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Negli ultimi quindici anni, l'Europa non è riuscita a promuovere concrete occasioni di studio né sulla città di Mogadiscio né sul suo millenario patrimonio edificato. Se non fosse per un articolo di Rashid Ali (ALI, 2013), per il catalogo della mostra "Mogadishu - Lost Moderns" (tenuta, dallo stesso Ali con il fotografo Andrew Cross, alla galleria londinese The Mosaic Rooms fra marzo e aprile 2014) e per un saggio fotografico di Guillaume Bonn (BONN, 2015), si potrebbe quasi ipotizzare che il panorama architettonico e urbanistico di questa città abbia subito un vero e proprio "oscuramento". Eppure sugli altri insediamenti coloniali d'oltremare, che nel corso della prima metà del Novecento hanno espresso il livello decisamente alto della maturità progettuale degli architetti e ingegneri italiani dell'epoca, esistono numerose pubblicazioni. A far data dall'indimenticata Architettura Italiana d'oltremare. 1870-1940 (GRESLERI, MASSARETTI, ZAGNONI, 1993), le pubblicazioni su Eritrea, Etiopia, Libia o Dodecaneso hanno proliferato sia in Italia sia all'estero. Se, alle nostre latitudini, la scuola fiorentina di Ezio Godoli ha celebrato di preferenza l'architettura degli insediamenti italiani affacciati sul Mediterraneo - in particolare quelli disposti lungo l'arco geografico che dalla Dalmazia arriva sino al Marocco (GODOLI, GIACOMELLI, 2005) -, a Zurigo, a Berkeley e a Vienna, gli studiosi hanno invece dato risalto soprattutto al secret modernism di Asmara, alle meraviglie del modello imperiale di Gondar o alla spiccata mediterraneità delle soluzioni progettuali escogitate per le isole dell'Egeo.
Con il suo Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017), Nuredin Hagi Scikei ci accompagna nell'universo ancora poco conosciuto del Banaadir: regione geografica affacciata sulla costa dell'Oceano Indiano che, dalla città di Warsheekh - situata a nord della capitale somala e chiamata Uarsceik dagli Italiani - si estende fino a Ras Kambooni, al confine con il Kenya, inoltrandosi per circa sessanta chilometri verso l'interno della Somalia. Coloro che oggi noi chiamiamo Banaadiri sono in realtà gli eredi di una comunità multietnica, formata oltre dieci secoli fa da popolazioni provenienti dal Golfo Persico e forse dell'Asia Centrale. Mogadiscio, che già nel sec. XIV, è un indiscusso centro nevralgico del Banaadir, era organizzata su due zone distinte, rispettivamente dedicate all'esercizio di diverse attività economiche: Hamar Weyne, vicina all'ingresso principale alla città murata, era organizzata prevalentemente per il commercio di animali vivi (capre e cammelli) e di merci provenienti dall'Etiopia meridionale; Shingaani, adiacente alla spiaggia e agli approdi delle imbarcazioni mercantili, era invece il punto di smistamento per i traffici provenienti dai vari paesi dell'Oceano Indiano e diretti verso l'entroterra. Grazie a tale rete di scambi commerciali - che dalle aree costiere del Banaadir si spingevano verso i villaggi più remoti del Corno d'Africa - anche la cultura islamica si propaga via via nell'area orientale del continente per merito di missionari votati all'insegnamento del Corano.
Il testo si articola in otto capitoli: nei primi quattro, Nuredin Hagi Scikei ci introduce, dapprima, nel mondo e nella cultura del Banaadir, quindi nella campagna di diffamazione contro lo stesso che apriva sostanzialmente la strada per la cosiddetta "colonizzazione umanitaria", per arrivare allo sviluppo urbano durante il periodo italiano e chiudere con la politica della damnatio memoriae che costituisce il primo grido di allarme che Nuredin Hagi lancia in questo testo. Un grido che sarà ripreso al termine, nell'ottavo capitolo, dove l'autore si sofferma sulle criticità e le urgenze del patrimonio architettonico e avanza alcune proposte per la sua salvaguardia e la sua tutela. Se i primi quattro capitoli sono dedicati alla conoscenza critica della cultura del Banaadir e alle principali questioni storiche, i capitoli che seguono costituiscono un suggestivo viaggio tra il patrimonio culturale di Mogadiscio: architetture e resti archeologici sono rigorosamente schedati e raccontati con brevi testi e fotografie che ne descrivono l'attuale stato di conservazione seguendo un metodo affine a quello utilizzato in Europa per la catalogazione dei beni materiali. L'ottavo capitolo, infine, conclude questo viaggio ponendo all'attenzione degli addetti ai lavori e della comunità scientifica internazionale le principali criticità ed emergenze; come lo stesso Nuredin Hagi sottolinea: "Il quartiere storico di Hamar Weyne necessita di un serio lavoro di restauro per preservare la sua antica identità. Il distretto non ha sistemi di drenaggio per l'acqua piovana e ogni volta che piove intensamente l'area è ulteriormente degradata. Il drenaggio stradale è un requisito urgente in quanto l'acqua stagnante che si raccoglie nelle passerelle strette e tortuose è un terreno fertile per gravi malattie. […] A Saraha vengono costruiti nuovi edifici, che da un certo punto di vista possono essere visti come un segnale positivo di crescente fiducia nel futuro. Tuttavia, il tipo di costruzione deve essere regolato e le decisioni prese sull'armonia dei nuovi edifici con il patrimonio storico del distretto. […] In breve, l'appello è rivolto a una pianificazione e a un restauro competenti e professionali per creare un paesaggio urbano adeguato per i cittadini che sono già stati colpiti da così tante difficoltà" (p. 52).
Alla denuncia delle emergenze, al richiamo a una pianificazione e a un restauro consapevoli segue, da parte dell'autore, la proposta di creare un'istituzione simile al nostro Istituto superiore per la conservazione e il restauro (ISCR) dove, in un unico organismo, storici, architetti, archeologi e altri professionisti altamente qualificati possano svolgere attività di ricerca, formazione e, allo stesso tempo, tutelare e restaurare il patrimonio culturale. La proposta dell'autore è indirizzata anche alla formazione di maestranze edili in grado di affrontare con competenza e professionalità la gamma di attività collegate al restauro e alle tradizionali tecniche costruttive. A fronte degli "ultimi venti anni di incertezza, con il declino della società e la mancanza di opportunità, le competenze specialistiche sono diminuite. È necessario un completo rinascimento per produrre i mastri costruttori, falegnami, specialisti in intonaci decorativi e artigiani con conoscenza delle tecniche di costruzione e restauro in pietra corallina, legno locale e altri materiali da costruzione tradizionali" (p. 52). Le indagini, le osservazioni e le conclusioni di Nuredin Hagi sono alla triplice scala: urbana, architettonica e archeologica. Alla scala urbana pone l'accento in particolar modo sulle aree di Shingaani e Hamar Weyne che, dalla lettura della mappa di Mogadiscio del 1908, risultano essere i due nuclei insediativi della città, separati tra loro da uno spazio occupato da edifici isolati, apparentemente a destinazione pubblica, compresi all'interno di una cinta muraria con due accessi principali di cui uno proprio nell'insediamento di Hamar Weyne. Su questi due nuclei si agganceranno formalmente e strutturalmente i piani urbanistici del 1912 e del 1927; quest'ultimo, sull'impianto tracciato dal piano del 1912, organizzerà l'espansione, in tutte le direzioni, della città. La lettura critica dei piani, a partire proprio dalla descrizione di Shingaani e Hamar Weyne, ci rivela l'importanza dei due nuclei su cui l'autore si sofferma: essi sono l'ancoraggio culturale e fisico-spaziale tra preesistenze e città coloniale, almeno per quanto concerne i due strumenti urbanistici sopra citati, rivelandone un approccio non invasivo o per lo meno non totalmente distruttivo.
Le conclusioni/richieste, cui arriva Nuredin Hagi, si collocano sotto un duplice aspetto; da un lato assumono connotazioni tecnico-scientifiche, dall'altro hanno il sapore di un grido di allarme e di aiuto, al contempo, rivolto esplicitamente alla comunità scientifica internazionale: "È difficile vedere come ciò possa essere realizzato se non con l'aiuto di partner internazionali, lavorando insieme con i team locali, pianificando il processo, ottenendo finanziamenti per questo progetto e poi lavorando insieme nella sua esecuzione. Pertanto sarebbe utile cooperare con quei Paesi che hanno affrontato problemi di ripristino delle città e attingere alla loro esperienza" (p. 52). Nella proposta della creazione di un Centro di eccellenza sul modello del nostro Istituto superiore per la conservazione e il restauro si può intravvedere un'ulteriore specifica richiesta direttamente rivolta al nostro paese nonostante l'ambiguità del suo rapporto con la Somalia che, come spiega bene Nicola Pedde su "Limes", rappresenta, tra narrazione della relazione storica e tragica conclusione del nostro impegno nei primi anni Novanta, ancora oggi un elemento delicatissimo sotto il profilo storico e geopolitico.
Elio Trusiani
Riferimenti bibliografici R. Ali 2013, Making of a modern African city, "RIBA journal", n. 3, 2013 Mar, p. 42-43. R. Ali e A. Cross 2017, Mogadishu - Lost Moderns, London, Mosaic Rooms, 2017. G. Bonn 2015, Mosquito Coast: Travels from Maputo to Mogadishu, Berlin, Hatje Cantz Verlag, 2015. G. Gresleri, P.G. Massaretti, S. Zagnoni 1993, Architettura Italiana d'oltremare. 1870-1940, Venezia, Marsilio, 1993. E. Godoli, M. Giacomelli (a cura di) 2005, Architetti e Ingegneri Italiani dal Levante al Magreb 1848-1945. Repertorio biografico, bibliografico e archivistico, Pistoia, Maschietto, 2005. N. Pedde, Così abbiamo perso la Somalia (http://www.limesonline.com/cartaceo/cosi-abbiamo-perso-la-somalia).
N.d.C. - Elio Trusiani è professore associato di Urbanistica all'Università di Camerino e, all'Università La Sapienza di Roma, insegna alla Scuola di specializzazione in "Beni Architettonici e Paesaggio".
Tra i suoi libri: Il recupero urbano dall'adeguamento alla trasformazione (Roma: Aracne, 1999); Il sistema universitario diffuso. Il caso della regione Marche (Roma: Kappa, 2003); (a cura di), Progettando il recupero: 10 anni di esperienze didattiche (Roma: Aracne, 2004); Orientarsi nell'urbanistica (Roma: Carocci, 2008); con Carlo G. Nuti e Silvia B. D'Astoli (a cura di), Montalto Uffugo e il suo territorio. Metodo e studi per il Piano Strutturale Comunale (Roma: Officina, 2009); (a cura di), Roma/Mosca. Vicende urbanistiche a confronto: Roma 1909-1939 (Roma: s.n., 2009); Progetto e cultura nella città dei movimenti: 0055 51 Porto Alegre Brasile (Roma: Gangemi, 2010); (a cura di), Paesaggi della Val d'Orcia. Progettare le trasformazioni (Roma: Orienta, 2011); (a cura di), Dall'ex tempore al workshop. Esperienze di ricerca e progetto (Roma: Gangemi Editore, 2012); (a cura di), Esame di stato paesaggista. Temi svolti e commentati, normativa di riferimento (Roma: Orienta, 2013); con Emanuela Biscotto e Silvia B. D'Astoli (a cura di), Landscape: between conservation and transformation (Roma: Gangemi, 2013); (a cura di), Urban planning architecture and heritage in Cape Verde (Roma: Gangemi, 2013); (a cura di), Pianificazione paesaggistica. Questioni e contributi di ricerca (Roma: Gangemi, 2014); con Décio Rigatti, Architettura e paesaggio italiano in Serra Gaúcha. Migrazione italiana e territorialità (Roma: Nuova cultura, 2017); con Francesca Giofrè, Atelier de reflexion urbaine. Progetti per la città, projects pour la Ville, Design For The City 2013|2015 (Roma: Orienta Edizioni, 2017); con Rosalba D'Onofrio, Città, salute e benessere. Nuovi percorsi per l'urbanistica (Milano: Franco Angeli, 2017); con Rosalba D'Onofrio, Urban Planning for Healthy European Cities (Berlin: Springer, 2018).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 27 APRILE 2018 |
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R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)
F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)
J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)
R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)
M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)
A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)
P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo
G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)
P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)
R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)
L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)
M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)
W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)
A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)
F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)
V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)
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