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Concepito, scritto e curato da Mariavaleria Mininni (con alcuni contributi di Sergio Bisciglia, Marialucia Camardelli, Michele Cera, Giovanna Costanza e Miriam Pepe), questo libro – Osservare Matera. Cultura, cittadinanza e spazio (Quodlibet, 2022) – segue di cinque anni l’altro che l’autrice ha pubblicato per i tipi dello stesso editore marchigiano con il titolo Matera Lucania 2017. Laboratorio, città paesaggio. Le pubblicazioni sono incentrate sulla stessa città colta in due momenti critici e descritta con intenzioni dissimili. Nel 2017, Matera era tutta impegnata nei preparativi per diventare due anni dopo la capitale europea della cultura. Quel riconoscimento internazionale era visto, nel suo potenziale trasformativo, come la rara occasione di colmare un divario di sviluppo economico e di connessione infrastrutturale, ma anche e soprattutto come l’opportunità di esibire e far conoscere un esempio tangibile di urbanità in grado di superare la separazione tra naturale e artificiale. Nel 2021, anno in cui il secondo libro è stato prodotto, Matera era chiamata a interrogarsi sul lascito di quel vasto evento culturale, condizionato purtroppo dall’irruzione della pandemia da Covid-19. Lo scopo dichiarato è quello di tracciare un resoconto dell’esperienza nei suoi tanti risvolti materiali e immateriali, documentare e mappare i luoghi della trasformazione, restituire le performance artistiche ambientate negli spazi urbani, far percepire l’atmosfera di intenso coinvolgimento della cittadinanza materana senza distinguere tra residenti e visitatori. Nel fare questo, l’autrice riflette su come si possa custodire l’energia sprigionata dall’evento culturale e immetterla nelle pratiche di vita quotidiana per generare un nuovo spirito civico.
L’iniziativa delle capitali europee della cultura è stata promossa nel 1985 dall’allora Unione europea, con quattro edizioni realizzate in Italia (Firenze, Bologna, Genova e Matera) e una in programma a Gorizia nel 2025. In quattro decenni, anche in base ai caratteri delle città designate, l’evento ha assunto forme molteplici con l’obiettivo di valorizzare le culture urbane presenti in Europa e rafforzare nei cittadini dell’Unione il senso di appartenenza comune mediante l’incontro e la condivisione di esperienze. La designazione non è solo motivata dal patrimonio artistico e culturale delle città candidate, ma ben più dal palinsesto di eventi, spettacoli e manifestazioni offerti nel corso dell’anno celebrativo.
A Matera la fase di programmazione, secondo Mininni, è stata condotta con intelligenza e professionalità dalla Fondazione Matera-Basilicata, ente di scopo che porta nel nome la volontà di estendere la portata del progetto culturale a tutto il territorio regionale. In un primo tempo, si è rivolto un appello agli artisti lucani per fare emergere proposte da selezionare, finanziare e accompagnare nel loro sviluppo con la consulenza del gruppo curatoriale in base a un principio di co-creazione. In un secondo tempo, invece, il processo di costruzione della candidatura è stato orientato con più determinazione verso un dossier corrispondente alle richieste e ai criteri di valutazione del bando europeo. Questa svolta manageriale ha procurato alla città la designazione sperata, senza rinunciare alle iniziative artistiche dal basso, ma nello stesso tempo provocando un dissidio tra due visioni molto diverse della cultura come fattore di sviluppo urbano.
La Fondazione, da parte sua, ha elaborato un programma che investe soprattutto sul capitale sociale e relazionale per sopperire alla scarsità di finanziamenti e alla carenza di spazi attrezzati per ospitare eventi artistici. Tramite una piattaforma interattiva, si è condotto un censimento dei luoghi disponibili e utilizzabili esteso all’intera città, procedendo quindi con azioni di mutuo adattamento tra le creazioni artistiche e le possibilità offerte dai luoghi censiti. Con una strategia minimalista, da un punto di vista edilizio e infrastrutturale, sono stati scoperti o recuperati gli spazi che hanno consentito l’allestimento di centinaia di eventi. Una cava di tufo abbandonata è diventata così una suggestiva arena per concerti musicali. Lembi di suolo pubblico inutilizzato tra caseggiati di periferia si sono trasformati in giardini di comunità progettati e realizzati con il concorso degli abitanti. Abitazioni private sono diventate per settimane e talvolta per mesi la residenza condivisa di artisti internazionali e famiglie materane. Nelle piazze del centro storico sono stati allestiti spettacoli teatrali a cui i cittadini hanno potuto partecipare insieme ad attori professionisti. Il progetto Architettura della Vergogna ha operato per dare significati nuovi e positivi ai luoghi marginali e stigmatizzati dalla popolazione locale. Questi pochi esempi sono sufficienti a comprendere che la Fondazione ha puntato fortemente sulla ridefinizione dell’immagine di Matera e dell’immaginario collettivo dei suoi abitanti.
L’amministrazione comunale uscita vincente dalle elezioni del 2015 ha rimpiazzato quella che aveva portato la città alla designazione di capitale culturale nel 2014. Il sindaco De Ruggieri e la sua giunta sono stati fautori di una economia culturale che unisca la valorizzazione del patrimonio monumentale dei Sassi, iscritto tra i siti Unesco dal 1993, alla promozione di attività imprenditoriali nel settore ICT, in particolare quello delle digital humanities. In questa strategia, l’attenzione alle basi materiali dello sviluppo locale è maggiore di quella prestata alla formazione culturale dei cittadini. Sergio Bisciglia scrive in tal senso che, a Matera, “la cultura [è] diventata un fondamentale terreno di scontro politico e sociale e un campo di esercizio del potere” (p. 219).
L’università, nelle fasi preparatorie e successive al grande evento, si è ritagliata un ruolo di cerniera tra due visioni che avrebbero dovuto e ancora potrebbero coesistere. Mininni si fa interprete di questa conciliazione quando commenta quello materano come “un processo che non richiede trasformazioni dello spazio urbano ma che non può prescinderne” (p. 52). La trasformazione spaziale, in altri termini, pur non essendo tra gli obiettivi del programma imbastito dalla Fondazione, è una pietra di paragone necessaria per valutare gli effetti durevoli dell’evento. La ridefinizione dell’immagine di Matera può dirsi riuscita sul piano mediatico e turistico, ma è difficile dire quanto sia sedimentata nella coscienza dei cittadini e nel cambiamento dei loro stili di vita se tutto ciò non corrisponde a una modificazione dello spazio urbano. Infatti, argomenta l’autrice, “è nello spazio che riusciamo a riconoscere meglio quanto una politica culturale può contribuire a migliorare la vita delle persone elevando desideri e aspirazioni” (p. 28). Non si può prescindere da una ricerca spaziale condotta con mezzi “tecnicamente pertinenti” - secondo l’espressione di Bernardo Secchi più volte ripresa nel libro - sia per saggiare il cambiamento avvenuto con l’appropriazione e la scoperta di luoghi usati in modi insospettati, sia per dare stabilità e ordito a una trama altrimenti effimera.
L’alternarsi dei materiali verbo-visivi che restituiscono l’analisi spaziale mostra ai lettori un chiaro incremento della publicness di alcuni luoghi; una migliore accessibilità del capoluogo lucano tramite la nuova stazione ferroviaria e la riduzione del tempo richiesto per raggiungere l’aeroporto di Bari; il consolidamento della presenza universitaria con l’inaugurazione di un nuovo Campus. Tuttavia, sono anche numerosi gli aspetti irrisolti che sollecitano capacità di governo e attenzione progettuale.
Il primo dato evidente è la concentrazione degli eventi artistici e culturali nell’area dei Sassi dove è anche situata la sede della Fondazione. Pochi eventi hanno avuto luogo nei quartieri dell’espansione novecentesca e nelle borgate rurali dove vive la gran parte dei materani. Queste zone sono rimaste ai margini dell’evento culturale, mentre necessitano di migliorare le attrezzature urbane e di beneficiare dell’indotto turistico che oggi, come lamenta Francesco Francione in un’intervista, “raggiunge i bordi solo quando Matera è stracolma” (p. 202). La tendenza dei Sassi a costituire il baricentro dell’evento europeo non è stata voluta dal gruppo curatoriale e può essere considerata forse un effetto indesiderato al quale hanno contribuito, per un verso, il protocollo aperto di autocandidatura delle manifestazioni artistiche e, per un altro, l’imprenditorialità dei privati che hanno convertito in bed and breakfast tanti immobili del centro storico. Contenere questa tendenza centripeta, esaltata dal fascino ineguagliabile del paesaggio rupestre, avrebbe richiesto una pianificazione urbanistica, redistributiva e lungimirante. Maria Mininni ne era ben consapevole nel 2017. Il suo lucido ammonimento non ha ricevuto adeguato ascolto da parte dei decisori.
Adesso che l’evento è alle spalle, non è solo doveroso valutare l’impatto della spesa pubblica in città e nel circondario, ma anche interrogarsi sui modi per capitalizzare il flusso immateriale di creatività e scoperta che ha galvanizzato Matera. Cosa può realisticamente diventare un patrimonio stabile della comunità? Quali intuizioni e immaginazioni dello spazio urbano possono effettivamente trasformarsi in opere e servizi? Come dare continuità all’apprezzamento popolare per arte e spettacolo fino a farne un sinonimo di cittadinanza?
Le risposte a queste domande non sono affatto semplici in una realtà che vorrebbe trattenere i propri giovani, uscire da una condizione ai margini dello sviluppo, valorizzare un paesaggio e una tradizione ancora genuini, ma deve fare i conti con la debolezza di un apparato tecnico-amministrativo sguarnito di personale, con la chiusura di una classe politica locale assertrice di “un valore dell’identità che non può essere detto da altri, rimaneggiato e aggiornato se non dai materani stessi” (p. 25), con il bisogno di soddisfare richieste comprensibili e modeste come quella degli anziani che nel borgo della Martella non desiderano un teatro, ma un luogo dove poter giocare a carte (cfr. p. 202). Confidando nel possibilismo di Albert Hirschman, l’autrice avanza la riflessione disciplinare fino a “sondare la possibilità del progetto urbanistico di operare con l’immateriale di un progetto culturale” (p. 320). Questa via ci sembra compatibile con i limiti della situazione materana e, allo stesso tempo, con una visione di cittadinanza culturale che scaturisca dal Mezzogiorno senza subalternità. Il libro è parte di un progetto racchiuso nell’esortazione di Franco Cassano citata nel risvolto di copertina: “non pensare il Sud alla luce della modernità ma al contrario pensare la modernità alla luce del Sud”. Esso mira in prospettiva alla costruzione di un’identità europea e non esclusivamente locale. Intravede con fiducia la possibilità di innestare un enzima autoctono e mediterraneo nell’organismo europeo in lenta formazione e anche in lenta convalescenza da una serie impressionante di crisi che si susseguono dal 2008 in avanti. Nella terza parte del libro sono perciò descritti e rappresentati tre assemblaggi così nominati per dare conto di una progettualità mite, per usare il linguaggio di Francesco Infussi, che annoda e intreccia in figure urbane dei materiali eterogenei, in parte estratti dai cassetti dell’amministrazione comunale, in parte suggeriti dagli usi creativi e spontanei dell’anno celebrativo, in parte disegnati per espandere la rigenerazione oltre il centro storico, ma sempre “cercando una possibile modalità di convivenza senza mediazione tra le diverse intenzioni, per semplice accostamento” (p. 320).
La stessa tecnica di semplice accostamento è sperimentata nella composizione del libro che tende, per analogia, alla forma che si vorrebbe per la città contemporanea. Le parole dell’autrice fanno da contrappunto a un coro di materiali testuali, grafici e fotografici in cui si mescolano molteplici registri espressivi e comunicativi, scommettendo sull’ipotesi che “la produzione di immagini della città non [sia] tanto diversa dalla produzione della città” (p. 36). Maria Mininni propone un percorso di ricerca, quello di “una nuova forma urbana capace di interpretare la cultura del momento” (p. 98), rivolto alla cittadinanza materana in un momento di soglia tra passato e futuro e a chi sia disilluso dalla modernità rapace e incolta.
Luca Gaeta
N.d.C. – Luca Gaeta, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, è coordinatore del dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy nel Dipartimento di Architettura e Studi Urbani.
Tra i suoi libri: Segni del cosmo. Logica e geometria in Whitehead (LED Edizioni, 2002); Il seme di Locke. Interpretazioni del mercato immobiliare (FrancoAngeli, 2006); Il mercato immobiliare. Beni, diritti, valori (Carocci, 2009); La democrazia dei confini. Divisioni di suolo e sovranità in Occidente (Carocci, 2011); con M. Bolocan Goldstein, S. Moroni e G. Pasqui, Modelli e regole spaziali. Liber amicorum per Luigi Mazza (FrancoAngeli, 2013); con U. Janin Rivolin, L. Mazza (a cura di), Governo del territorio e pianificazione spaziale (CittàStudi Ed., 2013 e 2018); con A. Arcidiacono, A. Bruzzese e L. Pogliani, Governare i territori della dismissione in Lombardia: caratteri, contesti, prospettive (Maggioli, 2015); con A. Balducci (a cura di), L’urbanistica italiana nel mondo. Contributi e debiti culturali (Donzelli, 2015); La civiltà dei confini. Pratiche quotidiane e forme di cittadinanza (Carocci, 2018); con A. Buoli (a cura di), Transdisciplinary Views on Boundaries: Towards a New Lexicon (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020); Urbanistica contrattuale. Criteri, esperienze, precauzioni (FrancoAngeli, 2021); Orizzonti quotidiani. Introduzione alla conoscenza dei confini (Mimesis, 2023).
Per Città Bene Comune ha scritto: Lefebvre e il beat della vita quotidiana (4 dicembre 2020).
Dei libri di Luca Gaeta, v. in questa rubrica: Gabriele Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza (11 gennaio 2019); Agostino Petrillo, Oltre il confine (15 giugno 2019); Anna Casaglia, L’invenzione (e l’illusione) dei confini (14 luglio 2021); Piergiorgio Vitillo, Urbanistica? Contrattare si può (11 novembre 2022).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
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