Giorgio Azzoni  
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QUANDO L'ARCHITETTURA È DONNA


Commento al libro curato da Alessandro Brandino



Giorgio Azzoni


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Non è immaginabile una visione del futuro priva della forza trainante di una cultura diffusa, che nasce dalla storia e dalla ricchezza dei saperi e si rivolge all’uomo. Questa convinzione, nutrita dalla vitalità della relazione quale connettivo sistemico tra l’uomo e il mondo, attraversa il lungo e coerente percorso culturale di Antonietta Iolanda Lima, costituendo uno degli aspetti fondativi del suo lavoro. Operando in più direzioni, nella ricerca storica e nella progettazione architettonica, nello studio e nella produzione saggistica, nell’attività accademica e nella promozione culturale, Lima ha maturato e praticato un atteggiamento di matrice olistica finalizzato alla dissoluzione di barriere e divisioni tra discipline, uomini e luoghi, intendendo l’architettura come materia attiva in grado di costruire visioni civilizzanti attuabili nell’unità della cultura, per trasformare il mondo.

Con tale premessa, da assumere in forma dinamica, affrontiamo Antonietta Iolanda Lima architetto. Intrecci di saperi e creatività umana, edito nel febbraio 2024 da Gangemi a cura di Alessandro Brandino. Il volume approfondisce un lungo, articolato e militante percorso culturale per offrirlo alla discussione. Generoso e umanizzante, il pensiero di Lima sollecita infatti ad affrontare l’architettura mediante questioni sia di metodo che di pratica poiché entra, con decisione, nei meccanismi di formazione e diffusione della conoscenza e del suo uso critico. Oscillando tra realismo e visione, con piedi a terra ma lo sguardo al cielo di chi è consapevole dei forti squilibri economici, sociali e ambientali delle città e dei territori ma non si rassegna ad assecondarli, Lima contribuisce a ripensare il ruolo dell’architettura in chiave etica, interpretandola come disciplina attiva, progettante, propositiva, multiculturale e al servizio della vita, da lei stessa definita “seme generativo capace di far fiorire l’uomo e il mondo”.

 

Una visione olistica

Premessa indispensabile alla discussione è una brevissima sintesi dei contenuti della pubblicazione, che si avvale di diverse voci ed è strutturata in sezioni. Autori che, a vario titolo, hanno avuto strette relazioni con il lavoro di Lima, ne indagano la personalità professionale e culturale. Le loro letture, analitiche e descrittive, ne ricostruiscono la complessa e articolata attività, il cui riverbero ho considerato e interpretato in forma tematizzata nei capitoli successivi.

Alessandro Brandino ha scelto, quale tema introduttivo La forza della relazione, intesa come strumento di dialogo capace di riconoscere e valorizzare le specificità di persone, culture, saperi e ambienti abitativi. In tale prospettiva Lima ha costruito il proprio orizzonte interpretativo, operando all’interno di “un pensiero umanistico corroborato da un forte senso sacrale della vita”.

Indagando la specificità metodologica di una ricerca segnata dalla volontà di superare le separazioni tra i campi del sapere, la prima sezione si apre con due temi centrali, analizzati e opportunamente approfonditi nei contributi critici di Maria Antonietta Crippa con Visione olistica dell’architettura tra progetto, storia e critica, e di Massimo Locci con La critica operativa come necessità etica.

Massimo Pica Ciamarra e Michele Sbacchi indagano la relazione tra i temi architettonici e quelli culturali, evidenziando come per Lima il progetto sia finalizzato al bene civile; ripercorrendo le fasi salienti del suo percorso professionale, Luca Zevi sottolinea l’ininterrotta ricerca storico-operativa sul territorio siciliano.

La seconda sezione è dedicata all’attività accademica presso l’Università di Palermo, Antonella Battaglia e Alessandro Brandino ne indagano il metodo didattico: flessibile, partecipato, e umanizzante. Isabella Daidone, Antea Mazzuca e Chiara Rizzica segnalano la capacità di stimolare negli studenti un pensiero critico dalle finalità rigenerative e di utilizzare modalità educative dai tratti sperimentali. La concezione di paesaggio, “tra interiorità, scienza e narrazione” e nelle implicazioni con i soggetti che lo vivono, è al centro delle osservazioni di Flavia Schiavo.

La terza sezione contiene puntuali commenti a progetti architettonici e a pubblicazioni e si completa con un intenso dialogo tra Lima, Crippa e Brandino, dove la studiosa palermitana espone con lucido entusiasmo valori e convinzioni e racconta di colleghi divenuti amici, di autori letti e studiati e della sua immensa biblioteca personale, testimone di vastità d’interessi e di un sapere autenticamente amato. Il volume si conclude con una delicata raccolta di disegni, dipinti e poesie, quasi un intimo inno che Lima dedica alla vita.

 

Il paradigma della relazione

Tra gli argomenti proposti dal volume, desidero riprendere il tema della relazione come sistema di pensiero e campo d’azione germinativo che coinvolge il rapporto uomo-mondo, come passaggio dal passato al futuro e interazione con il prossimo, con il contesto e con l’ambiente nella sua totalità. La relazione diviene nel tempo, per Lima, il fondamento di un atteggiamento olistico e di una progettualità eticamente finalizzata al bene comune, tratto culturale di spessore esistenziale coinvolgente sia la temporalità del divenire storico che la struttura dei processi, avvenuti e in corso. La relazione va intesa, inoltre, come energia che intreccia i saperi e attiva un pensiero sistemico, alimentando un’architettura d’impronta eteronoma che si fa operatività culturale e sociale, impegno intellettuale non circoscrivibile nei soli confini disciplinari ma capace di stabilire una stretta connessione con il ‘mondo della vita’.

Forza trainante della progettualità, la metodologia relazionale è stata ed è per Lima strumento attivatore dell’emancipazione, individuale e collettiva, dalle negatività sedimentate e dai cattivi usi derivati dall’abbandono, dalla trascuratezza e dalla speculazione, disvalori contro cui la studiosa si è sempre e fermamente battuta.

Tale suo esercizio di pensiero merita attenzione perché, spostando l’attenzione dagli aspetti tecnico-formali al lavoro intellettuale che l’architetto può e deve compiere, colloca con decisione la disciplina costruttiva entro il piano delle attività civili; espressione concreta di un progetto culturale che, con visione ampia, radicata e globale, vuole coinvolgere sia i cittadini che coloro che hanno ruolo e responsabilità nei confronti di città e paesaggio.

La matrice del pensiero attivo di Lima è rintracciabile in quella cultura italiana del primo dopoguerra (forse troppo presto oltrepassata dall’impeto della modernità) che coltivò un’idea di spazio architettonico a misura umana, ricercando la continuità fra tradizione e innovazione, fra valori storici e urgenti necessità. A fronte del rigorismo del Movimento Moderno, alcuni intellettuali e architetti si interrogarono infatti sui limiti di valutare l’uomo secondo moduli geometrici e razionalità funzionale, dimenticandone le prerogative vitali. Nella loro visione, se separato dallo svolgersi delle attività, dalla temporalità e dal divenire naturale, anche il concetto di spazio rimane un’astrazione. Esso non può infatti essere considerato entità immutabile o vuoto contenitore, ma è luogo di vita e di relazione, di forza universale, come scriveva nel 1945 Merleau-Ponty: “Lo spazio non è l’ambito (reale o logico) in cui le cose si dispongono, ma il mezzo in virtù del quale diviene possibile la posizione delle cose. Ciò equivale a dire che, anziché immaginarlo come una specie di etere nel quale sono immerse tutte le cose o concepirlo astrattamente come un carattere che sia comune a esse, dobbiamo pensarlo come la potenza universale delle loro connessioni”(1). Questa forza, è in parte data e in buona parte creata dall’uomo, e nella sua ‘progettabilità’ possiede un’energia trasformativa che l’architetto può indirizzare a vantaggio della vita, individuale e collettiva.

 

Spazio come misura umana

Di spazio vissuto, tema caro a Lima, si occupò in Italia Enzo Paci con una serie di articoli pubblicati nel corso degli anni cinquanta su «Casabella-continuità». Il primo, Il cuore della città del 1954, riprendeva alcuni testi dal VIII Congresso CIAM di Hoddesden del 1951(2) e si riferiva, tramite J.L. Sert, ai concetti di “spazio civile” propriamente umano e di confronto comunitario presenti in La ribellione delle masse (1930) (3) di Ortega Y Gasset. Affrontava inoltre il concetto di spazio-tempo nella scienza moderna, in Saper vedere l’architettura (1948) di Bruno Zevi interpretato come entità dove “è l’uomo che muovendosi nell’edificio, studiandolo dai successivi punti di vista, crea, per così dire, la quarta dimensione, dona allo spazio la sua realtà integrale”(4). Ripreso poi in Rapporti tra uomini e cose di Jacob Bakema e in Cuore: problema umano della città di Ernesto N. Rogers, l’idea di spazio vissuto come luogo e antidoto al crescente dominio della tecnicizzazione, venne da Paci riconosciuto soprattutto nell’opera di un grande maestro: l’insegnamento fondamentale di Wright è dunque quello che ci invita a spezzare gli idoli spaziali, a ritrovare nella natura vivente e nello spazio vivente il senso della vita, la direzione verso la ragione, verso un mondo più organico”(5). Anche secondo Zevi, in Wright spazio, tempo, materia e energia sono interrelate. Per Enzo Paci i caratteri di crisi della modernità si riflettevano proprio nella rigidità concettuale di certa architettura europea del dopoguerra, nella tendenza alla separazione tra concetti e fenomeni, tra arte e tecnica, tra le prerogative dell’essere umano e l’idea di progresso. Nel suo atteggiamento filosofico è ben evidente la radice concettuale attorno a cui si delineò una distinzione dell’architettura italiana del dopoguerra dai caratteri più astratti del Movimento Moderno. Nel pensiero relazionista, corroborato nella dialettica con Ernesto N. Rogers, emergeva infatti un aspetto nodale: il tema architettonico assumeva individualità se connesso a storia e contesto. I migliori architetti italiani hanno infatti sempre studiato preliminarmente il luogo del progetto, poiché “la relazione viene prima” e consente di costruire un sistema di consonanze spaziali, materiche, tecniche, tipologiche, estetiche e fors’anche antropologiche, innovative.

 

Relazionismo come metodo

Non casualmente, a metà degli anni sessanta Lima è folgorata da Tempo e relazione (6) di Enzo Paci (1954), letto appena laureata e autentico seme di pensiero. L’analisi ad ampio raggio (nella fisica, nella psicologia, nella logica e nella cibernetica) di Paci schiuse a un’idea della conoscenza come campo aperto alle possibilità generative del pensiero, nella correlazione tra i campi del sapere. La relazione, per Paci idea-guida alla base di ogni rapporto naturale e umano e vera chiave per cogliere i nessi tra natura e storia, fece riflettere Lima sulle possibili connessioni tra passato e futuro, tra conoscenza e opera, tra indagine e progetto.

Attraverso il relazionismo Paci delineava una forma di pensiero dinamica, aperta alle molteplicità dell’esperienza e in dialogo con le problematiche della scienza: una filosofia centrata sul rapporto uomo/mondo, che Lima seppe cogliere come metodo di lavoro e interpretare in modo aperto e prospettico. Nel sistema di Paci la forma non è mai definitiva, ma si costruisce nei processi e agisce nel tempo, attuando relazioni che contengono (e in fondo comprendono) un’idea organica della vita, così come dell’architettura. La fitta trama di eventi ‘in relazione’ innerva ogni ricostruzione storica capace di coglierne senso e accadimenti, ma appartiene anche al progetto che, attraverso la configurazione degli spazi, rende possibili nuovi rapporti e nuove forme per l’abitare.

La riflessione sull’incidenza delle relazioni nella dinamica temporale portò Lima a progettare, ma soprattutto a studiare, insegnare e scrivere di storia dell’architettura e del paesaggio considerandoli nelle loro multiple dimensioni diacroniche ed evolutive, in funzione di un’utilità non strumentale ma concretamente conoscitiva, soprattutto per le possibilità di pensiero e azione che ogni volta si schiudono. Cogliendo da Tempo e relazione di Paci che “ciò che esiste è nel tempo; non c’è esistenza che non sia nel tempo; non c’è esistenza che non si consumi e non dia luogo a nuova vita”(7), Lima innesterà la forza propulsiva del confronto passato-presente nel proprio progetto culturale, rivolto a creare nuove visioni e nuove possibilità interpretative e creative.

 

Connessioni stratificate dello spazio abitato

Gli effetti di questo orientamento divennero riconoscibili alcuni anni dopo, quando Lima studiò i legami sociali e culturali nel loro divenire spazializzato. In La dimensione sacrale del paesaggio. Ambiente e architettura popolare di Sicilia (1984) analizzò le forme costruite nel farsi stratificato del paesaggio rurale e contadino siciliano, rispondendo, non senza polemica, all’esigenza di “interpretare il rapporto uomo ambiente in una dimensione più allargata che non si limiti soltanto a privilegiare l’urbano o tanto meno la sua parte più aulica”(8). Adottando l’atteggiamento concreto e propositivo di chi riconosceva “il disagio del nostro vivere e del nostro costruire, la rapidità e la sconvolgente accelerazione dei progetti e dei prodotti, l’esuberanza di tante cose e la precarietà di tante altre”, Lima leggeva nella storia, anche povera e dimenticata, germi più attivi e assumeva “l’esigenza di scoprire i profondi messaggi del passato che spiegano anche il presente, la ricerca di possibili e nuove autenticità”.

L’incrocio di luoghi, saperi contestuali e pratiche relazionali è sviluppato anche in Architettura della festa, capitolo di Architettura. Concetti di una contro storia (1994) di Bruno Zevi. Utilizzando l’analisi storica per estrarre dall’ambiente costruito caratteri dimenticati e da proiettare nel presente, Lima vi affermava: “L’architettura della festa non è soltanto nelle strutture materiali che vengono realizzate, ma nello svolgimento dell’intero cerimoniale. Esso modifica lo spazio urbano dilatando gli esigui ambiti dei suoi vuoti. L’edificato preesistente, nel suo relazionarsi all’apparato scenico, da banale manufatto si trasforma quasi in un’architettura che può sembrare addirittura pensata, in quanto capace di esaltare attraverso il proprio anonimato lo straordinario spettacolo che in essa si svolge”(9).

Ragionando sulla scia del fondamentale lavoro di Pagano e Daniel, Architettura rurale italiana, Lima non proponeva un catalogo di forme costruite ma indirizzava l’attenzione sul legame tra edilizia minore e usi pratici e simbolici degli spazi in cui si svolge la vita, fattori che presiedono alla dimensione relazionale e sacrale del paesaggio. Tale metodo, al confine tra discipline diverse, presuppone una visione dell’architettura comprensiva degli aspetti paesaggistici, urbanistici, antropologici e sociali, inseriti nella lunga durata della storia. L’attenzione al tempo storico come pluralità di eventi e la centralità dell’uomo nei processi storici (10) allinea Lima alle concezioni delle Annales; oltre all’interesse per il tempo vissuto in lei è però particolarmente evidente quello per il tempo da vivere, alimentato dall’urgenza di incidere.

Via maestra per trasformare i valori del passato in nuove opportunità divengono allora la collaborazione e le reciproche interrogazioni tra l’architettura, la storia e le scienze sociali, necessarie per interpretare i luoghi non come generiche entità spaziali ma come risorse da assumere in una prospettiva eticamente finalizzata. Il risvolto antropologico del lavoro di Lima esprime la volontà di estrarre, entro il campo dei rapporti tra il costruito e il suo uso simbolico, un’ampia gamma di significati: quella “comprensione della storia, rapporto tra cultura subalterna e cultura egemone, reinterpretazione di luoghi antichi e di monumenti“ di cui Bruno Zevi elogiò la “geniale flessibilità”, nel brano riportato tra le testimonianze del libro (11).

La propensione a scavare le situazioni architettoniche mediante un’osservazione partecipata indica inoltre una tangenza con l’approccio fenomenologico, che porta Lima a identificare l’architettura con lo spazio quale luogo dei dialoganti. Si tratta di una visione geostorica, dove anche le connessioni tra il visibile e l’invisibile sono contestualizzate e dove le tessiture dello spazio hanno significato e valore come rappresentazione tangibile del mondo vissuto, trama aperta al campo esperienziale e, al contempo, orizzonte ampio e universale. Lima è infatti consapevole che la rivitalizzazione di una città, di un territorio o di un luogo non è attuabile con la sola politica conservativa, convinta che “occorre una rifondazione pertanto dell’idea dell’architettura e di città e quindi del territorio, organicamente fusa con l’ecologia, con equità e coordinazione alla base, per una vita che è nella sostanza delle cose, che si nutre di un nuovo equilibrio con natura e territorio, di cui l’uomo dove comprendere e assimilare struttura, connessioni, rete di relazioni, che, contro materialismo e consumismo, sterzi a favore della coscienza e della sacralità della vita”(12).

 

Conoscenza e coscienza

La responsabilità dello storico oltrepassa quindi i confini scientifici della disciplina per entrare nel campo del dibattito culturale generale poiché, interpretando le opere e le situazioni, contribuisce a renderle bene comune e patrimonio della comunità. Secondo Lima infatti, “lo storico deve lavorare per stimolare la conoscenza e quindi la coscienza. Per far vedere della storia i suoi gangli vitali che, nello specifico dell’architettura, sono ciò che comunemente indichiamo con il nome di monumento”(13). Per divenire beni culturali, i manufatti vanno dunque indagati all’interno dei processi che li hanno determinati, conservati e trasformati, dentro la vita delle comunità e della storia. Nella convinzione che cittadino ed edifici sempre interagiscono in un tempo naturale e storico, in quel mondo-della-vita (l’husserliano lebenswelt) più volte richiamato da Paci e nei fatti condiviso da Lima, i comportamenti individuali e collettivi devono essere educati alla consapevolezza e anche la riscoperta del patrimonio di cui siamo eredi può contribuire alla qualità della vita.

Le letture del paesaggio siciliano e delle città (soprattutto Palermo) come intreccio di fenomeni umani che si depositano in forme modellate, costruite e trasformate in un orizzonte esperienziale sia costruttivo che distruttivo, rivelano di Lima l’orientamento realistico e disincantato, temperato da una tensione verso una possibile armonia tra uomo e kosmos. Se l’impulso ambientalista le proviene dall’ecologismo - da lei definito “inconsapevole” - dei fratelli Rosselli, è certamente in Paolo Soleri che Lima trova motivi e ragioni per approfondire il rapporto (cosmico) tra uomo e natura, in una visione della realtà come organismo totale aperto alla globalità della vita sulla terra. Con il pioniere e visionario architetto, di cui è massima studiosa non solo italiana, l’empatia è totale, poiché come “ecosistema organico in quanto creato dall'uomo intelligente” il suo progetto di habitat stabilisce “un nuovo equilibrio con la natura di cui ha compreso e assimilato struttura, connessioni, rete di relazioni”(14). Quando compone il volume Soleri. Architettura come ecologia umana e i due volumi collettivi di riflessione sulla sua opera, Lima aveva ben chiaro quale ne fosse il valore prospettico: “per un'umanità che appare spinta verso una folle corsa al contempo produttrice e distruttrice, nel celebrare il prodigio della vita e quello della mente, sua suprema manifestazione, Paolo Soleri è fermamente convinto che ci sia una possibilità di riscatto riacquisendo la consapevolezza della sacralità della vita di cui è pregna anche la sua più infinitesima particella in ogni angolo della terra, e ciò in un percorso che, se avviato (forse più perché si sarà costretti che per scelta autonoma), pretende tempi lunghissimi, certamente non quantificabili, all'interno del graduale processo dell'evoluzione”(15).

 

Un pensiero libero

Più che teorizzare un metodo, Lima l’ha affermato praticandolo e considerando che “come la vita, l’architettura vera rifiuta i marchi di fabbrica e gli assunti astratti. Proprio perché al suo centro pone l’uomo in tutt’uno con l’insieme sociale e in dialogo con le irripetibili e sempre variabili specificità di luoghi, paesaggi, culture, essa è sempre una sorta di punto e a capo, in una processualità aperta”(16). Il progettista sensibile deve pertanto considerare le situazioni che ospiteranno il suo intervento perché, se l’approccio può derivare da posizioni culturali verificate e sperimentate nel tempo, l’ingaggio con il sito va ogni volta pensato e calibrato. Per Lima, quindi, l’architettura “nel nutrirsi della fertilizzazione di saperi molteplici, pretende nel progetto il continuo esame di tutti i dati di volta in volta emergenti per accordare senza spreco alcuno forma e funzione, ascoltando la lezione che ci viene dalla natura” e dalla storia. Ed é forse proprio l’ascolto del luogo a richiedere lo sforzo maggiore. Interpretare i linguaggi del contesto richiede infatti sensibilità e pazienza, una cultura umanistica, capacità di sintesi e propensione a orientarsi nelle contraddizioni. Soccorrono i saperi che l’architetto dovrebbe possedere e che, con un processo di progettazione aperto e partecipato, possono farsi strumento di crescita individuale e sociale. La proposta operativa di Lima è un vigoroso richiamo: “richiesta dalla grande complessità del mondo attuale, l’azione degli intellettuali ‘veri’ deve essere una azione militante e propulsiva, pari a quella che, colma di tensione visionaria, caratterizzò la prima stagione del dopoguerra; un’azione ininterrotta fondata su un programma profondamente meditato, fecondato dall’incrocio e dallo scambio propositivo di tutte le competenze in gioco, che abbia come finalità prioritaria l’alfabetizzazione di quanti abdicando al loro essere persona, perché privi di cultura, diventano massa”(17). L’architetto che Lima interpreta è un colto trascinatore e attore sociale, capace di affrontare il progetto con spirito di condivisione e di coinvolgere anche i soggetti distanti dall’ambito generativo delle trasformazioni. Suoi riferimenti certi sono Pagano, Persico, Morris, Wright, Le Corbusier, Aalto, ma stelle polari del suo orizzonte sono Bruno Zevi, Paolo Soleri e Giancarlo De Carlo, intellettuali a lungo frequentati e studiati poiché “pur nelle differenze, li ho ritenuti ugualmente necessari. Gli ideali abitano in tutti e tre. E il loro agire smuove le coscienze”(18). Ne sono prova le pubblicazioni a essi dedicate, in volumi collettivi e con approccio interdisciplinare. La vicinanza e collaborazione con Zevi permise a Lima di affrontare un percorso di emancipazione dai luoghi comuni e dagli approcci mainstream. Per la sua eresia necessaria, Zevi ha rappresentato un esempio di potenza di pensiero, ricchezza di immaginazione e volontà d’incidere. Soleri le ha aperto gli orizzonti globali del pensare l’architettura come un’ecologia umana. Nella visione che concepisce il territorio e il mondo come un tutto inseparabile, Lima ha trovato conferme in diversi autori, anche di discipline scientifiche(19), ma soprattutto in Giancarlo De Carlo, l’architetto che ha avvertito più di ogni altro affine perché il più capace di sondare l’umano in architettura.

 

Cultura sistemica e vita activa

Nel già citato Tempo e relazione e ancor più negli scritti compresi in Dall’esistenzialismo al relazionismo (1957), sempre di Paci, è possibile individuare la radice di un pensiero sistemico. La necessità di superare la divisione tra i campi del sapere appariva in quegli anni un’eretica novità che nessuno della scuola milanese, se non in parte Rogers e più decisamente De Carlo, riprese in forma metodica, mentre riaffiorerà costantemente nelle riflessioni critiche e nei progetti architettonici della studiosa palermitana.

Anche l’auspicata identità tra architettura e urbanistica appartiene al campo delle relazioni, poiché spazio dell’abitare e spazio della vita comune e sociale non sono disgiungibili, né da parte del cittadino che del normatore. Come precisava De Carlo, nella fluidità delle interrelazioni urbane “l’urbanistica è solo una disciplina tecnica che si avvicina ai confini dell’arte quando, identificandosi con l’architettura, fornisce la rappresentazione globale di un processo che si attua e si materializza nello spazio”(20). Accomunati dall’idea di continuità quale sostanza del cosmo. Lima ha con lui condiviso una visione totale dell’architettura come disciplina potenzialmente unificante e fattore di correlazione, alle diverse scale, tra uomo e mondo. La saldatura tra architettura e urbanistica è sollecitata dalle condizioni delle desolanti e frammentate periferie, vicine e lontane. Espressione della scomparsa di un senso dell’abitare fondato sul continuum tra dimora e paesaggio, che tutte le civiltà hanno espresso, senza la speranza di un progetto di riscatto questi tragici suburbi in preda all’entropia sarebbero aree per sempre perdute. Per Lima, il degradare del tessuto abitativo “è il triste trionfo della separazione, il cui effetto, tra tanti altri, sarà il concepire l’architettura autonoma dal suo contesto; un disvalore per De Carlo e per i pochi che ne hanno condiviso e ancora ne condividono la visione dichiaratamente espressa da suoi progetti, all’opposto, eteronomi” (21). A tal proposito la convinzione di De Carlo è chiara: “L’architettura non può essere autonoma, per il semplice fatto che la sua prima motivazione è di corrispondere a esigenze umane e la sua prima condizione è di collocarsi in un luogo”(22). Altrettanto evidente è l’implicita sintonia di Lima con le posizioni del Team X, così espresse da De Carlo: “Noi credevamo nell’eteronomia dell’architettura, nella sua necessaria dipendenza dalle circostanze che la producono, nel suo intrinseco bisogno di essere in sintonia con la storia, con le vicende e le aspettative degli individui e dei gruppi sociali, coi ritmi arcani della natura. Negavamo che lo scopo dell’architettura fosse di produrre oggetti e sostenevamo che il suo compito fondamentale fosse di accendere processi di trasformazione dell’ambiente fisico, capaci di contribuire al miglioramento della condizione umana”(23).

A fronte dell’iper-specializzazione tecnologica, può assumere ancor oggi un rilievo decisivo il ruolo dell’architetto quale catalizzatore di necessità e promotore di visioni culturali e sociali. Il tema è cogente e vive una nuova stagione in molte situazioni periferiche, nei progetti di rigenerazione delle comunità che abitano le aree interne del Paese e delle piccole comunità alpine. A livello generale lo ha recentemente ben colto Alvaro Siza: “L’architetto non è uno specialista. La vastità e la varietà delle conoscenze che la pratica del progetto oggi comprende, la sua rapida evoluzione e progressiva complessità, in nessun modo permettono conoscenze e dominio sufficienti. Mettere in relazione - progettando - è il suo dominio, luogo del compromesso che non significhi conformismo, della navigazione nell’intreccio delle contraddizioni, il peso del passato e il peso dei dubbi e delle alternative del futuro - aspetti che spiegano l’inesistenza di un trattato contemporaneo di architettura. L’architetto lavora con specialisti. La capacità di concatenare, utilizzare ponti tra conoscenze, creare oltre le rispettive frontiere, oltre la precarietà delle invenzioni, esige un apprendimento specifico e condizioni stimolanti”(24).

La convinzione etica, potremmo dire con Lima, esige la forza propulsiva dell’azione (olistica) insistita, ovvero la potenza dell’agire nella relazione, dove il concetto del vivere si rende come inter homine esse (25), quell’essere-tra gli uomini nel contesto e nella sfera pubblica dove non vi è opposizione tra vita activa e vita contemplativa poiché la seconda è il presupposto della prima. Ma l’agire, come capacità di progettare il proprio spazio-mondo trasformando l’esistente, è atto totale e, se concepito dentro le contraddizioni e disuguaglianze richiede che “Il fare dell'uomo, l'architetto in questo caso, non può essere separato dal suo farsi, per cui la coscienza ne è impegnata senza eccezioni”(26).

Se ciò che rappresenta la nostra epoca è un governo senza politica aggravato dalla carenza di partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, i richiami qui raccolti dal profondo, vigoroso e coerente percorso critico di Lima assumono carattere d’urgenza. La strada maestra può allora risiedere nelle migliori prerogative razionali ma umane, ripetute innumerevoli volte nella storia e riassunte nell’appello di Le Corbusier: “Bisogna ritrovare l’uomo. Bisogna ritrovare la linea retta che segue l’asse delle leggi fondamentali: biologia, natura, cosmo. Linea retta inflessibile come l’orizzonte del mare. L’uomo di mestiere, anch’egli inflessibile come l’orizzonte del mare, deve essere uno strumento di misurazione che possa fare da livella, da riferimento in mezzo alle fluttuazioni e ai mutamenti. Quello è il suo ruolo sociale”(27).

Giorgio Azzoni

 

 

Note
1) M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, trad. it. Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano 2012, pp. 326-327.
2) E. N. Rogers, J. L. Sert, J. Tyrwhitt (a cura di), Il cuore della città: per una vita più umana della comunità, Hoepli, Milano 1954.
3)
J. Ortega Y Gasset, La rébeliòn de la masas, 1930; trad. it. La ribellione delle masse, Roma 1945.
4) B. Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino 1948, p.27.
5) E. Paci, Wright e lo spazio vissuto, in «Casabella-continuità» n.227/1959, pp. 9-10.
6) E. Paci, Tempo e relazione, prima edizione Taylor, Torino 1954, seconda edizione, Il Saggiatore, Milano 1965.
7) E. Paci, Tempo e relazione,Il Saggiatore, Milano 1965, p.13.
8) A. I. Lima, La dimensione sacrale del paesaggio. Ambiente e architettura popolare di Sicilia Flaccovio1984, Paòermo University Press, Palermo 2023, p. 27.
9) A. I. Lima, Architettura della festa, in B. Zevi, Architettura. Concetti di una contro storia, Newton Compton 26, Roma1994) p. 90.
10) M. Bloch, Apologia della storia, Einaudi, Torino 1969, p. 41.
11) Antonietta Iolanda Lima architetto. Intrecci di saperi e creatività umana, a cura di A. Brandino, Gangemi, Roma 2024, p.124.
12) A. I. Lima, Sull’architettura. La responsabilità dello storico, l’intervento nella città, in Luoghi e modernità, a cura di M. A. Crippa, Jaca Book, Milano 2007, p. 27.
13) A. I. Lima, Sull’architettura. La responsabilità dello storico, l’intervento nella città, in Luoghi e modernità, a cura di M. A. Crippa, Jaca Book, Milano 2007, p. 25.
14) A. I. Lima, Soleri. Architettura come ecologia umana, Jaca Book, Milano 2000, P. 12.
15) Ri-pensare Soleri, a cura di A. I. Lima, Jaca Book, Milano 2004, p. 122.
16) A.I. Lima, La prospettiva ecologica nel Novecento architettonico in Per un’architettura come ecologia umana, scritti in onore di Paolo Soleri, a cura di A. I. Lima, Jaca Book, Milano 2010, p. 1.
17) A. I. Lima, Ma quale visione senza una cultura diffusa?, in Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022, pagina web.
18)
A. I. Lima (a cura di), Giancarlo De carlo. Visione e valori, Quodlibet, Macerata 2020, p. 321.
19) Tra questi, soprattutto Rita Levi Montalcini, Fritjof Capra e John D. Barrow.
20)
G. De Carlo, Questioni di architettura e urbanistica, Urbino 1964, poi Maggioli, S.Arcangelo di R. 2008, p.26.
21) A. I. Lima (a cura di), Giancarlo De carlo. Visione e valori, Quodlibet, Macerata 2020, p. 24.
22) G. De Carlo, 1981, Il Tempio di Apollo a Bassae, in G. De Carlo, Nelle città del mondo, Marsilio, Padova 1995, p. 98.
23) F. Bunčuga, Conversazioni con Giancarlo De Carlo, Elèuthera, Milano 2001, p. 115,
24) A. Siza, «Casabella» n. 770/2008, p. 3.
25) H. Arendt, The human condition, University of Chicago 1958, tr. it. Vita Activa. La condizione umana (1964), a cura di Sergio Finzi, Bompiani, Milano 2014 (18a ed.), p. 7.
26) Ri-pensare Soleri, a cura di A. I. Lima, Jaca Book, Milano 2004, p. 132.
27) Le Corbusier, Mise au point, Lettera Ventidue, Siracusa 2008, pp. 60-61.

 

N.d.C Giorgio Azzoni, architetto e curatore, è docente di Storia dell’architettura contemporanea, Storia dell’arte Moderna e di Teorie del paesaggio all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. Autore di ricerche e saggi critici su architettura e arte, moderna e contemporanea, studia l’abitare in relazione ai contesti culturali. Scrive per Il Giornale dell’Arte, le riviste ISAL (Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda), AB (Atlante Bresciano), le riviste online Il Giornale dell’Architettura, Limina, ed è​​​​​​ ​corrispondente scientifico di ArchAlp, rivista internazionale di architettura e paesaggio alpino dell'Istituto di Architettura Montana del Politecnico di Torino.

Per il Distretto Culturale della Comunità Montana di Valle Camonica è curatore scientifico del progetto di rigenerazione Vione laboratoriopermanente, del Premio internazionale Architettura Minima nelle Alpi e del Festival Architettura 2025, mentre dal 2009 al 2021 è stato il direttore artistico della rassegna di arte pubblica contemporanea aperto_art on the border, È consulente scientifico del MusIL Museo dell’Energia idroelettrica/Museo dell’Industria e del Lavoro “E. Battisti” di Brescia,

Pubblicazioni recenti: Architettura Minima nelle Alpi (2024, mostra e catalogo del Premio internazionale di architettura); Coabitare l’isola. Spazio pubblico e cura dei luoghi, (a cura di) con P. Campanella, (Mimesis, 2022); Abitare, un paese, in montagna (2021, catalogo e mostra di architettura contemporanea dall’arco alpino); Arte contemporanea nella cultura dei luoghi. Aperto 2010-2019 (Distretto Culturale 2019); Microcosmi montani (Grafo, 2015); Il Museo dell'Energia Idroelettrica (Grafo, 2015)¸ Villa Dalegno, con A. Scodro (Flaneur & Dust, 2013). Ha inoltre curato: Aperto 2011-2013_art on the border (SilvanaEditoriale, 2015); Nella Modernità. Architetture del Novecento (Grafo, 2014); Omaggio a Franca Ghitti_aperto art on the border (La Compagnia della Stampa 2014); con M.A. Crippa, La casa degli artisti in Valle Camonica. Un restauro esemplare per i nuovi linguaggi dell'arte (SilvanaEditoriale, 2013); con P. Mestriner, Abitare minimo nelle Alpi (LetteraVentidue, 2013).

Per Città Bene Comune ha scritto: Per un’etica della forma architettonica (1° settembre 2023).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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04 OTTOBRE 2024

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture interpretative e progettuali

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

ideazione e direzione scientifica (dal 2013):
Renzo Riboldazzi

direttore responsabile (dal 2024): Annamaria Abbate

comitato editoriale (dal 2013): Elena Bertani, Oriana Codispoti; (dal 2024): Gilda Berruti, Luca Bottini, Chiara Nifosì, Marco Peverini, Roberta Pitino

comitato scientifico (dal 2022): Giandomenico Amendola, Arnaldo Bagnasco, Alessandro Balducci, Angela Barbanente, Cristina Bianchetti, Donatella Calabi, Giancarlo Consonni, Maria Antonietta Crippa, Giuseppe De Luca, Giuseppe Dematteis, Francesco Indovina, Alfredo Mela, Raffaele Milani, Francesco Domenico Moccia, Giampaolo Nuvolati, Carlo Olmo, Pier Carlo Palermo, Gabriele Pasqui, Rosario Pavia, Laura Ricci, Enzo Scandurra, Silvano Tagliagambe, Michele Talia, Maurizio Tira, Massimo Venturi Ferriolo, Guido Zucconi

cittabenecomune@casadellacultura.it

 

 

Conferenze-dialoghi

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2021: V. Magnago Lampugnani | G. Nuvolati
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Incontri-convegni

2021: programma/1,2,3,4
2022: programma/1,2,3,4
2023: programma/1,2,3,4
2024: programma/1,2,3,4
 
 

 

Autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi
2022: Pier Luigi Cervellati
2023: Valeria Erba

 

 

Letture e pubblicazioni

2015: online/pubblicazione
2016: online/periodico1/24
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021: online/pubblicazione
2022: online/pubblicazione
2023: online/pubblicazione
2024:

M. A. Crippa, Sacro e profano: un nodo architettonico, commento a: M. Botta, Il cielo in terra (Libri Scheiwiller 2023)

R. Baiocco, E. Beacco, Geddes: la ricerca del metodo, commento a: La città è vostra. Patrick Geddes (LetteraVentidue, 2021)

S. Tagliagambe, Salvare le città: una questione politica, commento a G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)

C. Olmo, Ansia sociale e progettualità, commento a: V. Costa, v La società dell’ansia (Inschibboleth Ed., 2024)

V. Conte, Come si studia il territorio, commento a: G. Nuvolati, M. d’Ovidio (a cura di), Temi e metodi per la sociologia del territorio (Utet, 2022)

G. Pasqui, Spazio, vita e progetto, commento a: P. Viganò, Il giardino biopolitico (Donzelli, 2023)

F.Barbera, Dissidi culturali? No, errori interpretativi, replica al commento di O. De Leonardis

M. Filandri, L'Italia è povera, commento a: C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio, La povertà in Italia (il Mulino, 2022)

G. Dematteis, Cosa ci ha insegnato la pandemia, commento a: C. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

L. Sciolla, Genealogia della creatività, commento a: P. Perulli, Anime creative (il Mulino, 2024)

G. Consonni, Roma: il possibile riscatto, commento a: E. Scandurra, Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024)

P. Gabellini, Napoli, il coraggio della verità, commento a: A. Belli (a cura di), Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento (Guida, 2023)

D. Calabi, Proiettare il passato nel futuro, commento a: G. Zucconi (a cura di), Ricostruire Longarone (IUAV, Silvana ed. 2023)

C. Cellamare, Relazionalità per capire le periferie, commento a: P. Grassi, Barrio San Siro (FrancoAngeli, 2022)

G. B. Lattes, Il sociologo e la città, commento a: G. Amendola, La città: immagini e immaginari (FrancoAngeli, 2024)

G. M. Flick, La città dal diluvio universale all'arcobaleno, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

V. Prina, Esplorare e raccontare Varese, commento a: L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese (Silvana ed., 2023)

C. Olmo, Le molteplici dimensioni del tempo, commento a: M. Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? (Einaudi, 2023)

S. Tagliagambe, Al diavolo la complessità, commento a: J. Gregg, Se Nietzsche fosse un narvalo (Aboca, 2023)

A. Ziparo, Ecoterritorialismo: una strada tracciata, commento a: A. Magnaghi, O. Marzocca (a cura di), Ecoterritorialismo (Firenze University Press, 2023)

L. Gaeta, Ritorno al quotidiano (dopo l'evento), commento a: M. Mininni, Osservare Matera (Quodlibet, 2022)

C. Saraceno, Una casa di tutti, commento a: A. Agnoli, La casa di tutti (Laterza, 2023)

P. Salvadeo, Cosa può fare l'architetto?, commento a: A. Di Giovanni e J. Leveratto (a cura di), Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)

W. Tocci, Visibile-invisibile per il buongoverno urbano, commento a: A. Balducci(a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)

I. Forino, Una casa (e un arredo) per tutti, commento a: G. Consonni, Il design prima del design (La Vita felice, 2023)

E. Ruspini, Intersezionalità e Teoria sociale critica, commento a: P. Hill Collins,Intersezionalità come teoria critica della società (UTET Università, 2022)

M. Caja, Il tempo fa l'architettura, commento a: A. Torricelli, Il momento presente del passato (FrancoAngeli, 2022)

A. Porrino, Biopolitica e governo delle condotte, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica (Efesto, 2023)

A. Bonaccorsi, La Storia dell'aerchitettura è la Storia, commento a: C. Olmi, Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico, (Donzelli, 2023)

M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)

G. Pasqui, Città: fare le cose assieme, commento a: B. Niessen, Abitare il vortice (Utet, 2023)