Alberto Clementi  
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IN CERCA DI INNOVAZIONE SMART


Commento al libro di C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita



Alberto Clementi


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Sospinta da poderosi interessi quanto da attese messianiche di miglioramento delle condizioni di vita grazie alla tecnologia, Smart city continua a espandersi e a diventare sempre più onnivora, risucchiando al proprio interno molte altre linee di ricerca sulla città contemporanea, dalla sostenibilità delle trasformazioni urbane alla democraticità e alla consapevolezza condivisa nel prendere le decisioni. Per la verità Smart city appare un termine tuttora mal definito quanto denso di significati, che si evolve incessantemente, riarticolandosi e complessificandosi in misura crescente, intanto che si accinge a incorporare una grande varietà di ambiti d'intervento apparentemente eterogenei. Pur mantenendo ben salda la sua matrice tecnologica, tende oggi a connotarsi con un'accezione sempre più inclusiva, intercettando una varietà di temi che vanno oltre l'efficienza di gestione delle prestazioni urbane. Incrocia infatti le questioni relative al public management, la green economy e la sostenibilità urbana, sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale. E rivendica un ruolo importante nella gestione delle risorse critiche, come aria, acqua ed energia, interpretando a proprio modo il tema della città ambientalmente sostenibile; la quale, come sappiamo, si riferisce alla capacità di un territorio di autogovernare i propri metabolismi vitali, riducendo sostanzialmente il consumo di risorse non riproducibili.

Gli ambiti di applicazione dello smartness continuano in effetti a espandersi senza posa, e spaziano ormai dai processi d'innovazione riferiti all'ambiente, all'energia, alla mobilità, all'economia, alla governance, alla socialità, alla sicurezza, alla gestione dei rifiuti, alla qualità di vita degli abitanti, fino alla predisposizione di modelli previsionali con cui guidare razionalmente la presa delle decisioni pubbliche e private. In sostanza, parlare in questo momento di Smart city vuol dire riferirsi all'impiego di una molteplicità di tecnologie intelligenti che attingono a poderosi database (Big Data) serviti da una molteplicità di sensori fissi e mobili, droni, robot, attraverso cui ci si ripropone di conoscere in tempo reale e gestire al meglio le varie funzionalità urbane. Negli ultimi tempi Big Data si è poi incrociato con Internet delle cose, potenziando notevolmente la strumentazione conoscitiva alla base di Smart City. I software sempre più potenti a disposizione risultano decisivi, perché consentono di esercitare un controllo consapevole, di "situational awareness", rispetto alle numerose variabili in gioco nei processi di trasformazione urbana, e rispetto anche alle loro relazioni d'interdipendenza che stanno diventando sempre più complesse. L'obiettivo ultimo - nel migliore dei casi - è di indurre positive modificazioni nei comportamenti degli abitanti e nei loro modi d'uso della città, al fine di accrescerne l'efficienza funzionale ed economica, stimolando anche processi di trasparenza e di partecipazione sociale in misura impensabile nel passato. Nello scenario peggiore, Smart City è volta unicamente ad adattare la macchina delle amministrazioni pubbliche per gestirne al meglio le prestazioni di servizio, comprimendo i costi di funzionamento e migliorando l'efficienza complessiva.

Non c'è da stupirsi dunque se la transizione digitale è da tempo al centro delle politiche dell'Unione europea, essendo stata riconosciuta come uno dei sette pilastri della strategia Europa 2020. Il suo sviluppo è inquadrato in particolare dal Government Action Plan 2016-20, che riassume tre obiettivi prioritari per la UE: migliorare i servizi per i cittadini, favorendo un e-governement citizen-centric e al tempo stesso un impiego sempre più user-friendly delle nuove tecnologie ICT; sostenere l'invenzione di nuove funzionalità urbane grazie alla digitalizzazione; e infine (soprattutto?) creare nuove opportunità per i mercati globali. Con tutta probabilità saranno le città le protagoniste di questa svolta attesa nell'uso dello spazio urbano e nelle vite degli abitanti, essendo la città per propria natura il luogo elettivo di concentrazione dei servizi innovativi e delle opportunità di mercato connesse alla nuova economia della conoscenza. Nel prossimo futuro il pendolo dello sviluppo è dunque destinato a oscillare verso l'urbano, dopo gli anni fecondi di un movimento opposto verso il decentramento insediativo e i distretti industriali fioriti spontaneamente nelle nostre periferie territoriali. Le tecnologie intelligenti contribuirebbero così a ridisegnare profondamente gli scenari dello sviluppo, diventando il tramite obbligato per una molteplicità di processi di innovazione che investiranno lo spazio materiale quanto quello immateriale, intrecciando reti di relazioni a distanza e luoghi sedimentati nel tempo.

 

Il libro

Il libro di Corinna Morandi, Andrea Rolando e Stefano Di Vita, From Smart Cities to Smart Region. Digital Services for an Internet of Places (Springer, 2016), offre uno stimolante contributo a questo dibattito in corso. Nato in occasione di una ricerca del Politecnico di Milano in collaborazione con Telecom Italia, prodotta per Expo 2015 nella prospettiva di una possibile conurbazione smart Milano-Torino, il libro introduce alcuni spunti d'innovazione che preludono ad auspicabili evoluzioni delle tecnologie ICT applicate alla metropoli. Non intriga particolarmente l'ipotesi di una regione smart deputata a mettere a sistema due aree metropolitane tendenzialmente complementari, già adombrata nella ricerca degli anni precedenti seppur con finalità alquanto differenti (Bonomi, Masiero, 2014). Piuttosto appare feconda l'intuizione di un Internet dei luoghi, derivata da Internet delle cose, esplicitamente mirata all'integrazione tra servizi fisici e digitali, e più complessivamente tra infrastrutture hard e soft, in una prospettiva d'innovazione che mira comunque a ridurre i costi di gestione e ricalibrare positivamente il fabbisogno di investimenti per le opere pubbliche, main stream ricorrente nel dibattito politico nazionale. Altrettanto seminale appare anche l'altra intuizione, far diventare il nodo urbano un Nodo Digitale Urbano. Internet dei luoghi troverebbe così il proprio ancoraggio in nuove piattaforme di servizio appositamente distribuite nello spazio, come punti di convergenza tra servizi digitali e attività legate alla economia della conoscenza e della condivisione, resi possibili dal veloce progresso delle tecnologie digitali. In questo modo l'evoluzione delle tecnologie ICT può essere ricondotta anche all'urbanistica e alla pianificazione del territorio, riprendendo il filo di un discorso che Mitchell aveva inaugurato pioneristicamente più di venti anni fa (Mitchell,1995; 1999) ma che a dire il vero non sembra ancora aver portato frutti significativi nella progettazione degli assetti urbani contemporanei. Il tema è ben individuato dagli autori: come trasferire il sistema digitale dei servizi agli spazi materiali, cercando di ovviare a una duplice criticità dell'approccio smart cities: "la carenza di risposte della forma urbana alle nuove relazioni sociali offerte dalle tecnologie ICT; e la riduzione delle persone agli indirizzi digitali, senza la mediazione degli spazi fisici, che compromette il sistema tradizionale di relazioni sociali all'interno dello spazio urbano".

Muovendo da questi assunti, la regione metropolitana tra Milano e Torino viene immaginata come una rete di nodi materiali arricchiti dalle ICT, e conseguentemente come una rete di Nodi Urbani Digitali, a cui gli utenti possono accedere direttamente per ottenere o condividere le informazioni volute, grazie anche all'uso dei loro dispositivi smartphone. Nodi urbani multiscalari, dove "i computers dentro gli edifici possono essere sostituiti da uno stesso edificio intelligente, in grado di interagire con i suoi utenti". Liberandosi della costrizione di confini amministrativi obsoleti, la rete dei nodi urbani digitali può così operare strategicamente ai diversi livelli, dal quartiere alla città e alla regione fino allo spazio planetario, realizzando l'obiettivo di connettere le funzionalità urbane allo stesso tempo rispetto alle reti locali e globali, intrecciando strutture fisiche e flussi immateriali, in sintonia con la visione enunciata da Guallart (Guallart, 2012). Il confronto con le migliori esperienze in corso in Europa e altrove consente di suffragare questa ipotesi di lavoro, individuando in particolare Malmoe Living Lab come un'eccellenza a cui riferirsi per il livello locale; London Idea Stores e Barcelona22@Innovation District per il livello urbano; e Seattle Smart city-regionalism a livello regionale. La fecondità dell'approccio prefigurato è stata infine messa alla prova applicandola a due concreti casi di studio: il campus universitario Città Studi a Milano, e - sempre a Milano - l'intero settore urbano compreso tra il campus della Bovisa e l'area Expo 2015. L'obiettivo era di verificare le opportunità di localizzazione dei Nodi Urbani Digitali e individuare le loro possibile composizione funzionale riferita ogni volta ai contesti di appartenenza.

 

Prospettive

Come va considerata la portata di questo contributo di ricerca rispetto al dibattito in corso su Smart city? In effetti l'impostazione del lavoro presentato dal libro, seppur con spunti di originalità nella prefigurazione di spazi urbani ibridi, materiali e digitali, sottende un approccio teorico non troppo diverso dalle posizioni richiamate in apertura di questo scritto. Motivata dalla comprensibile esigenza di sfruttare appieno l'occasione di Expo 2015 per esplorare nuove strategie di sviluppo metropolitano, la ricerca offre in effetti una prospettiva d'azione notevolmente più avanzata rispetto a quanto sta già facendo in modo peraltro frammentario Milano, la città comunque più attiva in Italia per la diffusione delle tecnologie digitali applicate alla gestione urbana. Ma intanto la riflessione teorica sullo smartness sta evolvendo verso altri orizzonti, muovendo in particolare dalle considerazioni di Nijkamp: la città è smart quando gli investimenti in capitale umano e sociale, e le infrastrutture di comunicazione tradizionale come i trasporti, e quelle moderne come le ICT, alimentano una crescita economica sostenibile e un'elevata qualità di vita, con una sapiente gestione delle risorse naturali, e praticando una governance partecipativa (Nijkamp, 2011). Su questa scia Donolo e Toni hanno poi avuto modo di riscontrare la progressiva emancipazione in atto anche in Italia per un concetto nato dall'industria delle telecomunicazioni, e che si estende ora allo sviluppo sostenibile e alla green economy, intercettando i temi del miglioramento del capitale umano e della capacitazione come formulati in precedenza da Sen e Nussbaum (Donolo,Toni, 2013). Le tecnologie ICT in questa diversa prospettiva non appaiono più soltanto come i vettori della new economy secondo l'ottimistico quanto infondato approccio della fine del secolo scorso, ma tendono piuttosto a ridefinirsi come "uno dei driver di una società nella quale le città sono i nodi intelligenti e propulsivi di una pluralità di politiche e di strategie messe in campo per una transizione soft da un sistema fortemente dissipativo in termini di risorse naturali verso un sistema diverso, molto più dinamico, efficiente, circolare, ricco di conoscenza e di nuove articolazioni, capace di perseguire lo sviluppo sostenibile e il benessere dei cittadini al di là dei consumi e al di là del PIL, investendo in capacitazione e relazioni sociali" ( Donolo,Toni, op.cit). La città intelligente e sostenibile diventa allora la città che è in grado di assicurare al tempo stesso benessere materiale, qualità della vita e qualità ambientale, rinnovando i quadri cognitivi che presiedono alla definizione di questo concetto di sviluppo e al tempo stesso introducendo nuovi sistemi di misurazione, poiché il Prodotto Interno Lordo non appare più come la variabile significativa, in grado di riassumere in modo soddisfacente ed esaustivo lo sviluppo sostenibile.

Considerata la diversità di questo approccio, l'innovazione dovrà essere trattata in modo più pertinente rispetto alle formulazioni originarie del pensiero smart derivate sostanzialmente dall'ingegneria dei sistemi, e orientate soprattutto a migliorare l'efficienza funzionale della città e della sua gestione. Appare infatti insufficiente il modello della tripla elica introdotto per analizzare i processi d'innovazione basati sulla conoscenza, come teorizzato da Deakin, che aveva individuato tre driver determinanti per la creazione dei nuovi saperi e per la loro capitalizzazione: ricerca scientifica, industria e governance (Deakin, Leydesdorff, 2011). La città smart ne veniva definita di conseguenza come "luogo di densificazione della rete, luogo d'incontro delle attività e delle conoscenze". Ora invece diventa necessario aprire il processo dell'innovazione all'ingresso della società civile, una quarta elica, attraverso cui "l'impegno civile arricchisce la dotazione culturale e sociale, determinando le interazioni tra ricerca, industria e governo locale, piuttosto che essendone determinata" (Donolo, Toni, op.cit.). L'intelligenza della città non va considerata dunque come esito di software e algoritmi sempre più sofisticati, assistiti dallo sviluppo di big data sempre più pervasivi e affidabili; dipende infatti in misura sostanziale dalla capacità d'incorporare il protagonismo degli individui e della società, e dall'impegno civile che può piegare gli sbocchi dell'innovazione verso percorsi imprevedibili con le sole strumentazioni tecnologiche.

 

Limiti

Restano più in generale da discutere alcuni limiti dell'approccio veicolato dallo smarting come inteso e praticato correntemente, in Italia e altrove. Morandi, Rolando e DI Vita appaiono ben consapevoli dei rischi di un approccio eccessivamente tecnocratico e orientato al mercato, nonché degli effetti di segregazione sociale che possono indurre le tecnologie ICT quando vengono applicate alla città senza un'adeguata strategia di contrasto al digital divide. Sennet in particolare ha messo in guardia contro i rischi di un'urbanistica data-driven, osservando che nuove città-pilota come Songdo in Corea o Masdar in Abu Dhabi sembrano essere prive del soffio vitale che si riscontra laddove funge da protagonista l'immaginazione individuale. Sicché queste città si candidano a diventare i disastri urbani del nostro secolo, "smart cities di ieri, incubo di oggi" (Sennet, 2012). Ma altri ancora sono i limiti da prendere in carico, come ad esempio quelli imputabili ai modelli utilizzati generalmente per l'ottimizzazione delle prestazioni urbane. Questi modelli, in nome dell'efficienza, sono costitutivamente portati a sacrificare l'importanza dei processi di contemperamento democratico tra diverse esigenze e giudizi di valore espressi da gruppi d'interesse irriducibili tra loro. Appaiono incapaci di apprendere criticamente dall'esperienza, per esempio di fronte alle richieste avanzate dai movimenti di protesta civile o che emergono dai conflitti sociali nelle periferie. Sicché è difficile sfuggire al fondato sospetto che i sistemi di smart city che si stanno diffondendo operano a vantaggio soprattutto degli apparati amministrativi e delle aziende pubbliche di servizio, oltre che naturalmente delle case produttrici di software. E soprattutto s'intravvede il rischio inquietante che l'estensione pervasiva di queste tecnologie avanzate di gestione della città, di fatto orientate a controllare e stemperare i conflitti urbani, possa aprire inconsapevolmente a derive autoritarie, con poteri forti che potrebbero utilizzare in modo illegittimo l'enorme quantità di dati sensibili sui comportamenti e sulle preferenze espresse dalle persone (Greenfield, 2013). E che la gestione dei big data senza un adeguato controllo democratico possa condurre a preoccupanti manipolazioni dell'opinione pubblica, come si è scoperto recentemente con lo scandalo di cinquanta milioni di profili Facebook violati da Cambridge Analytica per favorire l'elezione di Trump o il successo di Brexit.

Il punto è che le città e ancor più le metropoli, per propria natura, tendono a fungere inevitabilmente da crogiolo di contestazioni, tensioni e conflitti che contrappongono tra loro moltitudini di individui e gruppi portatori d'interessi, in presenza di un'amministrazione pubblica che è chiamata a praticare la difficile arte politica di bilanciare attese intrinsecamente irriducibili. Non è un caso se il corto circuito affidato ai sistemi smart funziona meglio proprio dove - come a Singapore - la democrazia partecipata lascia il campo a una gestione tendenzialmente autocratica del potere, legittimata dall'efficienza della tecnologia ICT. C'è chi interpreta questa propensione all'autoritarismo top-down come un retaggio della cultura architettonica e urbanistica della prima modernità, alimentata allora come oggi dalla fiducia eccessiva nella tecnologia, dall'avversione nei confronti della città ereditata dal passato e da una pretesa universalità dei bisogni da trattare con le politiche del welfare urbano. Il fallimento di questa cultura del moderno sembra aver insegnato ben poco a chi oggi intende rilanciare in chiave marcatamente tecnologica un funzionamento urbano governato dallo smartness, quando invece dovrebbero essere preferite soluzioni orientate piuttosto al modello della città autocatalitica, dove i processi adattivi si basano sull'esistenza di un'intelligenza locale diffusa, che migliora la capacità dei cittadini di promuovere dal basso i mutamenti di contesto e che in definitiva è volta prioritariamente a potenziare il loro capitale cognitivo favorendo la partecipazione attiva alle politiche urbane (De La Pena, 2013).

Alla luce di queste considerazioni, i risultati della ricerca di Morandi, Rolando e Di Vita sembrano sollevare ulteriori questioni che attengono alle discipline di pianificazione delle città e del territorio. La stessa incontestabile necessità di innervare con tecnologie smart la futura conurbazione Milano-Torino andrebbe riguardata ad esempio non soltanto sotto il profilo della predisposizione strutturata e ben localizzata di piattaforme digitali integrate, con combinazioni di funzioni appropriate rispetto ai diversi livelli di governo; quanto piuttosto come offerta di potenzialità culturali variamente commisurate alle attese e alle potenzialità delle popolazioni coinvolte, ovvero come prove d'innovazioni che possono comunque innescare conflitti sociali, amministrativi e politici raramente governabili in chiave tecnologica. Del resto c'è da tenere presente che l'investimento in tecnologie digitali molto spesso conduce a esiti tutt'altro che prevedibili, con conseguenze che talvolta possono apparire sconcertanti. Come ha osservato ad esempio Greenfield, "si possono istallare schermi interattivi negli spazi pubblici e scoprire che nessuno è interessato a utilizzarli, sicché la tecnologia muore nel disinteresse generale. Oppure, dopo un iniziale successo, falliscono perché il sistema progettato è troppo rigido, e non è in grado di assorbire la evoluzione imprevedibile della domanda. Il caso migliore è quando la soluzione progettata incontra il favore della gente, anche se poi la sua utilizzazione spesso non ha nulla a che fare con ciò che era stato immaginato dai pianificatori urbani" (Greenfield, 2013; Vanky, 2015).

Insomma non c'è dubbio che la infrastrutturazione digitale della conurbazione Milano-Torino sia una partita probabilmente decisiva ai fini del rafforzamento della competitività e attrattività di questi territori metropolitani. Ma le vie dell'innovazione da percorrere rimangono imprevedibili, e non vanno forzate con l'imposizione di razionalità troppo deterministiche sul lato dell'offerta tecnologica.

Alberto Clementi

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici
Bonomi A., Masiero R., 2014, Da smart city a smart land, Marsilio, Milano

Clementi A., 2014, EcoWebDistrict. Urbanistica tra smart e green, in E.Zazzero, a cura di, "Ecoquartieri. Temi per il progetto urbano sostenibile", Maggioli, Bologna
De La Pena B., 2013, Embracing the Autocatalytic city, Ted Books
Donolo C., Toni F., 2013, La questione meridionale e le smart cities, in "Rivista economica del Mezzogiorno", XXVII, nn. 1-2
Greenfield A., 2013, Against the Smart City, Do Projects, New York
Guallart V., 2012, La ciudad autosuficiente, RBA libros, Barcelona
Leydesdorff L., Deakin M., 2011, The Triple-Helix Model of Smart Cities: a neo-evolutionary perspective in "Journal of Urban Technologies", Taylor&Francis
Lombardi P., 2011, New challenges in the evaluation of Smart Cities, in "The network industries", vol. 13, n. 3
Mitchell W., 1995, City of bits, Mit Press
Mitchell W., 1999, E-topia, Mit Press
Nijkamp P. et al., 2011, Smart cities in Europe, in "Journal of Urban Technologies" n.18, Taylor&Francis
Nussbaum M., 2012, Creare capacità. Liberarsi della dittatura del PIL, Il Mulino, Bologna
Sen A., 1992, Risorse, valori e sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino
Sennet R., 2012, No one likes a city that's too smart, The Guardian
Vanky A., 2015, The Elusiveness of Data-driven Urbanism, in Sheppard L., Rin D.," The Expanding Periphery and the Migrating Center", 103rd ACSA Meeting Proceedings.
Ecowebtown, rivista on line, ecowebtown.it

 

 

N.d.C. - Alberto Clementi, urbanista, è stato preside della Facoltà di Architettura di Pescara. Consulente di ministeri e altre amministrazioni pubbliche regionali e comunali, ha coordinato numerosi programmi di ricerca e prodotto piani e progetti di livello sia territoriale che urbano. Dirige la rivista online EcoWebTown.

Tra le sue pubblicazioni più recenti: Forme imminenti. Città e innovazione urbana, LiSt Lab, 2016; Strategie di reinfrastrutturazione urbana, in F. D. Moccia, M. Sepe, "Networks and infrastructures of contemporary territories", INU edizioni, 2016; Ridisegnare il governo del paesaggio italiano, in ParoleChiave, n.56 (2016) Carocci; con C. Pozzi, Progettare per il futuro della città, Quodlibet, 2015; EcoWebDistrict. Urbanistica tra smart e green, in E.Zazzero, "EcoQuartieri. Temi per il progetto urbano ecosostenibile", Maggioli, 2014.

Sull'ultimo libro di Alberto Clementi - di cui si è discusso alla Casa della Cultura il 16 maggio 2017 con Patrizia Gabellini, Rosario Pavia e Francesco Ventura - v. il commento di Pepe Barbieri, La forma della città, tra urbs e civitas (12 maggio 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

18 MAGGIO 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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