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Forse il paesaggio ci salverà. Se saremo capaci di progettarlo con attenzione, curarlo, mantenerlo, conservarlo. Della funzione salvifica del paesaggio tratta Vito Cappiello nel primo capitolo (Paesaggio, terapia per la città) del suo libro Attraversare il paesaggio (LIST Lab 2017) in cui raccoglie saggi "scritti in vari momenti e per varie occasioni" (p. 7). Il libro si presenta come un percorso di grande interesse che attraversa, appunto, il tema del paesaggio e offre molte occasioni di riflessione. E può suscitare, perciò, numerose occasioni di dibattito, quanto mai necessario per chiarire, approfondire e porre a confronto le diverse concezioni del paesaggio e del progetto di paesaggio che si riscontrano (e scontrano) nella cultura contemporanea.
Il libro, proprio perché affronta un tema difficile come quello del paesaggio, è complesso. Nei diversi saggi che lo compongono, l'autore tratta delle diverse concezioni e forme del paesaggio leggibili sia nella contemporaneità sia nel corso della storia. Saggi che, tuttavia, sono sempre tra loro legati da un robusto filo formato da alcuni temi ricorrenti. I principali, quelli che posso definire come temi chiave, sono quattro: cos'è il paesaggio, i diversi tipi di paesaggio, la percezione del paesaggio, il progetto di paesaggio. Con i primi tre temi che condizionano in modo determinante il quarto: il progetto di paesaggio, che è il tema centrale di tutto il libro.
Cos'è il paesaggio
Definire cos'è il paesaggio è senza dubbio il primo passo necessario a intraprendere e poi proseguire nel percorso proposto dall'autore attraverso il paesaggio. Prima di tutto, come detto, il libro evidenzia il ruolo "salvifico" che il paesaggio può svolgere sia come capacità di promozione di valori spirituali e civici, sia della salute fisica, e dunque, in genere, come uno dei fattori determinanti per la qualità dell'abitare: "Nelle molteplici forme in cui il paesaggio è apparso nella storia dell'umanità - scrive Cappiello -, quello di elemento salvifico (e quindi terapeutico, salutare), è certamente una costante significativa" (p. 10). Il paesaggio è necessario alla salute fisica come a quella mentale di chi lo abita o comunque lo attraversa.
Ma quale paesaggio? Nella storia, abbiamo diverse definizioni di paesaggio che, con un progressivo ampliamento, partendo da quella di paesaggio come insieme di "quadri naturali", o di paesaggio dei giardini e dei parchi, arrivano nella contemporaneità a quella della Convenzione Europea del Paesaggio siglata a Firenze nel 2000 (1), la più convincente e completa (2). Definizione che posso riassumere dicendo che paesaggio è tutto il mondo fisico che percepiamo nell'attraversarlo come abitanti o come visitatori abituali o occasionali. Dunque, paesaggio significa "una non più netta contrapposizione fra parco, giardino e città; [ma come] una 'contaminazione' fra naturale e non naturale" (p. 43). Tanto che - sottolinea Cappiello - "Il paesaggio non è più identificato come la 'parte non costruita', ma è un 'insieme complesso', un 'indistinto complesso', che comprende il tutto" (p. 108).
Tuttavia, una nuova concezione salvifica del paesaggio richiede "che 'risolva' e superi il conflitto originario fra il paesaggio (reminiscenza dell'Eden) e la città (opera di Caino)"(p. 43). Con questo mi sembra si voglia dire che, dopo la constatazione dell'insostenibile concezione di un paesaggio limitato al 'paesaggio bello' (3), anche le diverse e successive concezioni e relative definizioni che hanno evitato ed evitano di affrontare la questione della bellezza del paesaggio sono riduttive e non soddisfacenti. Perché forse bisogna cominciare a dire, ritengo, che l'abitare in un bel paesaggio può essere un diritto per gli abitanti: il diritto a un buon abitare, alle qualità di un buon abitare. E che occorra, però, pensare a una definizione di bellezza del paesaggio (una estetica del paesaggio) non solo concepita come bellezza di un "quadro naturale" o di spazi, ma in quanto "percezione" di benessere che il paesaggio può generare negli abitanti o nei fruitori occasionali non solo per le sue forme, ma anche come percezione o sentimento di appartenenza (e in questo credo possa anche consistere la funzione salvifica del paesaggio proposta e auspicata da Cappiello: "sentirsi bene", provare benessere nei luoghi della nostra vita, nei luoghi che abitiamo). Si tratta dunque di una percezione non solo dei sensi ma anche e soprattutto di valori e di significati che gli abitanti possono associare a luoghi o a elementi singoli del paesaggio.
Aggiungo, come conseguenza, che occorre, se si introduce nelle narrazioni sul paesaggio il tema della percezione che gli abitanti hanno dei loro ambiti di vita, operare una distinzione tra 'paesaggio istituzionale' e 'paesaggio locale'. Essendo il paesaggio istituzionale quello che, in sintesi, viene definito e gestito (narrato) dall'alto delle istituzioni con leggi, piani e regolamenti. E il paesaggio locale quello i cui valori sono definiti e apprezzati (narrati) dal basso: appunto quei valori e significati percepiti dagli abitanti di un dato ambito (4). Naturalmente è quanto mai auspicabile una coincidenza per quanto possibile ampia tra 'paesaggio istituzionale' e 'paesaggio locale', e dunque una concezione del paesaggio istituzionale che abbia sufficiente flessibilità per accogliere e promuovere paesaggi locali. E viceversa di narrazioni di paesaggi locali che abbiano la possibilità di incidere sulle definizioni del paesaggio istituzionale.
I diversi tipi di paesaggio
Se paesaggio è tutto ciò che percepiamo del mondo fisico che ci circonda, occorre saper distinguere tra i diversi tipi di paesaggio, in quanto differenziati nei loro caratteri geografico-fisici. E qui si può tornare al titolo del libro di Cappiello: che offre, come detto, effettivamente un percorso di attraversamento e di ragionamenti sui diversi tipi di paesaggio trattati nei diversi capitoli-saggi. Tipi di paesaggio che sono: il paesaggio dei parchi e giardini, il paesaggio agrariourbanoindustriale, quello delle periferie urbane, della storia e dell'archeologia, dei centri minori, i paesaggi dei terrazzamenti... Qui voglio, in particolare, fare riferimento al cap. 2 (Dopo Emilio Sereni: verso un nuovo paesaggio) e al cap. 4 (Periferie) che trattano del paesaggio di aree urbane che possiamo comprendere in una definizione allargata di periferia (definibile come tale a vario titolo) e che sono le parti largamente maggioritarie delle zone urbanizzate in Italia (intorno al 75-80% del totale): quelle che più soffrono di gravi carenze delle qualità dell'abitare, anche per la bassa qualità del paesaggio che, in genere, offrono agli abitanti. Questo, nei tre tipi che l'autore individua: il paesaggio della campagna abitata, quello delle periferie abusive e quello delle periferie legali.
Per poter effettivamente far assumere al paesaggio il ruolo salvifico auspicato nel libro, occorre quindi "spingere il progetto di paesaggio a non occuparsi tanto dei bei paesaggi, quanto piuttosto dei cosiddetti 'buchi neri' della città contemporanea" (p. 52). Quei 'buchi neri' che purtroppo sono il paesaggio della vita quotidiana di moltitudini di abitanti. E che queste aree possano essere dette i "buchi neri della città contemporanea" lo dimostrano proprio le loro condizioni di paesaggio. Il paesaggio della campagna abitata: "una nuova e inestricabile forma di rapporto fra città e campagna, dove la prima fagocita sempre più voracemente la seconda, senza che, però, la campagna possa chiamarsi ancora città, e senza che la campagna possa chiamarsi più spazio agricolo" (p. 115). Una situazione di invasione urbana delle aree della campagna e di compromissione tale da poter parlare di un nuovo paesaggio 'agrariourbanoindustrialeinfrastrutturale' (p. 103), dove "la vera sfida è di saper ridisegnare una prospettiva che proponga una nuova 'bellezza', non apollinea e sovrumana, ma capace di ridare senso anche agli errori (quando ineliminabili) ormai stratificati nel territorio" (p. 117). Il paesaggio della periferia abusiva: "Un territorio privo di immagini riconoscibili, di punti di riferimento che orientino il fruitore non locale, una sorta di enorme indifferenziazione dello spazio, misti di costruzioni completate, di scheletri rimasti a metà, di residui di appezzamenti vuoti, talvolta coltivati, più spesso abbandonati ed incolti, muri di cinta di cemento" (p. 120). In generale - osserva Cappiello -: "Le periferie urbane (esterne ed interne alle città) sono per lo più ignorate, o interessate da programmi quasi esclusivamente edilizi (e spesso di edilizia poco significativa) che non risolve il tema della qualità del paesaggio delle periferie" (p. 214).
La percezione del paesaggio
Credo che una delle innovazioni più rilevanti proposte dalla Convenzione Europea del Paesaggio sia l'aver posto, nella definizione di paesaggio ("determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni"), l'accento sulla percezione degli abitanti. Che, come già detto, è percezione di relazioni di appartenenza, ma anche necessariamente percezione sensoriale, essendo i due tipi di percezione interdipendenti. Definizione che comporta importanti conseguenze sulla questione di che cos'è il paesaggio e sulle narrazioni che lo riguardano, quale ad esempio la già citata articolazione tra paesaggi istituzionali e paesaggi locali. E poiché qualsiasi narrazione su un tipo di paesaggio non può prescindere dalla sua descrizione fisica, vale a dire dalla descrizione delle percezioni che se ne hanno delle sue caratteristiche fisiche, è su questo tipo di percezione che occorre porre l'attenzione.
Il tema della fruizione percettiva del paesaggio non è centrale nel libro ma se ne possono trovare molte tracce nei vari capitoli, ed è comunque trattato in modo esplicito e strutturato nel capitolo 4 (Periferie) al paragrafo 4.4 - Nuovi sguardi dal paesaggio ("Paesaggio" e "Paesaggi urbani"). Qui, in particolare, viene rilevato come si siano, nella contemporaneità, modificate le modalità dell'osservazione, rispetto alle concezioni precedenti, passando:
- "da una visione 'statica' e 'centrale' del paesaggio […] ad una visione in movimento, priva di 'centralità', anzi 'multicentrica' […]";
- "da una condizione di 'riduzione all'unità' dell'osservatore […] ad una condizione di 'moltiplicazione indeterminata' degli osservatori […]";
- da una condizione di osservatore come "agente passivo" ad una condizione di osservatore "come costruttore di paesaggi", proprio per l'atto della sua osservazione" (p. 129).
Mi sembra che nel primo punto venga individuata una modalità della percezione del paesaggio rapportabile a quella per "visioni seriali" proposta da Gordon Cullen in Townscape (5), nel caso quindi del paesaggio urbano. Visioni seriali che possono essere definite anche come "percezioni per sequenze continue" (6). Vale a dire che, per poterlo percepire nella sua interezza e complessità, non è sufficiente guardare staticamente il paesaggio come panorama. Il paesaggio va attraversato materialmente, percorrendo gli spazi che lo formano e preferibilmente a piedi per poter fare esperienza completa delle sue caratteristiche. Gli altri due punti sono un consequenziale approfondimento della definizione di paesaggio proposta dalla Convenzione Europea del Paesaggio.
È di un certo interesse anche un'osservazione dell'autore a proposito di un innovativo rapporto tra lettura (percezione) del paesaggio e progetto di paesaggio: "Dopo il progetto del parco de La Villette - scrive Cappiello - si sono sviluppate molte esperienze innovative che hanno riguardato contemporaneamente il modo di leggere il paesaggio e il modo di progettarlo. Una costante tende a far diventare il progetto [di paesaggio una sorta di sequenza di] "layer" concepiti separatamente che, sovrapposti nella realizzazione, restituiscono la complessità ricercata. I principali layer di progetto tendono a identificarsi con il layer degli elementi "eccezionali" (i punti); il layer degli elementi "lineari" (le linee); il layer degli elementi "areali" (le aree), recuperando così il famoso testo didattico di Vassily Kandisky: Punto, linea, superficie" (p. 108). Una modalità di lettura del paesaggio, questa descritta, che posso rapportare, senza forzature, a quella proposta da Kevin Lynch per il quale, nelle mappe mentali che ognuno degli abitanti di una città si costruisce e memorizza, si possono riscontare cinque elementi principali ricorrenti: i nodi e i riferimenti (i punti), i percorsi e i margini (le linee) e i quartieri (le aree) (7). Dunque, utilizzando Cullen e Lynch, posso sostenere che le modalità di percezione del paesaggio, di qualunque paesaggio, sia esso urbano, agricolo o naturale, si fondano su elementi comuni: sono percezioni nelle quali spiccano, su uno sfondo poco definito, elementi emergenti per valori condivisi riconosciuti dagli abitanti per forma, per funzioni e valori sociali. E dunque, un progetto di paesaggio dovrebbe essere fondato anche su queste modalità della percezione. È evidente, infatti, che a seconda dei ragionamenti che facciamo sulle modalità della percezione del paesaggio, dovremo dedurne conseguenze sul modo di progettare il paesaggio.
Il progetto di paesaggio
Il progetto di paesaggio - le sue concezioni e i suoi principi - è uno degli aspetti, come già detto, centrali del libro. Perché è chiaro che il destino del paesaggio (e la sua funzione salvifica) è legato a quelle concezioni e principi. Per l'autore il paesaggio progettato è la "forma che l'uomo, nel corso e ai fini della costruzione del suo spazio vitale, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio (naturale), con la finalità di determinare un ambiente con valenze estetiche e di benessere" (p. 11). In questa definizione ho racchiuso io, arbitrariamente, tra parentesi la parola naturale perché è una parola che toglierei. In questo modo, ne risulterebbe una definizione ampia e comprensiva di tutte le forme di paesaggio, di tutti i tipi di paesaggio agricolo e naturale così come di tutti i tipi di paesaggio urbano. Tanto che, anche come conseguenza della definizione di paesaggio contenuta nella Convenzione Europea, forse tutte le operazioni di trasformazione della città e del territorio, sia quelle di grande scala come quelle di piccola scala, sia quelle definibili come progetti urbanistici, sia quelle definibili come progetti di architettura, dovrebbero essere chiamate progetti di paesaggio e soprattutto concepite come tali: si dovrebbe cioè "sperare finalmente che ogni trasformazione urbana sia meditata e risolta in quanto tema di progetto di paesaggio" (p. 145). Un'affermazione, questa, che dovrebbe avere profonde conseguenze sui metodi e i contenuti dell'attività progettuale.
Definizione di paesaggio, quella sopra, che inoltre, lì dove parla di forme coscientemente e sistematicamente impresse al paesaggio, propone una visione di un paesaggio (che comprende anche quello da conservare) continuamente modificato e modellato (o anche, che continuamente si modifica e si modella, anche per cause naturali esterne ed endogene): "Il Paesaggio - osserva Cappiello - è, nei fatti, qualcosa di vivo ed in continua trasformazione, una sorta di cantiere eterno" (p. 163). Definizione che mi permette di parlare di "costruzione del paesaggio" sia in senso immateriale - perché se ne costruiscono le narrazioni (le visioni) - sia in senso materiale - perché sul paesaggio si opera attraverso costruzioni propriamente dette di manufatti, edifici e infrastrutture, ma anche attraverso operazioni di restauro, conservazione, riqualificazione, manutenzione -. Definizione, anche, che rende chiara la strada che ci si offre per una possibile funzione salvifica del paesaggio. Questo per essere tale deve essere un paesaggio progettato, costruito e gestito con continuità e in modo da contenere luoghi ed elementi singoli, sistemi di luoghi e di elementi singoli, capaci di produrre valori estetici e di benessere percepibili come tali dagli abitanti o dai fruitori occasionali. E ciò tanto nel caso di paesaggi già dotati di alte qualità, quanto nel caso dei paesaggi degradati.
Il libro offre in tutti i capitoli molteplici riflessioni e idee, numerosi criteri e principi per il progetto di paesaggio. Se ne possono riassumere brevemente alcuni, quelli che a chi scrive sono sembrati i più rilevanti e interessanti proprio ai fini degli obbiettivi di qualità estetiche e di benessere per gli abitanti da introdurre nei processi di progettazione. Anzitutto, secondo l'autore, "il progetto paesistico deve farsi carico di una serie di nuove operazioni:
- studiare le aree scartate o abbandonate, i paesaggi del rifiuto, le aree nascoste;
- scoprire le nuove potenziali zone di biodiversità, avviare riciclaggi;
- analizzare le potenzialità residue di materiali e spazi altrimenti dimenticati, abbandonati o nascosti nella città e nel territorio, per costruire paesaggi;
- realizzare non tanto interventi sullo scarto, sul rifiuto, ma con l'oggetto o il luogo rifiutato, scartato, visto come strumento per il processo progettuale" (p. 54).
La riqualificazione urbana va fatta utilizzando nella città soprattutto il verde, in particolare nelle parti povere di qualità urbana che vanno concepite e trattate come giardino da progettare: "Il 'verde' ed il 'paesaggio naturale' appaiono come 'salvezza delle città', dal punto di vista energetico, climatico, produttivo, estetico" (p. 215). Un 'verde' che, tuttavia, richiede una interpretazione "non come parte autonoma della città, ma quasi come metafora e continuazione della stessa" (p. 75). Dunque, ciò che l'autore propone è un "dissolversi della distinzione netta fra materiali 'naturali' […] e materiali 'non naturali'" (p. 108). Un progetto di paesaggio della città che interessi "tutto ciò che in esso è 'spazio pubblico e collettivo' […] tale da unire in una grande ossatura collettiva tutto ciò che è pubblico di qualità, accorpando anche spazi di risulta, abbandonati, interstiziali" (p. 165). Che è proprio un progetto di sistema di luoghi e oggetti eminenti per valori sociali, funzionali e formali; la concretizzazione in un progetto, cioè, delle mappe mentali degli abitanti che a quei luoghi e oggetti si sentono legati in quanto ad essi associano valori condivisi. Un metodo di progettare il paesaggio che ritengo di grande interesse che comporta la costruzione di strutture (sistemi) di luoghi ed oggetti eminenti che possono essere tali solo in rapporto alle percezioni degli abitanti. Dunque, proprio per tener conto del ruolo degli abitanti, concludo con una considerazione: per costruire un bel paesaggio, quel paesaggio che dovrebbe rivestire funzioni salvifiche per gli abitanti, occorre incrementare i progetti e la costruzione di paesaggi locali. Come propone Cappiello: "Il senso del progetto per un'area va inteso […] come una capacità di 'direzionare' molteplici azioni progettuali non solo fisiche, né solo estetiche, quanto piuttosto connesse ad attività che vari soggetti sociali ed individuali compiono o desiderano compiere su un territorio"(p. 185).
Sappiamo che il paesaggio è l'esito di progetti non solo delle Amministrazioni pubbliche e dei tecnici, ma anche, e forse per la gran parte, del territorio, delle azioni di una molteplicità di soggetti che operano secondo desideri, volontà, capacità e intenti spesso anche estetici. Basti pensare al paesaggio agricolo, esito di attività di molteplici operatori, non sempre (ma anche, talvolta) direttamente improntate a volontà estetica, ma che sicuramente producono comunque effetti anche estetici di grande valore. Ma anche ai sempre più numerosi comitati e associazioni di cittadini che nelle città assumo la "cura" di aiuole, strade, giardini, monumenti, aree archeologiche e parchi. E che producono effetti di qualità urbana sociale, funzionale ed estetica altrimenti scarsa o assente, che potrebbe essere incrementata coinvolgendo più associazioni e comitati e più aree abbandonate, inutilizzate o degradate. Cittadini che potrebbero assumere anche la cura di tante di quelle risorse paesaggistiche "minori" che, soprattutto nelle aree agricole periurbane, sono in stato di degrado e abbandono. Sto parlando di quel complesso di manufatti e luoghi che saranno gli abitanti stessi a indicare perché parte delle loro memorie, già amati e usati o da scoprire e apprezzare: i materiali per la costruzione dei paesaggi locali. Materiali che possono essere, ad esempio: alberate in filari e siepi; alberi monumentali; coltivazioni agricole locali; edifici rurali; fontane, fontanili, lavatoi, abbeveratoi; formazioni idro-geo-morfologiche singolari; luoghi amati e frequentati; piccole chiese, cappelle, luoghi e manufatti di devozione; piccoli complessi di edifici storici; punti panoramici; rovine archeologiche o storiche minori; sentieri e percorsi storici; terrazzamenti e muri a secco, e altro ancora. In tutti i casi, si tratta di un articolato e ricco complesso di luoghi e oggetti che possiedono valori nella percezione degli abitanti di una determinata zona e che potrebbero, con adeguati progetti, essere componenti di una struttura fisica che dovrebbe rappresentare una sorta di telaio per la riqualificazione sociale, funzionale e formale del paesaggio di quartieri e aree agricole periurbane.
Per concludere, il paesaggio ci salverà se ognuno di noi, secondo le proprie capacità e competenze, sarà impegnato a salvare il paesaggio "progettandolo", partecipando consapevolmente alla sua "costruzione" e operando con adeguate azioni per la sua trasformazione, cura e manutenzione.
Paolo Colarossi
Note 1) Per una serie di definizioni di paesaggio v. p. 102. 2) Dalla Convenzione Europea del Paesaggio: "Art. 1. Definizioni. - […] designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni"."Art. 2 - Campo di applicazione - […] la presente Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati". 3) V. la L. n. 1497 del 1939. 4) Sul tema dei paesaggi locali vedi: P. Colarossi (2016) "Building Local Cultural Landscapes". In: F. Rotondo, F. Selicato, V. Marin, J. Lòpez Galdeano (a cura di), Cultural Territorial Sysstems. Landscape and Cultural Heritage as a Key to Sustainable and Local Development in Eastern Europe, Springer, Switzerland, p. 133 - 180. 5) Cullen, Gordon: Il paesaggio urbano. Morfologia e progettazione, Calderini, Bologna, 1976, pagg. 4 e 5. 6) V. Colarossi, Paolo: Elementi di estetica urbana, Paragrafo 3.1.3. 'Le percezioni dello spazio', pag. 85. In: Colarossi, Paolo; Latini, Antonio Pietro: La progettazione urbana, vol II: Metodi e Materiali, Il Sole 24ore, Milano, 2008. 7) Lynch, Kevin: L'immagine della città, Marsilio, Padova, 1973.
N.d.C. - Paolo Colarossi, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università Sapienza di Roma, ha diretto il Dipartimento di Architettura e Urbanistica dello stesso ateneo. È stato membro del Bureau della International Federation for Housing and Planning, ha fondato il Laboratorio Abitare la Città (centro di studi e di progettazioni sperimentali sui quartieri e sullo spazio collettivo) del Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale della Sapienza. Svolge lavoro di ricerca e di progettazione sperimentale in particolare sui temi degli strumenti urbanistici a scala locale, sul progetto di paesaggio con particolare attenzione al disegno urbano per una città sostenibile, sull'estetica urbana, sulla progettazione urbanistica partecipata.
Tra le sue pubblicazioni: con J. Lange (a cura di), Tutte le isole di pietra: ritratti di città nella letteratura (Gangemi, 1996); con A. P. Latini (a cura di), Regole della forma e qualità urbana, "Urbanistica Dossier", n. 22, 1999; Spazio collettivo e bellezza della citta?, in: C. Mattogno (a cura di), Idee di spazio, lo spazio delle idee (FrancoAngeli, 2002, pp. 145-172); La cultura della piccola dimensione (A proposito di un modo desiderabile per abitare felicemente lo spazio urbano), in: L. De Bonis (a cura di), La nuova cultura delle città (Accademia Nazionale dei Lincei, 2005, pp. 80-96); Redeveloping the city: Case Study Rome, in: V. Goldsmith, E. Sonnino (a cura di), Rome and New York City. Comparative urban problems at the end of 20th Century (Ed. La Sapienza, Roma 2006, pp. 23-68); con P. Cavallari (a cura di), Spazio pubblico e bellezza nella città (Aracne, 2008); Elementi di estetica urbana, in: P. Colarossi, A. P. Latini (a cura di), La progettazione urbana (Ed. del Sole 24 Ore, 2008, pp. 71-430); P. Colarossi: "Training Designers for Urban Quality. Formare progettisti per la qualità urbana", in: P. Colarossi, Antonio Pietro Latini, Rita Romano (a cura di) (2013), Teaching Urban Design. Insegnare Progettazione urbana (Palombi Ed., Roma, p. 23-55); Scenari di paesaggi urbani, in: "Rassegna di Architettura e Urbanistica", n. 144, 2014, p. 89 - 97; P. Colarossi, Building Local Cultural Landscapes, in: F. Rotondo, F. Selicato, V. Marin, J. Lòpez Galdeano (a cura di), Cultural Territorial Systems. Landscape and Cultural Heritage as a Key to Sustainable and Local Development in Eastern Europe (Springer, 2016, pp. 133-180); P. Colarossi, "Un nuovo rapporto città campagna", in Il mosaico di San Severo (Ed. Centro Grafico, 2017, pp. 111-127); P. Colarossi, Otto punti per rilanciare l'Urbanistica in Italia, in: "Industriarchitettura" (periodico on line: www.industriarchitettura.it, 27.07.2017); P. Colarossi, Cento piccoli progetti urbani per rigenerare la città, in "Ecowebtown" (periodico on line, n. 17, giugno 2018).
Per Città Bene Comune ha scritto: Fare piazze (10 marzo 2016); Per un ritorno al disegno della città (25 maggio 2018).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
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