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LE PERIFERIE NON SONO PIÙ QUELLE DI UNA VOLTA
Commento al libro di Agostino Petrillo
Serena Vicari Haddock
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Anche le periferie non sono più quelle di una volta. Nell'era dell'urbanizzazione diffusa a livello planetario è un problema identificare la periferia, i luoghi dove mancano o sono carenti i caratteri che tradizionalmente vengono associati all'urbano; è entrata in una crisi irreversibile l'idea che questi luoghi possano essere definiti a partire dalla distanza fisica da un centro. Si è invece radicata l'idea sia da parte delle istituzioni che della comunità scientifica che sia necessaria una nuova concettualizzazione di periferia che combini dimensioni sociali relative agli individui e dimensioni spaziali relative ai contesti. Un primo motivo di interesse per l'ultimo libro di Agostino Petrillo - La periferia nuova. Disuguaglianza, spazi, città (FrancoAngeli, 2018) - deriva dal suo partecipare a un dibattito molto ampio che si dipana fino a includere la considerazione che le periferie siano il luogo dove si sono scaricati gli effetti più brutali della crisi, della politica di austerità e della ristrutturazione economica e del mercato del lavoro ma anche costituiscano i luoghi in cui attuare politiche che contrastino tali effetti. Il libro entra in questo dibattito dialogando sia con le analisi accademiche che con le proposte di politiche pubbliche. La tesi argomentata in queste pagine è che i processi che determinano la posizione periferica sono la forma predominante che assume la disuguaglianza nell'epoca del capitalismo estrattivo ed espulsivo teorizzato da Harvey e dalla Sassen. Su questa base la questione delle periferie si lega necessariamente al dibattito sui caratteri e le dinamiche della presente fase di sviluppo: esse vengono a costituire una chiave per comprendere mutamenti di più ampia portata.
Da tempo Agostino Petrillo ha maturato la consapevolezza che la periferia faccia problema: da almeno quindici anni, infatti, ne ha fatto l'oggetto di una riflessione ampia e approfondita i cui primi risultati erano già stati esposti nel libro: Peripherein: pensare diversamente la periferia (FrancoAngeli, 2013). In questo testo proponeva un percorso ricco e articolato sul concetto di periferia e sulle sue diverse declinazioni e relazioni con altri concetti delle scienze sociali che si confrontano con l'urbano, le categorie interpretative e le loro articolazioni. Il compito che si prefiggeva andava ben oltre l'analisi delle trasformazioni di cui la periferia è stata oggetto per arrivare alla messa in discussione di concezioni e teorizzazioni consolidate. Se in quel testo prevaleva la dimensione destruens dell'argomentazione, in questo prevale invece la dimensione construens o, come dice l'autore stesso, l'approfondimento ordinato della questione della periferia. Con un'attenzione temporale sull'arco degli ultimi due decenni ma con una apertura geografica mondiale, l'autore introduce il discorso sul carattere multiforme dell'essere e del divenire periferia nell'era contemporanea e ne esplora i processi di formazione, consolidamento e contestazione. È qui che viene introdotto il concetto di 'periferizzazione' per spostare l'attenzione sui processi multipli che portano alla formazione e riproduzione della condizione periferica in forme differenziate e multidimensionali.
Un secondo motivo di interesse per il libro è di carattere epistemologico e riguarda i modi della produzione di conoscenza. Petrillo ricostruisce il discorso sulla periferia mettendo in luce come questo contribuisca, oggi come ieri, a creare la perifericità di luoghi e gruppi sociali. Non si può non fare riferimento all'analisi storiografica di David Forgacs - Margini d'Italia. L'esclusione sociale dall'Unità a oggi (Laterza, 2015) - che con una maggiore ampiezza temporale ma un fuoco di analisi ristretto al nostro Paese, parla del processo di costruzione di marginalità come parte di quello di definizione della nostra identità nazionale; anche nel lavoro di Petrillo emerge con forza una attenzione critica verso le produzione delle categorie interpretative e un richiamo ai ricercatori perché siano consapevoli delle relazioni di potere e della loro posizione all'interno di queste relazioni nella definizione di centro e periferia, dell'altro da sé e della sua messa ai margini. Come viene chiarito sin dal primo capitolo, è attraverso le categorie discorsive utilizzate che passano giudizi di valore che incidono sulle strutture spaziali, il loro utilizzo e gruppi sociali che si indentificano in quegli stessi spazi o se ne differenziano.
Fare i conti con l'ampiezza del dibattito che la periferia come oggetto di ricerca alimenta e prendere una posizione epistemologia avvertita sono, a mio parere, gli elementi distintivi del contributo di Petrillo. Non sono rare le generalizzazioni non empiricamente sostenute in modo robusto e le intuizioni a cui non sempre è dato chiaro seguito, ma la ricchezza delle argomentazioni e dei riferimenti porta a considerare trascurabili queste omissioni.
Il libro si compone di cinque capitoli e di una conclusione. Diciamo subito che il quinto capitolo contiene l'analisi di uno studio di caso, il quartiere genovese CEP, che partendo dall'essere luogo di forte disagio sociale arriva a esprimere una straordinaria capacità di mobilitazione e di auto-organizzazione dei cittadini. Al di là dell'interesse per la microstoria locale, questo capitolo esemplifica fenomeni diffusi che riguardano l'emersione di energie, capacità di inclusione e processi di empowerment, che interessano oggi molti contesti periferici, anche pesantemente compromessi, che arrivano a esprimere domande articolate e differenziate. Questi processi di emersione interrogano il ricercatore con particolare urgenza proprio in quanto direttamente implicato nella nominazione e categorizzazione di luoghi e gruppi sociali e, quindi, necessariamente, nelle dinamiche del potere.
Nel primo capitolo, oltre a esplicitare la postura epistemologica di cui si è detto, l'autore mette in evidenza i tratti distintivi di una periferia che viene definita nuova perché diversa da quella strutturata dai modi di produzione fordista dello spazio. È una periferia che si amplia quantitativamente e si diversifica dando luogo a un universo molto composito in cui si intrecciano elementi sociali e spaziali; quando questi si rafforzano a vicenda danno luogo a concentrazioni dove l'isolamento e la distanza dalle istituzioni rendono l'esperienza urbana molto limitata se non del tutto assente. Incidono su questa periferia la collocazione della attività economiche e il loro raggrupparsi nello spazio, da un lato, e, dall'altro, la strutturazione delle crescenti disuguaglianze sociali. Nella periferia si specchiano società enormemente fragilizzate e fortemente diseguali e disomogenee che sono il prodotto di questa fase prepotente e disordinata dello sviluppo economico contemporaneo.
La violenza delle periferie e sulle periferie che informa il discorso pubblico è l'oggetto della riflessione del secondo capitolo. In modo originale l'autore parte dalla rilevazione dei processi violenti in atto nelle città che non vengono sufficientemente tematizzati dalle analisi delle dinamiche urbane, quali l'evoluzione del mercato delle abitazioni, i processi di gentrificazione, di dislocamento e di sostituzione di popolazioni che avvengono a seguito delle politiche di rigenerazione urbana, la finanziarizzazione della rendita. Il tema della violenza è poi messo in relazione con le crescenti disuguaglianze e differenze e le difficoltà di riconoscimento che queste incontrano. Il percorso di riflessione tocca le caratterizzazioni della violenza nei ghetti neri americani come nelle banlieue parigine e si dipana discutendo in modo critico le diverse interpretazioni sulle cause della violenza in questi contesti. Lo sguardo si mantiene distante e indenne dalle mistificazioni e reificazioni di molte indagini correnti.
Il terzo capitolo è dedicato all'incontro con il pensiero di Henri Lefebvre, di cui l'autore è grande conoscitore, alla discussione del concetto di 'diritto alla città' e della sua interpretazione presso alcuni sociologi urbani contemporanei. È un capitolo di grande ricchezza ma anche caratterizzato da un livello elevato di astrazione; vi si afferma l'utilità del pensiero di Lefebvre nell'illuminare lo scenario urbano contemporaneo ma le argomentazioni attorno alla sua utilità sarebbero state più convincenti se accompagnate da un bagaglio più consistente di analisi empiriche informate dal paradigma lefebvriano.
Nel quarto capitolo Petrillo fa poi i conti con altre figure intellettuali di grande rilievo, quali Hannah Arendt, David Harvey, Richard Sennett, Ulrich Beck. Il tema del capitolo è l'urbano e quindi il centro e non la periferia. È una ulteriore sottolineatura, se ce ne fosse ancora bisogno, del rapporto dialettico e del costituirsi reciproco di centri e periferie in una dinamica in cui l'emergere e il consolidarsi dei primi avviene a spese dell'assoggettamento delle seconde, pur sempre secondo processi differenziati e multidimensionali.
Le conclusioni contengono prima di tutto domande e piste di ricerca che emergono dalle analisi dei capitoli che le precedono. Da queste l'autore fa emergere il grande interesse che gli studi urbani vengono ad assumere in questa "epoca urbana", sottolineando però il paradosso della mancanza di urbanità per la grande massa di coloro che vivono nelle sterminate periferie contemporanee. Ritornano i grandi interrogativi sulla città: in primis il problema di ridefinizione della città che si pone ogniqualvolta si presentano cicli di urbanizzazione intensi. Poi la dialettica tra posture di ricerca diverse: la ricerca di un sapere generale sulla città basato necessariamente su approcci comparativi, da un lato, e, dall'altro lo studio di singole città come universi autonomi e oggetti ascrivibili e spiegabili solo a partire dalla propria storia e cultura. Sono questioni sempre aperte alla cui ridefinizione e soluzione Petrillo aggiunge un tassello importante.
Serena Vicari Haddock
N.d.C. - Serena Vicari Haddock è professore associato di Sociologia dell'Ambiente e del Territorio presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca dove, dal 2011 al 2016, ha coordinato il programma di Dottorato in Studi Urbani (URBEUR). Ha insegnato all'Università della California (U.S.A.), all'Università di Lovanio (Belgio) e all'Università di Pavia. I suoi studi riguardano le politiche di rigenerazione urbana nella città italiane e in prospettiva comparativa. Negli ultimi anni ha svolto ricerche sulle problematiche relative alla partecipazione, all'innovazione sociale e all'inclusione sociale.
Tra i suoi libri: La città contemporanea (il Mulino, 2004); (a cura di), Simon Parker, Teoria ed esperienza (il Mulino, 2006); con Frank Moulaert, (a cura di), Rigenerare la città. Pratiche di innovazione sociale nelle città europee (Il Mulino, 2009); (a cura di), Brand-building: the creative city. A critical look at current concepts and practices (Firenze University Press, 2010); (a cura di), Questioni urbane. Caratteri e problemi della città contemporanea (il Mulino, 2013); (a cura di), Guido Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017).
Sull'ultimo libro curato da Serena Vicari Haddock, v.: Alessandro Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro (1 marzo 2018).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 03 SETTEMBRE 2019 |
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