Roberto Rossi  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

L'ILLUSIONE DI UNA CITTÀ IDEALE


Commento al libro curato da S. Misiani, R. Sansa e F. Vistoli



Roberto Rossi


altri contributi:



  roberto-rocci-citta-fondazione.jpg




 

Il volume curato da Simone Misiani, Renato Sansa e Fabrizio Vistoli – Città di fondazione. Comunità politiche e storia sociale (FrancoAngeli, 2020) – ha riportato l’attenzione su un tema marginalmente presente nel dibattito storiografico delle ultime decadi, nel quale è stata rivolta maggiore attenzione alla storia degli attori che nelle città agivano piuttosto che alla storia di una città quale Microcosm, per citare un bel libro di Norman Davies di qualche anno fa. Ciò ha comportato – parlo soprattutto da storico e quindi mi riferisco agli storici – la proliferazione, negli ultimi tempi, di storie di personaggi, di corporazioni, di commercianti, di societas, di istituzioni religiose o laicali, in breve di protagonisti singoli o collettivi della vita urbana. Ma in questo racconto della città attraverso alcuni attori, pare che si sia perso di vista il microcosmo nel suo insieme che caratterizza il fenomeno urbano. Questo non è assolutamente un giudizio di merito e spero, con questa affermazione di principio, di sgombrare il campo da qualsiasi fraintendimento. So bene che la storiografia ha degli andamenti asintotici e che gli interessi degli studiosi, fortunatamente, sono in continuo movimento e non hanno traiettorie lineari. Tuttavia, mi pare utile partire da questa constatazione per provare a sviluppare un breve ragionamento intorno ad alcuni spunti che il volume curato da Misiani, Sansa e Vistoli suggerisce, proprio in un’ottica non lineare.

Innanzitutto, mi sono interrogato sul concetto di città. Confesso che durante il mio lavoro, pur trovandomi continuamente a confrontarmi con città – città mercato, città istituzioni, città microcosmi, città attori, etc. – non mi sono mai fermato a riflettere su cosa fosse esattamente una città, su quale fosse l’origine, la fondazione appunto. In qualche modo davo per scontata e superata l’ontologia della città stessa e la intendevo soprattutto come oggetto. Questo volume mi ha, di contro, spinto a pensare proprio ai caratteri fondativi, alla spinta costitutiva; anche perché le città non sono entità immobili nel tempo, non sono oggetti/soggetti creati ab immemorabilis e destinati a perdurare immobili. Si tratta piuttosto di realtà mutevoli, ma non è una mutevolezza legata alla loro trasformazione – fenomeno del resto evidente – urbanistica o sociale, bensì una mutevolezza nella loro origine, nelle caratteristiche fondative. La fondazione assume quasi una valenza “genomica”. Come dire, le città non sono tutte uguali, ma al di là della evidente tautologia, la loro diversità risiede, probabilmente, proprio negli elementi fondativi più che nelle successive concrezioni urbanistiche.

La spinta ideale è un concetto che mi ha particolarmente colpito nelle differenti analisi presenti nel volume. Città che nascono come un’idea. Vistoli spiega bene, nel suo saggio introduttivo, che le città possono nascere per due ragioni: per necessità e per pianificazione.

La città necessaria è quella che in qualche modo nasce intorno ad esigenze umane: il corso di un fiume, un porto naturale, l’entroterra ricco di messi, un nodo commerciale, le risorse minerarie, etc. La città pianificata, di contro, è il prodotto di una specifica volontà umana che immagina, disegna e realizza un insediamento su basi completamente differenti. Questa differente “spinta ideale” è leggibile anche attraverso l’architettura urbana. La città necessaria, in genere, si sviluppa intorno ad un centro (il centro è la necessità) e lo sviluppo è a tratti tumultuoso, confuso, quantomeno non segue un percorso preordinato. La “necessità” in qualche modo indirizza l’andamento dell’espansione urbana ed ecco che allora la nostra città necessaria fluttua e pulsa come gli andamenti delle “necessità” (commerci, mercati, risorse, prodotti agricoli, etc.). Seguendo questa traccia possiamo facilmente individuare città necessarie senza che occorra farne qui un elenco.

La città pianificata, invece, parte da un presupposto differente, una sorta di etero poiesi, opposta all’entro poiesi della città necessaria. In questo caso ci troviamo di fronte a città che nascono per una determinata scelta, per una pianificazione, appunto; in genere si tratta di città che hanno una funzione, vengono progettate per svolgere un compito. Da questo punto di vista gli esempi non mancano a partire da Naypyidaw, la nuovissima capitale birmana “inaugurata” nel 2006, a Brasilia, Canberra, Togliattigrad e andando indietro nel tempo Petropoli; San Pietroburgo, San Leucio, New Lanark fino a Cesarea e Alessandria e tante altre ancora che non basterebbero queste pagine a completarne l’elenco. Un vastissimo cosmo di città di fondazione in ogni epoca, in differenti aree del mondo e con differenti spinte ideali. Si va dalla città “politica” a quella industriale, a quella utopica in un catalogo vasto di “scintille vitali” alla base delle fondazioni urbane.

Qualche anno fa, studiando l’organizzazione sociale e produttiva della “colonia” di San Leucio nel Regno di Napoli di fine XVIII secolo, rimasi colpito dal dibattitto, sorto intorno a tale fondazione, tra intellettuali e politici dell’epoca. In particolare, fui affasciato dall’idea di una regolamentazione e organizzazione urbanistica che altro non era che una lettura dell’organizzazione sociale e, soprattutto, del lavoro. Poco più di vent’anni dopo assistiamo ad un fenomeno simile, quello di New Lanark (la cui fondazione originaria, tuttavia, è di pochi anni successiva a quella di San Leucio). Anche in questo caso l’idea fondante è il lavoro, la produzione ma il discorso comunitario che ne è la base, generò una struttura urbanistica differente rispetto a quella della colonia casertana. È vero che i due esempi appena riportati sono decisamente peculiari, quasi unici nella loro coniugazione di utopia, lavoro e produzione, però rimangono estremamente significativi del concetto di città di fondazione e di città pianificata.

Chiaramente non tutto è industria o produzione, la fondazione e la pianificazione urbana può rispondere anche ad esigenze del tutto differenti. Si pensi alle città di frontiera, città bastioni, città presidio. In questi casi la fondazione deriva da esigenze strategico militari e le stesse esigenze sono alla base del discorso urbanistico. Gli esempi non mancano, tralasciando tutte le città fondate in epoca medievale nella Penisola Iberica a seguito della reconquista o sul confine dell’impero carolingio; per rimanere solo ad alcuni esempi dell’Italia di età moderna si possono citare: Palmanova nell’ex terraferma Veneziana, Sabbioneta nel Mantovano o Terra del Sole (Eliopoli) in Romagna.

Un’altra tipologia di fondazione ideale è quella utopistica. In effetti, la “città ideale” è sempre stata un concetto presente nella filosofia occidentale. L’idea che si potesse costruire un luogo che avesse in sé caratteristiche di armonia e perfezione ha caratterizzato il pensiero filosofico a partire da Aristotele, passando per Protagora e poi Sant’Agostino e Tommaso Campanella, fino ad arrivare alla razionalità degli illuministi e al socialismo utopistico di Charles Fourier. In questa sede non mi dilungo nel citare le utopie funzionaliste di molti insediamenti contemporanei, oggetto di innumerevoli studi. L’idealità della città sembra essere quasi una cifra caratterizzante l’urbanizzazione del mondo occidentale. All’interno di questa tipologia possiamo considerare il caso di Philadelphia negli Stati Uniti (o meglio ancora delle “Filadelfia” non solo negli USA ma anche, ad esempio, nella Calabria, provincia del Regno di Napoli), tutte, più o meno, figlie dell’originaria mitologica Filadelfia situata nell’attuale Turchia e citata nell’Apocalisse. Tutte forme insediative caratterizzate da una idea di razionalità e di armonia ma finalizzata ad uno scopo, a rispondere ad una necessità umana. Philadelphia con la sua idea di amore fraterno, libertà di coscienza e buon governo; New Lanark e San Leucio – per quanto con presupposti politici in parte differenti – con l’idea di creare il luogo ideale per sviluppare le capacità lavorative dell’uomo e a queste potremmo aggiungere, ad esempio, tutte le città fondate negli USA da gruppi confessionali provenienti dall’Europa dilaniata dall’intolleranza religiosa.

C’è un altro caso interessante all’interno delle città di fondazione, un caso che la storia ci ripropone sistematicamente la città (ri)costruita a seguito di un disastro naturale. Terremoti, alluvioni, eruzioni, inondazioni hanno continuamente posto all’uomo la necessità di (ri)progettare le proprie città. In questi casi la spinta ideale si è fusa con la necessità e con la volontà di utilizzare la geometria urbanistica per affermare la superiorità della ragione umana sulle forze della natura o, quanto meno, per comprendere la forza della natura all’interno di leggi codificate comprensibili dalla ragione umana. In questa spinta rinnovatrice si manifesta chiaramente il pensiero cartesiano incentrato sulla necessità di costruire sul vuoto piuttosto che aggiustare, la distruzione diventa l’elemento catastrofico ma al tempo stesso modernizzatore. Sembra quasi intravedersi un afflato futurista circa il ruolo esercitato dalla guerra come elemento di purificazione rispetto al “vecchio mondo”. Il primato dell’utopia urbana sembra racchiuso proprio in questa affermazione, la pianificazione rispetto alla conservazione dell’esistente.

Se è vero che il terremoto o qualsiasi altra catastrofe naturale costituiscono in qualche modo il principio della “distruzione creatrice” è anche vero che lo stesso Cartesio, riferendosi alla necessità di distruggere per costruire fa riferimento piuttosto ad un azzeramento e rifondazione del sapere che, nel caso della fondazione urbana, coincide con l’ortogonalità degli spazi e con la simmetria delle proporzioni. Nella concezione di fondazione utopica l’ordine assume un primato quasi indiscutibile e quest’ordine è del tutto conflittuale con un’idea di trasformazione di transizione (propria della città “necessaria”). Questo fa sì che la fondazione utopica sia isolata spazialmente, proprio per non subire il caos della trasformazione. Allo stesso modo si può intendere l’isolamento temporale, l’utopia cristallizza il suo progetto nel tempo, lo blocca.

Il progetto di fondazione, l’utopia che spinge alla pianificazione manifesta il suo primato rispetto alla costituzione necessaria, spontanea non solo dal punto di vista urbanistico, ma anche politico. Ragionando sull’idea di utopia e sul concetto di fondazione utopistica, appare evidente che la città di fondazione, la città ideale nasce da un’idea complessiva, in unico momento progettuale e fondativo, è il frutto di un’idea che immagina già tutta la struttura urbana (a differenza di quanto accade nelle città “necessarie”). Seguendo tale ragionamento, anche la struttura sociale e organizzativa della città ideale è progettata, pensata in un unico momento. L’aggregazione di uomini e attività all’interno della città ideale sono pensati e pianificati nella loro globalità. Ecco che la città ideale diventa anche politica. Ogni elemento, non solo urbanistico, è il frutto di un percorso di ordinamento razionale di “geometrizzazione”. Volendo spingere avanti questa affermazione, si potrebbe pensare anche alla città ideale come un luogo in cui la pianificazione non riguarda più solo la disposizione urbana, ma anche le relazioni tra le persone. In una estremizzazione del concetto di pianificazione all’interno della città ideale – estremizzazione in vero non del tutto assente nella storia – la programmazione eliminerebbe la distinzione tra sfera pubblica e privata, si arriverebbe ad una “preordinazione razionale” di qualsiasi rapporto individuale, compresi gli affetti, la sessualità e la biologia in un meccanismo abbastanza contermine al concetto di biopolitica elaborato da Michel Foucault.

La città di fondazione, la città utopistica, la città ideale sono sicuramente il tentativo di esplorazione delle possibilità di organizzare la società in condizioni ideali. L’adozione di una rigida coerenza formale ad un modello ideale ha costituito, probabilmente, l’elemento di fascino maggiore, nonostante, spesso detta coerenza sia stata superata dalle contingenze e dalle molteplici dinamiche sociali, evidentemente non contemplate in un modello sostanzialmente statico. L’idea di realizzare mondi perfetti e remoti si è dimostrata intrinsecamente fragile sia da un punto di vista urbanistico sia sociale. La razionalità del processo urbanistico e di costruzione della società si è infranta sulle dinamiche di contesto. I mondi ideali si sono scontrati con i mondi reali, mettendo in luce i limiti dell’utopia; ciò non toglie che le città di fondazione mantengano intatta la loro forza ispiratrice sulla possibilità di andare oltre rispetto all’esistente.

Roberto Rossi

 

 

N.d.C. – Roberto Rossi è professore associato di Storia Economica all’Università degli Studi di Salerno dove insegna Storia economica e sociale e Storia degli scenari economici globali. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia economica all’Università degli Studi di Napoli e un master all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha inoltre svolto attività di ricerca presso il dipartimento di Storia del Colegio de Mexico (2017) e presso l’Instituto de Investigaciones Históricas della Universidad Nacional Autónoma de Mexico (2018). I suoi interessi di ricerca vertono sullo sviluppo del capitalismo nel mondo iberico con particolare attenzione ai processi di industrializzazione, organizzazione e qualificazione del lavoro e dei lavoratori.

Tra i suoi libri: Matteo de Augustinis tra cultura ed economia (Editoriale Scientifica, 2005); La lana nel Regno di Napoli nel XVII secolo. Produzione e commercio (Giappichelli, 2007); La manifattura cotoniera a Barcellona tra innovazione e persistenza. Il caso della J. B. Sires y Cia (1770-1810) (Rosenberg & Sellier, 2015); con Antonino Giuffrida e Gaetano Sabatini (a cura di), Informal credit in the Mediterranean area. XVI-XIX centuries (New Digital Press, 2016).

NB. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 

 

 

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

26 NOVEMBRE 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Conferenze & dialoghi

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2021: V. Magnago Lampugnani | G. Nuvolati
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

C. Cellamare, Cambiare le periferie ripoliticizzandole, commento a: F. Cognetti, D. Gambino, J. Lareno Faccini, Periferie del cambiamento (Quodlibet, 2020)

F. Ventura, Per una critica dei principi territorialisti, commento a: Alberto Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

F. Camerin, L'urbanistica contrattatafa bene alla rendita, commento a: Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

P. Castoro, Biopolitica e mondo comune, commento a: O. Marzocca, Biopolitics for Beginners (Mimesis Int., 2020)

C. Olmo, Biografia (e morfologia) di una strada, commento a: C. Barioglio, Avenue of the Americas (FrancoAngeli, 2021)

A. Calafati, Il declino di Torino: una lezione per la città, commento a: A. Bagnasco, G. Berta, A. Pichierri, Chi ha fermato Torino? (Einaudi, 2020)

A. Bonomi, Quali politiche per la città di oggi?, commento a: C. Tajani, Città prossime (Guerini, 2021)

L. Marescotti, L'Urbanistica innanzitutto, commento a: C. Sambricio, P. Ramos (a cura di), El urbanismo de la transición (Ayuntamiento de Madrid, 2019)

M. Ruzzenenti, Il territorio dopo il Covid (e prima del PNRR), commento a: A. Marson, A. Tarpino (a cura di), Abitare il territorio al tempo del Covid, “Scienze del territorio”, numero speciale 2020

R. Pavia, Le città di fronte alle sfide ambientali, commento a: Livio Sacchi, Il futuro delle città (La nave di Teseo, 2019)

C.Salone, Oltre i distretti, dentro l'urbano, commento a: C. Mattioli, Mutamenti nei distretti (FrancoAngeli, 2020)

O. Marzocca, L'ambiente dell'uomo e l'indifferenza di Gaia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

G. Consonni, Il passato come risorsa del progetto, commento a: A. Lanzani, Cultura e progetto del territorio e della città (FrancoAngeli 2020)

F. Indovina, Urbanistica? Bologna docet, commento a: R. Scannavini, Al centro di Bologna, 1965-2015 (Costa Editore, 2020)

S. Brenna, È questa l’urbanistica che vogliamo?, Commento a: P. Berdini, Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

S. Moroni, Oltre la retorica dell’attivismo civico, commento a: C. Pacchi, Iniziative dal basso e trasformazioni urbane (Bruno Mondadori, 2020)

P. Pardi, Dal territorio una nuova democrazia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

L. Carbonara, Riappropriarsi delle origini (di Mogadiscio), commento al catalogo della mostra curata da K. M. Abdulkadir, G. Restaino, M. Spina

C. Diamantini, La città nella tela del ragno, commento a: R. Keeton, M. Provost, To Built a City in Africa (nai010 publishers, 2019)

C. Petrognani e A. P. Oro, Paesaggi della pluralità, commento a: E. Trusiani et al. (a cura di), Paisagem cultural do Rio Grande do Sul, supplemento al n. 24/2021 di “Visioni LatinoAmericane”

E. Scandurra, Roma, e se non capitasse niente?, Commento a: W. Tocci, Roma come se (Donzelli, 2020)

G. Demuro, Custodire la bellezza insieme, commento a: G. Arena, I custodi della bellezza (Touring Club Italiano, 2020)

A. Casaglia, L'invenzione (e l'illusione) dei confini, commento a: L. Gaeta e A. Buoli (a cura di), Transdisciplinary Views on Boundaries (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020)

R. Pugliese, Comporre nuove urbanità, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (Donzelli, 2018)

L. Bonesio, Dall'uso-consumo all'uso-cura del mondo, commento a: O. Marzocca, Il mondo comune (Manifestolibri, 2019)

G. Amendola, La città è fatta di domande, commento a: A. Mazzette e S. Mugnano (a cura di), Il ruolo della cultura nel governo del territorio (FrancoAngeli 2020)

C. Bianchetti, Incoraggiare rotture e nuovi germogli, commento a: Camillo Boano, Progetto Minore (LetteraVentidue, 2020)

M. Balbo, La città pensante, commento a: A. Amin, N. Thrift, Vedere come una città (Mimesis, 2020)

G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)