Roberto Balzani  
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SUOLO BENE COMUNE? LO SIA ANCHE IL LINGUAGGIO


Commento al libro di Matilde Casa e Paolo Pileri



Roberto Balzani


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Cosa accade quando un sindaco cerca di tutelare il suo territorio, "trasformando" in terreno agricolo un'area potenzialmente edificabile? Va in tribunale. È la storia di Matilde Casa, primo cittadino di Lauriano, neppure 1.500 anime, nella provincia di Torino. Il suo atto, considerato provocatorio rispetto alla normalità delle relazioni politico-amministrative, la costringe a vivere per alcuni anni, prima dell'assoluzione "perché il fatto non sussiste", un autentico calvario, personale e pubblico. Personale, perché non c'è nulla di più devastante, per un civico amministratore, del sospetto che sente crescere intorno a sé, delle relazioni rarefatte e interrotte con persone ritenute amiche, dei preoccupati riflessi familiari. Pubblico, perché l'avviso di garanzia e il rinvio a giudizio sono, di per sé, fonte inesauribile di speculazioni, che le pagine di stampa intinte nell'inchiostro della calunnia moltiplicano, salvo rettifiche e persino - caso raro, che però a Matilde Casa è toccato fortunatamente in sorte - ritrattazioni radicali a posteriori.

Ma non è questo il punto che interessa ai due autori del libro Il suolo sopra tutto. Cercasi "terreno comune": dialogo tra un sindaco e un urbanista (Altreconomia, 2017): non è la singola storia il centro del volume scritto a quattro mani dalla stessa Matilde Casa con Paolo Pileri. Il cuore del problema è, piuttosto, il sistema che - al di là delle leggi disponibili, francamente equivoche e inadeguate - si fonda su asimmetrie insuperabili, destinate a consegnare di qui all'eternità il nostro territorio alla speculazione. Le asimmetrie riguardano la debolezza degli apparati tecnici in municipi di taglia piccola o microscopica (ma non è che nei grandi cambi molto); e poi le difficoltà, per molti amministratori, di comprendere il linguaggio iniziatico dell'urbanistica, la cui sintassi è tanto bizantina da dettare - nota giustamente Pileri - una rappresentazione della realtà così forte da imporsi, attraverso i piani, alla realtà effettiva; e infine la grande ipocrisia che inquina la politica territoriale negoziata, da un lato astrattamente ispirata a nobili principi (sostenibilità, rigenerazione, economia circolare), dall'altro riportata alla quota dello scambio mercé il ricorso alle sottili allusioni al "rammendo", al ricompattamento urbano, alle "rimarginature dei bordi", alle "aree intercluse". Tutte soluzioni in sé non ignobili, ma che ignobili lo diventano se servono ad eludere la domanda di fondo: "ce n'è davvero bisogno? La nostra comunità ha davvero bisogno di impermeabilizzare ancora, cioè di sacrificare un bene naturale destinato a finire, indipendentemente dalla ragionevolezza e dal sussiego con cui l'ingegnere o l'architetto espongono l'idea, condendola con i riferimenti lessicali à la page necessari per addolcire i palati più radicali?".

Casa e Pileri compiono un'opera di sana demistificazione, dimostrando che, a prescindere dal rallentamento dovuto alla Grande Crisi e alla conseguente ristrutturazione del comparto edilizio, la natura dell'economia delle costruzioni, in Italia, è solidamente avvitata sulla trasformazione dei terreni, cioè sull'unica operazione, squisitamente politica, che consente di moltiplicare il valore dell'investimento di così tante volte da rendere ininfluente il fattore tempo. Che cosa significa? Semplice: essendo il risultato della speculazione così profittevole, posso permettermi il lusso di attendere, una volta ottenuta l'edificabilità potenziale, anche molti anni prima di concludere l'affare, o cedendo l'area a terzi, o costruendo e poi vendendo gl'immobili. Esiste, quindi, una singolare sfasatura cronologica che si somma alle già osservate asimmetrie tecniche e informative: un'amministrazione legge il territorio con una profondità temporale di solito di cinque-dieci anni; gl'investitori, viceversa, hanno disegni che si sviluppano anche su dieci-vent'anni o più; i cittadini, infine, ignorano, perché nessuno li ha educati a questo, che le decisioni sul consumo di suolo incideranno sulla vita non solo della loro, ma delle generazioni a venire (e qui la scala temporale si dilata a dismisura). In pratica, i reali titolari del bene suolo - non i proprietari legali, transitori per definizione, ma tutti noi che, attraverso la pubblica amministrazione, possiamo in teoria stabilire il destino (cioè l'uso) del territorio nel quale viviamo - sono sistematicamente espropriati del diritto di decidere, dato che esso è nei fatti usucapito da élite tecniche, burocratiche, politiche o para-politiche, imprenditoriali, a volte criminali. A chi rispondono queste élite? A nessuno, dal momento che la fase di discussione e di pubblicità dei piani, o di delibera delle varianti ai medesimi, approda nei consigli comunali blindata da una solida corazza di sigle, acronimi, numeri, riferimenti a tavole, proprio per renderla rigorosamente inintelligibile ai non addetti ai lavori (fra i quali è d'obbligo enumerare la stragrande maggioranza degli assessori e dei consiglieri comunali).

Se la realtà è questa - e, per avere amministrato pro tempore un medio comune italiano assicuro che lo è -, come uscirne? Come riconnettere la sovranità al popolo? E soprattutto, che cosa possono davvero decidere i cittadini? Confesso di non credere che ogni decisione relativa alla vita pubblica possa essere assunta da chiunque: ci sono livelli di complessità (moltissimi, soprattutto nel nostro mondo complicato) che richiedono la delega a persone esperte e competenti. Le quali, non dimentichiamolo, debbono poi assumersi precise responsabilità di fronte alla legge. Per queste ragioni, poiché rifuggo dalle scorciatoie demagogiche, sono persuaso che il principio di rappresentanza abbia ancora un senso. A patto però che sia chiaro chi e cosa si va a rappresentare. Ad esempio, per restare al nostro caso, ai cittadini non può essere certo richiesto di pronunciarsi su ogni atto edilizio del Comune, ma essi hanno il diritto di sapere quale sarà il territorio che l'amministrazione intende tutelare, che tipo di paesaggio vuole trasmettere nel tempo, quale tipo d'interventi strutturali s'impegna a realizzare perché ritenuti davvero necessari. La comunità può anche non essere interessata ai dettagli topografici del piano, purché sia rassicurata sulle sue linee di fondo, queste sì facilmente comunicabili a tutti.

Se il suolo è un bene comune, allora il linguaggio che lo descrive sia per tutti, non appannaggio esclusivo di pochi; e in questa operazione-verità, lo dice giustamente Pileri, è necessaria una nuova stagione di mobilitazione da parte di quei tecnici e quegli intellettuali che sentono di dover supportare le politiche di sindaci e amministratori come Matilde Casa, i quali, se isolati e intrappolati nel singolo retino del piano strutturale o del piano operativo, finiscono per individualizzare scelte in realtà generate da una visione complessiva del territorio, cadendo poi vittima delle personalizzazioni o di presunte ragioni extra-contestuali, come le antipatie, le vendette, i regolamenti di conti post-elettorali. Una cortina fumogena ben spessa, dalla quale è relativamente agevole far emergere il profilo fantasmatico dell'abuso d'ufficio.

Bisogna pensarci prima, per scansare la solitudine delle scelte amministrative più scottanti. Pileri aggiunge che la secolarizzazione del linguaggio urbanistico non basta, che ci vuole pure una taglia municipale in grado di gestire razionalmente la complessità territoriale: i comuni sotto i 5.000 abitanti sono di sicuro ad alto rischio d'incompetenza, data la rarefazione del personale tecnico attrezzato. Ma non è che quelli sui 10.000 se la passino meglio. L'età del riordino amministrativo sembra tuttavia alle nostre spalle: dopo la legge Delrio del 2014 (il cui obiettivo principale era la depoliticizzazione delle province), non ne parla in Italia più nessuno, mentre le Città metropolitane rischiano di annegare nelle negoziazioni più sterili e verbose. Durante le elezioni politiche del 2018 non abbiamo ascoltato un'idea sola su territorio, decentramento, comunità locali; e ciò proprio mentre crescevano i partiti programmaticamente orientati a raccogliere in teoria indicazioni "dal basso": la Lega, originariamente federalista, e il M5S, che della disseminazione associativa ha fatto la sua forza. Non sappiamo, quindi, quale sarà il destino del suolo italiano nel futuro prossimo venturo. Di certo, come si augurano Matilde Casa e Paolo Pileri, senza un accordo fra la disinteressata mobilitazione delle competenze e la disponibilità degli amministratori pubblici ad integrarla nelle proprie "visioni" collettive e narrative, non andremo da nessuna parte. Con buona pace di quelli che credono ancora alle legge risolutive e alle norme salvifiche e definitive: il tempo presente ci interpella e ci sprona invece alla responsabilità, ciascuno pro quota. Per questo Il suolo sopra tutto dovrebbe diventare l'indispensabile vademecum di un cittadino che non rinuncia alla sovranità, alla critica, al controllo. Diciamo un antidoto serio al populismo d'ogni risma? Diciamolo.

Roberto Balzani

 

 

N.d.C. - Roberto Balzani è professore ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell'Università di Bologna. Ha insegnato presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali (sede di Ravenna) di cui è stato preside. Dal 2009 al 2014 è stato sindaco di Forlì. Dirige dal 2015 il Sistema Museale di Ateneo, dal 2017 l'Archivio Storico ed è Presidente dell'Istituto dei Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. Fa inoltre parte del Gruppo di lavoro ANVUR su "Terza Missione e Impatto Sociale".

Tra i suoi libri: con P. Pombeni, G. Guazzaloca, R. Brizzi, A. Scornajenghi, M. Mondini, M. Gregorio, G. Bernardini, M. Marchi, G. D'Ottavio, M. Cau, Storia dei partiti italiani. Dal 1848 ad oggi (Il Mulino, 2016); con S. Abram, C. Mazza, D. La Monica, R. Pirraglia, L. Pon, E. Quintavalle (a cura di), I territori del patrimonio. Dinamiche della patrimonializzazione e culture locali (secoli XVII-XX) (Il Mulino, 2015); con Angelo Varni (a cura di), La Romagna nel Risorgimento (Laterza, 2012); (a cura di), Collezioni, musei, identità tra XVIII e XIX secolo (Il Mulino, 2007). All'esperienza di sindaco ha dedicato il volume Cinque anni di solitudine. Memorie inutile di un sindaco (Il Mulino, 2012).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

12 OTTOBRE 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

A. Clementi, Un nuovo paesaggio urbano open scale, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

L. Meneghetti, Stare con Settis ricordando Cederna, replica alla posizione di Marco Romano e Francesco Ventura

C. Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

F. Ventura, Sapere tecnico e etica della polis, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

P. Pileri, L'urbanistica deve parlare a tutti, commento a: Anna Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Indovina, Non tutte le colpe sono dell'urbanistica, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

R. Milani, Viaggiare, guardare, capire città e paesaggi, commento a: C. de Seta, L'arte del viaggio (Rizzoli, 2016)

F. Gastaldi, Un governo del territorio per il Veneto?, commento a: M. Savino, Governare il territorio in Veneto (Cleup, 2017)

G. Nuvolati, Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

F. Mancuso, Città come memoria contro la barbarie, commento a: A. Zevi, Monumenti per difetto (Donzelli, 2014)

M. Morandi, Per una Venezia di nuovo vissuta, commento a: F. Mancuso, Venezia è una città (Corte del Fontego, 2016)

R. Pavia, Leggere le connessioni per capire il pianeta, commento a: P. Khanna, Connectography (Fazi, 2016)

G. Consonni, In Italia c'è una questione urbanistica?, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Romano, Memoria e bellezza sotto i cieli d'Europa, commento a: S. Settis, Cieli d'Europa (Utet, 2017)

V. Biondi, La nuova crisi urbana negli USA, commento a: R. Florida, The New Urban Crisis (Basic Books, 2017)

P. Colarossi, Per un ritorno al disegno della città, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2012, rist. 2015)

A. Clementi, In cerca di innovazione smart, commento a: C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita, From Smart Cities to Smart Region (Springer, 2016)

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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