Marianna Filandri  
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L'ITALIA È POVERA


Commento al libro di C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio



Marianna Filandri


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La povertà è un problema rilevante in particolare nel nostro Paese. Secondo i dati Istat parliamo nel 2022 dell’8,3% delle famiglie in povertà assoluta. Un quadro drammatico. Oltre due milioni di nuclei in Italia non dispongono di risorse economiche sufficienti per accedere a un livello di vita ritenuto minimamente accettabile. Parliamo di quasi una persona ogni dieci. Molto spesso si tratta di bambini. Sono infatti le famiglie con figli minori a detenere l’assai poco invidiabile primato della più alta incidenza di povertà. La presenza di un minore nel nucleo fa aumentare notevolmente la probabilità di versare nella condizione di povertà assoluta, e quando in famiglia i figli sono almeno tre, la stessa probabilità arriva a quasi un caso su quattro.

Alla drammaticità di questi dati fa da contraltare l’assenza del tema della povertà nell’agenda politica. La povertà è vista, al massimo, come la conseguenza del malfunzionamento di altri ambiti - il mercato del lavoro, il mercato immobiliare e quello del credito - sui quali fare sponda sperando di risolvere o almeno circoscrivere il problema. Raramente il tema della povertà viene affrontato direttamente. Lo stesso strumento che era stato esplicitamente adottato per il suo contrasto - il reddito di cittadinanza - è stato concepito e giustificato come misura di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto all’occupazione. Nel nostro Paese non sembra ancora accettabile - potremmo dire culturalmente prima che politicamente - una misura che abbia come obiettivo principale quello di aiutare tutte le famiglie povere che, anche evitando tutto il superfluo, non sono in grado di pagare la spesa, l’affitto, le bollette, la ricarica del cellulare o le medicine in farmacia.

L’Italia è un caso particolare in Europa? Come si differenzia la povertà nel nostro Paese da quella degli altri stati europei? Che radici storiche ha? Quali politiche sono state adottare e quali potrebbero esserlo? La risposta a queste domande si può trovare nell’ottimo volume di Chiara Saraceno, David Benassi e Enrica Morlicchio intitolato La povertà in Italia e pubblicato da il Mulino nel 2022. La riflessione, interessante sia per un pubblico accademico sia per uno più ampio, parte dall’elaborazione di una tipologia dei regimi di povertà presenti nell’Unione Europea. La povertà, pur sempre definita come assenza di risorse economiche, ha connotati molto differenti se si tiene conto di come le istituzioni regolative formali e informali interagiscono. Le dimensioni lavorativa, familiare e del welfare sono infatti cruciali nella determinazione dei regimi di povertà. Per darne conto le autrici e l’autore utilizzano molti dati quantitativi attraverso i quali viene presentata l’eterogeneità dello scenario dei regimi di povertà in Europa. E se non bastasse, con un certo rigore scientifico vengono anche discusse le implicazioni delle diverse misurazioni degli indicatori di povertà, a riprova del fatto che per analizzare un fenomeno così complesso non si possono trarre conclusioni affrettate.

Lo sguardo sull’Europea colloca in un contesto comparativo il caso italiano, che viene successivamente analizzato con uno sguardo di lungo periodo. A partire dall’impatto sullo sviluppo economico dato dall’unificazione e dalla conseguente intensificazione del divario tra nord e sud del Paese, nonché dalla nascita tardiva di un sistema di welfare frammentato sono analizzate le principali caratteristiche e criticità del regime di povertà italiano. Vengono passati in rassegna il ritardo nel processo di industrializzazione a causa del carattere prevalentemente rurale dell’economia del Paese, la grande depressione causata dalla crisi del 1929, la nascita delle prime politiche assistenziali e il ruolo del fascismo, la rilevanza dei fenomeni di migrazione interna e l’origine del dibattito pubblico in merito al tema della povertà. Un’ampia riflessione è dedicata agli anni novanta dello scorso secolo, considerando la crisi monetaria del 1992 come punto di svolta per il contesto italiano per ciò che riguarda gli andamenti dei tassi di povertà. Il volume analizza poi il ruolo della crisi del 2008 fino agli anni più recenti della diffusione del Covid-19 e delle sue conseguenze su diverse categorie di povertà. Esplicitamente si riflette su tre gruppi sociali che i dati mostrano come maggiormente esposti al rischio di povertà: i lavoratori poveri, i minorenni e gli stranieri.

Da ultimo autrici e autori ricostruiscono l’insieme delle politiche di protezione sociale, la storia delle politiche di contrasto alla povertà - o come dicono loro stessi - l’assenza di queste politiche in Italia e il ruolo degli attori che le hanno proposte o osteggiate arrivando fino all’introduzione del Reddito di inclusione e, poi, del Reddito di cittadinanza. I dati economici e sociali insieme alle ricostruzioni dei processi politici e alle narrazioni pubbliche portano a una critica molto dura sulla rappresentazione dei poveri che distingue tra meritevoli e non meritevoli. Si parla di «moralizzazione» della povertà e dei poveri e con una presa di posizione netta si definisce che quest’ultima sia non solo fortemente squalificante ma anche cieca sia rispetto alla cronica mancanza di lavoro in alcune zone d’Italia e al fenomeno crescente della povertà nonostante il lavoro.

Sono dunque certamente apprezzabili l’ampio lavoro di raccolta di dati e analisi, la scelta del confronto territoriale e temporale, la chiara linea argomentativa nella presentazione degli argomenti. In sostanza è molto facile sottolineare i meriti del volume e riconoscerne i pregi piuttosto che avanzare osservazioni critiche. Ciò che posso qui evidenziare si riferisce a una analisi che a mio avviso potrebbe essere ulteriormente sviluppata per arricchire il già ricco quadro delineato dal volume.

Una linea di indagine fondamentale è relativa alla definizione e misurazione della povertà. Agli indicatori oggettivi è possibile affiancarne di soggettivi. Le stesse autrici e l’autore ne riconoscono la rilevanza. Gli approcci soggettivi partono dalle valutazioni della famiglia sulla propria situazione finanziaria e tengono implicitamente conto anche di aspetti di sociali e relazionali. Il giudizio sulla propria situazione economica varia da un contesto a un altro spesso in relazione alle condizioni di vita medie del Paese, al punto che valutazioni simili possono essere associate a condizioni di reddito e consumo anche molto differenti. Ai medesimi livelli di povertà oggettiva possono infatti corrispondere diverse percezioni di povertà soggettiva. Le incoerenze tra approcci alla povertà sono sostanzialmente di due tipi: poveri che non si sentono tali e benestanti che sentono di avere meno del necessario. Le spiegazioni di tali incoerenze richiamano la dimensione relativa del contesto: le caratteristiche della propria cerchia sociale influenzano le probabilità di sentirsi più o meno poveri. In effetti, sempre le reti sociali, possono veicolare aiuti, regolari o straordinari. Inoltre, vi sono diversità di preferenze e inclinazioni personali, oltre che di condizioni demografiche, fisiche e sociali: età, stato di salute, occupazione, isolamento sociale. Ma perché è importante occuparsi anche di povertà soggettiva?

Chi si sente povero e teme di non riuscire ad arrivare a fine mese o ad affrontare spese impreviste - soprattutto in periodi di crisi e incertezza - tende a ridurre i consumi, spesso in misura non proporzionata a quello che le condizioni economiche oggettive suggerirebbero. La condizione di malessere di una parte di nuclei ha conseguenze negative per tutta l’economia. La sensazione di emarginazione e di marginalizzazione prolungata all’interno della società può portare a conseguenze pericolose e costose per l’individuo e per la società. Molti tendono ad esempio a rinunciare a beni materiali che sono oggi socialmente considerati necessari per una vita dignitosa: un’auto, una vacanza, un computer. Sentirsi poveri può influenzare anche decisioni importanti, come quella di formare una famiglia o avere dei figli. Alcuni, sentendosi poveri, finiscono per rinunciare a beni necessari per la propria salute: una dieta bilanciata, cure adeguate, vivere in un ambiente salubre. Questo filone di studi mostra come la povertà rappresenti un gravissimo problema non solo per le persone ma anche per il Paese intero.

In conclusione, il libro La povertà in Italia certamente contribuisce sia alla conoscenza del fenomeno in prospettiva comparata sia al dibattito pubblico sul problema della povertà. Inoltre, si configura come punto di partenza per ricercatrici e ricercatori per continuare a indagare dal punto di vista economico e sociale un tema così rilevante.

Marianna Filandri

 

 

N.d.C. Marianna Filandri è professoressa associata di Sociologia economica presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società, Università di Torino, dove insegna Sociologia delle diseguaglianze economiche e sociali e Analisi dei dati per la ricerca applicata e la valutazione delle politiche. Tra i suoi interessi scientifici: il fenomeno dell’in-work poverty; gli approcci allo studio della povertà in particolare oggettivi e soggettivi; la transizione alla vita adulta; le disuguaglianze abitative; lo svantaggio femminile nel mercato del lavoro.

Tra i suoi libri: con N. Negri, a cura di, Restare di Ceto medio. Il passaggio alla vita adulta nella società che cambia (Il Mulino, 2010); Proprietari a tutti i costi. Disuguaglianze abitative in Italia (Carrocci, 2015); con M. Olagnero e G. Semi, Casa dolce casa? Italia, un paese di proprietari (Il Mulino, 2020); Lavorare non basta (Laterza, 2023).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


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19 LUGLIO 2024

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