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Nel contesto attuale, assistiamo a una moltiplicazione di spazi che accolgono il lavoro lontano dalle sedi ufficiali dell’impresa (come uffici e fabbriche), anche se è evidente che il lavoro ha sempre abitato luoghi diversi (come abitazioni, campi, navi, ecc.). Il libro Evolution of New Working Spaces. Changing Nature and Geographies curato da Ilaria Mariotti, Elisabete Tomaz, Grzegorz Micek, Carles Méndez-Ortega (Springer, 2024) prova a fare ordine all’interno della geografia in costante evoluzione dei luoghi definiti come “third place” ovvero tutti quegli spazi lavorativi che non coincidono né con la fabbrica o l’ufficio, né con la casa, ma che hanno lo scopo di favorire la creazione di relazioni sociali e un senso di comunità.
Se queste trasformazioni si erano già avviate da tempo (1) – come nel caso dei coworking o dei fab lab – l’evento pandemico ha costretto a ridefinirne i ruoli, sottolineando il valore relazionale che l’adozione massiva dello smart working, tra il 2020 e il 2022, aveva in parte sottratto. Il volume, composto da dodici contributi interdisciplinari che analizzano il panorama europeo, si suddivide in due parti: la prima si sofferma sulle differenti tipologie dei New Working Spaces (NeWSps) e, la seconda, sulle connessioni che essi stabiliscono con i luoghi in cui si collocano.
I primi due contributi provano a costruire, con rigore metodologico, una tassonomia di questi spazi che, proprio per la loro natura intrinseca di rappresentare tutto quello che non rientra in un binarismo codificato (ufficio/casa), sono difficilmente mappabili nella loro totalità. Eppure, il pregio sta nell’aver scattato un’istantanea di luoghi diffusi, prevalentemente nelle città ma non solo, che delineano uno scenario lavorativo i cui vantaggi principali risiedono nella possibilità di creare legami, relazioni e supporto. Il primo contributo di Elisabete Tomaz e Helyaneh Aboutalebi Tabrizi, che analizza il concetto di “third place” nel contesto specifico dei luoghi di lavoro non tradizionali, non può fare a meno di non richiamare il pensiero del filosofo post-strutturalista Homi K. Babha che per primo ha utilizzato e definito l’idea di uno spazio terzo, “third space”,: “is an attempt to assign spatial characteristics to the margins , those areas of irresolution between cultures, or inside them, where hybridisation occurs” (2).
Nello stesso modo questi “spazi terzi” per il lavoro si generano e si trasformano ibridandosi con i contesti culturali ed economici di riferimento. Gli utenti sono in prevalenza lavoratori autonomi come professionisti, imprenditori, artigiani, freelance che, in Italia, insieme a riders e nuovi lavoratori della gig economy contribuiscono al 21,7% dell’occupazione e che spesso sottolineano difficoltà e ambiscono un lavoro alle dipendenze: “Nove autonomi su dieci (89,9%) lamentano la presenza di notevoli difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro” e “più di un quarto dei lavoratori autonomi (27,7%) desidererebbe un lavoro alle dipendenze. Sono soprattutto i lavoratori individuali, senza struttura, ad ambire a una condizione diversa dall’attuale (tra questi la percentuale sale al 31%)”(3).
A loro si aggiungono anche i “nuovi” smart workers – lavoratori del terziario avanzato o knowledge workers – che, in relazione alla percentuale di giorni che lavorano da remoto – dai 2-3 giorni ai full remote workers fino ai nomadi digitali – possono preferire spazi in condivisione. A seconda del tipo di lavoro effettuato, i NeWSps si dividono in due macrocategorie che comprendono, da un lato, gli spazi di lavoro collaborativi legati a professioni che si svolgono prevalentemente davanti a un computer, dall’altro, i makerspaces che sono legati ad attività finalizzate alla produzione di oggetti (Micek, Baycan, Lange, 22). Nel primo caso rientra anche il fenomeno più recente degli “University Hubs” ovvero spazi dislocati lontano dai poli universitari principali, che oltre a offrire attività per studenti e docenti possono diventare luoghi aperti alla cittadinanza (Migliore, Tagliaro, Schaumann, Hua, 57).
I NeWSps mostrano il loro potenziale quando, sia nelle città sia nei contesti rurali, sono spazi “capaci di cura”(4) ovvero si trasformano in infrastrutture di supporto sia per la comunità interna al coworking sia per associazioni e cittadini che gravitano nel quartiere. Per fare in modo che le azioni di cura – riprendendo la definizione di Joan Tronto come un’“attività che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare, e riparare il nostro mondo in modo da poterci vivere nel modo migliore possibile”(5) – abbiano delle ricadute a più ampio spettro è necessario il supporto di politiche locali. Il caso portoghese della “Teletrabalho no Interior: Vida Local, Trabalho Global”, che consiste in una rete nazionale di spazi di lavoro creata su iniziativa dei Ministeri della Coesione Territoriale e del Lavoro, con il coinvolgimento di enti pubblici su scala regionale e comunale, sottolinea come il riuso di spazi vacanti e la possibilità di offrire postazioni lavorative complete di attrezzature informatiche a tutti i cittadini portoghesi e stranieri, sia un’azione in grado di incidere su diverse scale e contesti (Maria Assunção Gato, Gislene Haubrich, 35-46).
La seconda parte del volume si sofferma sull’analisi dei principali fattori che determinano le scelte di collocamento dei NeWSps, in particolare coworking, offrendo contributi che spaziano geograficamente tra diverse realtà europee. La maggior parte degli studi si concentra principalmente sulle aree urbane, con un affondo anche sulle aree periferiche e rurali che, in particolare dopo la pandemia, hanno evidenziato una crescita di spazi collaborativi (Vogl, Sinitsyna, Micek, 83-94). Tra i contributi, quello che si focalizza sul caso di Malta, affronta un ulteriore tema da aggiungere tra i fattori per la localizzazione di questi spazi, che gli autori definiscono con il termine “città a tempo”, o meglio conosciuto come “città dei 15 minuti”, che si lega all’idea di un “urbanesimo aperto” (6), un approccio alla città intesa come un sistema distribuito, aperto e flessibile, che può essere riconfigurato in modo orizzontale.
La diffusione e la pluralità di questi spazi intermedi o “third place” può davvero contribuire a creare dei luoghi di lavoro che non siano unicamente delle semplici postazioni produttive in spazi condivisi, ma che promuovano l’integrazione sociale attraverso la presenza di servizi comunitari(7). È necessario, pertanto, continuare a indagare questo fenomeno per sviluppare nuove riflessioni progettuali e sociali. In particolare, è fondamentale combinare alcune soluzioni degli spazi collaborativi con aspetti e temi che rispondano a bisogni sociali legati alla cura, provando ad affrontare nuove sfide gestionali che siano in grado di allargare l’accessibilità di questi spazi.
Michela Bassanelli
Note 1) Casciani S., Fiorenza O., Roj M. 2000. Workspace/Workscape. I nuovi scenari dell’ufficio. Milano: Skira; Forino I. 2017. “Inclusive workscape. Il luogo di lavoro come promotore di inclusività sociale.” In Longo A., Rabbiosi C., Salvadeo P. (a cura di), Forme dell’inclusività. Pratiche spazi progetti. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, pp. 215-226. 2) Hernàndez F. 2010. Bhabha for Architects. London and New York: Routledge, p. 11. 3) https://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2019/11/Report_Lavoro_Autonomo.pdf 4) Agnoli A. 2023. La casa di tutti. Città e biblioteche. Bari: Laterza, p. 55. 5) Tronto J., 1993, Moral Boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care. Chapman and 20 Hall: Routledge. (trad. it., 2013, Confini morali, un argomento politico per l'etica della cura. Parma: Edizioni Diabasis, p. 118). 6) Sennett R., 1998, The Corrosion of Character. The Personal Consequences of Work in the New Capitalism. New York, London: W.W. Norton & Co. (trad. it., 2010, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita professionale. Milano: Feltrinelli). 7) Forino I. 2022. “Altri spazi per il lavoro immateriale.” In Bassanelli M. (a cura di), Abitare oltre la casa. Metamorfosi del domestico. Roma: DeriveApprodi, pp. 120-131.
N.d.C. - Michela Bassanelli, Architetta e PhD, è ricercatrice RTT in Architettura degli interni e allestimento presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. I suoi interessi di ricerca sono incentrati su gli interni domestici, la museografia e l’allestimento attraverso un approccio teorico multidisciplinare. Di recente si sta occupando degli effetti della pandemia da Covid-19 sulle modificazioni dell’abitare contemporaneo. È Principal Investigator del progetto PRIN2022 "ESCAPES Soluzioni spaziali sperimentali per la gestione sostenibile di lavoro a distanza e cura familiare".
Fra le sue ultime pubblicazioni: (curatela) Covid-Home. Luoghi e modi dell’abitare, dalla pandemia in poi (LetteraVentidue, 2020); (co-curatela con P. Salvadeo) Towards a Sustainable Post Pandemic Society (LetteraVentidue, 2022); (a cura di) Abitare oltre la casa. Metamorfosi del domestico (DeriveApprodi, 2022); (a cura di) con I. Forino, L. Lanini, M. Lucchini, Per una Nuova Casa Italiana. Prospettive di ricerca e di progetto per la post-pandemia (Pisa University Press, 2023); Dispositivi e architettura. Lo spazio dinamico dell'abitare (Postmedia Books, 2024).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 21 FEBBRAIO 2025 |
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C. Bianchetti, Basaglia: i luoghi del mito, commento a: F. Foti, Franco Basaglia. La libertà è terapeutica (People, 2024)
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A. Mela, Territorio e de-coincidenza, commento a: F. Jullien, Riaprire dei possibili (Orthotes, 2024)
G. Tonon, Gli spazi delle donne, commento a: M. Bassanelli, I. Forino (a cura di) Gli spazi delle donne (DeriveApprodi, 2024)
A. Calafati, Un viaggio nell'Italia di mezzo, commento a: Arturo Lanzani, a cura di, Italia di mezzo (Donzelli, 2024)
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