Roberto Busi  
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L'URBANISTICA NON È UNA MODA EFFIMERA


Commento al libro di Loreto Colombo



Roberto Busi


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La pluridecennale militanza nei ruoli universitari ha fatto sì che non raramente sia stato membro di commissioni concorsuali ed è curioso ricordare come all'inizio dei lavori di questi consessi spesso qualche collega richiedesse – a premessa di ogni altro atto formale – di consolidare e condividere una definizione del concetto di “urbanistica”. Il che, se le prime volte mi sembrava inutile, o addirittura stravagante, per persone che avevano già dedicato non poca parte della vita alla disciplina – ritenendo, cioè, pleonastico il doversi impegnare sull'essenza di quanto intensamente praticato da anni – nello svolgersi dei nostri compiti, in realtà, mi accorgevo che non lo era poi così tanto. Su che cosa fosse l’urbanistica, infatti, non c’era - come non c’è oggi - unanimità di pensiero.

Per rendercene conto torniamo agli albori dell'urbanistica moderna soffermandoci sui due primi manuali pubblicati in Italia in cui si propone una sistematizzazione dei saperi disciplinari (1). Siamo negli anni Trenta del secolo scorso e ci riferiamo alle opere di Gustavo Giovannoni e Cesare Chiodi (2).

Nell’incipit del suo Vecchie città ed edilizia nuova – edito per i tipi della Utet nel 1931(3) –Giovannoni narra di un fatto storico che è emblematico della sua idea di città e progetto urbano:

«Quando – scrive Giovannoni – Sisto V pose mano energicamente ad eseguire il grandioso progetto di rinnovamento, e, come direbbero i nostri uomini d'affari, di “messa in valore dei terreni” della Roma alta, ed attraverso le ville ed i vigneti dell'Esquilino, del Viminale, del Quirinale tracciò le lunghe vie, diritte come la sua volontà, si imbatté in un grande monumento, il Colosseo, che con la sua enorme mole si parava dinanzi all'asse del nuovo stradone di S. Giovanni. Subitaneo ed insofferente di ostacoli come egli era, la sua decisione fu presto presa: il Colosseo sia tagliato e la strada passi; ed il fido Fontana, che già aveva distrutto il Septizonio (la cosidetta Casa di Virgilio) e che aveva dal papa piena autorizzazione di valersi di antichi materiali per le nuove fabbriche, fu incaricato di eseguire l'ordine. Ma contro questo si levò, con bell'ardire, il cardinale di Santa Severina, Giulio Antonio Santorio, il quale, portando dalla sua altri cardinali, tanto fece da indurre il papa a desistere dalla vandalica impresa, e l'Anfiteatro Flavio fu risparmiato».

Nell’incipit del suo La città moderna. Tecnica urbanistica – edito da Hoepli nel 1935 – Chiodi affronta invece la questione in modo assai differente (4):

«L'urbanesimo – scrive – non è un fatto nuovo od esclusivo dei nostri tempi. Città famose, non solo per la loro importanza politica od artistica, ma anche per il numero degli abitanti, se ne ebbero in ogni periodo importante della storia. Le masse umane hanno naturale tendenza ad addensarsi in determinati centri. Richiamiamoci infatti per un momento alle origini del fenomeno urbano. Solo una parte del lavoro disponibile – in cervelli e braccia – presso la popolazione che occupa un determinato territorio è richiesto per coltivare [...], allevare [...], estrarre [...], compiere le [...] operazioni di trasporto [...]. Una considerevole porzione della popolazione è dal punto di vista economico a “piede libero” [...]. Dove vivrà essa? [...] Il fenomeno dell'addensamento urbano è [...] del tutto naturale e di origine prettamente economica. Se al fenomeno economico iniziale si aggiungono i fattori sociali e politici e la necessità di difesa, si completa il quadro del nascere e dello svilupparsi delle formazioni urbane. Il primo ammassamento di uomini, adunati da pure ragioni di necessità di vita, si ordina in disciplinata convivenza, la convivenza affina gli spiriti, suscita nuove attività; l'aggregato urbano assume una sua personalità [...]. La città genera la civiltà [...]. Scrivere la storia dell'urbanesimo è in sostanza rifare il cammino delle differenti civiltà, ritrovarne i loro aspetti più tipici, i loro caratteri più salienti, nella storia, nelle arti, nelle istituzioni».

Tanto Giovannoni quanto Chiodi avevano conseguito una laurea in ingegneria civile impiantata però su una solida formazione secondaria di tipo umanistico. E su queste basi entrambi stavano costruendo, da autodidatti, eccezionali competenze che non possiamo qui riassumere (5). Ebbene, se l’approccio all’urbanistica – la loro idea di città, territorio e progetto urbano e territoriale già intuibile dagli incipit dei loro manuali – li vede nettamente distinti l’uno dall’altro – il primo teso a esplorare la dicotomia antico/moderno, il secondo a enucleare la natura dell'insediamento urbanistico e del territorio – indubitabile e forte è la riconoscibilità dell'unità di concezione della natura della disciplina e dei metodi per praticarla e innovarla che li accomuna. In altri termini, tanto per Giovannoni quanto per Chiodi oggetto dell'attenzione e dell'azione dell’urbanistica è un organismo composito dovuto all'operosità umana (in singolo e in associazione) sull'ambiente (nelle sue manifestazioni fisiche e biologiche) e che si manifesta nelle due componenti – interconnesse e interagenti – della civitas e dell'urbs, fattori e oggetto di fenomenologie complesse e sulle quali ogni azione non può prescindere dall'attenzione all’ulteriore complessità dell'insieme. La conoscenza e l'operatività sulla città e sul territorio presuppongono cioè azioni di analisi, studio e conseguentemente, a seguito di valutazione critica, di sintesi, anche a partire da sperimentalità sul campo e di laboratorio. Credo sia questa l’eredità culturale più importante lasciataci da questi autori. Entrambi, infatti, – pur nella diversità degli approcci, delle culture, delle specificità di luoghi e tempi e dei fini di volta in volta proposti – hanno operato tramite teorizzazioni e sperimentazioni (soprattutto progettuali) e con la sistematizzazione dei relativi risultati contribuendo enormemente alla definizione della disciplina urbanistica. E questo, trasferendone poi il portato nella didattica e nella prassi professionale e quindi riavviando il ciclo per affinarne, in successive approssimazioni, i risultati, poi consegnati alla comunità scientifica che se ne è avvalsa facendo tesoro, in primis, del metodo. Così, di generazione in generazione accademica, arricchendo e innovando, in una continua verifica attraverso un confronto dialettico e nella logica virtuosa dell'accumulo critico dei saperi, del progressivo affinamento, della continuità culturale, ha preso corpo una disciplina che oggi purtroppo non pochi tendono a snobbare.

A quasi un secolo dalla prima edizione dei due manuali di cui si è detto abbiamo oggi la fortuna di disporre di un altro strumento altrettanto utile per una riflessione sul senso della disciplina e sulle sue implicazioni concrete a partire dalla ricerca e dalla didattica universitaria. Si tratta dell’ultima fatica di Loreto Colombo, Urbanistica tra ricerca e didattica. Piani e progetti nelle tesi di laurea (Giordano, 2021). Il saperne dell'uscita e il disporne mi ha rallegrato. Il prenderne atto del contenuto è stato poi per me fattore di vera soddisfazione. In una dimensione editoriale importante – oltre il mezzo migliaio di pagine nel formato “in-ottavo grande” – ho trovato infatti un'impostazione metodologica del “nuovo” disciplinare in coerenza e continuità con il patrimonio già offertoci da Giovannoni e Chiodi e via via innovato e arricchito da quanti hanno proseguito nella strada tracciata. La cosa, però, non mi ha meravigliato: conosco l’autore da non pochi decenni e, se il caso non ci ha mai offerto momenti di lavoro a quattro mani, la spontanea familiarità da sempre condivisa ha consentito, di continuo nel tempo, stimolanti e franchi confronti sulla materia disciplinare, sui modi di praticare l’urbanistica, sulla ricerca di un metodo utile a noi stessi, alla cultura tecnica e, più in generale, alla società.

Per meglio spiegarmi, faccio riferimento a un momento della nostra vita accademica che ci ha visto entrambi coinvolti. Siamo nel 2014. Ero a Roma, invitato come relatore in un convegno – curiosamente definito “1° NON-convegno” (!?), organizzato da alcuni colleghi della nostra materia autodenominatisi “Accademia urbana” – sul tema Urbanistica è sperimentazione. Non so se anche Colombo fosse tra costoro. In ogni caso, nel convegno, aveva una parte non secondaria. Io, nella mattinata, ero chiamato a relazionare su “Progetto & Processo”; lui, nel pomeriggio, su “Tempo pieno + intra moenia”. Si trattava di temi centrali circa una questione molto delicata che si era posta all'attenzione della nostra comunità scientifica da quando, forse già un paio di decenni prima, il professore universitario – e, nella fattispecie, quello di materia urbanistica – non era più visto e considerato da architetti e ingegneri professionisti un caro collega particolarmente predisposto alla progettazione grazie alle aperture conferitegli da una cultura ampia e dalla continua pratica della ricerca condotta nell’ambito dell'attività accademica istituzionale. Bensì, come un ‘losco soggetto’ – banalizzo e volgarizzo per farmi intendere meglio –, chissà come iscrittosi a un albo professionale perché, a ben vedere, buono solo a far lezione e a scrivere qualcosa di tecnico, che invece si stava intrufolando nella pratica professionale forte della sicurezza economica conferitagli dallo stipendio garantito dall’Università. Posizione questa dovuta evidentemente, nei nostri anni, alla sciagurata concomitanza di demagogia vieppiù imperante con una crisi economica (cui era conseguito il calo delle commesse professionali nel settore pubblico colpito da drastiche riduzioni dei trasferimenti alle amministrazioni territoriali). E posizione, invero, supportata da malaccorte iniziative di alcuni dipartimenti universitari che si stavano proponendo direttamente come soggetti professionali. Un clima che, in quegli stessi anni, stava sfociando in normative vieppiù inibenti ai professori universitari l'esercizio dell'attività professionale che – di fatto – giungeranno al divieto per quanti svolgevano, e svolgono, la docenza “a tempo pieno”.

Colombo fu da subito tra quanti percepirono – con piena ragione – la grave negatività della situazione così creatasi, perché toglieva al professore di una materia dai forti connotati operativi (nella fattispecie, progettuali) la possibilità di formarsi direttamente nell'esercizio della relativa operatività (il progetto di urbanistica) (6). E ricordo che nel convegno di Roma di cui dicevamo ebbe una delle diverse occasioni che gli si presentarono di trattare l'argomento sviluppandolo con una riflessione su opportunità e limiti che avrebbe comportato il puntare, anche per noi urbanisti che lavoravamo nell’Università “a tempo pieno”, a quanto già a disposizione dei colleghi clinici medici tramite l'attivazione di un sistema di intra moenia. Anch’io – che sostanzialmente ho sempre condiviso tale posizione su questo tema – colsi l'occasione per esprimere quello che, più che un distinguo, era una precisazione, manifestando perplessità circa la perentorietà del titolo dell'evento (“Urbanistica è sperimentazione”). In particolare, ne rigettavo la disinvoltura con cui la voce verbale “è” pretendeva di esaurire acriticamente l'“urbanistica” nella “sperimentazione”, riconoscendomi, invece, in una formulazione che la sostituisse con la congiunzione “e”. Ciò che mi sembrava utile sottolineare era la necessità di una definizione che sottolineasse la componente sperimentale dell’attività urbanistica ma solo dopo essere stata anche – e non secondariamente –, in precedenti momenti, “teorizzazione” e “sistematizzazione”, delle cui acquisizioni la “sperimentazione” fosse il momento di verifica. Insomma, a mio giudizio andava accuratamente evitata ogni sorta di mortificazione dell’attività urbanistica dovuta all'esaurirsi della stessa in empirismo e approssimazione.

Ora, la lettura del libro oggetto di questo scritto mi ha assicurato che nessun distinguo e nemmeno necessità di precisazioni sono tra me e Colombo. A fronte del permanere in vigore di normative frustranti la sperimentazione scientifica – e prima ancora la formazione – del professore urbanista perché inibenti l'esercizio professionale della pianificazione, Colombo vi fornisce la prova provata di avervi riccamente rimediato con una didattica avanzata vuoi per il momento apicale nel curriculum studiorum dei suoi discenti, vuoi per i metodi applicati, vuoi soprattutto per lo straordinario impegno da lui profuso. L’autore, infatti, ha visto in una attenta e strutturata organizzazione e gestione dell'assistenza del professore al tesista la possibilità di esercitare – simulando l’attività “sul campo” – l'operatività disciplinare tramite plurime serie di progetti articolati che da un lato esprimono la valenza dell'integrazione tra doti di sintesi – peculiari del senior, il professore – e la freschezza del promettente tesista (nel nostro caso: laureando o, perfino, dottorando) – di cui brillano le doti analitiche peculiari dello junior. Tutto nel quadro della – sia pure, inevitabilmente, in scala contenuta – complessità dei rapporti che l'esercizio della pianificazione mette in gioco.

Tante e complesse sono le tematiche che vediamo esplorate nel libro: dalla cura dopo l'abbandono del marginale-urbano-rurale ai centri minori come opportunità per l'albergo diffuso e addirittura per i ‘paesi albergo’; dal ridisegno teso alla rigenerazione urbana al recupero del paesaggio anche se afflitto da detrattori ambientali, fino all'approccio a quanto non è né città né campagna attraverso l'analisi critica di politiche esemplari internazionali e, soprattutto, della relativa possibile riproposizione nei più diversi e delicati casi nostrani. Si noti: non si tratta, come correntemente avviene nella pubblicazione di lavori di studenti, di acritiche rassegne di elaborati; bensì di articolate argomentazioni originali del docente supportate dalle tante sperimentazioni da lui suggerite, organizzate e, comparativamente analizzate onde sinteticamente metabolizzarle in capitoli di irreprensibile respiro metodologico. Ciò, oltre che come dovere didattico, anche – e non secondariamente – come esercizio formatore del professore pianificatore in astinenza dalla pratica professionale.

Soprattutto però – e al di là delle caratteristiche innovazioni nell'integrazione tra alta didattica e sperimentazione disciplinare di cui sopra – il libro risulta notevole per il taglio contenutistico che lo colloca con certezza come ulteriore mattone del solido edificio che, con umiltà d'intenti ma con la determinazione di recare il proprio apporto alla costruzione dell'urbanistica, non pochi hanno recato – e continuano a recare – col loro operato quotidiano. La questione è che una parte – temo, ahimè, considerevole – dei ricercatori accademici (e non solo nel nostro Paese) lavorano troppo spesso – se non correntemente – catturati da mode; così disperdendosi in rivoli di tematiche squalificanti, perché sono in realtà banalità scientifiche, però saldamente inquadrate nella vulgata di una divulgazione disciplinare ossessionata dalla moltiplicazione di titoli che sembra aver perso un orientamento credibile. I risultati di tali lavori si rivelano, di conseguenza, banali – per la povertà della tematica – ed effimeri perché comunque sempre, per loro natura, di prima approssimazione e privi dell'indispensabile verifica critica che solo successivi approfondimenti e confronti – e dunque il tempo e lo studio di lungo periodo – possono recare. Del tutto diverso è invece il caso di quanti altri – tra i quali ho sempre mirato a trovarmi e a instradare coloro che con la mia guida si sono formati – che, raccogliendo con modestia e rispetto il testimone lasciatoci da chi ci ha preceduto, hanno proseguito sulle vie consolidate, prolungandole. Questo senza mancare mai di sottoporre a continui accertamenti tutto il sistema, cioè: “il testimone” ricevuto, più i relativi prolungamenti. Anche chiudendo quelle vie che si sono rivelate cieche e, quando ne è maturata l'opportunità, aprendone di nuove. Sempre però procedendo verso mete ideali alte, in continuità e addizione con i fondamenti disciplinari assunti e via via anche da loro rivisti e arricchiti.

Questo è anche il caso del lavoro di Loreto Colombo. Cui possiamo avvicinarci fruendone i contenuti come momento di costruzione dell'urbanistica in continuità con quella strada nostrana – ma non per questo meno fondata di alcuna altra – che, partendo quasi cent'anni fa dai testi fondativi di Chiodi e Giovannoni, è andata crescendo in contenuti e diramazioni nell'opera delle generazioni di ricercatori succedutesi nel tempo, recando contributi originali – innanzitutto a fronte delle peculiarità del nostro Paese – alla disciplina. Un libro costruito in collaborazione con giovani e, nei fatti, a loro indirizzato che sa guardare concretamente al futuro delle città, del territorio, del paesaggio e dell’urbanistica.

Roberto Busi

 

 

Note

1) In realtà sappiamo di alcune opere precedenti, in particolare, in ordine cronologico, di: L. Pagliani, Trattato di igiene e di sanità pubblica, Vallardi, Milano, 1902; A. Pedrini, La città moderna, Hoepli, Milano, 1905; A. Caccia, Costruzione, trasformazione ed ampliamento della città. Compilato sulla traccia dello Städtebau di J. Stübben, ad uso degli ingegneri, degli architetti, uffici tecnici ed amministrazioni comunali, Hoepli, Milano, 1915; C. Albertini, Urbanistica, in D. Donghi, Manuale dell'architetto, Utet, Torino, 1924. Si tratta però, come anche evidente dalle dizioni bibliografiche, di scritti di ridotto respiro vuoi per la ristrettezza dell'orizzonte tematico, vuoi per il taglio di contributo magari generalista ma parziale di opere enciclopediche.

2) Per un approccio critico e comparato a queste due grandi figure di precursori dell'urbanistica in Italia si veda: R. Busi, L'urbanistica in Italia, i fondatori, «Il giornale dell'ingegnere», 2017, n. 7-8, p. 17.

3) Cfr. G. Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, Utet, Torino 1931; ora in G. Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, a cura di F. Ventura, CittàStudi, Milano 1995, p. 1.

4) Cfr. C. Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, Hoepli, Milano 1935, p. 1.

5) Sulla figura e l’opera di Gustavo Giovannoni, v. tra gli altri: G. De Angelis D'Ossat, Gustavo Giovannoni, storico e critico dell'architettura, Istituto di studi romani, Roma 1949; A. Curuni, Riordino delle carte di Gustavo Giovannoni. Appunti per una biografia, Multigrafica, Roma 1979; A. Del Bufalo, Gustavo Giovannoni. Note e osservazioni integrate dalla consultazione dell'archivio presso il Centro di studi di storia dell'architettura, Kappa, Roma 1984; M. Centofanti, G. Cifani, A. Del Bufalo, Catalogo dei disegni di Gustavo Giovannoni conservati nell'archivio del centro di studi per la storia dell'architettura, Centro di studi per la storia dell'architettura, Roma 1985; M. Centofanti, Gustavo Giovannoni. Il disegno della memoria, l'architettura della tradizione, 1897-1927, Tazzi, L'Aquila 1990; A. Bellini, Brevi note per una discussione su alcuni aspetti di un testo di Gustavo Giovannoni, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994; G. Spagnesi, Il restauro dei centri storici. La teoria del diradamento e Gustavo Giovannoni, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma, 1994; F. Canali, Architetti romani nella "città del Duce". Gustavo Giovannoni e la pratica dei diversi "restauri di monumenti" a Forlì, Stilgraf, Cesena 1999; M. P. Sette, a cura di, Gustavo Giovannoni. Riflessioni agli albori del XXI secolo, Bonsignori ed., Roma 2005; S. Carillo, Spes contra spem. Gustavo Giovannoni e Gino Chierici tra liturgismo e conservatorismo colto. Teorie, storiografia, metodologie, interventi, Istituto grafico editoriale italiano, Napoli 2007; C. Altomare, La città dei passi perduti. Gustavo Giovannoni a Cosenza. Il pianto introvabile, Pellegrini, Cosenza 2017; Rita Fabbri, Gustavo Giovannoni nelle vicende ferraresi (1936-1946). Sul risanamento del rione di San Romano, il Palazzo della Ragione e la piazza a lato della cattedrale, Quasar, Roma 2017; S. Benedetti, Gustavo Giovannoni. L'opera architettonica nella prima metà del Novecento, Campisano, Roma 2018; Gustavo Giovannoni tra storia e progetto, Quasar, Roma 2018; G. Bonaccorso e F. Moschini, a cura di, Gustavo Giovannoni e l'architetto integrale, atti convegno internazionale, Accademia nazionale di San Luca, Roma 2019.

Sulla figura e l'opera di Cesare Chiodi, oltre a R. Busi, L'urbanistica... cit., v. anche il contributo di G. Fossa, quello di C. Merlini e quello di R. Riboldazzi in: S. F. Lucchini (a cura di), Archivio Cesare Chiodi. Materiali e letture, Esculapio, Bologna, 1994. V. inoltre: R. Busi, Cesare Chiodi: il nostro primo maestro, in «Urbing tre. Quadernetti per la didattica», a cura di R. Gerundo, Università degli Studi di Salerno, Fisciano 2006, pp. 108-115; G. Imbesi, Invito alla riflessione, in C. Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, a cura di G. Sartorio, Gangemi, Roma 2006, pp. 7-11; P. La Greca, Cesare Chiodi: il rigore della tecnica nel percorso scientifico, in «Urbing tre. Quadernetti per la didattica», cit., pp. 123; R. Riboldazzi, Armonia e calcolo, necessità e bellezza. Città e progetto urbanistico negli scritti di Cesare Chiodi, in C. Chiodi, Scritti sulla città e il territorio, a cura di R. Riboldazzi, Unicopli, Milano 2006, pp. 9-111; G. Sartorio, Chiodi e la sua opera: un nuovo incontro, in C. Chiodi, La città moderna. Tecnica urbanistica, a cura di G. Sartorio, cit., pp. 13-15; G. Verga, Una città vera, ibid, pp. 17-18; R. Riboldazzi, Una città policentrica. Casare Chiodi e l'urbanistica milanese nei primi anni del fascismo, Polipress, Milano 2008; R. Busi, L'insegnamento dell'urbanistica nelle facoltà di ingegneria, in La formazione urbanistica dell'ingegnere e il governo del territorio, a cura di L. Carollo e A. Richiedei, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2018, pp. 13-25. Ampi riferimenti all’opera di Chiodi si trovano in: R. Busi, 1944-1946 Piani per la Milano del futuro ovvero La solitudine del tecnico, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2020.

6) E, aggiungo io, forse non secondariamente anche in quanto sottraeva al cliente (nel caso dell'urbanistica, correntemente, pubblico) la possibilità di avvalersi dell'alto livello di professionalità che comunque l'esercizio della ricerca contribuisce a generare.

 

 

N.d.C. - Roberto BUSI è professore emerito di Tecnica e pianificazione urbanistica dell’Università degli Studi di Brescia. Ha diretto l'Istituto di Pianificazione territoriale e trasporti dell’Università degli Studi della Basilicata, il Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio e Ambiente (DICATA) dell'Università degli Studi di Brescia (Facoltà di Ingegneria). Presso lo stesso ateneo è stato presidente del Consiglio del Corso di laurea di ingegneria civile; ha fondato e coordinato il dottorato di ricerca in “Luoghi e tempi della città e del territorio” e quello in “Ingegneria civile e ambientale” e ha fondato e diretto il Laboratorio CeSCAm affrontando tematiche riguardanti la qualità della vita in città, soprattutto per quanto riguarda il tema della sicurezza. È autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche ed ha svolto attività di pianificazione in Italia e all’estero. Tra gli altri si ricordano: il PTR della Regione Lombardia, il Piano Territoriale Paesistico della Provincia di Sondrio, il PRG di Sondrio, il PUC di San Remo, il Piano urbanistico della zona industriale di Colon (Panama). È stato presidente del CTS della Regione Lombardia e membro: della Commissione provinciale per le bellezze naturali della Provincia di Milano, del Centro Nazionale Studi Urbanistici (CeNSU); della Società Italiana Docenti di Trasporti (SIDT); della Società Italiana degli Urbanisti (SIU, della quale è stato nominato, per meriti scientifici, Socio Onorario); della Rete degli Urbanisti di Ingegneria (URBING); della Commissione Urbanistica dell'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Milano; dell'Associazione Nazionale Professori e Ricercatori Universitari in Pensione (ANPRUP) che ha contribuito a fondare.

Tra i suoi libri: Pianificazione territoriale. La componente extraurbana (Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di ingegneria civile, 1992); (a cura di), Autocostruzione della città. L'edilizia per la famiglia (Centro studi La famiglia, 2003); Pianificazione del paesaggio e gestione ambientale. Prime note metodologiche (Ordine degli ingegneri di Como, 1991); (a cura di), Suolo, terreno, acqua ed ecosistema nel piano regolatore (Legislazione tecnica, 2018); (a cura di), Padre Marcolini. Dalla casa per la famiglia alla costruzione della città (Gangemi, 2000); Pianificazione territoriale. La componente extraurbana (Cusl, 1990); con Piergiuseppe Pontrandolfi, Dall'analisi dei piani vigenti alla definizione di modelli e metodologie di intervento per i piani in zona sismica (s.e., 1990); (a cura di), Aree industriali dismesse e recupero del territorio. Una scommessa, atti del Convegno di studio svolto il 1° dicembre 1993 alla Facoltà di ingegneria dell'Università degli studi di Brescia (Università degli studi, Dipartimento di ingegneria civile, 1995); con Luisa Zavanella (a cura di); La protezione del pedone negli attraversamenti stradali (Egaf, 2001); con Maurizio Tira (a cura di), Il quadro della pianificazione territoriale nell'Italia nord occidentale. Linee interpretative del ruolo della Lombardia orientale (Bios, 2001); con Luisa Zavanella (a cura di), La classificazione funzionale delle strade (Egaf , 2002); con Luisa Zavanella (a cura di), La protezione del pedone negli attraversamenti stradali (Egaf, 2003); con Luisa Zavanella (a cura di), Le normative europee per la moderazione del traffico (Egaf, 2003); con Michela Tiboni (a cura di), Integrazione tra autoveicoli e traffico non motorizzato (Egaf, 2003); con Michele Pezzagno, Greenway nella infrastrutturazione del territorio (La fiaccola, 2002); con Michele Pezzagno (a cura di), Mobilità dolce e turismo sostenibile. Un approccio interdisciplinare (Gangemi, 2006); con Michele Pezzagno (a cura di), Camminare sull'Adda. Un sistema di percorsi per la mobilità dolce (Gangemi, 2007); con Valeria Ventura (a cura di), Vivere e camminare in città. Ripensare vie e piazze per la serenità e la sicurezza, atti della conferenza internazionale, Brescia 1995 (Università degli studi di Brescia, 1995); (a cura di), Le infrastrutture fisiche e telematiche per la citta del XXI secolo (Giannini, 1995); con Valeria Ventura (a cura di), Vivere e camminare in città. Andare a scuola, atti della conferenza internazionale, Brescia 1996 (Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1997); con Valeria Ventura (a cura di), Vivere e camminare in città. L’handicap nella mobilità, atti della conferenza internazionale, Brescia 1997 (Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1999); con Michele Pezzagno (a cura di), Vivere e camminare in città. Mobilita e sicurezza degli anziani, atti della Conferenza internazionale, Brescia 1998 (Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2000); con Michele Pezzagno (a cura di), Vivere e camminare in città. Politiche per la sicurezza nella mobilità: dal livello comunitario al livello comunale, atti della conferenza internazionale, Brescia 1999 (Tip. Camuna, 2005); con Maurizio Tira (a cura di), Safety for pedestrians and two wheelers (Bios, 2001); con Michele Pezzagno (a cura di), Town and infrastructure planning for safety and urban quality for pedestrians : selection of relevant European experiences (European Commission, 2001); con Giulio Maternini (a cura di), Le normative sulla progettazione stradale e l'analisi di sicurezza (Egaf, 2004); con Michele Pezzagno (a cura di), Vivere e camminare in città. Mobilità pedonale e trasporto pubblico, atti della conferenza internazionale, Brescia, Cremona, Piacenza 2000 (Tip. Camuna 2005); con Michele Pezzagno (a cura di), Una città di 500 km. Letture del territorio padano (Gangemi, 2011); 1944-1946 piani per la Milano del futuro, ovvero la solitudine del tecnico, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2020.

N. B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

09 DICEMBRE 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Conferenze & dialoghi

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2021: V. Magnago Lampugnani | G. Nuvolati
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

M. Agostinelli, Per una nuova primavera ecologica, commento a: P. P. Poggio, M. Ruzzenenti, «Primavera ecologica» mon amour (Jaca Book, 2020)

F. Bottini, M. De Gaspari, Periferie? Un limbo di disagio pianificato, commento a: Nuove Periferie (num. mon. di "Scomodo", 2021)

M. Secchi, Spazi aperti: innovazione e banalizzazione, commento a: M. Mareggi (a cura di), Spazi aperti (Planum Publisher, 2021)

M.Vergani, Per un'etica ambientale intergenerazionale, commento a: F. G. Menga, L’emergenza del futuro (Donzelli, 2021)

R. Rossi, L'illusione di una città ideale, commento a: S. Misiani, R. Sansa, F. Vistoli, Città di fondazione (FrancoAngeli, 2020)

C. Cellamare, Cambiare le periferie ripoliticizzandole, commento a: F. Cognetti, D. Gambino, J. Lareno Faccini, Periferie del cambiamento (Quodlibet, 2020)

F. Ventura, Per una critica dei principi territorialisti, commento a: Alberto Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

F. Camerin, L'urbanistica contrattatafa bene alla rendita, commento a: Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

P. Castoro, Biopolitica e mondo comune, commento a: O. Marzocca, Biopolitics for Beginners (Mimesis Int., 2020)

C. Olmo, Biografia (e morfologia) di una strada, commento a: C. Barioglio, Avenue of the Americas (FrancoAngeli, 2021)

A. Calafati, Il declino di Torino: una lezione per la città, commento a: A. Bagnasco, G. Berta, A. Pichierri, Chi ha fermato Torino? (Einaudi, 2020)

A. Bonomi, Quali politiche per la città di oggi?, commento a: C. Tajani, Città prossime (Guerini, 2021)

L. Marescotti, L'Urbanistica innanzitutto, commento a: C. Sambricio, P. Ramos (a cura di), El urbanismo de la transición (Ayuntamiento de Madrid, 2019)

M. Ruzzenenti, Il territorio dopo il Covid (e prima del PNRR), commento a: A. Marson, A. Tarpino (a cura di), Abitare il territorio al tempo del Covid (num. spec. di “Scienze del territorio”, 2020)

R. Pavia, Le città di fronte alle sfide ambientali, commento a: Livio Sacchi, Il futuro delle città (La nave di Teseo, 2019)

C.Salone, Oltre i distretti, dentro l'urbano, commento a: C. Mattioli, Mutamenti nei distretti (FrancoAngeli, 2020)

O. Marzocca, L'ambiente dell'uomo e l'indifferenza di Gaia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

G. Consonni, Il passato come risorsa del progetto, commento a: A. Lanzani, Cultura e progetto del territorio e della città (FrancoAngeli 2020)

F. Indovina, Urbanistica? Bologna docet, commento a: R. Scannavini, Al centro di Bologna, 1965-2015 (Costa Editore, 2020)

S. Brenna, È questa l’urbanistica che vogliamo?, Commento a: P. Berdini, Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

S. Moroni, Oltre la retorica dell’attivismo civico, commento a: C. Pacchi, Iniziative dal basso e trasformazioni urbane (Bruno Mondadori, 2020)

P. Pardi, Dal territorio una nuova democrazia, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

L. Carbonara, Riappropriarsi delle origini (di Mogadiscio), commento al catalogo della mostra curata da K. M. Abdulkadir, G. Restaino, M. Spina

C. Diamantini, La città nella tela del ragno, commento a: R. Keeton, M. Provost, To Built a City in Africa (nai010 publishers, 2019)

C. Petrognani e A. P. Oro, Paesaggi della pluralità, commento a: E. Trusiani et al. (a cura di), Paisagem cultural do Rio Grande do Sul, supplemento al n. 24/2021 di “Visioni LatinoAmericane”

E. Scandurra, Roma, e se non capitasse niente?, Commento a: W. Tocci, Roma come se (Donzelli, 2020)

G. Demuro, Custodire la bellezza insieme, commento a: G. Arena, I custodi della bellezza (Touring Club Italiano, 2020)

A. Casaglia, L'invenzione (e l'illusione) dei confini, commento a: L. Gaeta e A. Buoli (a cura di), Transdisciplinary Views on Boundaries (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020)

R. Pugliese, Comporre nuove urbanità, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (Donzelli, 2018)

L. Bonesio, Dall'uso-consumo all'uso-cura del mondo, commento a: O. Marzocca, Il mondo comune (Manifestolibri, 2019)

G. Amendola, La città è fatta di domande, commento a: A. Mazzette e S. Mugnano (a cura di), Il ruolo della cultura nel governo del territorio (FrancoAngeli 2020)

C. Bianchetti, Incoraggiare rotture e nuovi germogli, commento a: Camillo Boano, Progetto Minore (LetteraVentidue, 2020)

M. Balbo, La città pensante, commento a: A. Amin, N. Thrift, Vedere come una città (Mimesis, 2020)

G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili – Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a, A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)