Giampaolo Nuvolati  
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ABITARE LA DIVERSITÀ


Commento al libro di Alfredo Mela



Giampaolo Nuvolati


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Il libro di Alfredo Mela La città postmoderna. Spazi e culture (Carocci, 2020) costituisce una analisi assai ben riuscita del problema centrale attorno al quale oggi ragiona la sociologia urbana. E cioè quello di individuare una sorta di distintività delle città in un mondo attraversato da processi di urbanizzazione e omogeneizzazione degli spazi. Mela (pag. 41) in particolare parla di individualità della città. Un concetto che “più che all’identità, […] si avvicina a quello di 'ipseità', usato da vari autori come Ricœur (1990) e Jankélévitch (2017), sia pure in sensi differenti; nel presente contesto esso allude a una continuità che dipende dal fatto che un’entità sociospaziale man­tiene la propria singolarità in quanto resta in relazione specifica con al­tre, è riconosciuta come distinta da loro e dotata di caratteri peculiari, anche se questi si modificano nel tempo”. Solo se questa prospettiva di individualità si realizzerà, almeno in parte, potremo parlare di sopravvivenza della sociologia urbana. Nel caso di una completa corrispondenza tra città e società in un amalgama urbano dove tutto è uguale a tutto, il ruolo della disciplina potrebbe infatti venir meno o quantomeno essere fortemente ridimensionato.

Questa possibile – e dunque auspicata – distintività è un principio che attraversa soprattutto la prima parte del volume di Mela, il quale sapientemente incrocia il livello orizzontale delle differenze tra città, con la teoria dei frattali e delle eterogeneità interne alla città. La rassegna degli elementi che generano diversità tra città è estremamente completa, dalle caratteristiche del contesto fisico ai modelli di sviluppo economico, dal genius loci ai movimenti sociali locali, dalla governance alla growth machine. Ma sostenere l’unicità delle città rappresenta un’impresa spesso ardua anche se necessaria. Proverò qui ad identificare alcuni punti che rimangono problematici. Un primo aspetto è che nel libro di Mela forse manca, o non emerge a sufficienza, una analisi storica che probabilmente ci farebbe vedere come le città ancora oggi siano caratterizzate da individualità, ma sempre meno rispetto al passato. A mo’ di provocazione potremmo inoltre dire che spesso le città che si costruiscono un brand identificativo, capace di attrarre risorse umane, culturali e finanziarie, lo fanno in chiave fittizia giusto per rispondere ad alcune funzioni e vocazioni che le rendano sufficientemente riconoscibili ma che però non corrispondono alla realtà. I modelli identitari più sedimentati, di natura ontologica – per intenderci quelli che connotano la definizione di genius loci di Norberg-Schulz – tendono sempre più a sgretolarsi a vantaggio di modelli frutto di costruzionismo – come sottolineato dalla Massey – la cui resistenza alla omologazione è più precaria e che dunque possono più facilmente declinare verso una sostanziale uniformità della città. Potremmo affermare che se una città modifica troppo frequentemente la propria immagine, perde in profondità e mette in discussione a lungo andare la propria singolarità.

Inoltre, come ad esempio osserva Zukin in Naked City: The Death and Life of Authentic Urban Places, a proposito di New York, i luoghi della gentrificazione, pur così pittoreschi, conservano sempre meno elementi naturali e autentici. È probabile anche in questo caso che questa falsa ipseità sia traballante. Lo stesso vale per il non urbano che taluni sottolineano esistere ancora, ma per quanto tempo visto l’inarrestabile inurbamento delle nuove generazioni che abbandonano le aree interne? E ancora, se è comprensibile che nel complesso Milano sia diversa Torino, è altrettanto vero che alcuni quartieri periferici delle due città si somiglino. Un tema sul quale si potrebbe lavorare riguarda allora varie forme di arcipelago urbano nelle quali le isole sono quartieri che possono essere clusterizzate in base a similitudini che superano le singole città alle quali appartengono per dar vita a categorie di quartieri riconoscibili. Così facendo la ipseità verrebbe traslata dalla singola unità urbana ad una categoria.

Infine, sebbene la questione dei non luoghi risenta ormai di una eccessiva trattazione che ha quasi portato ad una sorta di assuefazione, questo non significa che ancora una volta non vadano menzionati per il ruolo che hanno nella omologazione dei contesti in chiave consumistica. Lo stesso vale per il tema della tecnologia poco considerata da Mela – come elemento fortemente uniformante – se non nella seconda parte del volume. Altro nemico della ipseità è dato dai mutamenti climatici che tendono ad azzerare, o quantomeno a ridurre notevolmente le diversità. Insomma, abitare la diversità è un obiettivo da perseguire, ma che deve affrontare ostacoli non da poco per progredire.

 

Il secondo capitolo del libro di Mela vede una riflessione molto interessante sulle strutture di senso e la soggettività nelle società post-moderne caratterizzate da una crescente frammentazione e complessificazione degli assetti disciplinari, culturali, economici, religiosi e politici. Non mi soffermerò su questa parte, peraltro molto ricca ed esaustiva, ma proverò a chiudere questa recensione con alcune considerazioni in merito agli ultimi capitoli. Nel terzo, in particolare, Mela affronta il tema della sociologia spazialista: uno dei cavalli di battaglia dell’autore che su questo tema ha già in passato scritto pagine illuminanti, qui ulteriormente rielaborate anche grazie alle riflessioni sui contesti urbani concepiti come attanti. Il ruolo dello spazio come variabile indipendente, e non solo dipendente, dell’agire umano torna al centro dell’analisi e viene a sua volta declinato rispetto ai processi di frammentazione propri della postmodernità descritti nel capitolo precedente. Per Mela, ne risulta la possibilità di una capsularizzazione della vita quotidiana all’interno di una città generica – e oltretutto anche disembedded come direbbe Giddens – già oggi in fase di realizzazione in quella che è la cosiddetta smart city.

Proprio qui però si colloca a mio parere la tensione irrisolta che si trova nel libro e che ho già cercato di sottolineare precedentemente. Se infatti nella prima parte del volume l’autore spinge fortemente sulla necessità di singolarizzare le realtà urbane, nei capitoli successivi a prevalere è una analisi che punta sul riconoscimento di dinamiche globali che trascendono abbondantemente qualsiasi tipo di declinazione a livello locale. Non è un caso che temi come i social network e i non luoghi – anche se mai richiamati apertamente – emergano nel suo discorso solo in un secondo tempo. Come osserva l’autore (pp. 105-106) citando Koolhaas “la città generica è priva di storia e libera dall’ossessione dell’identità, è immersa solo nel presente e nelle sue necessità; una città che si manifesta soprattutto in luoghi che si ripetono uguali a sé stessi in tutto il mondo, come gli aeroporti, gli outlet, i quartieri anonimi”.

Infine il quarto capitolo, quello della ricomposizione dell’esperienza urbana, focalizza l’attenzione sull’idea di comunità dal punto di vista della condivisione sia dei significati che degli spazi pubblici nella loro porosità. È il capitolo più ottimistico (come si conviene ad ogni volume), quello che lascia trasparire la possibilità di superare l’eccessiva capsularizzazione della nostra esistenza, la possibilità che da situazioni estemporanee di cooperazione si passi a forme di progettualità e continuità di azione. Per l’autore è il multiculturalismo il tema rispetto al quale tale progresso dovrà misurarsi. Il problema resta comunque il medesimo: realizzare modelli partecipativi che vengano applicati in contesti diversi nel rispetto delle varie ipseità sebbene queste però siano sempre più sfuggenti. Insomma, proprio in tema di coesione sociale e migrazioni, pur riconoscendo la valenza dei territori, è opportuno pensare a quadri complessivi di riferimento sufficientemente robusti. La formazione di un appropriato know how, passa inevitabilmente attraverso lo scambio di conoscenze ed esperienze da condividersi a livello globale, facendo della globalizzazione l’origine non solo dei mali delle società contemporanea ma anche della loro soluzione.

In sintesi, questo volume scritto da Mela con la consueta capacità che gli consente di trattare in modo chiaro anche concetti e teorie complesse, rappresenta un contributo davvero importante se non fondamentale per osservare le trasformazioni urbane. Apre la strada a nuovi filoni di ricerca empirica orientati a leggere il sovrapporsi di dinamiche di differenziazione e di omologazione dei tessuti urbani e delle pratiche che a livello individuale o di gruppo vi trovano configurazione. In futuro, una serie di casi studio potranno essere presi in considerazione per stimare una sorta di indice di ipseità delle realtà urbane come equilibrio risultante dalle dinamiche di globalizzazione e di singolarizzazione. A livello micro le indagini sociali potranno infine esplorare le dinamiche di frammentazione della quotidianità nelle loro articolazioni e ricomposizioni a varia scala.

Giampaolo Nuvolati

 

 

N.d.C. - Giampaolo Nuvolati, professore ordinario di Sociologia dell'ambiente e del territorio, dirige il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Tra i suoi libri: La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparative (FrancoAngeli, 1998); Popolazioni in movimento, città in trasformazione. Abitanti, pendolari, city users, uomini d'affari e flâneur (il Mulino, 2002); Piccola antologia di paesaggi urbani (Vicolo del Pavone, 2003); Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni (il Mulino, 2006); Mobilità quotidiana e complessità urbana (Firenze University Press, 2007); L'interpretazione dei luoghi. Flanerie come esperienza di vita (Firenze University Press, 2013); Un caffè tra amici, un whiskey con lo sconosciuto. La funzione dei bar nella metropoli contemporanea (Moretti & Vitali, 2016); (a cura di), Sviluppo urbano e politiche per la qualità della vita (Firenze University Press, 2018); con Giorgio Bigatti (a cura di), Raccontare un quartiere. Luoghi volti e memorie della Bicocca (Scalpendi, 2018); Interstizi della città. Rifugi del vivere quotidiano (Moretti & Vitali, 2019); (a cura di), con Sara Spanu, Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020); (a cura di), con Rita Capurro, Milano, ritratto di una città. Il paesaggio culturale (Silvana Editoriale, 2020).

Per Città Bene Comune ha scritto: Città e paesaggi: traiettorie per il futuro (8 dicembre 2017); Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo (13 luglio 2018); Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali (29 maggio 2020).

Dei libri di Giampaolo Nuvolati hanno scritto in questa rubrica: Duccio Demetrio, Per un camminar lento, curioso, pensoso (27 settembre 2019); Giancarlo Consonni, Le pratiche informali salveranno le città? (15 novembre 2019); Marino Ruzzenenti (Una nuova cultura per il bene comune, 29 gennaio 2021); Giovanni Semi (Coraggio e follia per il dopo Covid, 9 aprile 2021).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

04 GIUGNO 2021

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti
Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2021: programma/1,2,3,4
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021:

G. Nuvolati, Abitare la diversità, commento a: A. Mela, La città postmoderna (Carocci, 2020)

G. Pasqui, La ricerca è l'uso che se ne fa, commento a: P. L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca (Donzelli)

R.R., L'Urbanistica italiana si racconta, introduzione al video: E. Bertani (a cura di), Autoritratto di Alberto Magnaghi (Casa della Cultura 2020)

S.Saccomani, La casa: vecchie questioni, nuove domande, commento a: M. Filandri, M. Olagnero, G. Semi, Casa dolce casa? (il Mulino, 2020)

G. Semi, Coraggio e follia per il dopo covid, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19, (Ledizioni, 2020)

R. Riboldazzi, Per una critica urbanistica, introduzione a: Città Bene Comune 2019 (Ed. Casa della Cultura, 2020)

M. Venturi Ferriolo, Contemplare l'antico per scorgere il futuro, commento a: R. Milani, Albe di un nuovo sentire (il Mulino, 2020)

S. Tagliagambe, L'urbanistica come questione del sapere, commento a: C. Sini, G. Pasqui, Perché gli alberi non rispondono (Jaca Book, 2020)

G. Consonni, La coscienza di luogo necessaria per abitare, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

E. Scandurra, Nel passato c'è il futuro di borghi e comunità, commento a: G. Attili, Civita. Senza aggettivi e senza altre specificazioni (Quodlibet, 2020)

R. Pavia, Roma, Flaminio: ripensare i progetti strategici, commento a: P. O. Ostili (a cura di), Flaminio Distretto Culturale di Roma (Quodlibet, 2020)

C. Olmo, La diversità come statuto di una società, commento a: G. Scavuzzo, Il parco della guarigione infinita (LetteraVentidue, 2020)

F. Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città, commento a: G. Amendola (a cura di), L’immaginario e le epidemie (Mario Adda Ed., 2020)

G. Dematteis, Il territorio tra coscienza di luogo e di classe, commento a: A. Magnaghi, Il principio territoriale (Bollati Boringhieri, 2020)

M. Ruzzenenti, Una nuova cultura per il bene comune, commento a: G. Nuvolati, S. Spanu (a cura di), Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell’ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020)

F. Forte, Una legge per la (ri)costruzione dell'Italia, commento a: M. Zoppi, C. Carbone, La lunga vita della legge urbanistica del '42 (didapress, 2018)

F. Erbani, Casa e urbanità, elementi del diritto alla città, commento a: G. Consonni, Carta dell’habitat (La Vita Felice, 2019)

P. Pileri, Il consumo critico salva territori e paesaggi, commento a: A. di Gennaro, Ultime notizie dalla terra (Ediesse, 2018)

 

 

 

 

 

 

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