetto alle sfide ambientali e sociali. È una città vecchia, un dinosauro a rischio di estinzione, un fossile, un residuo di un’epoca che sembra aver esaurito la sua spinta progressiva e che si apre ad un futuro estremamente incerto e a rischio.

Le città coprono il 3% della superficie della Terra, ma sappiamo che il dato è sottostimato e che non tiene conto di una dispersione urbana minuta e di reti infrastrutturali che raggiungono ogni angolo del pianeta. Nel 2050 la popolazione mondiale si attesterà intorno ai dieci miliardi, di cui circa il 70% localizzata nelle aree urbane e in buona parte lungo le coste. L’incidenza di occupazione del suolo raddoppierà, le città cresceranno ovunque, anche in Europa dove la contrazione demografica dovrebbe portare ad annullare la crescita urbana. Lo sviluppo delle città è fortemente legato alla disponibilità di energia e questa è costituita ancora per l’80% da combustibili fossili. Anche per questo la città è un fossile. Un sistema invecchiato responsabile di una insostenibile alterazione della superficie terrestre, delle acque e dell’atmosfera. Sono le emissioni di gas serra prodotte dalle città a determinare in gran parte il surriscaldamento globale e a compromettere l’equilibrio climatico che finora ha consentito l’abitabilità del pianeta.

Una recente ricerca apparsa su “Nature” ha rivelato che la somma di tutto quello che l’umanità ha prodotto ha uguagliato la massa organica che è vissuta sulla Terra (1). Un peso fino ad oggi inimmaginabile poggia sul suolo e condiziona la nostra vita alterando pericolosamente l’equilibrio dell’ambiente. La materia inerte che abbiamo prodotto e che ha modificato nel profondo la crosta terrestre ci dà la misura della potenza geologica dell’attività umana e del significato estremo dell’Antropocene. E questo – forse è utile ricordarlo – è un fenomeno eminentemente urbano. Le città raccolgono il peso e la massa della produzione umana, realizzando una crosta artificiale che si è sovrapposta al suolo naturale, corrodendolo e sigillandolo. Un processo che è iniziato da millenni con la nascita delle prime città che si aprirono un varco nelle foreste, sviluppando una relazione complessa e strutturale che andrebbe approfondita e che non può ridursi a una semplice sovrapposizione o facendo coincidere i due termini.

L’equilibrio ambientale si è alterato: la temperatura globale è aumentata di circa un grado, ma il carbonio già immesso nell’atmosfera produrrà nuovi incrementi dell’effetto serra. Gli obiettivi della conferenza sul clima di Parigi (2015), come quelli dell’Agenda 2030 dell’Onu, sembrano sempre più difficili da raggiungere. Molto probabilmente non si riuscirà a contenere, entro il 2050, l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli del 1990. Al momento è improbabile che nei prossimi decenni si pervenga ad una neutralità climatica: l’energia fossile resisterà a lungo e il passaggio ad una energia alternativa (fonti rinnovabili, idrogeno verde, nucleare da fusione) è inevitabilmente condizionato dai tempi di riconversione dei settori forti del petrolio e dell’automotive. Come lo stesso rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) del 2021 fa intendere, dovremo adattarci al cambiamento climatico in corso i cui effetti sono già ora drammaticamente percepibili. Alcuni studiosi hanno già raccontato come si trasformerà l’ambiente al crescere della temperatura (2). Tra i fenomeni più vistosi e devastanti c’è il previsto aumento del livello dei mari e degli oceani che ridisegnerà la morfologia delle città costiere di molte aree geografiche dal Bangladesh, alle Filippine, alla Florida.

In assenza di accordi politici globali, le politiche ambientali saranno necessariamente locali, nazionali, e più ancora legate alle regioni, ai luoghi, alle singole città, verosimilmente ad alcune sue parti. Il futuro dell’urbano è legato alla sua capacità di adattamento al clima che cambia, alla sua resilienza, intesa come resistenza e contenimento del rischio ambientale (inondazioni, desertificazione, isole di calore, frane…), alla sua capacità di convivere con l’incertezza e le prevedibili tensioni sociali (disuguaglianze, povertà, migrazioni). Nella città contemporanea c’è assai poco in questa direzione (molti piani strategici di lungo periodo, ma in fondo poche opere e insufficienti e limitate politiche di intervento). La città esistente, con le sue forme, i suoi materiali di costruzione, i suoi scarti, i suoi consumi distruttivi di risorse, ha realizzato una crosta spessa e inerte che si contrappone al suolo naturale. Una crosta dalla tecnologia invecchiata, che continua a divorare ogni anno miliardi di tonnellate di sabbia e di ghiaia per il suo manto di calcestruzzo e asfalto (3). Questa crosta deve cambiare, trasformarsi, rigenerarsi in un nuovo organismo, artificiale e naturale insieme, capace di svolgere ancora i servizi ecosistemici del suolo naturale. La città del futuro e la sua sopravvivenza, dipenderà da questa mutazione, da un processo che ingloberà la città esistente nel suo spessore, come un fossile.

Rosario Pavia

 

 

 

 

Note
1) Telmo Pievani, Il peso delle cose, in «la Lettura» (Corriere della Sera), 23-2-2021
2) Alan Weisman, Il mondo senza di noi, Einaudi, Torino 2017
3) Laura Calosso, Ma la sabbia non ritorna, Società Editrice Milanese, Milano 2021

 

 

N.d.C. - Rosario Pavia, già professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara, ha diretto il Dipartimento Ambiente Reti e Territorio dello stesso ateneo e il periodico "Piano Progetto Città".

Tra i suoi libri: Le paure dell'urbanistica (Costa & Nolan, 1996); con A. Clementi, Territori e spazi delle infrastrutture (Transeuropa, 1998); Babele. La città della dispersione (Meltemi, 2002); con L. Caravaggi e S. Menichini, Stradepaesaggi (Meltemi, 2004); Adriatico risorsa d'Europa (Diabasis, 2007); con M. Di Venosa, Waterfront. Dal conflitto all'integrazione (LISt, 2012); Il passo della città. Temi per la metropoli futura (Donzelli, 2015); Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (Donzelli, 2019).

Per Città Bene Comune ha scritto: Il suolo come infrastruttura ambientale (11 maggio 2016); Leggere le connessioni per capire il pianeta (21 giugno 2018); Questo parco s’ha da fare, oggi più che mai (19 aprile 2019); Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici (26 febbraio 2021).

Sui libri di Rosario Pavia, v. i commenti di: Renzo Riboldazzi, Città: e se ricominciassimo dall’uomo (e dai suoi rifiuti)? (23 settembre 2015); Patrizia Gabellini, Un razionalismo intriso di umanesimo (22 settembre 2016); Paolo Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta (28 giugno 2019); Luca Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe (28 febbraio 2020); Patrizia Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui ripartire (24 aprile 2020).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

01 OTTOBRE 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

C.Salone, Oltre i distretti, dentro l'urbano, commento a: C. Mattioli, Mutamenti nei distretti (FrancoAngeli, 2020)

O. Marzocca, L'ambiente dell'uomo e l'indifferenza di Gaia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

G. Consonni, Il passato come risorsa del progetto, commento a: A. Lanzani, Cultura e progetto del territorio e della città (FrancoAngeli 2020)

F. Indovina, Urbanistica? Bologna docet, commento a: R. Scannavini, Al centro di Bologna, 1965-2015 (Costa Editore, 2020)

S. Brenna, È questa l’urbanistica che vogliamo?, Commento a: P. Berdini, Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

S. Moroni, Oltre la retorica dell’attivismo civico, commento a: C. Pacchi, Iniziative dal basso e trasformazioni urbane (Bruno Mondadori, 2020)

P. Pardi, Dal territorio una nuova democrazia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

L. Carbonara, Riappropriarsi delle origini (di Mogadiscio), commento al catalogo della mostra curata da K. M. Abdulkadir, G. Restaino, M. Spina

C. Diamantini, La città nella tela del ragno, commento a: R. Keeton, M. Provost, To Built a City in Africa (nai010 publishers, 2019)

C. Petrognani e A. P. Oro, Paesaggi della pluralità, commento a: E. Trusiani et al. (a cura di), Paisagem cultural do Rio Grande do Sul, supplemento al n. 24/2021 di “Visioni LatinoAmericane”

E. Scandurra, Roma, e se non capitasse niente?, Commento a: W. Tocci, Roma come se (Donzelli, 2020)

G. Demuro, Custodire la bellezza insieme, commento a: G. Arena, I custodi della bellezza (Touring Club Italiano, 2020)

A. Casaglia, L'invenzione (e l'illusione) dei confini, commento a: L. Gaeta e A. Buoli (a cura di), Transdisciplinary Views on Boundaries (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020)

R. Pugliese, Comporre nuove urbanità, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (Donzelli, 2018)

L. Bonesio, Dall'uso-consumo all'uso-cura del mondo, commento a: O. Marzocca, Il mondo comune (Manifestolibri, 2019)

G. Amendola, La città è fatta di domande, commento a: A. Mazzette e S. Mugnano (a cura di), Il ruolo della cultura nel governo del territorio (FrancoAngeli 2020)

C. Bianchetti, Incoraggiare rotture e nuovi germogli, commento a: Camillo Boano, Progetto Minore (LetteraVentidue, 2020)

M. Balbo, La città pensante, commento a: A. Amin, N. Thrift, Vedere come una città (Mimesis, 2020)

G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)