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Il recensore di un libro è un intermediario fra un autore ed un suo pubblico latente. Una delle sue funzioni sembra essere quella di selezionare i contenuti per attirare i lettori, per suggerire loro l’incontro con il libro e spingerne così la diffusione oppure, al contrario, per invitarli a non perdere il loro tempo e a dedicare ad altro la loro attenzione. Quando si parla e si scrive di un libro si valuta un oggetto speciale, il frutto di un atto creativo che un autore ha tradotto in pagine scritte per dare forma concreta alle sue idee ed alle sue emozioni. Scrivere un libro vuol dire portare a termine un viaggio simbolico che soddisfa il desiderio dell’autore di esplorare territori prediletti ma la sua missione (ed anche quella di un recensore) è di accompagnare i lettori lungo lo stesso itinerario per soddisfare le loro curiosità, le loro aspirazioni e, perché no, i loro sogni. Prima di avviare la lettura attenta. di un libro per scriverne una recensione, di solito, lo si “annusa”, lo si rigira tra le mani, lo si sfoglia e si cercano alcuni spunti nella quarta di copertina. La quarta di copertina del libro di Giandomenico Amendola, La città: immagini e immaginari. Narrazioni, analisi, miti, pubblicato nel 2024 da FrancoAngeli, riprende uno schema editoriale consolidato che è formato da due elementi: una troppo succinta bio-bibliografia dell’autore ed un testo di una quarantina di righe che illustra, a volo d’uccello, gli argomenti trattati. Chi scrive queste pagine è convinto che informare il lettore sugli elementi bio-bibliografici rappresenta un modo per avvicinarlo all’autore ed è anche un mezzo per valutare più a fondo il senso e l’effettivo valore di un libro. La bio-bibliografia di un autore, in particolare quando è particolarmente ricca come nel caso di Amendola, è una sorta di cornice nella quale si inserisce il testo in questione e ci consente di stabilire continuità o meno nella riflessione di un sociologo che studia la città e la progetta da oltre dieci lustri. Il profilo bio-bibliografico di un autore nutre un lettore consapevole e lo mette in migliore sintonia con il testo. Dunque, iI primo aspetto che è opportuno introdurre, magnis itineribus, è il “chi è” di Giandomenico Amendola.
Amendola è uno dei padri della sociologia urbana italiana contemporanea. Da giovane cattedratico ha prima insegnato Sociologia nella Facoltà di Lettere e Filosofia e poi Sociologia urbana nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari, alla cui fondazione ha dato un significativo contributo. Ha ricoperto lo stesso ruolo nella facoltà di Architettura di Firenze dove ha fondato e coordinato il laboratorio interdisciplinare CityLab. In cinquanta anni di docenza ha formato almeno tre generazioni di ricercatori ed ha tracciato magistralmente le linee di sviluppo di una disciplina fondamentale per la professionalità degli architetti e degli urbanisti. Ha arricchito la sua esperienza di studioso con numerosi soggiorni in università statunitensi, in particolare al Massachussetts Institute of Technology. La innovativa ricerca Technological Imagination and the Historic City: Florence eseguita in collaborazione con alcuni colleghi del MIT e pubblicata nel 2009 è frutto di questo stile di lavoro purtroppo tuttora poco praticato nell’università italiana.
Tra le sue pubblicazioni, per limitarci ai libri più noti, ricordiamo breviter: Uomini e case. I presupposti sociologici della progettazione architettonica (1984); La città post-moderna. Magie e paure della metropoli contemporanea (1997); La città vetrina. I luoghi del commercio e le nuove forme di consumo (2006); Tra Dedalo e Icaro. La nuova domanda di città (2010); Il brusio delle città. Le architetture raccontano (2013); Emozioni urbane. Odori di città (2015); Le retoriche della città. Tra politica, marketing e diritti (2016); Sguardi sulla città moderna. Narrazioni e rappresentazioni di urbanisti, sociologi, scrittori e artisti (2019) di cui si dirà meglio infra, nelle pagine conclusive di questa recensione; Bari. Una città tra storia e immaginario (2020); Desideri di città. Utopie Speranze Illusioni (2022). Questa rassegna bibliografica si completa con l’indicazione di alcune curatele che comprovano ulteriormente l’impegno scientifico e culturale di Amendola mentre documentano alcuni suoi interessi di ricerca che hanno innovato profondamente il modo di fare sociologia urbana. Nel 2000 appare Scenari della città nel futuro prossimo venturo, che presenta le relazioni introduttive ad un convegno che voleva rispondere alla domanda di conoscenza sociologica sul futuro della città. Amendola raccoglie attorno a sé studiosi del calibro di Peter Hall, Françoise Choay, Guido Martinotti, Lloyd Rodwin, Paolo Ceccarelli. Nel 2009 Il progettista riflessivo. Scienze sociali e progettazione architettonica (2009) dove si affronta il tema di “un’architettura per la gente” e si propone il ruolo di architetto in veste, oltreché di artista e tecnologo, anche di ingegnere sociale capace di decifrare la complessità dei bisogni individuali e collettivi. Amendola è stato e un pioniere negli studi sulla sicurezza urbana e nella sua qualità di coordinatore di CityLab (laboratorio Interdisciplinare sulla Vulnerabilità Sociale e sulla Sicurezza Urbana) ha pubblicato nel 2003 Una città senza paure. Dalle politiche per la sicurezza a quelle per la vivibilità; nel 2008 Città, Criminalità, Paure. Sessanta parole chiave per capire e per affrontare l’insicurezza urbana e nel 2011 Insicuri e contenti. Ansie e paure nelle città italiane. Nel 2020 cura la pubblicazione di L’immaginario e le epidemie mettendo così in relazione l’immaginario in quanto generatore di realtà con il complesso tema della pandemia di Covid 19 allora in atto e con le epidemie che hanno colpito l’umanità nel corso della sua storia. Termina così questa rassegna parziale che sicuramente dimentica qualche libro e che trascura i saggi su rivista nonché gli acuti editoriali su importanti quotidiani per approdare finalmente al libro di cui ci si deve occupare. Aggiungo solo che mi permetto di suggerire al lettore, che voglia incontrare l’autentico “chi è” di Giandomenico Amendola, di godersi la conferenza Le anime della città. Modelli e principi della metropoli postmoderna da lui tenuta nel dicembre 2010 presso il Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena, visibile su You Tube (http://www.fondazionesancarlo.it).
La città e l’immaginario
Il libro che qui si recensisce si articola in quattro parti, interdipendenti, ed è corredato da una corposa bibliografia interdisciplinare di studi sulla città che rappresenta uno strumento di lavoro indispensabile per chi volesse riprendere e proseguire l’originale percorso analitico proposto da Amendola. La prima parte La città narrata e l’immaginario introduce, sempre contestualizzandola storicamente, la prospettiva narrativa, lato sensu intesa, sottolineandone la capacità descrittiva ed interpretativa riconducibile ad una pluralità di fonti espressive quali la letteratura, la filosofia, la pittura, il cinema. Il testo sottolinea l'importanza storica della narrazione urbana, esaminando come le città siano state descritte e rappresentate nel corso dei secoli. Discute il cambiamento dei media narrativi e il loro impatto sulla percezione della città. Viene data particolare attenzione alla pittura come medium che ha subito notevoli evoluzioni nel modo di rappresentare la città, dalla visione idealizzata del Rinascimento ai ritratti più realistici e critici dell'era moderna. La complessità dei fenomeni sociali, economici, politici e culturali che danno vita alla città nelle varie epoche storiche viene bene evidenziata sia dagli affreschi del Buongoverno dipinti da Ambrogio Lorenzetti nella Siena intorno al 1337 sia da Canaletto che rappresenta nel suo splendore architettonico la Vienna borghese del 1760. Tuttavia, il focus più significativo è posto sulla letteratura e sul suo ruolo nel narrare la città, segnalando come la stampa abbia contribuito alla diffusione di narrazioni urbane arricchite dalla cultura e dai desideri borghesi, evolvendosi nel tempo per riflettere le trasformazioni sociali e politiche. È con l’Illuminismo, tramite la stampa e la diffusione del libro, e poi con l’Ottocento che la città diventa un tema centrale per la letteratura. Amendola esplora anche come la musica, partendo dal Settecento, abbia narrato la città attraverso stili e tecniche che si sono adattati ai cambiamenti urbani, e come il cinema abbia registrato le trasformazioni fisiche e culturali delle metropoli, diventando un veicolo potente per narrare i sogni, gli incubi e le dinamiche urbane.
Fondamentali sono le pagine del paragrafo La città e l’immaginario perché introducono, insieme a quella di genius loci, la categoria dell’immaginario sulla cui definizione e sulla cui valenza euristica merita soffermarsi brevemente seguendo il nostro autore che, come abbiamo visto sopra, la utilizza in molte delle sue opere. «La città vive ed è vissuta attraverso l’immaginario che non è composto da tutti i luoghi e da tutte le immagini; non è la proiezione fedele della città reale ma è l’esito della composizione variabile delle narrazioni, delle pratiche e delle esperienze della sua gente. Sono immagini e racconti che nel tempo vengono unificati nell’immaginario che costituisce la lente attraverso cui desideriamo, incontriamo, viviamo la città. L’immaginario muta continuamente nella storia, segnato dagli eventi e dai cambiamenti della cultura e dalle trasformazioni sociali, modificato dalle esperienze, dalle paure, dalle speranze (pp.21-2). Parole che inducono, peraltro, a considerare l’ambiguità fascinosa della nozione di immaginario collettivo in quanto rimanda ad un insieme di rappresentazioni del mondo sociale e delle sue espressioni materiali e simboliche, a volte anche contraddittorie. Opportunamente, ad esempio, Cornelius Castoriadis (L’institution imaginaire de la Société, 1975) sottolinea che l’immaginario non è mera rappresentazione di qualcosa ma piuttosto creazione incessante di forme e di icone. Castoriadis storicizza l’immaginario sociale e lo identifica con uno specifico modus vivendi, fondamentale per l‘integrazione e per l’ordine di una società. L'immaginario svolge diverse funzioni cruciali sul piano collettivo. Va per certo associato ad un processo di formazione del consenso e della condivisione intersoggettiva. Agisce come un meccanismo di coesione sociale, fornendo un linguaggio comune attraverso cui la comunità può comunicare e condividere esperienze. In secondo luogo, facilita la navigazione e l'interpretazione della realtà, offrendo schemi attraverso cui gli individui possono organizzare e dare senso alle loro percezioni e alle loro esperienze. Infine, l'immaginario ha un potente ruolo nella proiezione verso il futuro, permettendo alle persone di immaginare alternative, aspirare a scenari diversi e mobilitarsi per il cambiamento. In sintesi: il concetto di immaginario, in particolare l'immaginario urbano, riveste un ruolo centrale nella comprensione delle città e della vita sociale. L'immaginario si riferisce a quell'insieme di immagini, simboli, idee e narrazioni che una comunità condivide e attraverso il quale dà significato alla realtà che la circonda. Non è semplicemente una collezione di immagini mentali, ma un vero e proprio sistema di costruzione della realtà che informa e guida la percezione delle persone, le loro azioni e le loro relazioni con lo spazio e con gli altri.
Quando applicato alla città, l'immaginario urbano diventa uno strumento potente per decifrare come gli spazi urbani sono vissuti, percepiti e rappresentati dagli individui. La città, in quanto spazio fisico, è anche un testo ricco di significati, un palinsesto di storie, memorie e aspirazioni. L'immaginario urbano contribuisce a formare queste narrazioni, influenzando non solo come gli abitanti vivono la città ma anche come questa viene pianificata e costruita. Attraverso l'immaginario, la città trascende la sua materialità per diventare un luogo di possibilità, un campo di tensione tra il reale e il possibile, tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. L'immaginario è anche intimamente legato al potere. Le rappresentazioni dominanti possono influenzare profondamente le pratiche urbane, dalla pianificazione degli spazi alla promozione del turismo, dalla conservazione del patrimonio alla rigenerazione urbana. I gruppi al potere possono utilizzare l'immaginario per consolidare la loro posizione, mentre i gruppi marginalizzati possono ricorrere all'immaginario come strumento di resistenza e di affermazione identitaria. L'immaginario urbano è in costante evoluzione, modellato da processi storici, culturali, sociali ed economici. Media, arte, letteratura, cinema e le tecnologie digitali giocano un ruolo cruciale nella creazione e nella diffusione delle immagini e delle narrazioni che lo costituiscono. Questi strumenti non solo riflettono ma anche contribuiscono a plasmare la comprensione della città, evidenziando il carattere dinamico e costruito dell'immaginario. In conclusione, l'immaginario è un concetto fondamentale per comprendere come gli individui e le comunità interpretino e diano significato al mondo che li circonda. Nel contesto urbano, l'immaginario si rivela uno strumento essenziale per esplorare la relazione complessa tra spazio, identità e potere, offrendo spunti preziosi per indagare le molteplici facce della vita in città.
Si constata, ancora una volta, come al centro della riflessione di Amendola stia la città occidentale, vero motore del mutamento economico, sociale e culturale, nella sua materializzazione spaziale. La letteratura agisce come una potente lente di lettura della modernità urbana e dei miti che ne segnano l’immaginario collettivo. Esempi paradigmatici prediletti dal nostro autore: «il mito di Parigi città delle luci, di Londra prima città del mondo - per Stevenson “uno scintillante geroglifico”- , della New York città dell’ambizione, città simbolo esperibile della modernità dove tutto è possibile, di Los Angeles capitale della postmodernità - città profetica ovvero città prototipo - , della Vienna città della cultura e della musica, della Firenze città dell’arte, della Roma il cui mito di simbolo della storia universale si è formato nel Rinascimento. Spesso ci si comporta in maniera coerente all’immagine dominante della città. A Milano si corre e si compra, a Venezia ci si innamora, a Parigi si cerca il piacere» (p.23). Nei paragrafi dedicati a Il romanzo urbano e a Il romanzo e la sociologia viene avanzata la tesi secondo cui a partire dal romanzo francese e inglese gli scrittori elaborano una loro rappresentazione della città che contribuisce ad una lettura formativa e ad una coscienza di che cosa è la città per i loro lettori. Dickens ha fornito alla borghesia dell’Inghilterra vittoriana una consapevolezza della propria identità sociale e, soprattutto, la capacità di confrontarsi con la città dei miserabili di cui, naturalmente, i borghesi non avevano mai fatto esperienza. La letteratura, mentre fa riferimento alla realtà visibile della città, intreccia storia e fantasia e così facendo origina l’immaginario che dà senso al complicato vissuto dei suoi abitanti. La narrazione romanzata si collega poi alle scienze sociali che adottano, invece, un approccio di studio ed applicano alla riflessione sulla città un metodo scientifico. Amendola si intrattiene qui e ripetutamente nel libro, come meglio si vedrà infra, sulla relazione tra la letteratura della città e la sociologia urbana e di questo intreccio sottolinea l’aspetto fecondo.
La città e il mito
La seconda parte rappresenta la spina dorsale del libro, in qualità ed in quantità, con le sue 85 pagine. Dopo un primo paragrafo propedeutico su La creazione del mito, Amendola ci guida ad una lettura delle principali metropoli europee e precisamente Parigi, Berlino, Vienna, San Pietroburgo, Dublino, Londra alle quali affianca una serie di osservazioni dedicate a New York e a Los Angeles. Va ricordato che μῦϑος nel greco antico significa narrazione. Più precisamente narrazione fantastica che non reclama una dimostrazione razionale. Si tratta di una narrazione investita da “sacralità” relative alle forme che una società ha maturato per effetto di processi culturali, economici e politici che l’hanno definita nel tempo. Il mito è un principio ordinatore di una realtà complessa. La metropoli. è un caleidoscopio in perenne mutamento. Il mito elaborato dalla collettività degli abitanti, e soprattutto da chi ne coglie l’essenza multiforme e la narra nei suoi romanzi o la riproduce nei suoi quadri o la documenta nei suoi film, risponde al bisogno naturale dell’uomo di dare un significato alla sua identità di atomo nella folla. Il mito urbano è un mito eziologico che descrive l’origine della modernità e svela le dinamiche fondamentali che alimentano la sua convulsa quotidianità. Platone ci ha insegnato che spesso il mito si contrappone alla verità della realtà. Il mito urbano esalta una parte della vita della città, la trasforma in un’illusione vissuta dagli abitanti per attenuare gli effetti perversi di un processo di trasformazione apparentemente senza fine che produce diseguaglianze e marginalità così profonde da giustificare la metafora della giungla. Dunque le lenti di lettura della città sono plurime: reale e simbolico si confondono. Spesso i miti avvalorati da monumenti, da storia e da leggende sono tendenzialmente eterni anche perché non reclamano delle verifiche. Ma il mito urbano non può non riflettere le reali dinamiche di mutamento della città e dunque, mentre muta insieme ad essa, manifesta anche una sua caducità inarrestabile. In queste stesse pagine tra i.compagni di viaggio di Amendola troviamo - tra gli altri - Roger Caillois (1913-1978), Friedrich Nietzsche(1844-1900), Victor Hugo (1802-1885), Walter Benjamin (1892-1940), Gustave Kahn (1859-1936). Un coro di scrittori e di artisti dà vita al mito di Parigi. Il mito di Parigi si costruisce a partire dal Settecento, ed assume una molteplicità di volti. La vita reale della città viene trasfigurata dalla narrazione letteraria affascinata dalla modernità tecnologica e dall’evoluzione urbanistica dovuta alle ambivalenti trasformazioni di Haussmann definite dagli stessi parigini “l’embellissement stratégique”. Balzac è il mitografo che osserva Parigi con gli occhi di un visionario appassionato. Viene anche ricordata la letteratura anti-mito, radicata nel culto della Gemeinschaft di cui sono alfieri Voltaire, Restif de la Bretonne e Rousseau. Per Rousseau Parigi è «città di rumori, di fumi e di fango, dove le donne non credono più all’onore e gli uomini alla virtù». La Ville Lumière è anche la città del piacere e la capitale della depravazione e della corruzione. Ma queste critiche sono dissolte nelle visioni mitizzanti di Benjamin che nei suoi saggi sui mutamenti economici, sociali e culturali della Parigi del secondo impero la vede come la capitale della civilizzazione del mondo, moderna sintesi dei valori fondamentali della civiltà occidentale. Analogamente Baudelaire fa di Parigi il simbolo per eccellenza della modernità e la definisce “brulicante città piena di sogni” (anche se descrive, con partecipazione, la tragica realtà delle profonde differenze di classe che la popolano).
Ancora più suggestive, forse, sono le sensazioni di alcuni scrittori Henry Miller, Gertrude Stein, Ernest Hemingway, figli della cultura nord americana fatta di un “presente” banale e frettoloso, che sperimentano con entusiastico stupore nell’atmosfera senza tempo di Parigi la loro creatività artistica: per loro Parigi sarà a moveable feast. Parigi è la città dai mille volti che verranno descritti da Sinclair Lewis (1885-1951. La sua Parigi è una metropoli formata dai sei città distinte. La Parigi turistica si mescola con la Parigi degli studenti e degli artisti sia quelli autentici sia quelli finti, persi nell’alcol e nelle illusioni. La quinta Parigi è quella cosmopolita e mondana che vive anche grazie al lavoro silenzioso, svolto giorno dopo giorno, da una Parigi formicaio fatta da mille artigiani, bottegai di ogni tipo, verdurai, fornai, monadi ignote di una folla in perenne movimento. In breve, secondo Roland Barthes (1915-1980), ed insieme a lui secondo Amendola, letteratura, cinema, fotografia, cronaca e pubblicità alimentano un mito di Parigi che non resterà mai identico a sé stesso.
La città fra sociologia e letteratura
Gli autori di cui sopra richiamano la vasta quantità di libri e di fonti che Amendola ha compulsato con passione acribica per costruire il suo mosaico narrativo. E qui si affacciano i perché Amendola ha scelto questo itinerario da urbanologist mosaicista? Perché, pur essendo un sociologo di professione, per legare i frammenti multicolori che compongono il suo mosaico non usa come legante la sociologia? A questo proposito merita sottolineare che dei 318 autori citati nel corso del libro solamente 21 sono sociologi e che tra questi solo 7 sono quelli che si possono dire sociologi della città in un senso proprio; più precisamente si tratta di William Thomas (1863-1947), Robert E. Park (1864-1944), Louis Wirth (1897-1952) [tutti e tre esponenti di spicco della Scuola Ecologica di Chicago e fondatori della sociologia urbana americana], Georg Simmel (1858-1918), Lewis Mumford (1895-1990), Henri Lefebvre (1901-1991) ed infine Herbert Gans (1927-). A conferma delle distanze che Amendola ha scelto di prendere dall’approccio sociologico sta anche la classifica degli autori con 10 citazioni ed oltre: Charles Boudelaire (20), Walter Benjamin (16), Georg Simmel con le sue 16 citazioni è l’unico sociologo, Charles Dickens (13), Victor Hugo (10), Walt Whitman (10). Viene così confermata un’opzione di metodo che dà senso al libro. Come Amendola stesso ci dice: «La letteratura, e in particolare, i romanzi non offrono solo una rappresentazione della città e delle sue trasformazioni ma costituiscono un elemento fondamentale dell’immagine della città che entrerà rapidamente nella visione collettiva. La città che soprattutto nel “secolo lungo” entra nell’immaginario collettivo è prodotta in larga misura dalla narrazione letteraria» (p. 27). Amendola si colloca così nella scia di uno dei principali esponenti della scuola di ecologia urbana di Chicago: Robert Park. La Scuola di Chicago costituisce il primo tentativo di indagine e di interpretazione dell’esplosione metropolitana portato avanti con sistematicità su una pluralità di temi di ricerca negli anni che vanno dal 1916 al 1939. La figura di ricercatore e di studioso di Park rappresenta bene lo spirito che animò la scuola. Park militò da prima fra i muckrakers - cioè fra i giornalisti “rimesta-letame” - che descrivevano e denunciavano le miserevoli condizioni di vita di alcuni strati degli abitanti delle grandi città. Dopo aver studiato in Germania con Simmel, disegnò le basi teoriche del vasto programma di ricerche della Scuola pubblicato nel classico volume The City (1925) insieme a E. W. Burgess e R. D. McKenzie. Ebbene è Park a suggerire che «noi abbiamo un debito verso gli autori di fiction perché ci hanno consentito una conoscenza più intima della vita urbana contemporanea. Ma la vita delle nostre città richiede ricerche ed uno studio disinteressato persino più di quello che ci ha dato Émile Zola con i suoi romanzi “sperimentali” e con gli annali della famiglia Rougon-Macquart» (p. 32).
Visto che questa prospettiva analitica è una specie di pietra angolare fondativa del metodo prescelto da Amendola, merita aprire una parentesi per approfondirla. Non si può affidare una questione delicata e complessa come la riflessione sulla città ed il suo immaginario.ad un campo specifico del sapere come la sociologia. La ricostruzione delle dinamiche che caratterizzano lo sviluppo della metropoli occidentale moderna e la loro contestualizzazione storica e culturale necessitano di un superamento e di un attraversamento dei confini disciplinari usuali. La chimera della interdisciplinarietà ritorna con prepotenza sulla scena in un’epoca come la nostra dove la crisi di senso si fa assai acuta, al punto di reclamare qualcosa di diverso e di innovativo. In breve: il politeismo metodologico ha da essere l’ago della bussola di chi decide di studiare la città moderna nelle sue mille forme. Amendola, seguendo le indicazioni di Park e quelle, più recenti, di Pierre Lassave e di Wolf Lepenies, ci propone un’innovazione analitica suggerita da un intreccio tra letteratura e sociologia. Più precisamente si perviene ad un uso della letteratura vista come un serbatoio ricco di osservazioni leggibili anche tramite le lenti delle scienze sociali. È noto che la letteratura è stata capace di attivare quella facoltà analitica particolare che si chiama immaginazione sociologica. Si può parlare di un’affinità e perfino di una complementarità tra immaginazione letteraria e immaginazione sociologica che conduce ad una sovrapposizione feconda tra letteratura e sociologia. «Nello sforzo di comprendere e far capire la straordinaria novità rappresentata dalla città e attraverso questa, dalla società intera, i romanzi urbani anticipano i grandi temi che la sociologia a partire dalla fine dell’Ottocento farà propri… È attraverso le pagine dei romanzi urbani che c’è la possibilità, preziosa per i sociologi, di leggere la città tramite le esperienze, i desideri e le paure della sua gente. Ciò che la letteratura del secolo lungo consegna alla sociologia sono la voglia e la capacità di guardare la città dal basso, con gli occhi del protagonista. Il grande tema dell’esperienza passa dalle pagine dei romanzi a quelle dei grandi saggi delle giovani scienze sociali» (p.34).
La relazione tra sociologia e letteratura è di antica data. Il ricorso all’espressione letteraria ispira scienziati sociali di fama che l’adottano per aprirsi alla conoscenza di alcuni aspetti della società particolarmente importanti. Un esempio classico è quello de La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) dove Friedrich Engels si avvale di una tecnica da osservatore partecipante-romanziere che narra le condizioni di vita e di lavoro degli operai nelle grandi città industrializzate. In tempi più recenti la valorizzazione delle metodologie qualitative nella ricerca sociologica comporta il ricorso allo storytelling ed incoraggia, ulteriormente, l’osmosi tra letteratura e sociologia. Per meglio dire il sociologo si è accorto che la scrittura letteraria ha una capacità descrittiva ed interpretativa del mondo sociale che è in grado di confrontarsi con le sue pretese capacità di scienziato. Ci si trova spesso di fronte a prodotti letterari in cui lo scrittore utilizza un materiale rilevato dalla propria esperienza autobiografica e lo propone con uno stile da osservatore, così come avviene nella scrittura sociologica. Il metodo dello scrittore di solito oltrepassa la dimensione logica, oggettiva, che sta a fondamento della ricerca. Lo scrittore elabora una rappresentazione della realtà dove confluiscono aspetti soggettivi quali intuizione, curiosità, immaginazione. L’irruzione della soggettività è comunque un dato che accompagna anche il percorso della ricerca sociologica. Idiosincrasie, passioni ed introspezione non sono estranee al lavoro creativo dello scienziato sociale e si intrecciano con distanza, impersonalità, avalutatività che sostengono il suo metodo di lavoro e lo incoraggiano ad una percezione meno convenzionale del mondo che lo circonda. È banale ricordare che senza intuizione e senza una qualche forma di straniamento conoscitivo, anche per le scienze sociali, non si perviene alla scoperta di lati inediti della realtà. I mondi narrati suggeriscono una comprensione approfondita del mondo reale e ciò sembra particolarmente significativo quando si affronti uno scenario così complesso e in rapida e radicale trasformazione come lo scenario urbano. Naturalmente ogni scrittore (ma anche ogni scienziato sociale) ha una sua identità cui fare riferimento come risorsa che gli permette di esprimersi tramite una narrazione (o un tipo di ricerca) che corrisponde ad una cifra stilistica specifica. Se si accetta tale principio allora per decodificare il significato di un’opera è conveniente, preliminarmente, riflettere su alcuni aspetti che possono fare meglio comprendere ed interpretare la soggettività di un autore e di conseguenza il senso e la peculiarità della sua narrazione.
Nell’economia generale del testo che si recensisce appare evidente che due sono le principali città-mito per Amendola: dopo Parigi, New York. Le osservazioni che ci propone sulla Grande Mela confermano la natura di autobiogéographie del libro nel senso che, tra le righe, si intravvede l’autore mentre passeggia in un luogo amato, una vera e propria seconda heimat. Ma di questo paesaggio metropolitano, da lui vissuto intensamente in prima persona (nel 1989 era stato docente alla Columbia University), per uno strano pudore preferisce parlino i suoi ideali compagni di viaggio che probabilmente lo hanno accompagnato anche allora. A New York sono dedicati i paragrafi Il sogno americano, New York e Los Angeles, Viaggiatori a New York e Skyscraper e skyline. L’immagine di New York viene disegnata nelle sue luci e nelle sue ombre dalla letteratura, ma il vero fondatore del suo mito è stato Walt Whitman(1819-1892). Per lui, come per Tocqueville, New York è «an image of a democratic process». New York cresce continuamente su sé stessa, senza sosta si distrugge per costruire mentre attira una popolazione eterogenea di milioni di persone coraggiose, ambiziose. È soprattutto «la storia di un sogno» che si realizza grazie alle grandi possibilità offerte dalla più grande città degli Stati Uniti d’America. John Dos Passos (1896-1970), scrittore dal grande impegno civile ed ancorato ai fatti, con il romanzo Manhattan Transfer (1925) descrive la convulsa vita quotidiana di alcuni cittadini protagonisti e vittime di una competizione sfrenata in un contesto sociale privo di umanità tra l’Età dorata e l’Età del jazz. Il disincanto pervade anche le pagine di Henry James e di Henry Miller affascinati dal gigantismo delle architetture newyorchesi ed intristiti dalla «sua solitudine immensa e ghiacciata di milioni di passi». Ciononostante il mito che New York fa proprio è quello della terra promessa e del melting pot, vero crogiolo della società multietnica e multirazziale. Parlando di New York giustamente Amendola cita anche il grande Lewis Mumford che viene qui evocato (cfr. p.82 e spec. pp.93-4,) per un capitolo del volume New York Panorama pubblicato nel 1938 e voluto dal Federal Writers’ Project per incoraggiare il lavoro degli scrittori dopo la grande crisi del 1929. Fondamentali rimangono le note pungenti di Passeggiando per New York. Scritti sull’architettura della città (edizione italiana, Donzelli, 2000). Mumford, critico architettonico del New Yorker, il settimanale che ha ospitato per trent'anni le pagine sferzanti della sua rubrica "Sky Line", da eclettico rappresentante dell'élite intellettuale newyorkese e da sociologo, ci ha lasciato pagine in cui l'architettura incontra la tecnologia, ma anche la biografia, la filosofia e la critica letteraria. Dunque, un punto di vista analitico che combacia perfettamente con quello adottato da Amendola con il quale condivide anche una vocazione interdisciplinare, che per entrambi si affina sul tema prediletto della città e della modernità. La riflessione di Mumford è focalizzata attorno ai modi della costruzione di una grande città del XX secolo, e in particolare della New York in quel cruciale decennio di crisi e mutamento che furono gli anni Trenta. Si tratta di un mutamento che Mumford spesso non apprezza e che qui denuncia con il piglio aggressivo del cronista. Musei, teatri, ponti, parchi, grattacieli, ristoranti, gallerie, il Radio City Music Hall e il Rockefeller Center ci sfilano sotto gli occhi; sono i mostri sacri che fanno di New York, nel bene e nel male, il simbolo dell'urbanesimo contemporaneo. Animati da un entusiasmo ironico, questi scritti rappresentano una splendida, puntualissima guida per chi voglia passeggiare per capire New York e rimangono a testimonianza viva di un grande pensatore che non ha mai rinunciato a interrogarsi sul senso civile del vivere e del convivere nel mondo speciale della grande città.
Michel Butor sosteneva che le génie du lieu è «la sua capacità di fecondare la scrittura letteraria». L’incontro di alcuni scrittori ed artisti con New York genera emozioni inedite ed una geografia affettiva che consente di cogliere in tutta la sua intensità la stimmung di una metropoli unica al mondo. Amendola passa in rassegna le differenti impressioni di viaggiatori straordinari quando arrivano a New York: Edgar Morin, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, García Lorca, Le Corbusier, Pier Paolo Pasolini, Giorgio de Chirico. Il grattacielo è il simbolo materializzato del progresso e del sogno che lo nutre. Nel 1932 Scott Fitzgerald dedica al protagonista dello skyline un suo inno: «Dalle rovine, solo ed inesplicabile come la sfinge, sorse l’Empire State Building». Lo skyline impressiona anche Italo Calvino nel suo primo viaggio oltreoceano del 1959: «La noia del viaggio è largamente ripagata dall’emozione dell’arrivo a New York, la più spettacolare visione che sia data di vedere su questa terra. I grattacieli affiorano grigi nel cielo appena chiaro e sembrano enormi rovine d’una mostruosa New York abbandonata di qui a tremila anni. Poi, poco a poco, si distinguono i colori diversi da qualunque idea che uno se ne faceva, e un complicatissimo disegno di forme. Tutto è silenzioso e deserto, poi si cominciano a veder scorrere le auto».
Gli occhi sulla città
La terza parte del libro si snoda agilmente tramite cinque paragrafi (Il detective e la folla, Il flâneur, Il flâneur nel cinema e nei romanzi, Il racconto dei pittori e dei fotografi, I comics) che permettono ad Amendola di corredare la sua analisi con una serie ricchissima di riferimenti provenienti da prospettive le più svariate ma convergenti nel lumeggiare la magia fantasmagorica della vita urbana. La metropoli è soprattutto lo spazio dove si muove una folla multicolore ed impenetrabile, la “multitude famélique” che anima un caos vitale. Edgar Allan Poe (1809-1849) con il racconto. The Man of the Crowd (1840) fa dell’uomo nella folla una sorta di proto-flâneur e redige «una sorta di manuale per investigare e capire la metropoli moderna. «Nel racconto di Poe si trovano l’attenzione ai particolari e la precisione propria delle ricerche sociologiche del secolo successivo. L’osservatore nell’inseguimento dell’uomo misterioso analizza e classifica sulla base dell’abbigliamento o del comportamento le persone che incontra […]. La folla sovente considerata uno dei prodotti negativi della città moderna, viene così riproposta come straordinario strumento conoscitivo» (p.98). Ma il vero esploratore della città è il flâneur. Come è noto il termine è stato coniato da Charles Baudelaire e viene applicato ad un abitante speciale che cammina senza fretta e senza una meta nelle strade provando sensazioni ed emozioni mentre osserva il paesaggio; emozioni che poi narrerà. Baudelaire riteneva che la complessità dovuta al mutamento economico e sociale esigeva che l’artista si immergesse nella metropoli e si trasformasse in un “botanico del marciapiede” per conoscere a fondo questo mondo nuovo. Anche per Benjamin il flâneur è una figura prodotta dalla modernità e dalla rivoluzione industriale che è anche rivoluzione urbana. Il suo flâneur è un borghese con il quale, suo malgrado, si identifica. Grazie alle sue lunghe passeggiate attraverso le vie di Parigi raccoglie infinite osservazioni che confluiranno nell’opera incompiuta Passagen-Werk. Il flâneur è una specie di detective dilettante. «Il flâneur legge la città. Nel far ciò egli è guidato dalle strade e dagli edifici esattamente come un lettore è guidato dal testo […] Parigi è la grande sala di lettura di una biblioteca traversata dalla Senna». Barthes osserva che «colui che si sposta nella città è una sorta di lettore», si introduce così la metafora della città e del suo racconto come libro; una metafora che meriterebbe una trattazione ad hoc nella declinazione fatta da differenti scrittori. «Le analisi e gli studi sul flâneur, e quindi la letteratura che lo riguarda, ci permettono di cogliere l’esteriorità della città ma anche e soprattutto il punto di vista e l’esperienza del soggetto che la vive» (p.103). Balzac scrive che «Flâner è una scienza, è la gastronomia dell’occhio. Andare a passeggio è vegetare; flâner è vivere». La città viene così esplorata dal basso e questo tipo di esplorazione è un espressione di libertà e di democrazia perché il cittadino che passeggia sperimenta una conquista riflessiva dello spazio urbano. Merita ricordare l’elenco dei flâneur le cui impressioni vengono puntualmente registrate da Amendola. Oltre a quelli ora citati troviamo Restif de la Bretonne (1734-1806), Edmondo De Amicis (!846-1908), Ernest Hemingway (1899-1961), Henry Miller (1891-1980), Guy Debord (1931-1994) ed i situazionisti che cercano nel vagare a piedi per la città degli spazi interstiziali liberi, non dominati dal capitale e dalla cultura consumista. Infine, ci si sofferma su una attualizzazione della tematica del flâneur da parte di un antropologo gesuita Michel de Certeau (1925-1986) che senza dubbio ha influenzato in modo significativo Amendola in quanto sociologo che si è dedicato alla progettazione urbana. Nel suo L’invention du quotidien.(1981) c’è un capitolo “Camminando nella città” che descrive la città come concetto elaborato da una pluralità di enti per pianificarla ma senza che siano in grado di averne una reale conoscenza. Il pedone, invece, che la vive vagando per strada senza una meta percepisce la sua realtà effettiva fatta di relazioni, rumori e di odori. «de Certeau propone come suggerimento per l’urbanista ed in genere per chi voglia capire e trasformare la città contemporanea, la figura mitica di Teseo, figlio di Dedalo, che sfidò e vinse il labirinto. Torna in tal modo l’idea costante della città moderna vista come un labirinto che bisogna attraversare con l’esperienza e la ragione. Il pedone, sia esso un abitante o un visitatore, non può vedere l’intera città perché è in un labirinto, ne può vedere solo frammenti e particolari – di questo è fatta l’esperienza-integrata da quelle che lo stesso de Certeau chiama “rhéthorique piétonniers”. Se la città la si guarda dall’alto come l’Icaro-urbanista, essa si riduce ad una mappa senza la parola» (p.107). Il flâneur ci racconta la città e contribuisce a disegnare il suo immaginario che è poi parte di quella entità inafferrabile - ma fondamentale per leggerla - che viene definita l’anima della città.
La quarta parte del libro, intitolata Idee sparse, raccoglie sessanta citazioni sulla città, meglio sarebbe dire che si tratta di un florilegio di sessanta satori illuminanti su Parigi, Vienna, Praga, Berlino, Londra, New York, Los Angeles dovuti a scrittori, filosofi, pittori. Dunque si tratta di altre tessere che Amendola aggiunge a quelle usate per costruire il suo discorso-mosaico sull’immaginario urbano nella convinzione che, come lui dice, «spesso una frase o una citazione sono in grado di trasmettere un’idea meglio e più rapidamente di molte pagine». È probabile che si tratti di un campione di pensieri estratti da un archivio sconfinato e prezioso che Amendola si è costruito nel corso degli anni nell’intento di scoprire il segreto del fenomeno città tramite un dialogo continuo con alcuni suoi visitatori straordinari. Forse ispirandosi.al suggerimento di Georges Perec quando in Specie di spazi (1989) scriveva: «Metodo: bisognerebbe, o rinunciare a parlare della città, o costringersi a parlarne il più semplicemente possibile, a parlarne in modo ovvio, familiare. Scacciare ogni idea preconcetta. Smettere di pensare in termini bell’e fatti, dimenticare quanto è stato detto dagli urbanisti e dai sociologi».
Per concludere: un corollario di natura comparativa
Al fine di sottolineare il valore ed il significato di questo libro sembra opportuno confrontarlo con un libro precedente dall’impianto metodologico affine. Parliamo di Sguardi sulla città moderna. Narrazioni e rappresentazioni di urbanisti, sociologi, scrittori e artisti pubblicato da Amendola nel 2019 con l’editore Dedalo. Il confronto offre un'opportunità per esplorare in profondità il tema della città come soggetto narrativo e come entità in continuo cambiamento. Anche qui la città viene analizzata come una matrice complessa che influenza la cultura, l'arte, la sociologia e l'immaginario collettivo. Dunque entrambi i libri condividono un nucleo tematico comune: la città non è semplicemente uno spazio fisico ma un organismo che respira, che si evolve ed influisce sulla vita di chi lo abita. Le prospettive adottate nei due testi illuminano, tuttavia, aspetti diversi permettendo di approfondire la comprensione della città come spazio narrativo e come oggetto di narrazione. I due libri fanno chiaramente parte di un progetto che si svolge in due fasi complementari e che si è attuato con una continuità di metodo che conferma l’alto profilo dell’autore. Nel libro del 2019 l'enfasi viene posta sulla città come oggetto di studio interdisciplinare, dove urbanisti, sociologi, artisti e letterati convergono nel tentativo di decifrarne la complessità. La città diventa un palcoscenico su cui si svolgono le storie di vita, i sogni, le aspirazioni e le paure dei suoi abitanti. Qui Amendola affronta in maniera innovativa ed interdisciplinare il tema della profonda trasformazione delle città per effetto del processo di modernizzazione. I grandi cambiamenti dovuti alla rivoluzione industriale e all'ascesa della borghesia non investono solo la forma fisica e l'organizzazione sociale delle città, ma anche la coscienza dei loro abitanti. Sono mutati la cultura e i modi con cui la città è vista e raffigurata, sono cambiati gli sguardi. La grande trasformazione viene rappresentata da poeti, romanzieri, pittori, fotografi e musicisti che, diversamente dagli urbanisti e dai sociologi, vedono la metropoli con l'occhio dell’artista cogliendone varietà e ricchezza talvolta meglio degli esperti. Cinque anni dopo La città: immagini e immaginari approfondisce il ruolo specifico delle narrazioni letterarie, pittoriche, cinematografiche, et aliud nella creazione dell'immaginario urbano. Amendola esplora come la città sia stata rappresentata e trasformata nelle narrazioni, influenzando la percezione che le persone hanno del tessuto urbano dove vivono la loro quotidianità. Le narrazioni diventano quindi non solo un mezzo per comprendere la città, ma anche un potente strumento per costruirne l'immagine ed avvalorarne il mito. Entrambi i libri trattano la città come un’entità dinamica, sottolineando come la sua forma e la sua funzione si siano evoluti nel tempo. Tuttavia, nel 2019 Amendola poneva una particolare attenzione sull'importanza della pianificazione urbana e della governance nella modellazione dello spazio cittadino, esaminando le strategie attraverso cui le grandi città cercano di adattarsi ai cambiamenti socio-economici e culturali.
Nel 2024, invece, Amendola si concentra maggiormente sulle trasformazioni dell'immaginario urbano attraverso il tempo, evidenziando come le narrazioni siano un riflesso delle trasformazioni ma, nello stesso tempo, abbiano contribuito a modellarle e a farle percepire nella coscienza collettiva degli abitanti. È in questo libro che si esplora in modo approfondito come i miti urbani siano stati creati ed alimentati dalle narrazioni, diventando parte integrante dell'identità della città. Va infine ribadito che la comparazione fra i due testi vede una convergenza nell’adozione di un approccio interdisciplinare nello studio della città. Nel 2019 Amendola evidenziava l'intersezione tra urbanistica, sociologia e arte come approccio fondamentale per una comprensione olistica della città. Il punto chiave è che solo attraverso un dialogo tra discipline è possibile affrontare le sfide urbane contemporanee in un modo efficace. Nel 2024 viene ripreso ed esteso il discorso sull'interdisciplinarietà, con l’esplorazione di differenti forme di narrazione. L'accento viene posto sulla capacità di ogni medium di narrare la città da una prospettiva specifica, arricchendo così la comprensione collettiva dello spazio urbano e le possibilità di progettarlo a beneficio dei suoi abitanti. Insomma è difficile non suggerire al lettore di dedicarsi ad entrambi i libri che, nella loro ricca complementarità, attestano la straordinaria passione con la quale Amendola da sempre descrive ed interpreta la città da sociologo colto, aperto sia al contributo delle altre scienze sociali sia alle suggestioni letterarie ed artistiche purché lo aiutino a sostenere e a realizzare con dignità e rigore il suo beruf.
Gianfranco Bettin Lattes
N.d.C. Gianfranco Bettin Lattes è stato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze Politiche “C.Alfieri” di Firenze, dove ha svolto anche gli insegnamenti di Sociologia urbana e di Sistemi Sociali Comparati. Dal 1987 al 2002 ha diretto la collana "Biblioteca di Sociologia" della casa editrice Cedam di Padova. Dal 1988 al 1991 ha ricoperto la carica di Direttore del Dipartimento di Scienza Politica e Sociologia Politica (DISPO). Per il triennio 1996-1999 è stato eletto Coordinatore della Sezione di Sociologia Politica dell’A.I.S. Dal 2010 al 2022 ha diretto «SocietàMutamentoPolitica. Rivista italiana di sociologia», rivista open access da lui fondata e pubblicata dalla Firenze University Press.
Tra i suoi scritti: Partito e comunità locale (il Mulino,1970); (a cura di) Sociologia e città (Cedam,1978); I sociologi della città (il Mulino,1979); Classi e potere (Uniedit,1979); Metamorfosi urbane (Cedam,1984); con A. Magnier, Il consigliere comunale (Cedam, 1989) e Chi governa la citta? (Cedam, 1991); (a cura di) Classe politica e città (Cedam,1993); (a cura di) La società degli Europei. Lezioni di sociologia comparata (Monduzzi,1995); con F.Ortega, J. Castillo, Fundamentos de Sociologia (Editorial Sintesis,1996); (a cura di), Giovani e democrazia in Europa, 2 voll. (Cedam, 1999); Giovani Jeunes Jòvenes. Rapporto di ricerca sulle nuove generazioni e la politica nell’Europa del Sud (Firenze University Press, 2001; (a cura di), La politica acerba. Saggi sull’identità civica dei giovani (Rubbettino, 2001); Mutamenti in Europa (Monduzzi, 2002); Europa. Pensieri e parole di sociologia (Monduzzi, 2009); (a cura di), Per leggere la società (Firenze University Press, 2003); con E. Recchi, Comparing European Societies towards a Sociology of the EU (Monduzzi, 2005); con J. F. Tezanos, Los nuevos europeos: tendencias en ciudadania, identidades y exclusion social en los jovenes europeos in “Sistema”, 197-198 (Mayo 2007); con A. Pirni e S. Monti Bragadin, Tra il Palazzo e la strada. Gioventù e democrazia nella società europea (Rubbettino, 2008); Generazione Erasmus? (Firenze University Press, 2008); con L. Raffini, Manuale di Sociologia, 2voll. (Cedam, 2011); Amicizia: la riflessione di un intellettuale del Medioevo per un sentimento fondamentale di ogni epoca in “Cahiers di Scienze Sociali”, II, n.3, 2015, 2-13; “L’amicizia platonica in Colombaria oggi”, 2020, 1-15; Le amicizie di Aristotele in “Cahiers di Scienze Sociali”, VII, n.14, 2020, 14- 48; L’amicizia di Cicerone al bivio tra virtus ed utilitas in “Cahiers di Scienze Sociali”, VIII, n.16, 2021, 16-56; L’amicizia fragile (secondo Edmondo De Amicis) in “Cahiers di Scienze Sociali”, X, n.19, 2023, 54-93; Materiali per una sociologia dell’amicizia in “SocietàMutamentoPolitica”, 14, n.28, 2023, 113-125.
Sui libri di Giandomenico Amendola, v. anche: Francesco Indovina, Un giardino delle muse per capire la città (4 ottobre 2019); Francesco Indovina, Post-pandemia? Il futuro è ancora nelle città (12 febbraio 2021); Francesco Indovina, La città è un desiderio, 3 febbraio 2023.
Di Giandomenico Amendola, v. in questa rubrica: La città è fatta di domande (25 giugno 2021); Progettare il futuro della città impresa, 23 settembre 2022.
N. B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 31 MAGGIO 2024 |