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L'ultimo libro di Rosario Pavia - Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (Donzelli 2019, prefazione di Mario Tozzi) - è prezioso per tutti quelli che hanno a che fare con l'urbanistica dell'antropocene, cioè con tutti. Il titolo, che invidio per la sua eccezionale sintesi, è quanto mai esplicito e intreccia le due questioni più inesorabili e urgenti del momento, consumo di suolo e cambiamento climatico, entrambe legate tra loro ma ancora prese sottogamba dalla pianificazione. L'autore non è nuovo a questi temi e ciò dà ancor più credito a questo libro, sollecitando anche quanti sono culturalmente più lontani e restii ad avvicinarsi con urgenza al suo punto di vista. Per convincersi meglio che le argomentazioni di Rosario Pavia non sono un'impalcatura poggiata sul vuoto, costoro si prendano almeno la briga di contare i riferimenti bibliografici e le citazioni di studiosi di varie discipline, nazionali e internazionali, che Pavia, da vero ricercatore quale è, ha raccolto, sollecitando l'urbanistica a prendere posizione circa la tutela dei suoli e l'impegno a non peggiorare il clima "senza se e senza ma". Io ne ho contate 225, senza includere quelle dell'autore. Si va da alcuni classici dell'urbanistica - come Choay, Poëte, Rogers o Secchi - a pensatori moderni - come Khanna o Massimo Montanari - a inediti nei 'cerchi magici' della disciplina - come Jansma, Parham o Friedman -. Dunque, lavori come quello di Pavia sono per noi urbanisti, che spesso rimaniamo imprigionati in recinti bibliografici troppo stretti (così stretti che spesso cadiamo nell'autoreferenzialità), porte che si aprono sul mondo.
Il suolo è spessore. Questa è la prima grande novità che Rosario Pavia ci tiene a sottolineare, ripetendolo più e più volte. E fa bene e dirlo oltre che a dirlo stupendamente quando parla di "complessità ecologica del suo spessore". Quasi un passaggio poetico. Gli urbanisti hanno amato e amano, a ragione, la parola 'complessità' nella quale hanno depositato tante riflessioni sulla città, sulla sociologia urbana, sul paesaggio, ma mai sul suolo ovvero sulla base da cui dipende tutto il resto. Pavia lo fa. E fa bene. Per troppi anni il suolo è stato visto come un banale e devitalizzato pavimento offerto a chi primo arrivava per meglio alloggiarvisi, nel senso che ci poteva far quel che più gli rendeva, dopo aver fatto sì che un qualsiasi piano regolatore glielo permettesse. Gli urbanisti non si sono impegnati abbastanza a capire invece che il suolo è spessore e vita, è delicatezza e futuro, è risorsa che una volta asfaltata muore, è ciò da cui dipendiamo. Ma il suolo è anche una potente macchina che con poca energia controlla clima, bilancio idrologico, cibo. Una macchina che nessuna tecnologia umana ha avuto la capacità di imitare neppure lontanamente. Ma di tutto questo pare che l'urbanistica ancora non si sia accorta o si sia dimenticata, o che le sfugga l'urgenza, o che corteggi quell'idea opaca secondo la quale "il costruito si distacca dal suolo e i terreni non urbanizzati diventano uno sfondo neutro in attesa di trasformarsi in aree edificabili". Suoli in attesa di condanna, così mi viene da dire. Così, spesso, i suoli finiscono per essere questo, anche se nessuno si guarda dal dirlo esplicitamente. Suoli in perenne attesa di qualcosa da mettere sopra per quell'urbanistica incapace di vederli come tali, come geniali macchine ecologiche che danno tanto con poco. Un'urbanistica restia a lavorare con i vuoti, le immensità di significato dei suoi sottili spessori. Priva di immaginazione quando deve affrontare un progetto senza spargere cemento.
Suolo come infrastruttura ambientale è la seconda importante rivelazione del pensiero di Rosario Pavia in questo librino prezioso. Il suolo come qualcosa che dà vita ad altro, che mette in moto cose nuove, che rende possibile. Non più oggetto, merce e cosa ferma. Questo passaggio di stato, da solido inerme a liquido vitale, se così possiamo dire, è bello e restituisce al suolo la sua piena dignità. Il suolo infatti è farmaco, è clima. Con diplomazia, Pavia ci sta anche dicendo che nei piani urbanistici il suolo è trattato come tutt'altro che infrastruttura ambientale, tutt'altro che complessità ecologica, tutt'altro che medicina per il futuro. Senza puntare il dito sta comunque mettendo in guardia chi più di altri dovrebbe farsi carico di una svolta, di un cambiamento. Perché il suolo è spessore fragile e non è più il momento di scherzare o rimandare a tempi migliori la decisione della sua tutela: "l'asfalto […] ne nasconde la complessità del suo spessore, la fragilità rispetto agli agenti inquinanti". Non dice 'forse l'asfalto...', ma dice 'l'asfalto...': punto.
Diretto e grave Pavia afferma che: "Nella sua [del suolo] cura si nasconde l'etica e la tensione di un nuovo progetto di modernità". Mi piace. Etica. Non c'è da scherzare, c'è da prendere una posizione. O di là o di qua. Non c'è più tempo per vie di mezzo o per i 'tiepidismi'. Come è stato Expo2015, la grande occasione mancata per la tutela dei suoli che, secondo Rosario Pavia, si è rivelata non più di una grande ed elegante rassegna di prodotti, ma con una "insufficiente attenzione agli sviluppi innovativi del settore agricolo e agroalimentare e ancora meno a nuovi modelli insediativi". "Expo non ci ha aiutato a capire che oltre a una fase di produzione e di consumo ce n'è una terza di smaltimento e recupero". Insomma, la dimensione merceologica, il business e il denaro continuano a prevalere sulle urgenze di questa contemporaneità che, se non lo si è ancora capito, deve fare i conti con la scarsità e il cambiamento climatico. Il 'marketing di tutto' ha contaminato il pensiero politico che obbedisce sempre più passivamente al teorema del compromesso sempre e comunque. E negli eccessi di compromesso o nel far prevalere la facciata rispetto al contenuto, le questioni della complessità ecologica rimangono schiacciate e cacciate in quinta posizione nell'agenda pubblica.
Il libro offre anche una rassegna interessante di casi internazionali che hanno cercato vie di uscita. Sono due i capitoli, uno denominato compost city e l'altro transizioni, che raccolgono svariati esempi di successo applicati a città di diversa natura, contesto e dimensione. Anche se tra questi ve ne sono alcuni che, a parer mio, sono forse un po' sopravvalutati dall'autore, accettiamo volentieri di prenderli in considerazione per alcuni elementi replicabili che contengono e perché comunque fanno da sprone.
Il finale lo lascerei al lettore. Rosario Pavia cerca di trovare in tutti i modi appigli a cui agganciare la speranza e al tempo stesso ci ricorda che la crisi migratoria che viviamo e a proposito della quale stanno emergendo le peggiori interpretazioni politiche e ideologiche non è altro che il frutto di tanta distrazione nel passato. Anche sul modo in cui abbiamo deciso di maneggiare il suolo nella nostra idea di progetto urbano. Non ci resta che cambiare noi e non pretendere che cambino gli altri, che poi sono coloro che più hanno subito la nostra smania di consumo e di rapina di risorse. Voglio dunque riprendere una delle frasi finali di Pavia, "tentare di reinventare la Terra", tenendola ben piantata nel solco del pensiero critico che anima tutto il libro e che arriva da quel lavoro di lungo periodo che l'autore ha condotto con convinzione e coraggio fin dalla pubblicazione del suo Le paure dell'urbanistica (Costa & Nolan, 1996). Secondo me dobbiamo risintonizzare noi stessi sull'onda dei patimenti della Terra e non scivolare nell'arroganza di disegnare una nuova Terra sul calco della nostra immagine egoista. Siamo noi da reinventare. È il nostro modo di fare urbanistica da reinventare. Il nostro modo di decidere se e come cambiare l'uso dei suoli, se e quanto recuperare la città esistente ed esausta. Il cambiamento climatico, con la sua neve di maggio, il suo sole rovente di dicembre, i mari che si alzano, il cibo che scarseggia, i fiumi di esseri umani che scappano da quella padella bollente e vuota che è l'Africa, non ci concederà un terzo tempo. Siamo noi a dover cambiare. Noi a dover cambiare modo di progettare lo spazio in cui viviamo. Noi a dover decidere quali principi etici portare in alto e quali non sono più principi, ma pattumiera e guasti travestiti da smart-qualcosa. È tutto nelle nostre mani, non di altri. Il "grado zero da cui ripartire" che invoca nel finale Rosario Pavia è secondo me qui e ora, accanto a noi, se non è addirittura già passato da tempo: dobbiamo quindi solo correre e cambiare in fretta. Non ci sono cuscini tecnologici sui quali adagiarsi e prendere fiato rimandando le decisioni sul nostro stile di vita. Come ho più volte detto, perché ne sono convinto, la tecnologia può aiutare, ma non può risolvere e non deve risolvere a meno che rinunciamo alla nostra libertà di uomini intelligenti e capaci di decidere il meglio per tutti, svendendoci a un algoritmo e a un manipolo di big data. È a quella libertà e a quella intelligenza che vogliamo rinunciare?
Paolo Pileri
N.d.C. - Paolo Pileri, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, è tra gli ideatori e animatori del progetto Vento: proposta di dorsale cicloturistica tra Venezia e Torino considerata parte integrante del sistema nazionale della ciclabilità turistica. Cura la rubrica 'Piano Terra' della rivista "Altreconomia". Tra i suoi libri: Interpretare l'ambiente (Alinea, 2002); Compensazione ecologica preventiva (Carocci, 2007); con E. Granata, Amor loci: suolo, ambiente, cultura civile (Cortina, 2012); con A. Giacomel e D. Giudici, Vento: la rivoluzione leggera a colpi di pedale e paesaggio (Corraini, 2015); Che cosa c'è sotto: il suolo, i suoi segreti, le ragioni per difenderlo (Altreconomia, 2015 e 2016); 100 parole per salvare il suolo (Altreconomia, 2018); con A. Giacomel, D. Giudici, R. Moscarelli, C. Munno e F. Bianchi, Ciclabili e cammini per narrare territori. Arte design e bellezza dilatano il progetto di infrastrutture leggere (Ediciclo 2018).
Per Città Bene Comune ha scritto: Laudato si': una sfida (anche) per l'urbanistica (2 dicembre 2015); Se la bellezza delle città ci interpella (10 febbraio 2017); La finanza etica fa bene anche alle città (3 novembre 2017); L'urbanistica deve parlare a tutti (21 settembre 2018); Udite, udite: gli alberi salvano le città! (9 novembre 2018); Contrastare il fascismo con l'urbanistica (21 marzo 2019).
Sui libri di Paolo Pileri, v.: Bernardo De Bernardinis, Per una nuova cultura del suolo (28 ottobre 2016); Roberto Balzani, Suolo bene comune? Lo sia anche il linguaggio (12 ottobre 2018);
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 28 GIUGNO 2019 |
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A. Petrillo, Oltre il confine, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)
L. P. Marescotti, Urbanistica e paesaggio: una visione comune, commento a: J. Nogué, Paesaggio, territorio, società civile (Libria, 2017)
F. Bottini, Idee di città sostenibile, Prefazione a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)
M. Baioni, Urbanistica per la nuova condizione urbana, commento a: A. Galanti, Città sostenibili (Aracne, 2018)
R. Tadei, Si può comprendere la complessità urbana?, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
C. Saragosa, Aree interne: da problema a risorsa, commento a. E. Borghi, Piccole Italie (Donzelli, 2017)
R. Pavia, Questo parco s'ha da fare, oggi più che mai, commento a: A. Capuano, F. Toppetti, Roma e l'Appia (Quodlibet, 2017)
M. Talia, Salute e equità sono questioni urbanistiche, commento a: R. D'Onofrio, E. Trusiani (a cura di), Urban Planning for Healthy European Cities (Springer, 2018)
M. d'Alfonso, La fotografia come critica e progetto, commento a: M. A. Crippa e F. Zanzottera, Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2017)
A. Villani, È etico solo ciò che viene dal basso?, commento a: R. Sennett, Costruire e abitare. Etica per la città (Feltrinelli, 2018)
P. Pileri, Contrastare il fascismo con l'urbanistica, commento a: M. Murgia, Istruzioni per diventare fascisti (Einaudi, 2018)
M. R. Vittadini, Grandi opere: democrazia alle corde, commento a: (a cura di) R. Cuda, Grandi opere contro democrazia (Edizioni Ambiente, 2017)
M. Balbo, "Politiche" o "pratiche" del quotidiano?, commento a E. Manzini, Politiche del quotidiano (Edizioni di Comunità, 2018)
P. Colarossi, Progettiamo e costruiamo il nostro paesaggio, commento a: V. Cappiello, Attraversare il paesaggio (LIST Lab, 2017)
C. Olmo, Spazio e utopia nel progetto di architettura, commento a: A. De Magistris e A. Scotti (a cura di), Utopiae finis? (Accademia University Press, 2018)
F. Indovina, Che si torni a riflettere sulla rendita, commento a: I. Blečić (a cura di), Lo scandalo urbanistico 50 anni dopo (FrancoAngeli, 2017)
I. Agostini, Spiragli di utopia. Lefebvre e lo spazio rurale, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018)
G. Borrelli, Lefebvre e l'equivoco della partecipazione, commento a: H. Lefebvre, Spazio e politica (Ombre corte, 2018); La produzione dello spazio (PGreco, 2018)
M. Carta, Nuovi paradigmi per una diversa urbanistica, commento a: G. Pasqui, Urbanistica oggi (Donzelli, 2017)
G. Pasqui, I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza, commento a: L. Gaeta, La civiltà dei confini (Carocci, 2018)
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