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Nel libro Città sostenibili. Cento anni di idee per un mondo migliore (Aracne, 2018), Antonio Galanti ripercorre oltre un secolo di riflessioni e azioni alla ricerca di una forma urbana desiderabile e praticabile per governare l'espansione e limitare la dispersione urbana. Come ricorda Fabrizio Bottini nella prefazione, a partire dal secondo dopoguerra "l'offerta teorica modellistica" che sorregge il "decentramento pianificato" per unità autosufficienti non intercetta più la "domanda diffusa di spazi". Lo sprawl urbano si rivela funzionale alle esigenze del mondo economico e al soddisfacimento dei desideri di strati molto larghi di popolazione, nel cui immaginario la casa unifamiliare in proprietà si intreccia con quella del benessere individuale e familiare (1). Suburbia ha prevalso - ammonisce Galanti - ma ha esternalizzato sulla collettività una serie di costi ambientali e sociali. Un nuovo ciclo strutturale di interventi è quindi auspicabile per rimediare all'insostenibilità conclamata di un "decentramento incontrollato". A questo scopo, nel libro si propone la rilettura critica di una nutrita serie di esperienze otto-novecentesche che si sono misurate con il tema del decentramento, "più o meno compiutamente realizzate, pur con presupposti a volte contraddittori, esiti alterni e talora evidenti discontinuità tra concezioni ideali e successive concretizzazioni" (p. 22).
Credo che il modo migliore per restituire l'interesse del libro consista nel raccogliere l'invito dell'autore ad attingere al patrimonio di idee e realizzazioni del passato, senza incorrere nella tentazione di replicare stancamente alcune formule, né a quella di volgere lo sguardo all'indietro per sfuggire all'irrilevanza in cui pare confinato un sapere disciplinare - quello dell'urbanistica - che non sembra disporre di risposte immediatamente spendibili e che è rimasto privo di committenza politica. "Più fattibile, ancorché non necessariamente preferibile, indagare le possibilità di una ricomposizione della dispersione insediativa capaci, attraverso soluzioni innovative, di consolidarne le potenziali opportunità senza rinunciare ad attenuarne quanto più possibile le molte criticità" (p. 18). Nella ricerca di fili che consentano di intessere un ragionamento pertinente alle questioni attuali, riprendo una traccia suggerita dal nome di Melvin Webber e dal titolo del suo saggio Community without propinquity (2). Il testo, pubblicato nel 1963, si sofferma sul cambiamento radicale che la rivoluzione delle comunicazioni produce nell'organizzazione urbana, grazie alla possibilità di intrecciare relazioni sociali ed economiche slegate dalla prossimità spaziale. Webber, in un certo senso, è in anticipo sui tempi, poiché la vera discontinuità si produce qualche decennio più tardi, quando lo sviluppo di internet consente di eliminare completamente "l'attrito della distanza" (3). Le comunicazioni computer-based superano il condizionamento prodotto dal tempo necessario per compiere uno spostamento fisico: che avvenga con qualche dall'altro capo della città o a diecimila chilometri di distanza, lo scambio di informazioni è comunque istantaneo. Senza cadere nella trappola di un eccessivo determinismo, possiamo convenire che il cambiamento tecnologico abbia effettivamente concorso a produrre nuove configurazioni degli insediamenti urbani che mettono in discussione alcune categorie di riferimento della pianificazione della città otto-novecentesca: prossimo e distante, centrale e periferico, urbano e rurale. Una riflessione su questi aspetti è dunque necessaria, se non vogliamo limitarci a una lamentazione sulla degenerazione suburbana dell'idealtipo virtuoso della città compatta.
Già alla fine degli anni novanta, Graham e Marvin, in un lavoro di sistematizzazione della letteratura internazionale sulla correlazione fra comunicazione computer-based e fenomeni urbani, osservano come il cambiamento indotto dalla nuova tecnologia non possa essere considerato "omogeneo, lineare e unidirezionale" (4) (G, M: 23). Gran parte del discorso pubblico si focalizza, in quella fase, su due traiettorie divergenti di ristrutturazione spaziale. Da un lato, il superamento dei vincoli di prossimità sembra effettivamente indurre alla dissoluzione della città in favore di un nuovo stile di vita incentrato sulla casa - intesa come un cottage elettronico (5) connesso allo spazio pubblico virtuale. Al contempo, le innovazioni appaiono funzionali a dinamiche di polarizzazione verso le città che costituiscono i nodi principali dei flussi di informazioni. All'interno di questa tensione dicotomica, si producono altre modificazioni che consolidano le geografie urbane prodotte dagli investimenti infrastrutturali novecenteschi e, al contempo, contribuiscono alla frammentazione e segmentazione della loro struttura interna. In altri termini, il cambiamento non si concentra solo ai margini dell'urbano e non agisce solo per addizione di nuove porzioni.
Nelle descrizioni della città dei flussi sono ricorrenti tre questioni che mi sembrano rilevanti per proseguire il ragionamento sul controllo della forma e della struttura urbana: il rescaling regionale dei sistemi insediativi, la destrutturazione delle relazioni fra spazio e comunità all'interno della città costruita, la pervasività dell'urbano anche in luoghi tradizionalmente ascrivibili al territorio rurale. Il rescaling dei sistemi insediativi ha consolidato la formazione di regioni urbane molto ampie, dove si svolgono le principali relazioni economiche. La geografia degli insediamenti ha assunto una struttura aperta, stratificata e non univocamente gerarchica: le densità del costruito e delle funzioni non si dispongono secondo un gradiente decrescente dal centro storico alla periferia, ma secondo pattern diversificati. In Italia questo processo ha inizialmente interessato le aree che hanno conosciuto per prime lo sviluppo metropolitano e le regioni storicamente policentriche, per poi estendersi ad altri contesti come quello romano, nei quali solo recentemente si è consolidata una "geografia di luoghi che fanno riferimento a una diversa relazione reticolare che apre verso una forma della città ancora tutta da capire e interpretare" (6).
L'eliminazione dell'attrito della distanza ha agito anche sul versante della comunità o, più precisamente, sull'idea di comunità associata a quella di prossimità. Bottini osserva come, già nella prima metà del novecento questa relazione fosse stata incrinata, a causa del prevalere dell'esurbio, massificato e disperso in territori sempre più ampi. Oggi, all'interno dell'intera struttura urbana, dove convivono e agiscono contemporaneamente persone che appartengono a gruppi slegati da una relazione stretta con la territorialità, "sempre più possiamo con-dividere spazi e attività senza condividere senso e identità" (7). Questo carattere della condizione urbana contemporanea si ripercuote, necessariamente in termini problematici, sulle ipotesi di ricomposizione unitaria della struttura della città. Infine, la pervasività della condizione urbana ha alimentato cambiamenti intensi e problematici anche laddove non ha comportato consumo di suolo, né eccessiva frammentazione e dispersione degli insediamenti. Nel volume curato da Neil Brenner sull'urbanizzazione planetaria, l'urbanista Marcel Meili si domanda "Is the Matterhorn city?" (8). Anche all'interno della catena alpina, osserva Meili, il territorio è segnato, sfruttato ed economicamente conteso con modalità analoghe a quelle della città. L'iconico profilo del Cervino, entrato definitivamente nell'immaginario collettivo al pari di un monumento o di una piazza, non è più evocativo di un altrove misterioso e distante, ma è parte nel nostro mondo, vicino e familiare. Un mondo conformato e modificato ben al di là di ciò che appare ai nostri occhi.
Il cambiamento di cui abbiamo richiamato alcuni tratti ricorrenti è un processo tutt'altro che pacificato. Come ha ricordato Manuel Castells, in un recente intervento pubblico a Milano (9), alla pervasività della condizione urbana su scala globale corrisponde a una distribuzione locale fortemente diseguale di opportunità e svantaggi, materiali e immateriali. All'interno di strutture territoriali molto ampie, che fatichiamo a denominare e che sfuggono a precise delimitazioni, flussi di persone, merci e informazioni, influenzati da interdipendenze sovranazionali aventi un'intensità incomparabile rispetto a qualche decennio fa, generano conflitti e alimentano la domanda di azione pubblica alla base della riconfigurazione di suburbia auspicata da Galanti. Una domanda che, necessariamente, deve fare i conti con alcuni interrogativi non banali sollevati dalla condizione urbana contemporanea. Possiamo immaginare un'infrastrutturazione pubblica adeguata alla nuova configurazione della città-territorio, o dobbiamo confidare solo nel processo molecolare di sostituzione di singoli tasselli? Che forma e che ruolo possiamo attribuire allo spazio pubblico? Abbiamo qualcosa da dire sui cambiamenti del territorio non urbanizzato, o possiamo considerare esaurito il compito della pianificazione una volta sancito il perimetro dell'espansione urbana?
In questa prospettiva, fino a che punto è utile tradurre le nostre interpretazioni in prefigurazioni del futuro? E attraverso quali dispositivi? Il pensiero torna nuovamente a Webber e a una considerazione di Leonardo Ciacci sul libro di Ruben Baiocco L'ultima New Town. Milton Keynes tra welfare e scelta individuale, pubblicate in questa rubrica. La vicenda di Milton Keynes è legata a Webber proprio perché il progetto della nuova città non è concepito attorno a un modello di organizzazione urbana imperniato su unità spaziali definite in base a relazioni di prossimità e centralità. Ciacci sottolinea una seconda rilevante discontinuità introdotta allora: il piano per Milton Keynes è concepito come "un programma di azione" per la città futura la cui attuazione non è affidata né alla sola forza normativa, né consiste nell'esecuzione di un progetto urbano compiuto e definito in tutti i suoi aspetti formali e funzionali. Piuttosto, il programma ambisce a costruire un circuito virtuoso con le future iniziative pubbliche e private, necessariamente plurali nello spazio e nel tempo.
Come ha ricordato Alessandro Balducci in un suo recente scritto (10), la metafora della navigazione è particolarmente efficace per sottolineare il tentativo della pianificazione di misurarsi con la complessità e l'incertezza che governa le relazioni fra ciò che accade nel presente e i potenziali futuri. Non si tratta, dice Balducci, di seguire una road map definita in ogni suo aspetto, quanto piuttosto di affrontare la navigazione con un buon equipaggiamento. Possiamo sostenere che, fra le dotazioni indispensabili, rientrano certamente le prefigurazioni di ordinamenti spaziali, da utilizzare come cornici di senso compiuto. Proprio per questo ripercorrere il viaggio suggerito da Galanti appare oggi un esercizio tanto più necessario, quanto più ci appare problematico il suo esito.
Mauro Baioni
Note 1) Berger, Kotkin, Guzman, eds (2017) Infinite Suburbia, New York, Princeton Architectural Press. Stern, Fishman, Tilove (2013) Paradise Planned. The Garden Suburb and the Modern City, New York, The Monacelli Press. 2) Webber M.M. (1963), Order in diversity: community without propinquity, in Wingo L. ed., Cities and Space: the Future Use of Urban Land, John Hopkins Press, Baltimore. 3) Gillespie A., William H., 1988, "Telecommunications and the reconstruction of regional comparative advantage", Environment and planning A 20, 1311-1321 (1317) cit. in Graham, Marvin, p. 77. 4) Graham S., Marvin S. (2002), Città e comunicazione, Bologna, Baskerville, 2002. 5) Toffler, A. (1981), La terza ondata. Il tramonto dell'era industriale e la nascita di una nuova città, Milano, Sperling & Kupfer. 6) Balducci, A. (2016), "Roma e l'urbanizzazione regionale in Italia", in Cellamare C., a cura di, Fuori raccordo: abitare l'altra Roma, Roma, Donzelli, p. XIII. 7) Pasqui, G. (2018), La città, i saperi, le pratiche, Roma, Donzelli p. 39. 8) Meili, M. (2014), "Is the Matterhorn city?", in Brenner, N. ed., Implosions / Explosions. Towards a study of planetary urbanization, Berlin, Jovis, p. 103-108. 9) La città dei flussi e della tecnologia, incontro con Manuel Castells, Milano, Fondazione Feltrinelli, 6 dicembre 2018. 10) Balducci, A. (2015), "Strategic planning as the intentional production of a "Trading Zone", in City, Territory and Architecture 2:7, DOI 10.1186/s40410-014-0021-2.
N.d.C. - Mauro Baioni, urbanista, è consulente di pubbliche amministrazioni e istituti di ricerca oltre che progettista di piani urbanistici e territoriali. Collabora con Eddyburg per cui ha diretto l'edizione 2005 della Scuola estiva.
Tra i suoi libri: Pianificazione di livello comunale e tutela dell'ambiente (DAEST, 2000); a cura di, La costruzione della città pubblica (Alinea, 2008); con E. Salzano e I. Boniburini, La città non è solo un affare (Aemilia university press, 2012).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
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