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Alla Casa della Cultura di Milano torna Città Bene Comune, convegno sulla città, il territorio, l’ambiente, il paesaggio e le relative culture interpretative e progettuali giunto all’XI edizione. Ideato e diretto da Renzo Riboldazzi, è coprodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano e si svolge con il patrocinio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), della Società Italiana degli Urbanisti (SIU), di Accademia Urbana (AU), della Società dei Territorialisti/e (SdT) e dell'Associazione Italiana di Scienze Regionali (AISRe).
Ospite del primo appuntamento, mercoledì 8 maggio alle 18, sarà Alessandro Balducci, professore ordinario di Pianificazione e Politiche urbane al Politecnico di Milano e curatore - per i tipi della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli - del libro La città invisibile. Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli. Con il curatore ne discuteranno Massimo Bricocoli - direttore del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano -, Giampaolo Nuvolati - prorettore per i Rapporti con il Territorio dell’Università degli Studi di Milano Bicocca - e don Gino Rigoldi - ideatore e fondatore dell’omonima Fondazione.
Le ragioni di un confronto
Il titolo - La città invisibile - è un artificio retorico di sicuro effetto. Lo è per tutti noi nel suo immediato richiamo all’opera di Calvino. E lo è stato per gli autori di questo libro, edito negli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nel 2023, nel loro leggere la città, il territorio, la società contemporanea da differenti prospettive culturali. E provare, con la fatica che questo comporta per la complessità dell’impresa, a darcene conto. A disvelarla per quello che è. Tuttavia, come spesso accade, a farci intuire più chiaramente il senso del libro è probabilmente il sottotitolo - Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli - che dichiara assai più apertamente l’obiettivo del curatore del volume - Alessandro Balducci - di indagare “il tema delle trasformazioni, silenziose e poco visibili, che stanno cambiando - attraverso movimenti carsici - la natura e la forma della città” (p. VII) e del territorio.
In realtà i fenomeni narrati non sempre sono così occulti o sotterranei. Di alcuni, tanto nella letteratura scientifica quanto nella pubblicistica o nei mezzi di comunicazione di massa, si parla e si scrive anche molto. Altri, è vero, sono forse meno considerati ma, in generale, noti per i loro impatti sulle condizioni urbane e territoriali. Ciò che invece emerge chiaramente da questo interessante lavoro è da un lato una realtà articolata, difficile da comprendere e descrivere perché caratterizzata da “un insieme estremamente intricato di reti di connessione e di soggetti umani e non umani che prendono decisioni interdipendenti, mettendo in un equilibrio sempre precario un sistema a crescente complessità” (p. VIII). Un tema enorme, su cui anche recentemente si sono arrovellati diversi studiosi, che riguarda non solo l’urbanistica ma quanti hanno a cuore il futuro dei contesti in cui viviamo. Dall’altro la mutazione del quadro di riferimento perché il presupposto del curatore è che “non esisterebbe più un dentro e un fuori dalla città, ma un unico processo di urbanizzazione planetaria, estesa o concentrata, fatta di esplosioni e implosioni” (p. VIII) che meriterebbe - come Balducci e altri ricercatori hanno tentato e stanno tentando di fare - di essere considerata con strumenti nuovi che, più che alle radici della disciplina nata in una situazione del tutto differente, muovano dalle condizioni attuali. Ci sono dunque un problema di contesto - di difficile, forse impossibile, vera interpretazione e narrazione - e uno di strumenti - da ripensare, ridefinire, ricalibrare sulla base della realtà. Realtà che merita di essere letta e riletta infaticabilmente. Di essere compresa e dunque, per quanto possibile, governata. Questo perché - scrive il curatore - solo “avendo scavato nelle dimensioni opache poco visibili delle città [e del territorio] potremo, forse, trovare elementi per costruire progetti e politiche capaci di renderle più inclusive, abitabili e accoglienti per tutti” (p. X). In questo binomio, credo, stia l’anima del libro, il suo portato civile e culturale.
Clima e salute sono i “grandi invisibili” che aprono il libro. Sulla questione ambientale, osserva Roberto Mezzalama, molti “veli sono caduti e l’umanità [ora] deve affrontare una possibile catastrofe, le città, i loro amministratori e cittadini si trovano davanti a sfide e problemi giganteschi ma anche a opportunità senza precedenti” (p. 20) che vanno colte e considerate per garantire in primis la sopravvivenza nostra e di tutte le specie viventi. Ma anche un’esistenza civile e in condizioni adatte al benessere individuale e collettivo. “Servono - prosegue Simona Giampaoli - azioni che incidano sulla rappresentazione del significato di comportamento salutare dei singoli e politiche che affrontino le problematiche legate alle disuguaglianze” (p. 46) che, in tema di salute e benessere sociale, giocano un ruolo significativo nella nostra società.
Una seconda sezione è dedicata alla digitalizzazione letta tanto come opportunità quanto come minaccia. Ne scrivono, in tre saggi distinti, Giovanni Azzone, Piercesare Secchi e Mara Ferreri. Per il primo, questa “mette in crisi le attività economiche di prossimità: agenzie di viaggi, librerie, negozi di abbigliamento - scrive Azzone - non sono che le prime vittime di un processo destinato probabilmente ad allargarsi” (p. 58). Per il secondo, “costruire modelli, guidati dai dati - compresi i big data - per la rappresentazione e l’analisi della diversità che caratterizza le comunità urbane […], è - afferma Secchi - la sfida che ci attende nell’immediato futuro” (p. 88). Per la terza, invece, sarebbe necessario “pensare a un ‘diritto alla città digitale’ come componente fondamentale - sostiene - di un più ampio ‘diritto alla città’ per il XXI secolo” (p. 99). In tutti e tre i casi, tuttavia, comprendere a fondo gli effetti delle piattaforme digitali - da Airbnb ad Amazon – e, più in generale, della digitalizzazione nelle molteplici forme con cui interagisce con lo spazio urbano e territoriale e, più in generale, la vita delle persone, anche nel lungo periodo, appare inevitabile. Soprattutto, ne andrebbe colto il ruolo e i livelli di autonomia nelle relazioni tra governo della cosa pubblica e cittadini, ruolo sempre più impattante e distorcente le normali relazioni democratiche.
La terza sezione è dedicata alle cosiddette popolazioni invisibili. Quella degli anziani - di cui scrivono Flavia Martinelli e Costanzo Ranci -; quella dei giovani - tratteggiata da Paola Piscitelli - e quella fenomenologia sociale che - a giudizio di Paolo Perulli - connota oggi la vita urbana determinando inclusione ed esclusione. Ovvero: “imprese in mano all’élite, utenti-neoplebe che forniscono i dati per la profilazione, provider-creativi fornitori di contenuti pagati sulla base di contratti iniqui (lavoro intellettuale sottopagato e precario, il ‘proletaroide)” (p. 166). Un triangolo asimmetrico - lo definisce Perulli - da cui si uscirà solo attraverso il “rovesciamento della prospettiva moderna neoliberale” (p. 167). Che, rispetto al secolo scorso, ha determinato cambiamenti profondi anche nelle relazioni sociali determinando voragini - di solitudine, inquietudine, disadattamento - in molte fasce di popolazione. Oggi - osservano per esempio Martinelli e Ranci - “invecchiare a casa significa, per un numero sempre più numeroso di persone, invecchiare da soli” (p. 121). Ovvero, esporsi a condizioni di fragilità legate spesso al contesto costruito - l’ambiente domestico, l’edificio, il quartiere – che naturalmente “la dotazione di capitale economico, di capitale sociale, di capitale culturale contribuisce non poco ad aumentar[e] o ridur[re]” (p. 123). Capitale che spesso non costruiamo adeguatamente, neppure con i giovani tant’è che - come osserva Piscitelli - molti dati sulla condizione giovanile sono oggettivamente “indicatori di malessere diffuso e trasversale nelle nostre società urbane” (p. 144).
La quarta sezione del libro è quella più ricca. Riguarda lo spazio urbano e il governo della città, anche qui tra visibilità e invisibilità. Vi hanno contribuito in molti: Valeria Fedeli - sui processi di regionalizzazione -, Pierre Filion - sulle infrastrutture urbane -, Matteo Colleoni - sulla mobilità -, Mike Raco e Tuna Tașan-Kok - sulle riforme urbanistiche, in particolare quelle guidate dagli operatori immobiliari -, Agostino Petrillo - sulle periferie - e Claudio Calvaresi - sull’innovazione sociale -. Fedeli insiste sulla necessità di “rendere visibili e soprattutto udibili e infine agibili nuove arene di policy all’altezza delle sfide poste dalle nuove geografie prodotte dal mondo contemporaneo” (p. 195). Sottolinea che “la scala tradizionale dell’urbano è - anche in Italia - saltata da tempo: la città è uscita dai suoi confini e sempre meno è possibile distinguere una città dal suo esterno” (p. 196). Ma per tutto ciò manca una governance efficace. Filion ci ricorda che le infrastrutture possono unire ma, allo stesso tempo, “possono essere strumenti di frammentazione, contribuendo alla segmentazione delle popolazioni urbane, indirizzandole verso sfere che offrono risorse sociali e condizioni di vita molto diverse” (p. 217). Colleoni sottolinea il ruolo dell’automobile nel plasmare lo spazio urbano e territoriale. Da un lato - scrive - ha determinato “strade e piazze in cui la pervasiva presenza di veicoli ha sottratto spazio e ha compromesso lo svolgimento delle altre attività e forme di mobilità” (p. 239). Dall’altro evidenzia come la “elevata dispersione degli insediamenti dell’attuale fase urbana, che è alla base dell’aumento della motorizzazione privata a discapito della mobilità con mezzo pubblico e attiva” (p. 238) con impatti non secondari sull’inquinamento e la qualità di vita delle persone. Raco e Tașan-Kok indagano “l’incremento di riforme orientate al mercato e progettate per consentire alla finanza e ai privati di assumere un ruolo più forte nello sviluppo e nell’implementazione delle politiche urbanistiche” (p. 249). È una tendenza diffusa nelle società che, in contraddizione con il ruolo dell’urbanistica, mette lo sviluppo economico di ristretti gruppi sociali all’apice dei loro interessi. A Milano la conosciamo bene. Così come conosciamo gli effetti generati in termini di gentrificazione e dunque di esclusione dall’abitare urbano di fasce sociali sempre più ampie. Petrillo ci ricorda amaramente che “le periferie italiane sono sparite dall’agenda politica a partire dagli anni Ottanta [… e] la questione è stata ritenuta in gran parte liquidata con la svendita del patrimonio pubblico” (p. 285) dando luogo a situazioni di vera e propria ingovernabilità immobiliare. Oggi - prosegue - le “periferie […] sono anche sempre più povere: non solo mancano i servizi, ma mancano opportunità economiche” (p. 287) che impediscono ogni possibilità di trasformazione. Limitando anche quelle della cosiddetta innovazione sociale ovvero di quelle forme di progetto che maturano nei luoghi di cui scrive Calvaresi. “Le pratiche dell’innovazione urbana sono - sottolinea l’autore - progetti impliciti, riconoscibili a condizione che si osservino i fatti per come accadono e si guardi alle persone per come affrontano i problemi” (p. 301). Ecco perché nelle quotidiane pratiche di trasformazione è sempre più frequente percorrere la strada del “riconoscimento degli innovatori sociali come attori di policy in diversi programmi di intervento territoriale” (p. 310).
Dopo il contributo fotografico di Giovanni Hänninen - Fotografare l’invisibile - chiude il volume il saggio di Alessandro Balducci che ha l’obiettivo ambizioso di riconoscere il senso complessivo delle trasformazioni per governare il cambiamento. Balducci individua tre tipi di invisibilità: quella legata alla disuguaglianza, quella legata al carattere immateriale di molte trasformazioni e quella legata all’opacità dei meccanismi di governo. La prima, in estrema sintesi, è determinata da “politiche falsamente distributive o assenza di politiche [che] hanno favorito la produzione di squilibri e disuguaglianze crescenti” (p. 349). Che non vediamo o fingiamo di non vedere. La seconda “oltre che dall’immaterialità, dall’estrema complessità dei processi e dei prodotti [digitali] coinvolti che rende molto difficile comprenderne il funzionamento, le implicazioni, i raggi d’azione, gli eventuali profili problematici e, quindi le modalità di regolazione” (p. 351). La terza riguarda “la nuova dimensione della città, che travalica le strutture di governo preesistenti, ma viene mantenuta invisibile - scrive Balducci - proprio dal mantenimento di queste strutture di governo che consentono […] di non impegnarsi in iniziative creative di coordinamento orizzontale e verticale, di superamento dei confini, di ridisegno multiscalare dei poteri, sempre bloccato da una sorta di dinamico conservatorismo dei poteri costituiti” (p. 352). Per Balducci, la soluzione ai molti problemi evidenziati nel libro va cercata ragionando su questi tre aspetti, poco visibili ma concreti nei loro impatti. È qui - sostiene - che “possiamo forse ritrovare le ragioni e le risorse per costruire il progetto della città futura, cercando di comprendere ciò che è invisibile perché immateriale e di disvelare ciò che è invisibile perché occultato” (p. 358).
Da sottolineare - perché contraddice il ruolo sempre meno centrale nella società contemporanea - è che in molti saggi emerge il ruolo dell’urbanistica, in qualsiasi forma la si intenda (ovvero in termini di progetto o di politiche) nel governare il presente e il futuro della città e del territorio. Ne scrive Roberto Mezzalama secondo cui “la struttura urbanistica delle città influenza sia le caratteristiche delle loro emissioni di gas serra sia, di conseguenza, le strategie per la loro riduzione” (p. 9). In altri termini, l’inquinamento ambientale si contrasta con un’urbanistica adeguata. Ne scrive Simona Giampaoli secondo cui per l’Organizzazione delle Nazioni Unite “lo sviluppo della società contemporanea dipende in massima parte dalla comprensione e dalla gestione della crescita delle città” (p. 25). Anzi, le città - afferma - sono “il centro per il miglioramento dello stato di salute […], possono esserne le promotrici” (p. 45). Ne scrivono Flavia Martinelli e Costanzo Ranci secondo cui “la casa in sui si dimora, l’edificio entro cui si è collocati e il quartiere in cui si risiede diventano […] gli spazi fondamentali della vita quotidiana, da cui dipende la qualità umana e sociale dell’esistenza” (p. 119). È dunque nel loro progetto, nella nostra capacità di eliminare le barriere ambientali, di garantire servizi di prossimità e mezzi di trasporto che - secondo gli autori - sta una buona fetta della nostra qualità della vita. Ne scrive Paola Piscitelli che lamenta la mancanza di “una vera saldatura tra politiche giovanili e politiche urbanistiche” (p. 147) ma sottolinea che “i bambini e i giovani non sono solo una popolazione con esigenze particolari, ma anche una popolazione con energie e intuizioni speciali che possono apportare al processo di sviluppo degli insediamenti umani” (p. 149). Ne scrive Paolo Perulli che ci invita al “superamento del modello urbano energivoro e distruttivo dell’economia terrestre [per abbracciare] una nuova ‘città come prodotto della terra’ basata sulla sostenibilità e sull’inclusione” (p. 167). Ne scrive Pierre Filion secondo cui “modellare le città […] è fondamentale dal punto di vista del policy-making in quanto le città sono oggetto di controlli, normative e interventi del settore pubblico che richiedono monitoraggio, pianificazione e previsione continui” (p. 216). Ne scrive Matteo Colleoni che parla della necessità di un “miglioramento dell’estetica dello spazio pubblico, in particolare dei luoghi della mobilità” (p. 241); che invita alla “rinegoziazione del valore e delle funzioni d’uso di strade e piazze, all’ampliamento e al miglioramento degli spazi della mobilità pedonale e ciclistica e di quelli della mobilità con il mezzo pubblico” (p. 242); che propone politiche volte a “contenere la dispersione insediativa e l’uso del suolo e a promuovere programmi di ri-densificazione e mix funzionale a favore della rivitalizzazione dei quartieri” (p. 243). Ne scrivono Mike Raco e Tuna Tașan-Kok sottolineando l’ambiguità del ruolo dei pianificatori che continuano “a operare secondo gli ideali di ‘interesse pubblico’ impressi nel loro dna, pur dovendo soddisfare quotidianamente gli interessi degli investitori” (p. 257). Ne scrive Agostino Petrillo secondo cui “la periferia [per come si è evoluta negli anni si è trasformata in] un cimitero di progetti passati di città, rimasti un abbozzo non finito” (p. 287) ed è anche da qui, dal non fatto, che bisogna ripartire.
Come? La risposta emerge da più parti. Da un lato conoscere la realtà, “scorgere il futuro nella mutazione che abitiamo: stare in ascolto, assumersi il rischio e la fatica della conoscenza reciproca al di là delle differenze. E - afferma Piscitelli - camminare, camminare, continuare a camminare” (p. 157). Perché - scrive Filion - “le città […] sono probabilmente l’artefatto umano più complesso insieme, forse, al linguaggio” (p. 215): una complessità estrema “che va oltre le capacità, mentali, strumentali e analitiche” (p. 224) e che ci induce – come fa Petrillo – a chiederci davvero “che cosa significa ‘vedere’?” (p. 276). Dall’altro assumendo una posizione politica, qualcosa che denunci da che parte stiamo e dove vogliamo andare. È cioè “necessario ripensare l’architettura della legittimità della democrazia liberale, andando oltre la soluzione ‘provvisoria’, ma negli scorsi decenni sempre praticata, che - scrive Petrillo - ha prodotto come risultato la banalizzazione e la depoliticizzazione della politica locale” (p. 292). L’obiettivo di tutti noi - e quello del libro - dovrebbe essere quello di “abitare nel futuro società glocali intelligenti e inclusive. In cui - sostiene Perulli - ogni sistema ideale sia radicato, rispettato e aperto al resto del mondo. Abbia pari dignità e riconoscimento, e sia in grado di veder circolare al proprio interno beni superiori come la giustizia, la verità, la bellezza” (p. 165).
Renzo Riboldazzi
N.d.C. Sul libro curato da Alessandro Balducci, in questa rubrica v. anche: Walter Tocci, Visibile-invisibile per il buongoverno urbano (1° marzo 2024) © RIPRODUZIONE RISERVATA 03 MAGGIO 2024 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture interpretative e progettuali
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
ideazione e direzione scientifica (dal 2013): Renzo Riboldazzi
direttore responsabile (dal 2024): Annamaria Abbate
comitato editoriale (dal 2013): Elena Bertani, Oriana Codispoti; (dal 2024): Gilda Berruti, Luca Bottini, Chiara Nifosì, Marco Peverini, Roberta Pitino
comitato scientifico (dal 2022): Giandomenico Amendola, Arnaldo Bagnasco, Alessandro Balducci, Angela Barbanente, Cristina Bianchetti, Donatella Calabi, Giancarlo Consonni, Maria Antonietta Crippa, Giuseppe De Luca, Giuseppe Dematteis, Francesco Indovina, Alfredo Mela, Raffaele Milani, Francesco Domenico Moccia, Giampaolo Nuvolati, Carlo Olmo, Pier Carlo Palermo, Gabriele Pasqui, Rosario Pavia, Laura Ricci, Enzo Scandurra, Silvano Tagliagambe, Michele Talia, Maurizio Tira, Massimo Venturi Ferriolo, Guido Zucconi
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