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Che la disciplina urbanistica, sostanzialmente fondata sui piani regolatori generali comunali fin dalla legge 1150 del 1942, sia in crisi è riscontrabile anche guardando all'attività dei Comuni. Questi, pur sollecitati dalle Regioni che negli ultimi decenni hanno rinnovato la loro legislazione per il governo del territorio, hanno spesso riscontrato significative difficoltà a recepire nei loro strumenti urbanistici la dimensione strutturale e quella operativa della pianificazione. Al punto che le stesse Regioni, talvolta, hanno dovuto ricorrere a poteri straordinari sostitutivi nominando commissari, rendendo disponibili finanziamenti per l'adeguamento o la redazione di nuovi piani, redigendo esse stesse piani di settore che, in qualche modo, andassero a colmare deficienze della pianificazione locale. La situazione ha purtroppo dato luogo a molte controindicazioni. Si sono, per esempio, aggravati i ritardi nelle politiche per la casa accentuando l'insufficiente offerta di edilizia residenziale pubblica e privata sociale. Ma, soprattutto, è oramai palese la difficoltà della pianificazione locale e territoriale a rispondere alle nuove ineludibili domande che vengono dalla crisi climatica, dalla necessità di una tutela delle campagne che scongiuri un eccessivo consumo di suolo, dal problema degli insediamenti abusivi e da quello del recupero di territori e centri storici abbandonati. La condizione della società contemporanea, degli insediamenti e dell'ambiente naturale in Italia richiederebbero invece, proprio a partire dai Comuni, una riformulazione dell'azione pubblica intrapresa dallo Stato e dalle Regioni - con meccanismi di finanziamento capaci di approfittare delle opportunità dell'Unione Europea - che dia corpo a politiche capaci di proiettarsi nel medio e lungo periodo andando nella direzione di sostenere uno sviluppo davvero sostenibile - dal punto di vista ambientale, sociale, economico, territoriale - e restituendo a tutti noi quella fiducia nell'urbanistica che si è respirata in un periodo cruciale quando si è tentato di restituirle quel ruolo cruciale che le spetterebbe in una qualsiasi società civile.
Anche per questo il lavoro svolto da Michele Achilli (architetto, urbanista, docente e politico socialista) in questo libro - L'urbanista socialista. Le leggi di riforma 1967-1992, postfazione di Vittorio Emiliani (Marsilio, 2018) - può essere considerato meritorio. Perché nel ritornare a riflettere sulle ragioni e lo spirito di leggi fondamentali per l'urbanistica italiana e, nel concreto, per la configurazione del territorio del bel paese nel secondo dopoguerra - mi riferisco alla legge 765/1967 ("Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 Agosto 1942 n. 1150", legge Ponte); alla legge 865/1971 ("Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica: norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 Agosto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata"), alla legge 10/1977 ("Norme per la edificabilità dei suoli"), o sulla proposta di legge del 1988 ("Nuove norme sul diritto di edificazione e sull'indennità di espropriazione") - Achilli non solo richiama il suo personale impegno come parlamentare della Repubblica e quello di tanti esponenti della cultura socialista in molti campi della vita sociale della Nazione, ma torna a mettere l'accento sulla necessità di una riforma della legislazione urbanistica che abbia come esito la creazione di un habitat sano, sicuro, funzionale e civile per tutti, per chi verrà dopo di noi e per le specie animali e vegetali.
Prima di avventurarmi in questa breve riflessione, premetto che potrebbe suscitare qualche perplessità il fatto che la recensione a questo libro venga redatta da un urbanista non solo non socialista, ma che, fin dall'università, ha guardato al cristianesimo sociale e ha avuto come riferimenti politici la Democrazia Cristina e specificamente la sinistra di quel partito. Iscritto ad Architettura nel 1957, esponente dell'Intesa universitaria, dell'urbanistica in quegli anni apprezzavo l'afflato per una veloce e corretta ricostruzione, l'impegno dello Stato nel riscatto delle condizioni di vita nelle regioni meridionali, il piano Ina Casa o Piano Fanfani (1949-1963): primo vero intervento organico nella produzione di abitazioni pubbliche e nel disegno delle città. Di conseguenza nei primi anni Sessanta seguivo con interesse l'impegno dell'onorevole Fiorentino Sullo, Ministro dei Lavori Pubblici nel Governo Leone a cui dobbiamo la Legge 167 del 1962 e, nel 1964, la proposta di una nuova legge urbanistica, ispirata al cattolicesimo sociale, che se approvata avrebbe ridotto la pressione della rendita fondiaria ed immobiliare sulle città con enormi vantaggi per le classi meno abbienti e le comunità nel loro insieme. Ma al contempo non rinunciavo alle relazioni con i cosiddetti "saperi esperti" riconducibili ad altre aree politiche: Luigi Cosenza ed Eirene Sbriziolo, comunisti ma entrambi con grandi doti di intelligenza e umanità; Sandro Petriccione, Luigi Di Maio, Alberto Defez, Lorenzo Pagliuca, socialisti; Giulio De Luca, repubblicano con il quale ho avviato la mia carriera universitaria. Questi riferimenti hanno in qualche modo condizionato la mia attività nei decenni successivi con riverberi anche nella docenza in Urbanistica e nella letteratura scientifica prodotta. Dunque, quando mi è stato proposto di recensire il testo di Achilli - a parte una iniziale perplessità dovuta alla mia limitata conoscenza del movimento socialista, nello specifico quello milanese e lombardo - ho pensato che potesse essere l'occasione per dare un utile contributo alla riflessione e al dibattito di Città Bene Comune in un'ottica che prova a superare le differenti posizioni politiche per immaginare, attraverso un leale confronto, soluzioni ragionevoli e condivise alle enormi questioni che la nostra società si trova ad affrontare.
Il centro sinistra con cui si aprono gli anni Sessanta ha rappresentato nella storia politica italiana l'avvio di un fondamentale processo riformatore caratterizzato dall'indispensabile apporto dei socialisti che, specie nella vita economica del Paese, si è caratterizzato per l'avvio della programmazione, istituzionale con il decentramento regionale, sociale con l'affermazione di innovativi diritti della società civile e della famiglia. Il libro di Michele Achilli riporta così alla memoria un trentennio di storia parlamentare, dal 1962 al 1992, riproponendo il punto di vista - nel campo dell'innovazione in urbanistica, nelle politiche per la casa, nel regime dei suoli - di quello che era stato un giovane studente di architettura appassionato della politica e aveva poi mosso i primi passi da urbanista presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, per poi raggiungere la maturità con un ruolo parlamentare di spicco nel Partito Socialista Italiano. Sullo sfondo di questa vicenda si legge chiaramente l'aspirazione a una nuova politica di programmazione e di piano urbanistico e ambientale sollecitati dai rivolgimenti del contemporaneo, presente e futuro previsto, e dagli ostacoli da superare. In questo senso, dunque, non si tratta solo di un libro che guarda al passato, ma di un libro che guarda al passato per immaginare un possibile futuro. In particolare, i temi principali su cui hanno agito le leggi di cui si tratta nel testo - il rapporto delle amministrazioni comunali con l'attività edilizia, la politica della casa e dei suoli urbani, la rendita immobiliare, l'indennità di esproprio, gli oneri di urbanizzazione nella produzione di interventi pubblici e privati, l'efficacia del piano urbanistico, il diritto di superficie nella cessione al privato di aree pubbliche - sono di una tale attualità che vale sicuramente la pena di ritornare sulle azioni messe in campo in quegli anni per immaginarne altre, più efficaci, per i giorni nostri.
Anche se non esplicitato, per il lettore il libro si struttura in una parte principale, che ha per oggetto le leggi degli anni Sessanta e Settanta, e in una parte integrativa che ripercorre altre vicende non meno importanti. La narrazione delle due parti si articola in capitoli, raccordati nell'introduzione, che mi pare utile qui richiamare sommariamente perché essi stessi, anche solo dai titoli, raccontano in controluce una vicenda che andrebbe conosciuta meglio da tutti e sono lo specchio di un dibattito su alcune specifiche questioni che, in quegli anni, si ritenevano importanti. I primi quattro capitoli inquadrano il periodo storico: Dalla voglia di ricostruire la scelta di Architettura (cap. 1); A sinistra nel Partito socialista con Basso, poi con Lombardi (cap. 2); Legge Sullo, grida manzoniane (cap. 3); Sulle riforme socialiste la doccia gelata di Carli (cap. 4). I capitoli cinque e sei hanno invece per oggetto l'iter parlamentare della cosiddetta "legge Ponte" - così definita in quanto ponte verso una organica legge di riforma urbanistica che, in realtà, ancora attendiamo - e della legge in materia di piani territoriali di coordinamento (Legge 507 del 2 Aprile 1968): Alla camera la dura battaglia per la legge Ponte (cap. 5) e La prima proposta di legge approvata (cap. 6). La ricerca di organicità della legge Ponte si conferma attraverso il DM 2 Aprile 1968, n. 1444, sugli standard urbanistici, attualmente in vigore, che sancisce dei minimi di spazi pubblici, incrementabili a discrezione dei consigli comunali nell'adeguamento dei piani urbanistici. I capitoli sette, otto, nove e dieci riguardano invece l'iter parlamentare della legge 865 del 22 ottobre 1971, detta "legge sulla casa", e della legge 10 del 1977: Una nuova legge urbanistica chiedono le giunte di sinistra (cap. 7); La svolta dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (cap. 8); Ma i comunisti si astengono sulla legge 865 (cap. 8); Salzano corregge il Pci. Il "sì" di Riccardo Lombardi (cap. 9); Le larghe intese tolgono forza alla legge sui suoli (cap. 11); Sugli espropri la consulta devitalizza la legge sulla casa (cap. 12); L'ultima riforma mancata (cap. 13). Poco commentata, invece - ed è un peccato -, la legge 457 del 5 agosto 1978 Norme per l'edilizia residenziale che riguardava il riordino del settore dell'edilizia pubblica e poneva una certa attenzione al recupero del patrimonio edilizio esistente.
Con il capitolo undici inizia invece quella che, per chi scrive, potrebbe essere considerata la seconda parte del volume e che, dicevamo, riguarda altre questioni cruciali: Nella legge per Venezia il "no" all'autostrada inutile (cap. 14); Il blocco delle autostrade (cap. 15); Il Parco nazionale d'Abruzzo (cap. 16); L'equo canone (cap 17); La facoltà di Architettura (cap. 18). Seguono una Bibliografia selettiva di urbanisti e programmatori socialisti; un'utile Cronologia, e l'altrettanto utile Appendice documentaria. Una interessante Postfazione di Vittorio Emiliani conclude il volume inquadrando l'impegno socialista in quel trentennio e definendone il contesto. Ci permettiamo di suggerire al lettore di leggerla e meditarla prima dei capitoli suddetti, così come si suggerisce la lettura del capitolo 17, L'equo canone, prima di affrontare la lettura di quello concernente la legge che definisce le Norme per la edificabilità dei suoli del 28 gennaio 1977.
Filo conduttore del libro - e, più in generale, del "fare urbanistica" nel secondo dopoguerra così come oggi - è sicuramente quello della rendita immobiliare urbana oltre che quello degli strumenti legislativi per fronteggiarla. Nella città, sappiamo bene, lo spazio pubblico ha un ruolo primario congiuntamente a quello privato e il regime immobiliare interpreta, se così possiamo dire, la condizione del rapporto tra pubblico e privato nella gestione dei suoli. Dunque, considerando che la decisione sull'uso del suolo coinvolge il pubblico e il privato con regole definite dal soggetto pubblico, ne consegue che la natura delle regole va rapportata anche a certi esiti che derivano dagli usi del suolo. In questo senso si è imposta all'attenzione la rendita immobiliare urbana. La rendita non è il profitto, che il mercato sempre riconosce a chi produce, ma il maggior valore in rapporto al solo profitto riconosciuto al più svantaggiato dei produttori di merce. La rendita non consegue dunque dalla capacità del produttore ma dalle necessità dei consumatori. Crescendo le esigenze, si creano le condizioni per produrre beni aggiuntivi e la rendita, in tale processo, si innalza. Per tale ragione, si è sostenuta da più parti la necessità di tassare le rendite da parte dei governi. Nel mercato dei suoli urbani la rendita si manifesta chiaramente quando da un lato registriamo una sostanziale omogeneità dei costi di produzione (dei materiali e del lavoro), dall'altro una disomogeneità dei prezzi di vendita. La rendita assoluta, per esempio, è chiara nel passaggio di un terreno dall'uso agricolo all'uso urbano che nel Novecento è stata spessissimo motivata dal fabbisogno di abitazioni e servizi mentre oggi, più frequentemente, appare come pura pratica speculativa. La rendita è fisiologica, non si può abolire, ma si può operare sulla appropriazione dei suoi vantaggi. L'acquisizione preventiva delle aree agricole, o il loro esproprio, per l'urbanizzazione nel Novecento si è affermata come strumento per perseguire un regime fondiario pubblico che, in molti contesti europei, ha potuto guidare la crescita delle città attraverso la cessione al privato, eventualmente in diritto di superficie, di lotti edificabili in forme predefinite. Attraverso piani di zona, piani operativi, o lottizzazioni legalmente sancite predisposte in conformità a regole insediative progettate, anche in Italia è stato possibile destinare a fini sociali almeno una parte di quella rendita urbana maturata in virtù di un nuovo piano o di investimenti a spese della collettività.
Con la legge 765 del 1967, e poi con la legge 865 del 1971, si è rafforzata l'urbanizzazione preventiva pubblica volta alla produzione di insediamenti di edilizia residenziale economica. Questo perseguendo l'acquisizione dei suoli agricoli al patrimonio indisponibile pubblico attraverso pratiche di esproprio che, in seconda battuta, hanno poi riguardato anche insediamenti produttivi. Si è inoltre sancito che l'attività costruttiva è sempre oggetto di autorizzazione comunale definita "licenza" e, con la legge 28 gennaio 1977 n. 10, si è stabilito che "ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa[sse] agli oneri ad essa relativi". Gli oneri di urbanizzazione costituiscono tuttora i pilastri della gestione urbanistica e dell'innovazione politica conseguente all'uso di questi proventi: originariamente destinati a finanziare interventi sulla fisicità delle città, in anni più recenti sono stati utilizzati per finanziare la spesa corrente, con implicazioni gravi sull'edificazione e sull'urbanistica evidenziate da Emiliani nella sua postfazione.
Nella città contemporanea, la dismissione ed il potenziale di riuso di vasti suoli ubicati nel perimetro della città consolidata o agricoli ubicati nell'arcipelago metropolitano ha però modificato i termini del problema. Per questi suoli non si può fare riferimento alla rendita assoluta, avendo già acquisito nel passato un uso urbano. Il fondamento di un'eventuale operazione perequativa è da ravvisare nella rendita immobiliare differenziale, anch'essa, come tutte le rendite, non conseguente dallo sforzo del proprietario. Il valore finanziario di tali suoli è elevato, mentre la loro utilizzazione dipende dalla decisione dell'amministrazione cittadina. Questa utilizzazione favorisce rendite che - a giudizio di chi scrive - è necessario socializzare, far ritornare alla collettività. Si potrebbe quindi delineare anche per tali suoli il regime dell'acquisizione preventiva, ma una tale politica amministrativa comporterebbe una sostanziale esposizione finanziaria del governo locale, con capitali congelati e dotazione nel governo comunale di capacità finanziaria di governo dei processi economici. Da ciò la proposta di agire sui criteri volti a valutare l'indennità di esproprio, formulata già diverso tempo fa con la legge n. 10 del 1977, volta a omogeneizzare le rendite assolute e differenziali riconducendole al valore del suolo agricolo, proposta resa inefficace dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 5 del 1880: Sugli espropri la consulta devitalizza la legge sulla casa (cap 12).
Per rimediare agli effetti di questa sentenza nel gennaio del 1988 viene presentata al Senato la proposta di legge dal titolo Nuove norme sul diritto di edificazione e sull'indennità di espropriazione, nota come proposta di legge Cutrera dal nome del suo relatore, il cui primo firmatario è stato senatore Michele Achilli (L'ultima riforma mancata, cap. 13). In tale provvedimento si proponeva che i Comuni avvalendosi del piano regolatore intervenissero attribuendo a zone territoriali omogenee un "indice convenzionale parametrato di edificabilità". Con l'urbanistica sarebbe stato così possibile una compensazione tra il valore dei beni da espropriare e l'incremento degli indici convenzionali. Approvata al Senato con l'astensione dei comunisti, la proposta di legge Cutrera, però, si ferma alla Camera in prossimità delle elezioni del 1992 per la richiesta del Pds di remissione in aula. Se trasformata in legge, la proposta avrebbe introdotto una forma nuova di collaborazione tra pubblico e privato, delineabile su basi contrattuali perequate, e il piano urbanistico avrebbe potuto disciplinare questo contratto, ovvero giungere a una effettiva perequazione urbanistica. L'urbanistica "contrattata", anche quella con il significato dispregiativo attribuitogli nel testo di Emiliani, è in realtà - almeno in linea di principio - crescita di intelligenza politica e tecnica nell'adeguamento dei piani urbanistici e nell'amministrazione delle città. Questo perché oggetto del contratto è l'uso del suolo e il costo in investimento di capitale per produrre questo uso. A fronte di un'aliquota di suolo ad uso privato, se ne persegue infatti un'altra ad uso pubblico comportante la cessione indennizzata dei suoli al patrimonio pubblico e la compiuta idoneità insediativa (opere di urbanizzazione).
Così, equilibrare gli interessi del pubblico e quelli del privato, rispetto ai benefici e ai costi della rigenerazione urbana, è ancor oggi uno dei principali obbiettivi da raggiungere. Temi centrali di riflessione e dibattito sono dunque i metodi e le tecniche volti a definire l'idoneità insediativa; a stimare il costo della produzione insediativa; a perequare con il progetto tra gli interessi presenti nella valorizzazione insediativa. "Più intelligenza nel progetto" potrebbe essere assunto come slogan di questo processo, mentre le regole pubbliche sulla perequazione dovrebbero divenire riferimento imprescindibile di qualsiasi riforma legislativa. Da questo punto di vista, la nuova concezione del "comparto", già sancito nella legge 1150 del 1942, ha avuto implicazioni rilevanti. Non a caso il Parlamento, attraverso il lavoro delle Commissioni, sta vagliando oggi la proposta di legge Morassut e alla perequazione il governo della Regione Puglia ha dedicato una specifica legge, la n. 18 del 30 aprile 2019, nella quale all'articolo 9 si istituisce il Contributo straordinario di urbanizzazione (CSU), per interventi in "variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso", fondato sul maggior valore generato dalla trasformazione.
Per concludere, vien da chiedersi se l'elaborazione della cultura urbanistica socialista avesse in quegli anni sondato altri percorsi. L'esproprio si poteva applicare nel Piano Fanfani, nel 1949 e negli anni Cinquanta, allorquando si trattava di espropriare suoli agricoli in un contesto ancora inedificato e in presenza di una forte domanda di case. Ma già negli anni Sessanta, quando il boom economico si era manifestato pienamente con le implicazioni sui prezzi delle aree a ridosso delle città e si percepiva la fine della grande espansione, l'esproprio come strumento di governo del territorio avrebbe dovuto, a giudizio di chi scrive, suscitare maggiori perplessità. Ci si domanda quindi se siano stati adeguatamente vagliati dai socialisti al governo i vantaggi del metodo perequativo, già allora noto e motivatamente rilanciato negli anni Novanta dall'Istituto Nazionale di Urbanistica e da Giuseppe Campos Venuti. Anziché dare forma alla perequazione nella specificità del regime dei suoli urbani, i socialisti al governo hanno assolto al loro ruolo elaborando una contestabile teoria del valore virtuale attribuito ai suoli urbani, motivatamente oggetto dell'annullamento da parte della Corte Costituzionale con la nota sentenza n 5 del 1980 (cap 12, Sugli espropri la consulta devitalizza la legge sulla casa). Ma se la proposta del 1964 di Fiorentino Sullo viene considerata nel testo di Achilli quella di un sognatore, altrettanto allora potrebbe dirsi di quella di equiparare il valore dei suoli urbani a un valore agricolo sancito a priori in tabelle parametriche che nulla hanno a che vedere con la realtà.
Francesco Forte
N.d.C. - Francesco Forte, già professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi di Napoli "Federico II", ha promosso l'istituzione del Centro Interdipartimentale di Ricerca in Urbanistica "Alberto Calza Bini" (CIRU), di cui ha mantenuto la direzione fino al 2004. Dallo stesso anno e fino al 2009 ha diretto, presso lo stesso Ateneo, il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali. Inoltre, ha contribuito a fondare il corso di laurea specialistica in "Architettura-città: valutazioni e progetto" e ha insegnato in università europee e degli Stati Uniti. Membro del collegio del dottorato in "Metodi per la valutazione integrata dei beni architettonici e ambientali", ha fatto parte di organi direttivi dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, di cui è socio effettivo, e tuttora fa parte del consiglio scientifico della Fondazione Astengo. È socio dell'Icomos Italia e animatore di un blog personale.
Tra i suoi libri: (a cura di), Progettazione urbanistica e territoriale attraverso l'analisi della soglia (FrancoAngeli, 1980); con Luigi Fusco Girard, Valutazioni per lo sviluppo sostenibile e perequazione urbanistica (Clean, 1998); con Alessandro Dal Piaz (a cura di), Pianificazione urbanistica ed ambientale (Maggioli, 1999).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 29 NOVEMBRE 2019 |
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