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“L’adagio come stile di vita”. Dopo Milano, Venezia, Napoli, Palermo, Brescia e Bergamo, la collana diretta da Teresa Monestiroli si arricchisce di un nuovo titolo: Roma adagio. La città eterna, la città quotidiana (Damiani, 2023); l’autore è Francesco Erbani, per venticinque anni caposervizio delle pagine culturali de “la Repubblica” e oggi scrittore curioso e informato che indaga con particolare competenza le trasformazioni del tessuto sociale delle nostre città: L’Italia che non ci sta. Viaggio in un Paese diverso (Einaudi, 2019) e Dove ricomincia la città. L’Italia delle periferie (Manni, 2021) sono i suoi ultimi lavori.
Roma adagio, com’è nello spirito della collana, è un vademecum autoriale, una guida intima che invita a rallentare, “a disintossicarsi dall’abitudine di andare in fretta” per assumere uno sguardo diverso e più attento nei confronti della scena urbana e dei suoi manufatti per recuperare la dimensione dello stupore anche di fronte a luoghi che ci sono familiari ma che “spesso abitiamo distrattamente” anche per la velocità con la quale li attraversiamo. L’immagine del “procedere adagio” rimanda immediatamente alla figura del flâneur di Baudelaire o di Benjamin ma, nel caso di Erbani, non si va affatto oziosamente a zonzo per la città alla ricerca di sorprese o di emozioni inattese, ma si procede secondo linee e itinerari molto precisi anche se inevitabilmente selezionati “sulla base di un gusto e di un vissuto personali” dell’autore che ci ricorda comunque che “fortunatamente le guide di Roma, tradizionali o alternative, sono tante…”.
“Ma di cosa parliamo quando parliamo di Roma?”, si domanda Erbani nell’incipit della sua introduzione; prima di tutto ci fornisce alcune importanti indicazioni quantitative: dalla sua fondazione al 1950, la città si è sviluppata su circa 12.000 ettari, negli ultimi settant’anni, ha occupato un territorio di più di 50.000 ettari e al di là di questa vasta conurbazione ce ne sono altri 75.000 non edificati che ne fanno il Comune agricolo più grande del Paese; l’ambito amministrativo di Roma Capitale si estende infatti per poco meno di 130.000 ettari (quello di Milano per 18.000, per fare un esempio). Poi ci racconta qual è la sua mappa mentale della città: in una visione sostanzialmente radiocentrica, la città dei 12.000 ettari occupa la parte centrale della figura urbana anche se oggi ha visto ridursi di molto il numero dei residenti e, nel suo nucleo più interno, è in gran parte trasformata in una città per turisti (ormai è un vero e proprio parco a tema). La seconda macrozona è “la periferia storica, vastissima e densamente edificata e popolata”, addossata al sistema stellare delle strade consolari: la terza è quella che Erbani chiama la “città residenziale” dei quartieri medio borghesi, frutto in gran parte della speculazione edilizia; la quarta, sorta a partire dalla fine degli anni Ottanta, è la “città anulare” che ha come armatura infrastrutturale il Grande Raccordo Anulare, l’autostrada che circonda Roma a circa dieci chilometri dal centro e che si sviluppa per circa 68 chilometri; qui vive circa un terzo degli abitanti di Roma che oggi sono circa 2.800.000.
La personale guida di Erbani (“tutto in queste pagine è arbitrario…”) esplora quindi non solo la ben nota città centrale, quella dei 12.000 ettari, ma si inoltra nelle altre tre macrozone secondo traiettorie che procedono di norma, ma non esclusivamente, dalle zone centrali a quelle più esterne: la sua introduzione ha infatti per titolo La città centrifuga.
Ma, come districarsi in 300 pagine di piccolo formato, in una realtà complessa e pluristratificata come quella di Roma? Erbani sceglie una chiave tematica che articola in otto sezioni: Acque; Antico; Chiese; Musei; Palazzi; Piazze; Porte, Porti, Mura e Muri; Verde. La sua scrittura e i suoi pensieri hanno un andamento rizomatico, procedono per associazione di idee e per rapidi approfondimenti, restituiscono sia figure dell’urbs, la città di pietra, che immagini della civitas, la città delle persone, frutto evidente di visite lunghe, lente e documentate nei singoli luoghi; in queste note di commento, utilizzerò lo stesso schema chiosando alcune delle sue letture urbane (Acque, Antico, Palazzi e Verde) e seguendo il filo dello schema logico del libro.
Acque
Roma, dall’acqua alla pietra è il titolo di un bel libro scritto alcuni anni fa da Mario Manieri Elia (1) che indagava, in maniera storiograficamente originale, il rapporto genetico che lega Roma, città di pietra, all’acqua e in particolare al Tevere, sin dalla consolidata tradizione della leggendaria fondazione della città. Forse vale qui la pena di ricordare che Roma sorge nel luogo in cui era possibile guadare il fiume per consentire i collegamenti e i commerci tra le città-stato etrusche dell’Alto Lazio, dell’Umbria e della Toscana con quelle della Magna Grecia in Campania e nel meridione d’Italia e che il Ponte Sublicio, il primo ponte in legno della Roma antica, sorgeva proprio nei pressi del guado dell’Isola Tiberina (il termine pontifex, il costruttore di ponti, fu infatti traslato nella religione romana per denominare una figura sacerdotale di grande rilievo).
L’acqua – ci ricorda Erbani – è “un elemento imprescindibile per percepire la città nel suo insieme e nelle sue contraddittorie qualità” sia per i valori paesaggistici e ambientali che determina sia per gli elementi urbani ai quali dà origine: dalla Fontana di Trevi al Fontana dell’Acqua Paola al Gianicolo, dalla Fontana dei Quattro fiumi a piazza Navona alla Fontana del Tritone nell’omonima piazza, dalla Barcaccia di piazza di Spagna ai grandi acquedotti. Voglio qui ricordare che il sistema formato dal Tevere e dall’Aniene costituisce uno dei cinque Ambiti di programmazione strategica previsti dal PRG del 2008 (gli altri sono il Parco archeologico monumentale dei Fori-Appia Antica; le Mura Aureliane; l’asse Flaminio-Fori-EUR e la Cintura ferroviaria) e proprio sulle sponde del Tevere – sulla base di un masterplan generale - è in programma per il Giubileo del 2025 la realizzazione di cinque Parchi d’affaccio: l’Oasi Naturalistica tra Ponte Milvio e Ponte Flaminio; l'area naturalistica fluviale tra Ponte Risorgimento e Ponte Matteotti; la sistemazione dell’area della confluenza tra il Tevere e l'Aniene all’altezza di Monte Antenne (ante amnes, davanti ai fiumi…); il Parco di affaccio di Ostia antica e quello nei pressi di Ponte Marconi.
Dei diversi luoghi che Erbani consiglia di visitare per cogliere la dimensione urbana del tema dell’acqua (il Tevere, l’Acquedotto Vergine, la valle dell’Aniene, la Fonte dell’Acqua Sacra, la Fontana delle Anfore a Testaccio, fino ai “nasoni”, le tipiche fontanelle pubbliche di Roma), voglio segnalarne uno che è tra i più originali di tutto libro: il Lago Bullicante nell’area ex Snia. È un lago molto giovane, ha poco più di trent’anni, ed è spuntato quasi improvvisamente, anzi inopinatamente (come scrive Erbani) in un’area grande dodici ettari tra la ferrovia e la via Prenestina all’altezza della controradiale di via di Portonaccio-via dell’Acqua Bullicante (da cui prende il nome), proprio di fronte al luogo sul quale sorgeva la Borgata Prenestina, una delle famigerate borgate di baracche realizzate dal Governatorato negli anni Trenta e demolita negli anni Sessanta.
Chiusa la fabbrica della Snia Viscosa, uno dei più importanti stabilimenti industriali della città (fibre tessili), su quell’area doveva essere realizzato un centro commerciale ma nel 1992 gli scavi per le fondazioni intercettarono una vena d’acqua proveniente dal Fosso della Marranella, un affluente dell’Aniene che scorreva poco distante e che oggi è tombato al di sotto della rete viaria cittadina. Quello scavo è diventato in poco tempo un lago d’acqua limpida le cui sponde sono ricche di molte specie vegetali e animali: intorno ad esso è sorto il Parco delle Energie, un luogo di svago e di riposo per un quadrante urbano con una forte densità abitativa. I problemi da risolvere sono però ancora molti perché, anche se una parte dell’area è stata dichiarata Monumento naturale, la battaglia dei cittadini e delle associazioni per la sua tutela non si è ancora conclusa; si tratta di un processo di rinaturalizzazione di un’area urbana che ha pochi esempi in Europa, il più significativo dei quali è il Marais Wiels a Forest, Bruxelles che ha una storia molto simile (2). Forse alcuni ricorderanno che, a metà degli anni Duemila, l’area della Snia Viscosa era stata inserita nel Piano di sviluppo della Sapienza e che a ridosso del lago era prevista la realizzazione di una nuova sede della Facoltà di Ingegneria che avrebbe ospitato i settori dell’Ingegneria industriale e dell’informazione (3).
Antico
“Roma è l’antico. L’antico è la sua ricchezza…”. In questa sezione Erbani propone di guardare all’antico in una maniera diversa: non solo veicolo di valori estetici, testimonianza, monumento, manufatto evocatore di memoria ma anche possibile contributo alla dimensione urbana e sociale e si domanda: “perché una piazza medievale o barocca può essere frequentata come luogo di condivisione e di scambio e lo stesso non può capitare ad un Foro d’epoca imperiale, fatte salve tutte le doverose esigenze di protezione che valgono per questo come per quelle?”.
E proprio al sistema dei Fori, sono dedicate le pagine di apertura della sezione (gli altri luoghi sono la Crypta Balbi, il Museo di Palazzo Massimo, la via Appia e la via Latina) e rimandano al tema di progettazione urbana (4) più importante che oggi l’Amministrazione di Roma Capitale ha messo in cantiere affidandone la regia a Walter Tocci, già Vicesindaco e Assessore alla Mobilità nelle Giunte Rutelli, un politico con una salda e competente visione complessiva della città e oggi Delegato del Sindaco Gualtieri per la riqualificazione di questo settore della città.
A Tocci si deve il Rapporto sul Centro archeologico monumentale di Roma - CArMe (ottobre 2022), un testo di grande interesse perché affronta con sguardo innovativo, misura e strategia adattiva i complessi temi di scienza urbana posti dall’Area archeologica centrale (5). Il documento si articola in due distinte proposte: la prima offre una base di discussione per la costruzione del Piano strategico dell’area, la seconda si riferisce ad un possibile programma di attuazione della prima fase del progetto; tutto ruota intorno al tema richiamato da Erbani: ”Nel secolo che viene Roma può riscoprire gli antichi Fori come le sue più affascinanti piazze contemporanee. Possono tornare a svolgere la funzione storica di luoghi della vita quotidiana, dove darsi un appuntamento, passeggiare attraverso la storia e riconoscersi come cittadini di Roma e del mondo, ‘un giardino di pietra restituito al suo uso originale di convegno e di permanenza’, come la ha definito Adriano La Regina. Così come si va a passeggiare a piazza Navona, domani si potrà scegliere di andare anche in cinque nuove piazze antiche, quelle di Traiano, di Cesare, di Augusto, di Nerva e del Tempio della Pace. È questa la premessa concettuale, e anche l’obiettivo concreto, dell’intero programma concernente l’Area archeologica centrale”.
Sulla base di quanto previsto dal Rapporto, e in particolare dal programma di attuazione della prima fase, è stato bandito un concorso internazionale per la sistemazione di quella che è stata definita “la nuova Passeggiata archeologica” costituita da un percorso ciclo-pedonale ad anello formato da via dei Fori Imperiali, via di San Gregorio, via dei Cerchi e via di San Teodoro, oltre alle connessioni con il Colle Capitolino. Il concorso si è concluso nell’aprile 2024 con la vittoria dello Studio Labics (Maria Claudia Clemente e Francesco Isidori).
L’area dei Fori è il settore di maggior rilievo dell’Ambito di Programmazione strategica del Parco archeologico monumentale dei Fori-Appia antica e quindi la messa a punto di un Piano strategico non solo non contrasta, ma si inserisce perfettamente nelle linee programmatiche del Piano Regolatore del 2008. Non va dimenticato che nel giugno 2023 sono iniziati i lavori di costruzione della Stazione Venezia della Metro C che si preannuncia come una straordinaria stazione-museo nella quale saranno esposti i reperti archeologici che verranno alla luce con quello che sarà il più grande scavo archeologico d‘Europa. Insieme alla Stazione Amba Aradam – anch’essa progettata come una stazione-museo - si affiancherà alla Stazione San Giovanni, la prima di questo genere, che è stata inaugurata nel 2018 (6).
Nell’impianto dell’Ambito di Programmazione strategica, l’Area archeologica centrale costituisce la testata del grande cuneo che, attraverso la Passeggiata archeologica voluta da Guido Baccelli nel 1908 davanti alle Terme di Caracalla, si insinua nel cuore della città e, attraverso il Parco archeologico dell’Appia antica e il Parco Regionale dell’Appia antica, scavalca il Grande Raccordo Anulare e arriva fino ai confini amministrativi di Roma Capitale verso i Castelli Romani, in direzione sud est. Uno straordinario complesso archeologico, naturalistico, paesaggistico e ambientale che ha per asse il tracciato dell’antica Via Appia e che rappresenta un elemento fondante della figura urbana di Roma e dell’immaginario della città (7).
Come è naturale, il tema dell’antico riaffiora continuamente nelle pagine del libro: nelle Chiese (San Clemente, Santi Quattro Coronati); nei Musei (il Museo Torlonia - il museo che non c’è; la Centrale Montemartini); nelle Piazze (piazza Navona, piazza del Campidoglio, piazza Augusto Imperatore) ma anche nelle Mura, nelle Porte e nei Porti imperiali.
Palazzi
L’itinerario di Erbani tra i Palazzi di Roma è tra i più originali. Si parte dal Palatium - il Palazzo per eccellenza - il Palazzo degli imperatori romani sul Palatino, per passare poi ai grandiosi palazzi della famiglia Massimo, a Palazzo Farnese e al Palazzo del Quirinale… poi un piccolo corto circuito, un cambio repentino di paradigma: i palazzi della Città Universitaria (Piacentini, Pagano, Capponi, Michelucci e Ponti), due tra le palazzine più importanti della città (la Palazzina Furmanik di De Renzi e la Palazzina del Girasole di Moretti) - senza dimenticare il Palazzo della Rinascente a piazza Fiume di Albini e Helg - e il “palazzo” più grande di tutti: Corviale.
Erbani ci ricorda infatti che il termine “palazzina” deriva proprio da “palazzo” e sottolinea la grande diffusione che essa ha avuto nei quartieri d’espansione della città a partire dal secondo quarto del Novecento. Ma che cos’è esattamente una “palazzina”, termine che oggi è diventato d’uso comune e pervasivo ma che in realtà, a Roma, è un nome proprio che si riferisce ad uno specifico tipo edilizio residenziale?
È necessario partire dal Piano Regolatore del 1909 di Edmondo Sanjust di Teulada, il primo che introdusse a Roma l’uso dei tipi edilizi come elementi di base per lo sviluppo urbano; i tipi previsti dal Piano erano sostanzialmente tre: i “fabbricati” (che poi saranno denominati “intensivi”), i “villini” e i “giardini” (edifici residenziali a bassa densità con ampia dotazione di spazi privati all’aperto). Subito dopo la Prima guerra mondiale, sia a causa della forte richiesta di alloggi, sia per gli appetiti dei proprietari di aree che richiedevano maggiori densità per le nuove espansioni residenziali, fu emanata dall’Amministrazione comunale un circolare (1920) che consentiva “in via provvisoria” di realizzare “palazzine” nelle zone destinate a villini e ne codificava le caratteristiche; poi, con il Piano regolatore del 1931, la palazzina è diventata un tipo autonomo. Secondo il Regolamento edilizio, è un edificio a tre piani ma con un piano rialzato sopraelevato rispetto al terreno e con la possibilità di realizzare un coronamento (l’attico) arretrato rispetto al volume del fabbricato. Nella prassi corrente, quindi, la palazzina è una casa di sei piani (un piano terreno, un piano rialzato, tre piani-tipo e un attico) che comprende, di norma, due alloggi per piano per un totale di dodici alloggi. A Roma ha goduto (e gode) di una straordinaria fortuna per diversi motivi: ha una dimensione produttiva adatta alle capacità tecniche e finanziarie anche di piccoli costruttori, ha una dimensione gestionale (dodici condòmini) abbastanza contenuta, può facilmente adattarsi alle differenti condizioni morfologiche previste dal Piano e dall’orografia della città e possiede la flessibilità tipologica sufficiente per realizzare, dove è necessario, delle botteghe o dei negozi al piano terreno e creare quindi una certa mixité funzionale.
Il giudizio di Erbani su Corviale è più articolato e complesso di tanti commenti sbrigativi (o politicamente interessati) che hanno contribuito a costruire una consolidata vulgata intorno al progetto di Mario Fiorentino: “È oggetto di interesse e di analisi. Chi decidesse di visitarlo non incontrerà turisti ma sicuramente gruppi di studenti di Architettura con i loro docenti provenienti da università d’Italia e d’Europa […] Un simbolo controverso, oggetto di infinite discussioni, sia accademiche sia politiche, giunte a toccare una punta estrema: l’abbattimento, invocato da alcuni, senza però successo […] Ma Corviale non è l’inferno che dicono. L’edificio ha una sua fisica potenza, i suoi spazi sono poco controllabili e generano insicurezza. Ma molti dei residenti se ne prendono cura più dell’Ater. Numerose sono le associazioni e i comitati e di fronte all’edificio c’è il Calcio sociale, un interessante esperimento per i più giovani che coniuga sport e legalità […] da qui, come da altre periferie non solo romane, giungono modelli di solidarietà, pratiche politiche e culturali che non sarebbe affatto male se contagiassero l’intera città”.
Sono sostanzialmente d’accordo; in molte occasioni ho ricordato che Corviale è stato progettato tra il 1972 e il 1974 i primi alloggi sono stati consegnati agli abitanti undici anni dopo; era stato pensato, cioè, in un momento in cui sembrava possibile, anzi auspicabile, sviluppare al massimo i rapporti sociali tra le persone e dare risposta a bisogni che si manifestavano in termini collettivi; erano certamente un’utopia, ma destavano grandi speranze.
All’inizio degli anni Ottanta invece, a Roma le persone non uscivano più di casa. Eravamo immersi in quelli che oggi chiamiamo “gli anni di piombo”, anni nei quali la violenza diffusa e il terrorismo politico avevano lasciato tracce profonde nella società. Quelle persone che avrebbero dovuto dare vita ad una comunità diversa e solidale rimanevano chiuse nei loro alloggi, avevano paura, diffidavano l’uno dell’altro. Le condizioni peggiori perché un’utopia potesse essere sperimentata. E quindi fallì. Da quei giorni sono passati quarant’anni: sono finite le illusioni ma anche quel genere di paura si è per fortuna dissolto e la seconda e la terza generazione di abitanti di Corviale lavora per costruire, insieme alle istituzioni, una nuova realtà e una diversa immagine del loro quartiere.
Va ricordato infatti che nel 2019 si è aperto il cantiere del “Chilometro verde” (8), il progetto di Guendalina Salimei per il recupero del quarto piano dell’edificio (9), quello che originariamente era destinato a negozi, attrezzature di servizio e spazi comuni e nel quale nel corso degli anni 105 famiglie avevano ricavato abusivamente altrettanti alloggi di fortuna. A tutt’oggi ne sono stati completati una sessantina ma la realizzazione del progetto è ferma a poco più della metà della sua lunghezza a causa delle difficoltà legate alla liberazione degli alloggi occupati o all’inagibilità dei luoghi. Ma c’è anche un secondo progetto, vincitore di un concorso internazionale, che dovrebbe contribuire a cambiare i modi d’uso di Corviale. È firmato da Laura Peretti e riguarda la completa trasformazione del piano terreno: saranno aumentati i punti di accesso, realizzati alcuni servizi previsti in origine al quarto piano e riorganizzata la circolazione carrabile e pedonale.
Verde
"Sulla carta la capitale sfoggia aree verdi o agricole per oltre la metà del territorio comunale: all’incirca 75.000 ettari, una cifra imponente, spesso esibita per proclamare Roma come la città più green o più agricola d’Europa. Queste aree non vanno però intese come un sistema omogeneo e compatto. Inoltre, gran parte di esse è fuori dalla città consolidata, va dalle estreme zone periferiche fino ai bordi del territorio comunale. Il punto è che non sempre questo immenso giacimento è attrezzato, dunque a disposizione di tutti”.
Il suo itinerario procede quindi per elementi discreti e con caratteri molto diversi tra loro, dalle ville storiche, ai parchi urbani e alle riserve naturali: l’Orto Botanico a Trastevere; Villa Borghese nel quartiere Parioli-Pinciano; Villa Doria Pamphilj nel quadrante occidentale; il Parco di Aguzzano in quello orientale; la Collina della Pace e il Parco Peppino Impastato lungo via Casilina, ai margini del territorio comunale; il Monte Ciocci e il Parco del Pineto a nord ovest lungo via della Pineta Sacchetti e la Riserva naturale dell’Insugherata sempre a nord ovest, ma lungo via Trionfale.
Devo confessare che io non uso volentieri il termine “verde” perché lo trovo molto generico e impreciso, preferisco parlare di vegetazione urbana perché nel suo ambito è possibile individuare degli elementi specifici, dotati di caratteri distintivi e di una tradizione anche in termini progettuali: la riserva naturale, il parco, il giardino pubblico, il bosco urbano, la piazza, il viale, la strada alberata, le attrezzature sportive, fino agli interventi di decoro più minuti come la rotonda o l’aiuola. È pur vero però che oggi gli architetti del paesaggio sperimentano spesso forme interessanti di ibridazione e quindi, nella promiscuità della città contemporanea, tendono ad abbandonare i modelli consolidati di spazi pubblici e a proporre piazze che contengono elementi propri di un parco, strade con giardini ampi e accoglienti, parchi urbani con all’interno brani di foresta, ecc, ma gli elementi di base del disegno urbano restano quelli.
Un esempio: nella “Carta per la Qualità” del Piano Regolatore di Roma del 2008 – l’imponente sistema territoriale informatizzato, 25.000 manufatti, che individua gli elementi capaci di conferire qualità architettonica e urbana alla città (10) – sono censite le piazze con un alto grado di identità insieme i grandi viali, considerati anch’essi come veri e propri elementi identitari: come è noto, i viali ottocenteschi di Roma capitale erano (e sono tuttora) caratterizzati dai platani e quelli del Novecento prevalentemente dai pini, così come, in precedenza, gli alberi tipici della città erano gli olmi disposti in filari (le caratteristiche “olmate” come quella che attraversava il Campo Vaccino, cioè il Foro Romano, tra l’arco di Tito e quello di Settimio Severo).
A Roma le alberature stradali caratterizzano anche le strade di minore rilevanza della città consolidata; si tratta di norma di alberi di terza grandezza (ibischi, oleandri, prunus da fiore, alberi di Giuda, ecc): nel quartiere Parioli-Pinciano, solo per fare un esempio, il sistema delle strade che fanno capo a via Paisiello, via Mercadante e viale Bruno Buozzi è caratterizzato dagli oleandri che nella bella stagione ornano (e, in un certo senso, unificano) lo spazio pubblico con le loro rigogliose fioriture bianche, rosa e rosse.
Negli ultimi anni si sta però diffondendo un fenomeno singolare che sta portando alla distruzione del concetto stesso di strada alberata; la mancanza di manutenzione e l’abbandono, insieme al naturale invecchiamento delle piante, fanno sì che, man mano che i piccoli alberi muoiono, alcuni volenterosi cittadini (il più delle volte i negozianti che hanno le loro botteghe sulla strada) li sostituiscono con nuove piante – soprattutto arbusti – secondo i loro gusti (laurocerasi, allori, tuie, yucche, viburni, fioriture, perfino papiri…). Questo comporta che lungo lo stesso marciapiede si incontrano piante diverse e di varia natura che si alternano a qualche stentato alberello originario; si va perdendo così il principio di unità che è alla base di ogni strada alberata.
Il tema della manutenzione e della cura – ed Erbani lo sottolinea – è il problema principale di un patrimonio così esteso: da molti anni le Amministrazioni appaiono impari anche perché il Servizio giardini di Roma Capitale è da anni in disarmo e non può che occuparsi della sola gestione ordinaria.
Voglio chiudere queste note ricordando come il tema dei viali, dei parchi e dei giardini pubblici sia stato un tema centrale del disegno della città fin dall’epoca dell’occupazione francese in epoca napoleonica (1809-1814); la visione di Roma del Prefetto della città, il conte Camille de Tournon, era infatti imperniata sulla realizzazione di grandi spazi aperti d’uso pubblico, tanto che uno dei suoi primi atti (1812) fu il progetto per la trasformazione del complesso del convento di San Sisto Vecchio, nei pressi delle Terme di Caracalla (dove fu effettivamente realizzato qualche anno dopo e dove ancor oggi ha sede il Servizio Giardini), in un “Vivajo degli Alberi [delle decine di migliaia di alberi…] necessari per gli abbellimenti della Città di Roma” (11).
Piero Ostilio Rossi
Note 1) M. Manieri Elia, Roma, dall’acqua alla pietra, Carocci, Roma 2009. 2) Cfr. “Il Giornale dell’Architettura”, 10 gennaio 2023. 3) Cfr. “Rassegna di Architettura e Urbanistica”, n. 140, maggio-agosto 2013, pp. 116-118; numero monografico Marcello Rebecchini. Pensiero e progetti. 4) Cfr. R. Panella, Roma la città dei Fori. Progetto di sistemazione dell’area archeologica tra Piazza Venezia e il Colosseo, Prospettive, Roma 2013. 5) Vedi anche i due volumi curati da Ottavio Dragone con Conchita Sannino e Francesca Giuliani Fori Imperiali. La Storia e Fori Imperiali. Il Futuro, distribuiti con “La Repubblica” nella primavera del 2024. 6) Cfr. A. Farris, A. Grimaldi, F. Lambertucci (a cura di), Archeologia per chi va in Metro. La nuova Stazione di San Giovanni a Roma, Quodlibet, Macerata 2019. 7) Cfr. A. Capuano, O. Carpenzano, F. Toppetti, Il Parco e la città. Il territorio storico dell'Appia nel futuro di Roma, Quodlibet, Macerata 2013. 8) È il progetto al quale è ispirato il film di Riccardo Milani Scusate se esisto (2014), con Paola Cortellesi e Raoul Bova. 9) Cfr. G. Salimei, Corviale: il rilancio dell’Utopia. Progetti di riqualificazione in atto, in M. Martini (a cura di), Mirabili presenze. Storie e luoghi del Municipio XI di Roma Capitale “Arvalia–Portuense”, Efesto, Roma 2017, pp. 139-154. 10) Cfr. P. O. Rossi, Nota sulla Carta per la Qualità del Piano Regolatore di Roma, POR_Nota sulla Carta per la Qualità del Piano Regolatore di Roma | Piero Ostilio Rossi - Academia.edu 11) Cfr. P.O. Rossi, La visione di Roma del conte De Tournon tra invenzione e continuità. L'asse urbano tra Ponte Milvio e Porta San Giovanni, in J.-Ph. Garric, S. Pasquali, M. Pupillo, (a cura di), Roma in età. Napoleonica. Antico, architettura e città da modello a laboratorio, Archivio del Moderno, Accademia di Architettura, Università della Svizzera italiana, Roma 2021, pp. 287-304.
N.d.C. - Piero Ostilio Rossi, già professore ordinario di Composizione architettonica e urbana alla Facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza” di Roma, è stato presidente del corso di laurea in Architettura-Flaminia, coordinatore del Collegio dei docenti del dottorato di ricerca in “Architettura. Teoria e progetto” e direttore del Dipartimento di Architettura e Progetto - DiAP della Sapienza. Membro di numerosi comitati scientifici, ha scritto articoli, saggi e libri, tenuto conferenze, presentato relazioni a convegni e congressi nazionali e internazionali e coordinato il gruppo di studio che ha redatto l’Indagine sulla città contemporanea della “Carta per la Qualità” del nuovo Piano Regolatore di Roma. Ha inoltre lavorato per molti anni nello studio associato P+R/Progetti e ricerche di architettura e partecipato a numerosi concorsi di progettazione ottenendo premi e segnalazioni.
Nel 2024 Andrea Bruschi ha pubblicato per i tipi di Lettera Ventidue la monografia Piero Ostilio Rossi nella collana "Maestri romani. Autoritratto di una generazione (1920'1950)".
Tra le sue opere realizzate (molte delle quali pubblicate sulle principali riviste di architettura e urbanistica italiane): la nuova sede dell'Istituto Professionale per il commercio a Piombino, le case IACP a Pesaro-Villa Ceccolini e a Vigevano, la sistemazione degli archi neroniani dell'Acquedotto Claudio a Roma, l'Istituto Professionale di Stato per l'Industria e l'Artigianato a Piombino e, sempre a Piombino, la trasformazione del Castello in Museo della Città e del Territorio e ancora, a Roma, la sistemazione delle aree circostanti la Basilica di San Pietro in occasione del Giubileo del 2000 e la Biblioteca della Collina della Pace (questi ultimi due realizzati in parziale difformità).
Tra i suoi libri: Roma. Guida all'architettura moderna (di cui sono state pubblicate da Laterza quattro edizioni: nel 1984, 1991, 2000 e 2012); La costruzione del progetto architettonico (Laterza, 1996); con G. Fioravanti, P. P. Balbo, F. Cellini, (a cura di F.R. Castelli e M. Tosi), Per un progetto urbano. Dal governo della sosta ad una strategia per Roma (Palombi, 1999); con G. Ciucci e F. Ghio, Roma, la nuova architettura (Electa, 2006); Per la città di Roma. Mario Ridolfi urbanista 1944-1954 (Quodlibet, 2013); ha curato con P. Ciorra e F. Garofalo, Roma 20-25: nuovi cicli di vita della metropoli (Quodlibet, 2015); con O. Carpenzano, Roma tra il fiume, il bosco e il mare (Quodlibet, 2019); con F. R. Castelli, L. Porqueddu e G. Spirito, Bruno Zevi e la didattica dell'architettura (Quodlibet, 2019). Sempre per Quodlibet, ha curato nel 2020: Flaminio Distretto culturale di Roma. Analisi e strategie di progetto, e nel 2021 ha scritto: La città racconta le sue storie. Architettura, paesaggi e politiche urbane. Roma 1870-2020.
Per Città Bene Comune ha scritto: Modi (e nodi) del fare storia in architettura (2 ottobre 2020); Zevi: cinquant’anni di urbanistica italiana (3 marzo 2023).
Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: Enzo Scandurra, Roma, scenografia urbana e vita quotidiana, 25 ottobre 2024.
Sui libri di Piero Ostilio Rossi, v. in questa rubrica i commenti di: Rosario Pavia (26 febbraio 2021), Vezio De Lucia (4 marzo 2022), Maria Clara Ghia (15 luglio 2022).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 06 DICEMBRE 2024 |
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2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori 2019: Alberto Magnaghi 2022: Pier Luigi Cervellati 2023: Valeria Erba
letture e pubblicazioni
2015: online/pubblicazione 2016: online/periodico1/24 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020: online/pubblicazione 2021: online/pubblicazione 2022: online/pubblicazione 2023: online/pubblicazione 2024:
M. Ponti, Urbanistica/economia: riaprire il dialogo, commento a: A. Bertaud, Order without Design (MIT press, 2018)
A. L. Palazzo, Sul futuro dell'urbano e della forma città, commento a: P. Bairoch, Dall’urbanizzazione alle città (Elèuthera, 2023)
R. L. Peragine, L'architettura del debito, Commento a: A. di Campli, C. Cempini, Debito e spazio (LetteraVentidue, 2024)
A. Petrillo, La bellezza salverà le città? commento a: G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)
M. Sèstito, La stanza e l'astanza in Louis Kahn, commento a: F. Visconti, Lo spazio al centro in Kahn (LetteraVentidue, 2023)
L. Zevi, Un razionalismo ben temperato, commento a: E. Svalduz, S. Zaggia, (a cura di), Daniele Calabi. L’architetto e la città di Padova nel secondo dopoguerra (LetteraVentidue, 2024)
L. Konderak, Per una razionalità ecosistemica, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica: forme e mutazioni (Efesto, 2023)
G. Nuvolati, Capire le città: i dati non bastano, commento a: A. Balducci (a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)
M. Agostinelli, Crisi climatica? Colpa dei nazionalismi, commento a: D. Conversi, Cambiamenti climatici (Mondadori Education, 2022)
R. Pavia, La cura è nel Mediterraneo, commento a: P. Barbieri, A. Fiorelli, A. Lanzetta, Il respiro delle città (Libria, 2023)
F. Cardullo, Non tutto è città, commento a: G. Fera, Spazio pubblico e paesaggio urbano nella città moderna (Planum Publisher, 2020)
E. Scandurra, Roma, scenografia urbana e vita quotidiana, commento a: F. Erbani, Roma adagio (Edea, 2023)
B. Bottero, Città femminili? Ahimè, non ancora, commento a: E. Granata, Il senso delle donne per la città (Einaudi 2023)
A. Calafati, Capitalismo e degenerazione urbanistica, commento a: F. Chiodelli, Cemento armato (Bollati Boringhieri, 2023)
M. Barzi, Il potere dei parchi urbani, commento a: M. Sioli, Central Park (Elèuthera, 2023)
B. Bonfantini, Politiche abitative e governo urbano, commento a: A. L. Palazzo, Orizzonti dell'America urbana (Carocci, 2022)
G. Azzoni, Quando l'architettura è donna, commento a: A. Brandino (a cura di), Antonietta Iolanda Lima architetto (Gangemi, 2024)
M. A. Crippa, Sacro e profano: un nodo architettonico, commento a: M. Botta, Il cielo in terra (Libri Scheiwiller, 2023)
R. Baiocco, E. Beacco, Geddes: la ricerca del metodo, commento a: La città è vostra. Patrick Geddes (LetteraVentidue, 2021)
S. Tagliagambe, Salvare le città: una questione politica, commento a G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)
C. Olmo, Ansia sociale e progettualità, commento a: V. Costa, v La società dell’ansia (Inschibboleth Ed., 2024)
V. Conte, Come si studia il territorio, commento a: G. Nuvolati, M. d’Ovidio (a cura di), Temi e metodi per la sociologia del territorio (Utet, 2022)
G. Pasqui, Spazio, vita e progetto, commento a: P. Viganò, Il giardino biopolitico (Donzelli, 2023)
F.Barbera, Dissidi culturali? No, errori interpretativi, replica al commento di O. De Leonardis
M. Filandri, L'Italia è povera, commento a: C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio, La povertà in Italia (il Mulino, 2022)
G. Dematteis, Cosa ci ha insegnato la pandemia, commento a: C. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)
L. Sciolla, Genealogia della creatività, commento a: P. Perulli, Anime creative (il Mulino, 2024)
G. Consonni, Roma: il possibile riscatto, commento a: E. Scandurra, Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024)
P. Gabellini, Napoli, il coraggio della verità, commento a: A. Belli (a cura di), Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento (Guida, 2023)
D. Calabi, Proiettare il passato nel futuro, commento a: G. Zucconi (a cura di), Ricostruire Longarone (IUAV, Silvana ed. 2023)
C. Cellamare, Relazionalità per capire le periferie, commento a: P. Grassi, Barrio San Siro (FrancoAngeli, 2022)
G. B. Lattes, Il sociologo e la città, commento a: G. Amendola, La città: immagini e immaginari (FrancoAngeli, 2024)
G. M. Flick, La città dal diluvio universale all'arcobaleno, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)
V. Prina, Esplorare e raccontare Varese, commento a: L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese (Silvana ed., 2023)
C. Olmo, Le molteplici dimensioni del tempo, commento a: M. Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? (Einaudi, 2023)
S. Tagliagambe, Al diavolo la complessità, commento a: J. Gregg, Se Nietzsche fosse un narvalo (Aboca, 2023)
A. Ziparo, Ecoterritorialismo: una strada tracciata, commento a: A. Magnaghi, O. Marzocca (a cura di), Ecoterritorialismo (Firenze University Press, 2023)
L. Gaeta, Ritorno al quotidiano (dopo l'evento), commento a: M. Mininni, Osservare Matera (Quodlibet, 2022)
C. Saraceno, Una casa di tutti, commento a: A. Agnoli, La casa di tutti (Laterza, 2023)
P. Salvadeo, Cosa può fare l'architetto?, commento a: A. Di Giovanni e J. Leveratto (a cura di), Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)
W. Tocci, Visibile-invisibile per il buongoverno urbano, commento a: A. Balducci(a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)
I. Forino, Una casa (e un arredo) per tutti, commento a: G. Consonni, Il design prima del design (La Vita felice, 2023)
E. Ruspini, Intersezionalità e Teoria sociale critica, commento a: P. Hill Collins,Intersezionalità come teoria critica della società (UTET Università, 2022)
M. Caja, Il tempo fa l'architettura, commento a: A. Torricelli, Il momento presente del passato (FrancoAngeli, 2022)
A. Porrino, Biopolitica e governo delle condotte, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica (Efesto, 2023)
A. Bonaccorsi, La Storia dell'aerchitettura è la Storia, commento a: C. Olmi, Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico, (Donzelli, 2023)
M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)
G. Pasqui, Città: fare le cose assieme, commento a: B. Niessen, Abitare il vortice (Utet, 2023)
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