Claudio Saragosa  
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AREE INTERNE: DA PROBLEMA A RISORSA


Commento al libro di Enrico Borghi



Claudio Saragosa


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Il libro di Enrico Borghi - Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale (Donzelli, 2017) - affronta in modo interessante ed originale un problema sempre più rilevante nell'Italia del XXI secolo. Le dinamiche demografiche italiane mostrano come la popolazione si stia concentrando in aree forti caratterizzate da sviluppo metropolitano, mentre gran parte del territorio vive una forte rarefazione della popolazione e un conseguente indebolimento dal punto di vista economico, delle infrastrutture e dei servizi.

Il testo analizza in modo accurato, a grana minuta, i "processi di territorializzazione locale" mettendo in evidenza la "trasformazione economica, sociale e istituzionale", per definire "un quadro nazionale espressivo e cercare di far comprendere le dimensioni, le prospettive e le caratteristiche della questione territoriale italiana" delle tante Piccole Italie che stanno nel tempo emergendo (p. 43). Da questo studio appare con chiarezza quanto la realtà territoriale italiana si stia polarizzando, scatenando da una parte un processo "di concentrazione della popolazione nelle aree metropolitane e nelle zone costiere" e, dall'altra, un processo irreversibile di impoverimento delle aree interne anzitutto dovuto alla riduzione e all'invecchiamento della popolazione che non riesce più nemmeno ad assicurare un sufficiente ricambio generazionale. Questi territori interni hanno ormai una popolazione residente in cui gli anziani superano un terzo del totale: questo dato per molti economisti rappresenta "un punto di non ritorno demografico superato il quale le medesime comunità sono destinate a deperire e progressivamente a scomparire" (p. 64). Questi territori che oggi sembrano sfarinarsi possono, al contrario, divenire luoghi fondamentali per sperimentare nuovi modelli economici e sociali in cui le comunità vive potrebbero "seguire Ie proprie vocazioni produttive" qualora potessero usufruire "di servizi essenziali di qualità come scuole, presidi sanitari e trasporti" (p. 67). Anche perché questi luoghi oggi così deboli sono fondamentali per la qualità dei sistemi territoriali metropolitani e costieri, qualità che può essere garantita solo con la presenza di ampie aree in cui si producono servizi ecosistemici essenziali per il metabolismo territoriale.

Nel libro di Borghi questo tema è presente e ben sviluppato. Si sottolinea, infatti, come nel destino delle aree interne sia inscritto un ruolo fondamentale nella produzione dei servizi ecosistemici, merce rara nelle aree metropolitane fortemente artificializzate. Nelle aree interne è ancora possibile individuare le "leve cui può applicarsi con successo un'azione proattiva e intenzionale rivolta a mettere in valore risorse sottoutilizzate o lasciate ai margini dai processi di sviluppo" (p. 57). Queste sono "risorse umane, di capitale fisso sociale e anche di capitale naturale" che devono essere rese operanti e valorizzate per i servizi ecosistemici che riescono a generare, servizi utili sinergicamente anche in quelle "aree segnate dai processi disurbanizzazione e di industrializzazione", in cui ormai non ne è più possibile produrne. Insomma si scopre che le aree interne del paese "(meno popolate e anche meno ricche) emergono per il loro ruolo evidente di fornitori di servizi non (ancora) riconosciuti dalle transazioni di mercato né compensati dalia regolazione dell'economia pubblica" (p. 58): nelle aree interne si produce i 2/3 del valore dei servizi ecosistemici a livello nazionale a fronte di una domanda locale di solo un quinto del totale. Se potessimo contabilizzare i servizi ecosistemici generati nelle aree deboli e utilizzati nelle aree forti dello sviluppo italiano, sostiene Borghi, si potrebbe riscontrare un deficit di 45 miliardi di euro: "un flusso di valore che, se venisse riconosciuto dalle istituzioni di mercato, rappresenterebbe il 15% del reddito disponibile delle stesse aree interne" (pp. 58-59). Questa valutazione rappresenta un punto fondamentale, infatti, i servizi ecosistemici vengono sì prodotti ma ancora non pagati. Un governo nazionale che avesse ben chiaro il problema delle aree interne dovrebbe lavorare per iniziare ad affrontare il tema del pagamento di questi servizi perequando territorialmente fra chi tali servizi li produce e chi li utilizza.

Si aprono due percorsi da sondare. Il primo tema riguarda la "definizione di standard per il calcolo del valore" dei servizi ecosistemici (p. 81): la comunità scientifica deve affrontare il tema di come questi servizi diventino valore da reimpiegare nella tutela, la salvaguardia e la riproduzione dei beni capaci di generare i servizi stessi. Con questa nuova valutazione anche il sistema di governance territoriale dovrà essere aggiornato ipotizzando una transizione dalla cultura del vincolo a una nuova visione imperniata "sulla valorizzazione e sul consenso". In questo caso anche il ruolo dei parchi e delle aree protette, che svolgono una funzione importante in aree montane, dovrà essere rivisto e ripensato. L'altro tema è legato all'agricoltura. Bisogna chiarire il ruolo che possono giocare le attività primarie una volta che siano mixate in modo sapiente con le nuove funzioni che possono svolgersi in parallelo alla produzione agricola, come per esempio la generazione di servizi legati all'accoglienza turistica, fenomeno che si sta attivando anche grazie al contributo di molti giovani. In questo solco sarebbe opportuno attivare un sistema di incentivi capace di stimolare "l'istituzione di centri multifunzionali per la fornitura di servizi in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica e postale" (p. 81). È solo consolidando il sistema distributivo di un eguale diritto ai servizi fra aree deboli e aree forti che sarà possibile stimolare l'attivazione di nuove forme di manutenzione territoriale, anche mediante la formazione di nuove imprese. Lo Stato dovrebbe essere molto determinato nel favorire finanziamenti capaci di attivare processi di tutela dell'ambiente e dei beni culturali, di mitigazione del rischio idrogeologico e messa in sicurezza delle scuole, di

sviluppare l'offerta complessiva dei servizi anche attraverso la rete capillare degli uffici postali, il consumo e la commercializzazione dei prodotti agroalimentari provenienti da filiera corta a chilometro utile e ancora il recupero e riqualificazione dei centri storici, mediante interventi integrati che prevedano il risanamento, la conservazione e il recupero del patrimonio edilizio, promuovendo la creazione di alberghi diffusi in una logica di efficientamento energetico e di antisismica, secondo la già sperimentata metodologia delle green communities (p. 82).

È certo che tutto ciò può avvenire se il sistema istituzionale di governo locale avrà una ridefinizione. Dalla chiusura delle Comunità Montane non si è infatti passati a un nuovo sistema di governo capace di trasformare la debolezza delle aree interne in un modello idoneo a far emergere tutta la forza endogena che tali territori nascondono. Molte interessanti manifestazioni di nuova socialità sono segnali della voglia di far ancora scaturire questa energia latente. Tra le nuove forme di socialità, la cooperazione di comunità è un chiaro indicatore non solo di "un'opportunità di sviluppo", ma anche di modalità con cui "popolazioni, entità sociali, gruppi di giovani, singoli sindaci vogliono reagire a contesti locali spesso inerti o addirittura chiusi in rassegnazione e rivendicazione" (p. 94). Borghi sottolinea come questo nuovo fenomeno, la cooperazione di comunità, prima di essere un movimento imprenditoriale, è soprattutto "un movimento sociale e culturale che rompe il velo di passività del territorio" (p. 94). Questa nuova geografia dell'innovazione economica, sociale e ambientale (scrive l'autore riprendendo studi di Krugman, Becattini, Bagnasco, Aydalot e Camagni) "non può prescindere dalle risorse" (non solo naturali, ma anche identitarie, culturali, storiche di un luogo) "che insistono su un territorio" (p. 95). Del resto la grande crisi ambientale (il cambiamento climatico, il progressivo esaurirsi delle risorse fossili, la perdurante perdita di biodiversità e il precario equilibrio tra ambiente costruito e ambiente naturale) e fiscale (crisi del sistema di welfare) non possono essere affrontate se non con uno straordinario sforzo di innovazione sociale, istituzionale ed economico-produttivo. Di fronte a queste sfide le aree interne, marginalizzate durante tutto il secolo scorso, possono trovarsi in vantaggio rispetto alle aree metropolitane potendosi costituire "come laboratori di innovazione capaci di produrre soluzioni e contaminare - innovandoli - altri contesti territoriali" (pp. 94-95). Se, come abbiamo visto, una delle crisi da risolvere con urgenza è quella legata all'ambiente, allora le aree interne "acquisiscono in questa dimensione una nuova centralità, grazie soprattutto alla presenza di risorse ambientali" (p. 95).

Borghi tratteggia anche il tema della nuova attenzione sulle aree interne rispetto ai temi della globalizzazione. Per l'autore, infatti, non si tratta di sottrarsi alle sfide della globalizzazione ricercando nei "rassicuranti confini locali" una via di fuga dal confronto di una "realtà economica sempre più complessa". Ripartire dai territori deve invece significare dare un nuovo senso ai processi di sviluppo innanzitutto in "termini di inclusione, sostenibilità e nuove dimensioni del benessere". Non significa cioè ripercorrere vecchi modelli di sviluppo, piuttosto "proporre nuove chiavi di lettura per riflettere sulla pluralità e l'articolazione delle risorse coinvolte nei processi dello sviluppo. Significa individuare gli snodi istituzionali attraverso cui una comunità diventa capace di costruire il proprio futuro" (p. 144). In questa nuova sfida il modello istituzionale e la sua capacità di gestione del sistema di governance diviene fondamentale. Finora i processi si sono basati prevalentemente su approcci di crescita per "settori" o per "fattori" produttivi. Invece in questo nuovo percorso (come sottolineato anche dal Rapporto Barca del 2009) sarebbe più opportuno muoversi mediante un "approccio integrato alle politiche di sviluppo che tagli trasversalmente i diversi settori produttivi, scompaginando gli assetti organizzativi delle reti di polizie" (p. 144). Tutto ciò richiede un ripensamento degli schemi funzionali, molto rigidi e settoriali, con cui di solito il sistema istituzionale è oggi organizzato (dalle associazioni di categoria agli uffici amministrativi). Impostare un processo di sviluppo innovativo non può che mettere in conto una necessaria profonda riforma del modello istituzionale attualmente dominante, verso una sua modernizzazione capace di una visione intersettoriale capace di attivare gli attori locali (imprese, lavoratori, cittadini attivi, soggetti istituzionali) in modo diverso, in modo cioè da "mobilitare le energie presenti nei territori, di combinarle con risorse esterne e cooperare in percorsi di innovazione" (p. 145).

In questo senso la globalizzazione non deve essere vista in antitesi con la dimensione locale dello sviluppo territoriale, ma come un processo di attivazione di risorse e valori, un modo per investire e ancorarsi a un luogo. E l'innovazione non deve essere vista solo come un processo che investe l'impresa, ma come un processo che "dipende sempre più dal contesto sociale e culturale entro cui l'impresa opera, in particolare dalla capacità delle istituzioni di produrre quei 'beni collettivi' in grado di garantire qualità, attrattività e coesione della società locale" (p. 145). In tutto ciò, sostiene efficacemente Enrico Borghi, può essere ritrovato un senso al vantaggio competitivo che l'Italia può avere nella competizione internazionale. Partendo dai territori interni si può costruire una "grande piattaforma di innovazione e straordinario serbatoio di risorse naturali, culturali e identitarie" (sedimentati nelle Piccole Italie locali) su cui far sviluppare percorsi di innovazione produttiva: si pensi, ad esempio, al ruolo "del turismo, della cultura, dell'enogastronomia, delle filiere agroalimentari oppure alla 'tradizionale' rete dei distretti produttivi manifatturieri" (p. 151).

Insomma le aree interne possono giocare un ruolo fondamentale nella definizione di un nuovo percorso politico e di pianificazione nel nostro paese attivando percorsi che mettano in gioco "la creazione di istituzioni economiche e sistemi di mercato vitali" che stimolino la creazione di nuova impresa e l'innovazione; spronino passioni territoriali capaci di "innescare fasce di domanda sofisticata, di anticipare gusti e tendenze globali"; attivino costantemente investimenti produttivi "lungo filiere collegate tra loro"; rinnovino continuamente i fattori locali dello sviluppo anche mediante la formazione continua di "capitale umano in linea con Ia domanda delle imprese", la vitalizzazione di "capitale intellettuale capace di presidiare la frontiera dell'innovazione", la continua definizione di "capitale fisico e infrastrutturale adatto a sostenere la posizione internazionale delle imprese", la generazione di "capitale sociale e istituzionale" (pp. 151-152). In questo quadro le Piccole Italie possono divenire dei nodi strategici in un orizzonte globale in cui il tessuto sociale attivato nelle peculiarità locali può ritrovare la forza anche di competere in un mondo sempre più aperto. Solo così, secondo Borghi, si può rifondare un equilibrio locale intercettando flussi globali ma metabolizzandoli nel locale al fine di ricavare "il massimo risultato possibile in termini di sviluppo a lungo termine". Cioè solo così si può promuovere e creare le condizioni affinché le forze vive dell'imprenditoria e della società delle aree interne, rurali e montane d'Italia, si mostrino capaci di inserire competenze locali all'interno di un sistema di divisione internazionale del lavoro" (p. 152), togliendo queste aree fondamentali per gli equilibri territoriali da uno stato sempre maggiore di subordinazione o di abbandono.

Claudio Saragosa

 

 

 

N.d.C. Claudio Saragosa, professore associato di Urbanistica del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Firenze, è presidente del Corso di laurea in Pianificazione della città, del territorio e del paesaggio dello stesso ateneo ed è stato coordinatore regionale della Società dei Territorialisti.

Tra i suoi libri: (a cura di) Materiali per un ecosviluppo. Tendenze, idee, progetti per uno sviluppo sostenibile della Val di Pecora (Libreria Alfani editrice, 1990); Follonica e il suo territorio. Memoria e rinascita di un paesaggio (Editrice Leopoldo II., 1995); Scarlino e i suoi luoghi. Il piano strutturale, descrizioni ed interpretazioni dei sistemi territoriali locali (Editrice Leopoldo II, 2000); L'insediamento umano. Ecologia e sostenibilità (Donzelli, 2005); Città tra passato e futuro. Un percorso critico sulla via di Biopoli (Donzelli, 2011); Il sentiero di Biopoli. L'empatia nella generazione della città (Donzelli, 2016).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

26 APRILE 2019

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
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Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
2013: programma/present.
2014: programma/present.
2015: programma/present.
2016: programma/present.
2017: programma/present.
2018: programma/present.
2019: programma/present.
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019:

R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)

M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)

M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)

A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)

P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)

M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)

M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)

P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)

C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)

F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)

I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)

G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)

M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)

G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)

 

 

 

 

 

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