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Anime creative. Da Prometeo a Steve Jobs (il Mulino, 2024) - libro affascinante e ricco di suggestioni - è l’ultimo di un percorso di ricerca di Paolo Perulli che vede la pubblicazione ravvicinata di tre volumi: oltre a questo, Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo (il Mulino, 2021) e, con Luciano Vettoretto, Neoplebe, classe creativa, élite (Laterza, 2022). Al centro dei primi due dati alle stampe c’è la crisi del mondo di ieri, dei suoi legami sociali, della sua struttura di classe. In Passaggio al nuovo mondo è presente una dura critica alla globalizzazione che sfocia in uno scenario futuro in cui si prospetta il ribaltamento delle concezioni del capitalismo neoliberista in direzione di una “società glocale intelligente” basata sul benessere collettivo più che sul profitto individuale. La possibilità di questo ribaltamento è attribuita alla “classe creativa” che, insieme all’élite e alla neoplebe, forma la nuova stratificazione del millennio. Il secondo volume, Neoplebe, classe creativa, élite, approfondisce invece, attraverso un’indagine empirica, la reale situazione di questi tre strati sociali nella situazione italiana, comparandola a livello internazionale. Al centro di questo percorso compare sempre la “classe creativa”, che comprende un lungo elenco di professioni, lavori, attività sia nell’ambito delle scienze che delle humanities. È la classe innovatrice per eccellenza a cui si deve l’invenzione di Internet, le applicazioni del digitale, insomma è la protagonista dell’economia della conoscenza.
Anime creative ha dunque solide basi nei testi precedenti che presentano un’analisi e insieme una critica della società attuale. Qui però i “creativi” diventano il vero cuore dell’analisi e della narrazione. Cambia, mi sembra, sensibilmente il modo di definirli nel mondo di oggi rispetto ai libri precedenti. Si parla meno di loro come classe sociale. Il termine “classe creativa” compare raramente. Scrive Perulli: “I creativi non hanno uno status chiaramente identificabile. Sono distinti dall’élite del potere, eppure non formano ancora un gruppo sociale a sé stante consapevole di dover guidare il mondo” (p.15). Non classe, dunque, o almeno non ancora classe per sé, secondo l’accezione marxiana. Piuttosto si tratta di un insieme di persone frammentato, come segmentata è la divisione del lavoro creativo, individui accomunati però dalle stessa “condizione dello spirito”, la creatività appunto. Così si spiega il titolo suggestivo: “Anime creative”.
Per capire che cosa sono i “creativi” oggi, nel nuovo millennio, Perulli procede a ritroso, costruendo una sorta di genealogia della creatività. Si parte da una definizione di “anime creative”, basata sul loro compito o funzione. Citando Simone Weil, il loro compito è “insegnare che cos’è conoscere” (p.7). Un inizio, come dice lo stesso autore, che può sembrare strano, in quanto la filosofa francese, associa la creatività all’ispirazione trascendente, collocandola al di sopra della stessa coscienza, come elemento sacro che avvicina l’essere umano al creatore, a Dio. Nella parola “anima” scelta per dare il titolo al volume c’è la concezione di un principio vitale dell’essere umano, di cui costituisce la parte immateriale, centro del sentimento, ma anche facoltà razionale, dell’intelletto. Creatore è chi crea l’opera, una forma immortale che “sopravviverà alla distruzione degli oggetti e dei soggetti in cui si è tradotta” (p.43). Niente di più diverso da quanto avviene nella realtà sociale odierna, dove i “creativi” occupano il centro della scena mondana. Questo passaggio è fondamentale nel discorso di Perulli.
Il passaggio ai “creativi”, inteso come sostantivo, e non più solo come aggettivo, indica infatti l’affermarsi di una nuova categoria o tipo sociale, che ormai rappresenta “la principale forza produttiva sociale”. Questo passaggio avviene innanzitutto in America, nell’esperienza dell’esilio di un’intera generazione intellettuale a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. È un salto di non poco conto in cui si afferma il valore del successo, il passaggio dall’unicità alla serialità, la commercializzazione. La creatività si allarga a nuove attività e a nuovi soggetti, divenendo una merce come le altre.
I “creativi” come “strato sociale” compaiono solo all’ultimo di un lungo e singolare racconto, nel nuovo millennio, come pronipoti fragili, tecnologizzati e commercializzati dell’eroe mitico che dona il fuoco agli umani, una tecnica per dominare il mondo, per essere poi punito con l’atrocità dell’aquila che gli divora il fegato. Il racconto della creatività inizia dunque con i primi creatori mitici e letterari, Prometeo e Faust; seguono i “padri putativi”, Nietzsche e Schumpeter. Quest’ultimo in Capitalismo socialismo e democrazia del 1942, con il termine “distruzione creatrice” descrive – secondo le sue parole - il "processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova". Definendo forse meglio di chiunque altro l’essenza dello spirito creativo: l’innovazione continua, il cambiamento paradigmatico che caratterizza l’imprenditore capitalistico del primo Novecento.
Il racconto prosegue con i “Giganti” del Novecento, i grandi protagonisti dell’arte, della letteratura, della scienza e della tecnologia (Baudelaire, Picasso, Brancusi, Freud, Joyce, Heisenberg, Einstein, Schӧnberg, Capa, Beckett, Harendt, Warhol, Jobs e molti altri). I giganti sono passati alla storia, sono classici, per essere stati degli innovatori, rivoluzionari, in quasi tutti i campi della scienza e dell’arte. La trattazione non intende essere esaustiva in quanto riguarda in particolare quegli autori, artisti, scienziati che sono emigrati in America dall’Europa, dopo l’avvento del nazismo, e che, nella grande maggioranza, erano di origine ebraica. L’emigrazione è quindi il filo conduttore di questo percorso che lega i “creativi” dell’Europa dei primi decenni del XX secolo al mondo del capitalismo, alla società di massa e dei consumi rappresentata dall’America. È anche una storia di città: da Parigi a New York a San Francisco. Il trespassing, tipico di molti creativi emigrati in America, è il metodo o meglio lo stile adottato anche da Perulli in questo libro. Non è un libro classificabile disciplinarmente: è un po’ sociologico, un po' filosofico, un po' storico, attraversa cioè le discipline. È un libro sempre più necessario oggi, un libro “indisciplinato” che attraversa i confini sempre più ristretti e specialistici delle diverse discipline umanistiche e sociali.
I “creativi” oggi
Torniamo al punto di partenza, alla domanda che cosa sono i “creativi” di oggi. La differenza è netta. Ieri creativi erano i letterati (come Weil e Joyce), l’artista come figura isolata, appartata dal mondo. Oggi i “creativi” sono, come si diceva, la principale forza produttiva che si muove in quasi ogni ambito della sfera mondana. Sono diventati una categoria piuttosto eterogenea che Perulli chiama “formazione creativa”, una sorta di aggregato formato da elementi differenti. L’elenco delle professioni e attività che vi rientrano è lungo. Va dagli artisti di tutte le arti agli scienziati, ai tecnici, agli operatori della cultura e dei media, intercettando anche le professioni del marketing, della moda, dell’intrattenimento. La formazione creativa è senz’altro eterogenea. Ma un tratto comune ce l’ha. I “creativi”, pur nelle loro differenze sono, come dice Perulli, “portatori di una condizione dello spirito che produce effetti universali e può dare speranza al mondo” (p.7). Sono portatori inconsapevoli, ci dice sempre Perulli, perché non conoscono la storia che li precede, non sanno di appartenere a tale tradizione e mancano di un canone. Luc Boltanski ed Ève Chiapello nel Nuovo spirito del capitalismo (1999), libro originale e sorprendente, li consideravano non tanto una categoria professionale, con uno status definito, ma una tribù, un tipo di artista che critica il sistema pur facendone parte. Questi autori scrivono pochi anni prima dell’economista Richard Florida che per primo intitola il suo libro L’ascesa della nuova classe creativa (2002). Secondo Florida, agli inizi del XXI secolo il tipo creativo è “urbano, tecnologico, tollerante”, aperto, liberal, progressista, ma non impegnato in azioni collettive (p.164). Dopo Florida, nei primi vent’anni del nuovo secolo, il grande cambiamento si è concretizzato nelle piattaforme digitali e nel “sapere degli algoritmi” (p.165). Altri caratteri indicati da Perulli: i “creativi” sono spiriti liberi e individualisti, in un clima di febbre dell’autenticità criticata da Lipovetsky, valore culto del XXI secolo. Aggiungerei, dal mio punto di vista, che attualmente si tratta più di una retorica dell’autenticità che spaccia tutto ciò che proviene dall’interno come buono e spontaneo (anche le pose artificiali e studiate per piacere sul web), che ha spodestato perfino il mimetismo fragile dei vari narcisismi. L’idea stessa di creatività cambia, non dote esclusiva di persone eccezionali, ma un sapere utile che si può apprendere e diffondere, anche attraverso istituzioni che trasmettono sapere creativo, il cui modello principe resta la scuola del Bauhaus.
Il racconto genealogico e l’analisi del presente si concludono con uno sguardo sugli scenari futuri. In un mondo dominato dagli algoritmi sembrerebbe facile profetizzare scenari catastrofici per la creatività umana. Invece l’autore ancora ci sorprende con una prospettiva venata di ottimismo che punta su “società glocali intelligenti”, leggere, estroverse, che possono consentirci di uscire dall’incubo alienante della gabbia d’acciaio weberiana. Pur apprezzando gli stimoli intellettuali che questo libro offre ai lettori per delineare un futuro sostenibile, troppo spesso dato per spacciato, mi chiedo su quali basi i “creativi” di oggi da formazione eterogenea possano diventare un attore collettivo unitario capace di favorire questo auspicato cambiamento sociale. I “creativi” descritti da Perulli mi sembrano affini alla “classe artista” delineata da Luc Boltanski e Arnaud Esquerre (Arricchimento: una critica della merce, 2017). Ne fanno parte il mondo dell’arte, degli artisti e degli intermediari dell’arte, ma anche tutte le nuove professioni intellettuali che rappresentano un settore centrale dell’economia dell’arricchimento. L’artista diventa, nelle nuove condizioni strutturali, un ingranaggio del funzionamento del sistema, sfruttato e sfruttatore di sé stesso, commerciante e merce allo stesso tempo. I meccanismi dell’industria culturale, dei social, in questi anni hanno degradato la letteratura, la pittura e gli artisti a fare di sé stessi un brand da vendere sul mercato.
Mentre il passato dei creativi è un racconto con molte luci, il loro futuro nella società della conoscenza mi sembra oscurato da numerose ombre. Anche Perulli solleva importanti interrogativi sul rischio che una diffusione tanto ampia della creatività non sia all’altezza dei suoi solitari progenitori, trasformandosi in un processo di standardizzazione e omologazione seriale. Ma a loro è comunque affidata la speranza che un mondo migliore sia possibile. Questo libro, che solleva il velo sul passato della creatività, è già un primo passo per far emergere una nuova consapevolezza da parte dei “creativi” del proprio ruolo e, chissà, favorirne il passaggio da mero aggregato, o, per citare ancora Marx, classe in sé a classe per sé che decide, sulla base della coscienza del passato, il proprio futuro.
Loredana Sciolla
N.d.C. Loredana Sciolla è professoressa emerita di Sociologia presso l’Università di Torino e membro dell’Accademia delle Scienze di Torino. I suoi interessi scientifici e ambiti di ricerca riguardano l’identità personale e collettiva, i processi di socializzazione, i valori e la cultura civica.
Tra i suoi libri: a cura di, I valori dell’Europa (Treccani, 2021); con P. Torrioni, Sociologia dei processi culturali. Cultura, individui, società (Il Mulino, 2020); Italiani. Stereotipi di casa nostra (Ledizioni, 2020, riedizione con Premessa); con M. Lazar e M. Salvati, a cura di, Europa. Culture e società, III vol. (Treccani, 2018); con M. Salvati, a cura di, L’Italia e le sue regioni (L’età repubblicana), 4 voll. (Treccani, 2015); con M. Ambrosini, Sociologia (Mondadori, 2015, seconda ed. 2019); L’identità a più dimensioni. Il soggetto e la trasformazione dei legami sociali (Ediesse, 2010); a cura di, Processi e trasformazioni sociali. La società europea dagli anni Sessanta ad oggi (Laterza, 2009); con F. Garelli e A. Palmonari, La socializzazione flessibile. Valori e identità tra i giovani (il Mulino, 2006); con M. D’Agati, La cittadinanza a scuola. Fiducia, impegno pubblico e valori civili (Rosenberg & Sellier, 2006); con M. Borlandi, a cura di, La spiegazione sociologica. Metodi, tendenze, problemi (il Mulino, 2005); La sfida dei valori. Rispetto delle regole e rispetto dei diritti in Italia (il Mulino, 2004).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 03 LUGLIO 2024 |
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