|
OLTRE IL CONFINE
Commento al libro di Luca Gaeta
Agostino Petrillo
altri contributi:
dello stesso autore
sullo stesso argomento
|
|
|
|
|
La questione dei confini da tempo tiene banco sia per quanto riguarda gli aspetti che toccano gli equilibri interni e le politiche degli stati nazionali sia per quanto concerne la loro crescente rilevanza economica e geopolitica più generale. Lo spatial turn nelle scienze umane ha inoltre innescato un dibattito al riguardo che è ben lungi dall'essere concluso. Difficile però pensare a un approccio "neutro" o unicamente accademico al confine che richiede, per essere esplorato e compreso, una presa di posizione politica, come va ripetendo da tempo uno dei più importanti studiosi contemporanei della tematica, Sandro Mezzadra.
Di fronte a un confine non si può essere che o pro o contro. In questo senso, proprio in quanto obbliga a una scelta di parte, oltre che di paradigmi interpretativi, il confine è un luogo fertile, generatore di conoscenza su di se stessi e sugli altri. Nella lettura che ce ne offre Luca Gaeta nel suo ultimo libro, La civiltà dei confini. Pratiche quotidiane e forme di cittadinanza (Carocci, 2018) - una lettura situata "a partire dall'urbanistica", ma tutta giocata in una prospettiva transdisciplinare che mette insieme scienze del territorio, filosofia e sociologia - il confine si atomizza in un pulviscolo di pratiche che continuamente lo ridefiniscono. Riprendendo e conducendo all'estremo alcuni temi già presenti in nuce in un suo volume di qualche anno fa - (La democrazia dei confini. Divisioni di suolo e sovranità in Occidente (Carocci, 2011) - l'autore elabora una critica al "monofisismo dei confini", vale a dire a una concezione monolitica e stato-centrica del confine e, al tempo stesso, mette in luce come lo spazio del confine sia uno spazio sociale, in cui si muovono linee di tensione non univoche ma molteplici, in cui si producono appunto "pratiche" il cui senso ultimo investe identità e culture. Il confine non è una linea, non è un muro, un fiume o una montagna, quanto la risultante di una serie di interazioni sociali.
La produzione dei confini è allora una produzione continua, interminabile, che varia con il variare degli universi soggettivi e collettivi che li suscitano, invocano e difendono. Una prospettiva, dunque, per cui non è tanto importante il confine fisico, materiale, più o meno "naturale" che sia, quanto le rappresentazioni che i diversi attori si danno del confine stesso e, soprattutto, la ricaduta materiale di queste rappresentazioni sotto forma dell'agire di coloro che ricadono nella sfera magnetica d'influenza del confine stesso. Parafrasando Ernest Renan potremmo dunque dire che il confine è il frutto di un plebiscito di ogni giorno, rinasce da una sommatoria di traiettorie individuali che quotidianamente lo producono e ri-producono. Insomma, il confine si profila qui come costruzione storico-sociale costantemente e variamente riproposta.
Il testo, tuttavia, non si limita a proporre questa prospettiva teorica astratta e inserisce nella sua struttura più generale carotaggi ed esplorazioni che ne rendono più concreto il metodo di indagine. A mio avviso, e per i miei personali ambiti di ricerca, ho trovato di grande interesse il capitolo terzo, dedicato allo zoning, in cui è viva l'eco dell'insegnamento di Luigi Mazza, ma che presenta un'analisi innovativa e a tratti sorprendente della genesi delle "frontiere interne della città". A partire da una rilettura della manualistica tedesca e americana tra la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, Luca Gaeta ci presenta una istruttiva carrellata su aspetti meno esplorati delle origini della "ragione urbana" europea. Lo Städtebau, la costruzione razionale della città in Germania, così come viene elaborata nell'epoca che va da Baumeister a Stübben, funziona infatti solo se vi è una Gruppierung, un'assegnazione-ascrizione di determinati gruppi sociali a precise parti della città. Gruppi che sono individuati per reddito e attività professionale svolta, e la cui collocazione sul terreno della città va normata anche in base a criteri "funzionali". Sia pure in una visione ancora tutta "edilizia", la città borghese e quella operaia vanno pensate a priori come separate, salvo permettere locali "adattamenti" e parziali intersezioni tra le classi. Negli Stati Uniti un'ottica analoga, se non addirittura più rigida, permette nei decenni verso la fine del XIX secolo di disegnare tecnicamente la linea del colore che attraversa le città, utilizzando lo strumento di uno "zoning razziale" (verrebbe da dire oggi con un neologismo, razzializzato) che trova le sue prime applicazioni e sperimentazioni operative nelle misure rivolte contro i migranti cinesi. Poi sarà il turno dei neri, a partire da Baltimora. Qui la costruzione dei confini interni della città non è però in questo caso operata dal "basso", ma il risultato di una scelta politica arbitraria e aprioristica delle élites. Non a caso le versioni più intransigenti e dogmatiche dello "zoning razziale" falliscono nel loro obiettivo, e vengono sostituite da un più pragmatico ed efficace districting che cerca di tenere conto di vari fattori, tra cui il valore immobiliare, le attività produttive che vengono svolte in diverse zone, inseguendo quasi le linee di demarcazione di quella organizzazione "spontanea" dei gruppi e delle attività che qualche anno dopo i sociologi di Chicago chiameranno le aree naturali della metropoli. Allora però il confine così inteso si sposta progressivamente verso delle linee sempre più interne, e vede sfumare alcuni dei suoi connotati più propriamente tecnici e amministrativi per approdare a una dimensione di contrattazione politico-sociale.
La "civiltà dei confini" sotto questo profilo appare dunque segnata da una ambiguità fondativa, da una "volontà di confine" che non è data per sempre e in maniera univoca, ma è suscettibile di variazioni, di modificazioni. Se tutto questo è vero mi pare allora che i movimenti che premono sui confini contemporanei possano intercettare le pratiche che ne riproducono la sostanza e interferire con esse. Proprio perché continuamente ridefinito dalla pratica sociale, il confine porta in sé il germe del suo cambiamento e del suo superamento. L'andirivieni pulviscolare che si agita intorno al confine e ne determina la vigenza implica sempre anche la possibilità non episodica di oltrepassarlo. E da questa parte, oltre il confine, anche noi scegliamo di stare.
Agostino Petrillo
N.d.C. - Agostino Petrillo è professore associato di Sociologia dell'Ambiente e del Territorio al Politecnico di Milano.
Tra i suoi libri: La città perduta. L'eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo (Dedalo, 2000); con Sandro Mezzadra (a cura di), I confini della globalizzazione. Lavoro, culture, cittadinanza (Manifestolibri, 2000); Max Weber e la sociologia della città (Franco Angeli, 2001); Città in rivolta. Los Angeles, Buenos Aires, Genova (Ombre corte, 2004); con Stefano Padovano, Sociologia (Vallardi, 2004; 2008); Identità urbane in trasformazione (Coedit, 2005); con Paolo Bossi e Emilio Guastamacchia, Progetti di infrastrutture nella regione urbana (Franco Angeli, 2006); Villaggi, città, megalopoli (Carocci, 2006); con Cesare Blasi e Gabriella Padovano, Nomadismo. Il futuro dei territori (Maggioli, 2011); con Laura Longoni (a cura di), Fiumara. Il nuovo polo urbano e la città (Ledizioni, 2012); Peripherein. Pensare diversamente la periferia (Franco Angeli, 2013); con Sonia Paone e Francesco Chiodelli, Governare l'ingovernabile. Politiche degli slum nel XXI secolo (ETS, 2018); con Paola Bellaviti (a cura di), Sustainable Urban Development and Globalization. New strategies for new challenges (Springer, 2018); La periferia nuova. Disuguaglianza, spazi, città (Franco Angeli, 2018).
Sul testo oggetto di questo commento, v. anche: Gabriele Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza (11 gennaio 2019).
N.b. I grassetti nel testo sono nostri
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 15 GIUGNO 2019 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
powered by:
Le conferenze
2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione
Gli incontri
- cultura urbanistica:
- cultura paesaggistica:
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019:
L. P. Marescotti, Urbanistica e paesaggio: una visione comune, commento a: J. Nogué, Paesaggio, territorio, società civile (Libria, 2017)
F. Bottini, Idee di città sostenibile, Prefazione a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)
M. Baioni, Urbanistica per la nuova condizione urbana, commento a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)
R. Tadei, Si può comprendere la complessità urbana?, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
C. Saragosa, Aree interne: da problema a risorsa, commento a. E. Borghi, Piccole Italie (Donzelli, 2017)
R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)
M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)
M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)
A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)
P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)
M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)
M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)
P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)
C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)
F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)
I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)
G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)
M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)
G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)
I post
|
|
|