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Come tutti sanno, ogni libro è letto e percepito a seconda della cultura, sensibilità, inclinazioni e predilezioni del lettore. Dunque, ogni commento allo stesso libro ne proporrà una lettura diversa, o meglio metterà in evidenza pregi (e difetti) a seconda della cultura, sensibilità, inclinazioni e predilezioni del commentatore. E poiché ogni commento raccoglierà l'interesse o il disinteresse, l'accordo o il disaccordo di quei lettori che mediamente rientrano nel campo della cultura, sensibilità, inclinazioni e predilezioni del commentatore, forse è un buon metodo quello di proporre più commenti di uno stesso libro, per esplorarne diversi aspetti e contenuti. Così, vorrei aggiungere anche la mia alle letture già fatte da parte di Giuseppe Imbesi e di Anna Laura Palazzo (1) del libro di Roberto Cassetti, La città compatta. Dopo la Postmodernità. I nuovi codici del disegno urbano (Gangemi) (2).
Cominciamo subito col dire che si tratta di un libro di grande interesse, un libro importante sia per i contenuti sia per il ricco e indispensabile apparato iconografico che accompagna puntualmente i contenuti del testo (del quale testo, forse, bisogna rilevare qualche ridondanza e alcune ripetizioni). Questo libro è importante perché si colloca nel quadro problematico delle riflessioni e delle proposte per una ormai necessaria e urgente ricostruzione-rigenerazione di una cultura urbana (e dell'urbanistica) dandole un rilevante contributo. Le ragioni della necessità della ricostruzione-rigenerazione della cultura urbana e urbanistica in Italia (ma non solo) possono essere chiaramente leggibili negli stessi contenuti e nell'articolazione del libro. C'è un filo rosso che lo attraversa tutto: in sintesi, il libro è la narrazione di una tendenza, o piuttosto di un processo, che appare, se non già consolidato, in via di consolidamento verso il superamento (o meglio il rifiuto) di gran parte dei canoni della cultura urbanistica del Moderno e l'introduzione di nuovi canoni, o nuovi codici come dice il sottotitolo del libro. Nuovi codici che sono il risultato anche del recupero e della rigenerazione (che in questo caso significa attualizzazione alla contemporaneità) dei codici delle culture urbane della città storica e in particolare della cultura delle forme della città. Nuovi codici che sono l'esito più importante di un processo che definirei di controrivoluzione culturale che dalla proclamata rivoluzione che proponeva come modello la città ideale del Moderno (con le sue astrattezze e relative criticità) intende tornare alla città reale degli abitanti. Vale a dire tornare alle concrete buone qualità urbane che possiamo ritrovare nelle forme urbane e nei modi di abitare nelle parti storiche delle città e che possiamo applicare, pur rinnovandole, nelle parti delle città di più recente formazione.
La narrazione è articolata in tre periodi, che corrispondono alle prime tre parti del libro: Parte prima: Il secondo dopoguerra e il trionfo della modernità e della sua idea di città; Parte seconda: Gli ultimi decenni del secolo e l'irruzione della postmodernità; Parte terza: L'uscita dalla postmodernità e i nuovi codici della composizione urbana, che contiene un capitolo, il settimo, del quale è autrice Emanuela Belfiore. Seguono la Parte quarta e la quinta del libro, nelle quali i capitoli sono firmati da Roberto Cassetti e, di volta in volta, da Sandra Simoni o da Edoardo Cosentino come co-autori. Queste due parti trattano rispettivamente i casi delle città di Londra e di Parigi come esempi di sperimentazione e applicazione dei nuovi principi e codici del disegno urbano.
Ognuna delle prime tre parti tratta, anzitutto, le caratteristiche sociali ed economiche proprie di ciascun periodo, e poi descrive e analizza gli effetti sulle forme urbane che quelle caratteristiche hanno prodotto e producono. Qui è interessante soprattutto del tema delle forme urbane. Tema fondamentale per gli urbanisti, perché è nel paesaggio urbano, nelle forme dei suoi spazi, che si svolge quotidianamente la vita degli abitanti delle città. Ed è anche nella percezione delle forme e delle possibilità d'uso degli spazi del paesaggio urbano che vengono apprezzate o meno, da parte degli abitanti, le condizioni dell'abitare. Realizzare le condizioni per un buon abitare dovrebbe essere la cura maggiore dell'urbanistica nei confronti degli abitanti. E poiché la maggior parte dell'urbanistica italiana sembra curarsi assai poco di questo tema, ben venga un libro come questo di Roberto Cassetti che lo pone come centrale.
Nella prima parte, il libro tratta i caratteri della cultura rivoluzionaria della città ideale del Moderno, la cui immagine è caratterizzata da tre "pilastri":
- "(…) la proiezione della città nel territorio attraverso una successione di blocchi edificati strutturati in grappoli o lungo direttrici preferenziali" (3);
- Una immagine costituita da "(…) masse edificate uniformi, graduate per densità, in cui i nuovi centri urbani ad alta densità creano un poderoso sistema di segni emergenti nel panorama urbano" (4);
- "(…) una nuova poetica architettonica, imperniata su volumi puri, e un nuovo codice di composizione del tessuto insediativo - basato sul contrappunto dei volumi edilizi tra loro - che crea due nuovi tipi di spazio urbano, uno, compatto, articolato su più livelli e delimitato dalle architetture, nei nuovi centri urbani; ed uno aperto, fluente tra gli edifici, solcato da percorsi ridotti a nastri bidimensionali nei quartieri residenziali" (5).
Conseguenze: "L'immagine urbana si astrattizza per la perdita di relazioni strada-costruito, per la scomparsa ogni relazione con i caratteri fisici del luogo e i caratteri urbanistici del contesto circostante, per l'ampia gamma di impianti liberi che possono scaturire dalla sola negoziazione tra orientamento e contesto, tra orientamento e tipologie scelte e per l'assenza di forme e di statuti degli stessi spazi verdi. Così lo spazio urbano può essere solo un programma di attrezzature le cui superfici di pertinenza sono articolate in superfici costruite, superfici non costruite e rete stradale" (6). Questo modello di città è pervasivo e prevalente per tutto il periodo del secondo dopoguerra, fino agli anni '80 del XX secolo. Ma è anche dotato di una forte inerzia culturale, tanto che ancora oggi parti di città sono edificate secondo quel modello.
Un primo ripensamento, una prima reazione a questa astratta città ideale degli urbanisti (che però si concretizza con tutti i suoi difetti nelle realtà urbane), una prima affermazione della controrivoluzione si ha con il riproporre un modello di città nel quale sia di nuovo l'individuo, cioè l'abitante con le sue reali esigenze e desideri, ad essere l'oggetto del lavoro degli urbanisti: il modello della città postmoderna. In questo, pur con i noti limiti (visioni di breve periodo, la città-collage, valori individuali dello spettacolo e del consumo), pure si "(…) pone alla ribalta un elemento decisivo della progettazione urbanistica contemporanea: la ricomposizione dello stretto rapporto tradizionale tra architettura e spazio urbano, la riproposizione del tracciato stradale, in altri termini, come regola d'impianto per la costruzione della città, ricostruendone i codici compositivi, il ruolo e la distribuzione delle emergenze, la strutturazione delle sequenze spaziali, la gerarchia delle trame. Lo spazio pubblico ritorna ad essere concepito come un luogo urbano, come uno spazio tridimensionale che riassume quel valore formale e simbolico che il Movimento moderno aveva attribuito ai volumi edilizi e ritorna ad esser al centro della progettazione urbana" (7).
Nel nuovo secolo la controrivoluzione si consolida secondo alcuni "principi base del nuovo ordine formale: il ricompattamento della città, la ricomposizione dell'immagine urbana attraverso sequenze di emergenze, nodi e assi, la ricostruzione dello spazio pubblico come trama di spazi chiusi e delimitati tra gli edifici" (8). Principi base che vanno tradotti, nella progettazione urbana (9), in tre principi compositivi guida: "la centralità dello spazio pubblico e del verde nella composizione urbana (…); l'articolazione dei volumi edilizi, pur assumendo come elemento di riferimento l'isolato tradizionale (…); e, infine, l'aggancio dell'area, attraverso la graduazione delle volumetrie e l'innesto, sugli assi viari esistenti, ai brani insediativi circostanti, così da divenire elemento di ricomposizione e di identità di un'intera porzione di città" (10). Principi compositivi che possono senza alcun dubbio essere ricondotti a quelli che per secoli hanno presieduto alla formazione e trasformazioni delle città. Ma che devono ora essere declinati (adattati e rigenerati) nella contemporaneità: "La differenza rispetto al passato è rappresentata da due nuovi elementi. Il primo è che in luogo di una grande emergenza - il palazzo, la basilica - che costituiva l'occasione per la riformalizzazione dello spazio antistante - una piazza o un sistema di piazze - ora si tratta di un complesso, di edifici e di spazi urbani, che costituisce l'occasione per la riformalizzazione e per la ricomposizione (…). Il secondo è che accanto ai grandi assi stradali e ai viali alberati, che costituivano nella città storica l'elemento di connessione delle emergenze, gli ultimi veni anni hanno visti l'ideazione di una grande varietà di spazi pubblici, soprattutto attraverso l'irruzione del verde come elemento formale nella scena urbana (…)" (11). Dunque, una rivalutazione della storia, del passato urbano che non va inteso come "serbatoio di immagini" al quale attingere, ma "(…) piuttosto una sintassi del linguaggio spaziale che va, da un lato, rielaborata ed attualizzata perché la specificità della città storica europea non si dissolva, e dall'altro, va riattivata e messa in campo con nuovi caratteri spaziali, che producano nuovi schemi di organizzazione e di figurabilità per lo spazio pubblico contemporaneo" (12).
Seguono, come detto, le due ultime parti del libro che, trattando dei casi di studio di Londra e Parigi, dettagliano e spiegano con esempi di studi, piani e interventi le riflessioni e affermazioni formulate nella terza parte ("L'uscita dalla postmodernità e i nuovi codici della composizione urbana").
Il libro è assai ricco, articolato e complesso, e riesce molto bene a cogliere e esplicitare i presupposti culturali, sociali ed economici delle diverse idee di città che ne determinano le forme nei tre periodi proposti, così come a individuare gli elementi fondamentali dei caratteri di quelle forme (i codici compositivi). Come detto all'inizio, indice della buona qualità di un libro è anche la capacità di provocare stimoli e idee nel lettore che invoglino a qualche approfondimento, e anche a tentare piccoli passi in avanti rispetto ai contenuti del librto stesso. Così - e spero non me ne voglia l'autore - proprio in quanto stimolato dal suo lavoro, provo ad aggiungere qualche considerazione e ragionamento, che però ritengo del tutto integrati e complementari a quei contenuti, a proposito dei nuovi codici del disegno urbano proposti dal libro. Forse andrò anche oltre le idee e intenzioni dell'autore, ma con l'intento di seguirne il cammino tracciato e tentando anzi di rafforzarlo.
Parto da quello che mi sembra il punto fondamentale sul quale si fondano i nuovi codici: il ritorno, nel lavoro degli urbanisti, del disegno urbano, o meglio della composizione urbana, caratterizzata dal "(…) ricompattamento della città, la ricomposizione dell'immagine urbana attraverso sequenze di emergenze, nodi e assi, la ricostruzione dello spazio pubblico come trama di spazi chiusi e delimitati tra gli edifici". La rinascita della composizione urbana è uno dei primi effetti della reazione al modello di città proposto e attuato dalla cultura del Moderno. Con la rivoluzione del Movimento Moderno "cambiano (…) i contenuti del progetto urbanistico. Scompare il disegno, l'immagine spaziale della città e il relativo ruolo strutturante del tracciato viario, che nell'Ottocento costituiva l'ingrediente principale del progetto della città. E assume viceversa importanza centrale l'organizzazione delle funzioni urbane - della residenza, dei servizi, degli uffici, dell'industria, del verde, a ciascuno dei quali viene attribuito uno spazio separato nella città - che diventa l'unico soggetto del piano" (13). Questa città dilatata, compartimentata, poco accogliente, poco attraente provoca la controrivoluzione che chiede il ritorno alla composizione urbana.
Ma perché questo ritorno? E quale composizione urbana, allora? Quali principi di grammatica e di sintassi della composizione occorre seguire? Il ritorno della composizione urbana come strumento di progetto dello spazio urbano è, così come si sta configurando nelle riflessioni e nelle sperimentazioni recenti ed attuali, una conseguenza della consapevolezza della necessità, per l'urbanistica, che occorra soddisfare le esigenze di qualità dello spazio pubblico che gli abitanti desiderano e richiedono e che nelle parti di città costruite negli ultimi settanta anni è carente se non assente. Una controrivoluzione, dunque, che nasce dal considerare come obiettivo e base per il progetto urbanistico la soddisfazione di alcune esigenze fondamentali degli abitanti nel vivere nello spazio urbano. Che, almeno per quanto riguarda quel che può fare l'urbanistica, possono essere definite come le esigenze di abitare uno spazio urbano dotato delle qualità di accoglienza, di urbanità e di bellezza. Accoglienza in uno spazio urbano per tutti, sicuro, accessibile, comodo, con sole e ombre da godere, dotato di buone qualità ambientali di aria, acque e suolo. Urbanità in quanto spazio urbano dotato di servizi e di spazi pubblici. Bellezza: argomento complicato e difficile (14), sul quale tornerò tra breve. Qui, intanto, posso dire che trattandosi di bellezza della città, occorre parlare della bellezza di uno spazio urbano conformato secondo regole di grammatica e di sintassi della composizione urbana, ma anche di bellezza di uno spazio urbano in quanto accogliente e ricco di urbanità. Tutte qualità che gli abitanti possono avere a disposizione e apprezzare prevalentemente nello spazio pubblico: nelle piazze, nei viali, nei giardini e parchi. Dunque, una composizione urbana, o meglio una progettazione urbanistica che attraverso la composizione urbana "(…) tende a ricercare un nuovo catalogo dello spazio urbano costruito sulle relazioni che, nell'urbanità contemporanea, devono intercorrere tra case, servizi, strade, viali, piazze, parchi, giardini e natura. È a questa scala che lo spazio urbano si impone come l'obiettivo primario del nuovo piano urbanistico, quello che tiene insieme tutti gli altri: la qualità urbana, la riqualificazione residenziale, l'integrazione delle attività, l'integrazione sociale, la sicurezza, la bellezza, ecc." (15). Questo significa in primo luogo che la progettazione urbana, e la composizione che ne è parte integrante e necessaria, deve essere considerata una disciplina che fa parte a pieno titolo dell'urbanistica, ma con suoi metodi, contenuti e principi autonomi e originali. Una disciplina che si pone come snodo tra la scala della pianificazione urbana e il progetto di architettura e che definisce regole, indirizzi e azioni sia nei confronti della prima che del secondo. Una disciplina nella quale deve essere prevalente l'attenzione verso la piccola dimensione, la dimensione cioè delle "case, servizi, strade, viali, piazze, parchi, giardini e natura", componendo tra loro questi elementi per dare una forma allo spazio urbano e dotarlo delle qualità di accoglienza, urbanità e bellezza.
Ritorno a questo punto sul tema della bellezza nella e della città. Questo appare appena affiorante nei contenuti del libro, ma ne percorre sottotraccia tutta l'intera trama. È un tema che non può non essere compreso tra gli obiettivi della progettazione-composizione urbana. Disciplina che dovrà dunque avere, tra i suoi contenuti, principi e indirizzi per tentare di ottenere anche la bellezza dello spazio urbano. La forma di uno spazio urbano altro non è se non la forma del paesaggio urbano composto da case, servizi, strade, viali, piazze, parchi, giardini e natura, composto cioè dagli spazi pubblici e dalle case che questi spazi contornano. E la qualità di uno spazio urbano è data dalla qualità del suo paesaggio, così come viene percepito dagli abitanti che lo vivono e attraversano (16).
Dunque, può essere definito bello un paesaggio urbano di una parte di città in quanto percepito come tale dai suoi abitanti. E, ripetiamolo ancora una volta, vivere entro un paesaggio bello è certamente una delle esigenze da soddisfare per un buon abitare. Allora sono soprattutto le percezioni del paesaggio degli spazi pubblici nei quali ci muoviamo (sequenze di percezioni) e che viviamo quotidianamente o saltuariamente che sono alla base del giudizio estetico che possiamo dare su una parte di città. Percezioni intese come sensazioni provenienti dai cinque sensi (e tra i quali la vista sarà quello più importante), ma sottoposte a elaborazione personale (sensibilità, cultura, emozioni, eventi, memorie…). Le percezioni immediate, le diverse percezioni che muovendoci nello spazio urbano continuamente proviamo, siano uniche o saltuarie o ripetute quotidianamente, vengono memorizzate e selezionate nelle nostre memorie. Memorie con le quali ciascuno degli abitanti, a poco a poco, costruisce delle mappe mentali nelle quali saranno rappresentati i luoghi per ognuno più significativi. Ma ogni mappa individuale non sarà del tutto diversa dalle altre. Alcune parti della mappa (alcuni luoghi della città) si ritroveranno presenti in più mappe; a volte in un gran numero di mappe. Che è come dire che alcuni luoghi nella città saranno presenti nelle mappe mentali anche di una maggioranza, spesso un'ampia maggioranza, di abitanti (17). Il che significa che quei luoghi sono frequentati spesso e più volentieri, e che sono quelli che più evidentemente posseggono qualità di accoglienza, di urbanità e di bellezza. O, se preferite, posseggono evidenti ed emergenti valori sociali, funzionali e morfologici. Così che l'insieme di quei luoghi, che sono edifici ma soprattutto spazi pubblici, costituisce l'ossatura, l'asse vertebrale, ovvero la struttura urbana di un'area della città. Si può definire la struttura urbana come il sistema primario degli spazi pubblici e delle attrezzature di una parte di città.
Dall'ipotesi di considerare la struttura urbana come sistema dei luoghi della qualità urbana, come viene percepita dagli abitanti, deriva una serie di conseguenze decisive a proposito dei principi e contenuti della disciplina della composizione urbana. Conseguenze che, tra le altre, riguardano tre aspetti o questioni: la scala, la bellezza, gli strumenti.
Anzitutto sulla scala. Che è la scala della piccola dimensione urbana, quella della parte di città. Parte che può essere centrale o periferica, ma per la cui dimensione, per capirci immediatamente, possiamo prendere come riferimento quelle dei quartieri. Che possono, in generale, essere definiti come ambiti urbani identificabili, rispetto agli altri ambiti urbani circostanti, sia dagli abitanti, che individuano con vari criteri i loro confini, sia dagli urbanisti, attraverso gli strumenti delle letture storico-morfologiche. Ambiti che per la dimensione, possiamo comprendere dentro un intervallo dimensionale anche ampio: da qualche centinaio di abitanti fino a qualche decina di migliaia, anche in relazione alla dimensione della città. La piccola dimensione è quella nella quale sono effettivamente percepibili e apprezzabili le qualità di accoglienza, di urbanità e di bellezza dello spazio urbano, cioè dello spazio pubblico in particolare. La dimensione nella quale è possibile sperimentare una sequenza di spazi pubblici, e percepire i valori positivi o negativi (i pregi o i difetti sociali, funzionali e morfologici) di una piazza, di una strada di un giardino pubblico, della presenza di attrezzature e servizi e della loro qualità. In questo modo si forma, nella memoria di ciascuno degli abitanti, una mappa mentale di quella parte di città che è organizzata (strutturata) dall'insieme o sistema di spazi e attrezzature pubbliche e private che più si apprezzano, e che per questo saranno più profondamente incisi nella mappa (la struttura urbana). Mentre saranno sfumate o non memorizzate le parti che meno posseggono qualità emergenti. Quelle qualità che nella grande dimensione urbana (la scala di una intera città) non sono apprezzabili: tanto più si allarga la dimensione urbana di riferimento, tanto più diventano astratti e schematici i riferimenti scritti nelle mappe mentali dei cittadini, che saranno articolate per grandi zone, per grandi infrastrutture, per grandi servizi e grandi spazi verdi indefiniti. La città, nell'immaginario degli abitanti (nell'immagine che della città si fanno gli abitanti), è uno sfondo generico, nel quale spiccano nitidamente alcune parti urbane (alcuni quartieri), due o tre, che sono quelle della casa, del lavoro, del tempo libero, dei valori simbolici, quelli nei quali si svolgono le vite quotidiane. Vite nelle quali lo sfondo viene attraversato o usato saltuariamente. Perché la città è fatta anche di quartieri. Nella grande dimensione della città contemporanea, non ha più senso parlare di forma urbana unitaria, se non per alcuni caratteri di base, dipendenti da cause geografiche e culturali di fondo e che effettivamente si può dire connotino in modo unitario i caratteri di una città. Bisognerà perciò parlare di forme di una città, al plurale; le quali saranno le diverse forme dei diversi quartieri che articolano la città. Quartieri che sono ben individuati dagli abitanti anche nelle città di piccola dimensione.
Seconda questione: quella della bellezza. A proposito della quale una delle osservazioni o obiezioni più frequenti che vengono proposte riguarda la difficoltà/impossibilità di poter enunciare principi e indirizzi generali, validi per tutti, dotati di un accettabile grado di condivisione. Ma questa obiezione è superata se accettiamo le ipotesi della esistenza di mappe mentali negli abitanti generate da modalità di percezione che possiamo ritenere sufficientemente generalizzate perché legate a modi di percezione dello spazio stabili da tempo e nel tempo. E se accettiamo la conseguente ipotesi che il sentimento della bellezza dipenda, come detto, oltre che dalla soddisfazione delle esigenze di accoglienza e di urbanità (qualità sociali e funzionali), anche dalle configurazioni (dalle forme, dalle qualità morfologiche) di sistemi di spazi pubblici e servizi e dei singoli spazi (piazze, viali, parchi, ecc.) componenti dei sistemi. Configurazioni il cui grado di apprezzamento (di bellezza) può essere rapportato ancora una volta ai processi di percezione. Così posso enunciare alcuni principi, regole e indirizzi grammaticali e di sintassi, fondati sulla percezione, da utilizzare per la composizione urbana, cioè per la composizione del paesaggio urbano (18). Principi utilizzabili, è bene rilevare, non solo per progetti di nuove espansioni urbane, ma anche e soprattutto per interventi di riqualificazione-rigenerazione sulla città esistente. Riqualificando spazi pubblici già esistenti con pedonalizzazioni, pavimentazioni, alberature, arredo urbano, o creandone di nuovi per formare sistemi di spazi e servizi in grado di realizzare una forte struttura urbana capace di identificare, dare carattere e bellezza a una parte di città che attualmente ne è priva.
I principi per la bellezza nella città possono essere raccolti in cinque famiglie, articolate al loro interno da numerose regole e indirizzi (di grammatica e di sintassi della composizione urbana): gerarchizzazione, conformazione dello spazio, articolazione e variazione, correlazioni con il contesto, narrazione (19). Sono principi che possono coesistere tra loro ed anzi si rafforzano l'uno con l'altro nella possibilità di produrre bellezza. Qui posso solo accennarne il senso, in grande sintesi, leggendoli sotto l'aspetto degli effetti sulla percezione.
- La gerarchizzazione vuol dire la capacità di un sistema di spazi pubblici e di servizi pubblici e privati di far percepire un centro, da definire come tale rispetto all'ambito urbano che dal centro stesso viene organizzato e strutturato. Vale come esempio il caso di alcuni quartieri che sono identificati e identificabili anche da una sola piazza, o da un viale, o da un parco, che ne sono il centro per socialità e funzione, oltre che per emergenza morfologica.
- Il principio di conformazione dello spazio richiede la percezione di uno spazio chiuso, o comunque delimitato. Il che presuppone attorno o lungo quegli spazi pubblici una continuità di margini, non necessariamente edilizi. L'articolazione e variazione è un principio che presiede al necessario bilanciamento della percezione tra unitarietà della sequenza degli spazi e variazione. Un bilanciamento che deve evitare gli estremi della monotonia da una parte, per eccesso di ordine, e del disordine dall'altra, per eccesso di diversità, oggetti, riferimenti.
- La correlazione con il sito domanda che sia sperimentata la percezione di essere in un "luogo", dove possano essere percepibili tutti i caratteri del luogo stesso e anche tutte le relazioni possibili con l'intorno immediato e il territorio circostante. La si ottiene con la valorizzazione dei caratteri orografici del sito, delle visuali, dei materiali vegetali e minerali, del già esistente. E soprattutto valorizzando il contributo dei suggerimenti degli abitanti per l'uso e la trasformazione del luogo.
- La narrazione comporta la percezione spaziale e temporale di una sequenza di spazi, eventi, riferimenti ben composti tra loro. Ma anche un senso, un significato di quella sequenza che sia in grado di comunicare agli abitanti i valori sociali, funzionali ed estetici che devono essere posti alla base dell'intervento.
Due osservazioni su questi principi per la composizione urbana. Ancora una volta voglio sottolineare come ottimi esempi della loro applicazione possano essere ritrovati nei centri storici italiani. Esempi che non vanno banalmente copiati, ma che vanno capiti e tradotti in termini di regole e indirizzi, applicabili in altre situazioni e contesti. E così come le regole di grammatica e sintassi della lingua non bastano da sole a creare buoni testi, i principi di estetica urbana sono solo una guida, e non necessariamente con la loro applicazione si riesce a creare la bellezza. Che è prodotto di una cultura non solo tecnica, ma di una intera società. Una cultura condivisa, dunque. E anche per questo va ribadita l'urgenza del rinnovo della cultura urbanistica. Ma l'applicazione di quei principi può comunque essere una buona guida per ottenere almeno un minimo di qualità urbana.
Infine, la terza questione: gli strumenti. La necessità di nuovi strumenti per fare una urbanistica per un buon abitare. Un'urbanistica fondata anche sull'attenzione alla percezione del paesaggio urbano da parte degli abitanti. Il tema del rinnovamento degli strumenti urbanistici, cioè dei contenuti e della forma del piano urbanistico, è stato fin troppo trattato e dibattuto nella cultura urbanistica nazionale, ma con assai scarsi risultati. Non essendo riusciti per la maggior parte, anche alcuni di quelli che sono stati considerati i migliori piani urbanistici, a produrre una sufficiente qualità urbana o almeno ad essere sufficientemente efficaci nella loro attuazione. Ma se l'urbanistica capace di produrre qualità urbana è quella che lavora sulla piccola dimensione (dal momento che la percezione di quella qualità da parte degli abitanti può aversi in modo significativo e concreto solo a quella dimensione), di conseguenza possono individuarsi quali siano le linee seguire per il rinnovamento degli strumenti urbanistici (20). "L'urbanistica "moderna" - scrive Cassetti - formulava uno scenario a lungo termine dell'organizzazione funzionale della città, e poiché esso si basava sull'attribuzione di un ruolo funzionale a ciascuna area della città, il piano assumeva la forma di un disegno bidimensionale" (21). Occorre invece lavorare su una ipotesi di "(…) una struttura del piano completamente diversa, non più onnicomprensiva e stabilmente definita, ma semplificata e iterativa. Una struttura che (…) definisca le grandi opzioni, una visione, la trama di prospettiva, da riadattare in relazione all'impatto delle scelte di dettaglio. (…) Anche e soprattutto un'immagine spaziale, funzionale e formale, del futuro su cui poter convergere"(22). Uno strumento innovativo deve " (…) organizzare nello spazio (e dare ad essi forma) gli elementi essenziali per creare lo sviluppo, per migliorare la qualità della vita urbana e per ricomporre gli equilibri ambientali. (…) La sua efficacia si misura in termini di capacità di orientamento dello sviluppo, di produzione di risultati concreti. È dunque un piano operativo, che lega strettamente alla visione di lungo termine le azioni di breve e medio periodo, che al disegno del futuro assetto spaziale associa programmi e interventi. Il suo processo di elaborazione è perciò, necessariamente un processo iterativo, che mette continuamente a confronto la visione a lungo termine e le azioni a breve termine, la prospettiva di insieme e quella di dettaglio. Gli interessi generali e quelli individuali" (23). È una forma-processo di pianificazione-progettazione urbanistica che già in Europa viene proposta e praticata. Lo mostrano i numerosi casi di grande interesse individuati nelle principali città europee e presentati nel libro di Roberto Cassetti.
In Italia è questa forma-processo di piano che dovrebbe essere alla base di una ormai urgente riforma urbanistica. Ma nel frattempo perché non curare i difetti almeno della pianificazione locale con un robusto apporto di disegno urbano? Che possa comunicare agli abitanti le intenzioni delle Amministrazioni comunali per migliorare le condizioni del loro abitare. Ogni nuova Amministrazione comunale, appena eletta, come primo atto di governo del territorio dovrebbe redigere uno scenario o schema di assetto urbanistico (masterplan, se preferite) per un buon abitare nella città esistente e nel suo territorio, da approvare in Consiglio Comunale (a seconda della dimensione del Comune, eventualmente articolato in scenari per parti di città, sistemi di quartieri o singoli quartieri) contenente la visione della struttura urbana e territoriale (il quadro degli interventi rilevanti per la qualità della città e del territorio, con particolare riferimento alle dotazioni territoriali pubbliche e alle attrezzature e servizi privati) con l'individuazione degli interventi prioritari (anche in scala di dettaglio, con particolare riferimento agli interventi di riqualificazione di spazi pubblici o la creazione di nuovi) e le linee guida per la loro progettazione. Dunque, uno scenario che da una parte riesca ad articolare la città per quartieri, e a curare quella dimensione progettuale (che è la dimensione della vita quotidiana) e dall'altra ricomponga la città fatta di quartieri in un insieme connesso dalla grande dimensione delle infrastrutture, delle attrezzature di scala urbana e dei grandi spazi verdi. Uno scenario che non deve necessariamente coprire tutto il territorio comunale né tutte le problematiche che lo riguardano, ma solo quelle strategiche e strutturanti per la qualità di quella città e del suo territorio, indicandone le priorità. In questo modo l'Amministrazione avrebbe a disposizione un programma-progetto di politiche urbanistiche flessibile (non irrigidito in una forma-piano), che può essere integrato nel tempo e contenente pluralità di scale. Un programma da attuare nella durata della consiliatura, specificamente rivolto alla costruzione della qualità urbana (accoglienza, urbanità e bellezza). Un programma chiaramente leggibile anche dai cittadini-abitanti proprio perché sotto forma di scenario e di azioni, cioè di progetti, che sono facilmente comprensibili se presentati con la doverosa chiarezza. Lo scenario, così, integrerebbe il piano vigente con una visione di un assetto fondato sulla qualità e con le proposte di intervento a breve e medio termine, ma inserite nella cornice della visione generale. Un programma per attuare quella qualità urbana che il Piano urbanistico generale non riesce a proporre in quanto, anche se presente negli obiettivi, risulta poco visibile, nascosta dietro l'opacità della zonizzazione e delle norme tecniche, e la cui esplicitazione è rinviata sempre alle scale dell'attuazione.
L'attuazione dello scenario-schema avverrebbe con diversi possibili strumenti a seconda delle opportunità e necessità. Le proposte dello scenario e delle linee guida possono essere formalizzate infatti in diversi modi: varianti di Piano, piani attuativi (sia tradizionali che programmi complessi), progetti per opere pubbliche. Ma il vantaggio dello schema sulla rigidità del piano tradizionale è che le formalizzazioni avverrebbero solo nel giusto tempo in cui sono mature le condizioni per l'intervento.
Un'ultima osservazione sul libro di Roberto Cassetti e su una delle sue qualità. Il libro propone esempi e immagini che riguardano esclusivamente le grandi città. Ma i nuovi codici del disegno urbano che sono descritti possono essere agevolmente trasferiti, evidentemente con gli opportuni adattamenti, anche alle medie e piccole città. Ed anche alle situazioni intermedie, quali la città diffusa, la campagna abitata e le situazioni di margine città campagna. Tutte situazioni nelle quali inserti di attrezzature urbane e spazi pubblici (piccole e mini centralità) e reti di verde e percorsi cilcopedonali potrebbero produrre effetti di notevoli miglioramenti nelle specifiche condizioni dell'abitare.
In conclusione, questo libro offre importanti strumenti e suggerimenti per il lavoro dell'urbanista che voglia anche affrontare i temi del disegno del paesaggio urbano con l'obiettivo di creare le condizioni per un buon abitare.
Paolo Colarossi
Note 1. Giuseppe Imbesi: Viaggio interno (e intorno) all'urbanistica, 22 luglio 2017. Anna Laura Palazzo: La forma dei luoghi nell'età dell'incertezza, 4 novembre 2017. 2. Prima edizione 2012, seconda edizione 2014, ristampa con aggiornamenti 2015. 3. Pag. 46. 4. Pag. 47. 5. Pag. 50. 6. Pag. 216 del Capitolo settimo (Emanuela Belfiore: Una strategia chiave della nuova idea di città: la ricostruzione dello spazio pubblico, pagg. 213-247). 7. Pag. 121. 8. Pag. 165. 9. In questo testo userò i termini progettazione urbana (o progettazione urbanistica) e composizione urbanistica intendendo che la progettazione urbana è la disciplina che, nella piccola dimensione, progetta gli assetti urbani di parti di città tenendo conto anche degli apporti di altre discipline (sociologia, economia, ambiente ecc.) mentre la composizione urbana è parte della progettazione urbana ed è la parte con la quale si disegna la città, componendo tra loro, anche con criteri estetici, spazi ed edifici. 10. Pag. 185. 11. Pag. 173. 12. Pag. 234, Emanuela Belfiore, Capitolo settimo. 13. Pag. 40. 14. Fino a qualche tempo fa (recente) non era possibile parlare di questo tema senza dover prima argomentare sul perché della scelta del tema. Da qualche tempo invece si comincia (ricomincia?) a parlare della bellezza come una delle qualità urbane desiderate nella città dagli abitanti. Tema che ritengo essere rilevante, se non addirittura centrale, per il lavoro degli urbanisti. Rilevante in quanto determinante per la qualità urbana e quindi per creare condizioni anche minime di un buon abitare. E dunque rilevante anche perché questione di equità distributiva delle risorse della città. Tema che invece è, incomprensibilmente, assai trascurato dagli urbanisti. Qui non propongo nulla di nuovo rispetto a quanto si può leggere, per chi volesse approfondire, nel mio testo Elementi di estetica urbana in Paolo Colarossi, Antonio Pietro Latini (a cura di), La progettazione urbana vol II, Metodi e materiali. Il Sole 24ore, 2008, pagg. 71-430. Ma ho tenuto a riproporre qui la questione della bellezza intanto perché sempre più convinto della sua importanza, e poi anche perché incoraggiato dai testi sul tema che Città Bene Comune - davvero meritoria e purtroppo rara avis - ha pubblicato dal 2015, con interventi di Paolo Berdini, Paolo Maddalena, Franco Mancuso, Lodovico Meneghetti, Pierluigi Panza, Paolo Pileri, Gianni Ottolini e Andrea Villani. 15. Pag. 247, Emanuela Belfiore, Capitolo settimo. 16. ""Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Art. 1, lettera a) della Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, 2000. 17. Non sono solo le ricerche di Kevin Lynch a confortare questa ipotesi, ma anche le nostre stesse esperienze personali confrontate con altri (provate a disegnare una mappa della vostra città o del vostro quartiere), e qualche ragionamento di buon senso. 18. I principi di composizione riguardano il paesaggio urbano, cioè quel paesaggio che gli abitanti percepiscono e memorizzano percorrendo gli spazi pubblici della città, o sostando in essi. 19. Per le idee che mi hanno ispirato e per alcuni dei contenuti dei cinque principi progettuali devo dichiarare il mio debito nei confronti di autori quali Camillo Sitte, Raymond Unwin, Gordon Cullen, Kevin Lynch, Cristopher Alexander, Richard Rogers, e di alcuni manuali sulla progettazione urbana di matrice anglosassone. Un debito particolare va riconosciuto a Marco Romano, il primo a produrre in Italia lavori sull'estetica urbana. 20. Sulle criticità strutturali del Piano Regolatore in Italia sarebbero da dire molte cose. Qui basti rilevarne tre tra le principali: i difetti di capacità predittiva, la rigidità normativa che non può reggere con il passare del tempo e infine, ma non da ultimo, l'incapacità, o comunque la grande difficoltà, di trattare la piccola dimensione. 21. Pag. 134. 22. Pagg. 134 e 135. 23. Pag. 135.
N.d.C. - Paolo Colarossi, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università Sapienza di Roma, ha diretto il Dipartimento di Architettura e Urbanistica dello stesso ateneo. Membro del Bureau della International Federation for Housing and Planning, ha fondato il Laboratorio Abitare la Città (centro di studi e di progettazioni sperimentali sui quartieri e sullo spazio collettivo) del Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale.
Tra le sue pubblicazioni: L'evalutation des effets d'un plan d'urbanisme, Centro analisi sociale, Roma 1982; con J. Lange (a cura di), Tutte le isole di pietra: ritratti di città nella letteratura, Gangemi, Roma 1996; con A. P. Latini (a cura di), Regole della forma e qualità urbana, "Urbanistica Dossier", n. 22, 1999; Spazio collettivo e bellezza della citta?, in: C. Mattogno (a cura di), Idee di spazio, lo spazio delle idee, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 145-172; La cultura della piccola dimensione. (A proposito di un modo desiderabile per abitare felicemente lo spazio urbano), in: L. De Bonis (a cura di), La nuova cultura delle città, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2005, pp. 80-96; Redeveloping the city: Case Study Rome, in: V. Goldsmith, E. Sonnino (a cura di): Rome and New York City: comparative urban problems at the end of 20th Century, Ed. La Sapienza, Roma 2006, pp. 23-68; con P. Cavallari (a cura di), Spazio pubblico e bellezza nella città, Aracne, Roma 2008; Elementi di estetica urbana, in: P. Colarossi, A. P. Latini (a cura di), La progettazione urbana, Edizioni del Sole 24 Ore, Milano 2008, pp. 71-430.
Per Città Bene Comune ha scritto: Fare piazze (10 marzo 2016).
Sullo stesso libro oggetto di questo contributo, v. anche: Giuseppe Imbesi, Viaggio interno (e intorno) all'urbanistica (21 luglio 2017); Anna Laura Palazzo, La forma dei luoghi nell'età dell'incertezza (3 novembre 2017)
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 25 MAGGIO 2018 |