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ROMA, SCENOGRAFIA URBANA E VITA QUOTIDIANA
Commento al libro di Francesco Erbani
Enzo Scandurra
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In una lettera indirizzata all’amico Ludovico Quaroni, del 30 novembre 1947, Federico Gorio così si esprime a proposito della città di Roma:
[…] parlavamo della città, fermiamoci a Roma, dove questo senso è più manifesto. Che tu ascolti il disordinato ronzio dei cortili, che tu passi per i lungotevere battuti dal sole, acri di fortore o di parole grevi, o che prendano le abbronzate scenografie, espressa o citata Roma è sempre la stessa. C’è un quadro reale che ritengo possa aiutarmi a dire: il tratto di via che va dalla Consolazione al carcere Mamertino. Può parerti strano che io scelgo proprio un punto che l’attuale assenza dell’uomo sembra ridurre a un complesso di architetture astratte. Non rifiutamelo per questa che è solo un’apparenza, cerchiamo anzi di andare al di là di essa per giungere al suo significato, per vedere come quel punto trovi una rispondenza in noi se è vero che ci impressiona. […] La comunità si riflette in queste sontuose sequenze di architetture disparate che un rapporto in gran parte inafferrabile tiene in vita. […] Chi parla del colore, della scenografia della retorica magniloquente o d’altro, si ferma alla ricerca della mutua rispondenza delle parti e non troverà l’anello più saldo e vitale, quello che le riporta agli uomini. […] Un albero è un albero, io dico, ma una casa non è soltanto una casa; è anche e soprattutto un uomo, questo e nient’altro ho voluto dire (1).
Appena aperto il bel libro di Francesco Erbani, giornalista e scrittore non nuovo ai problemi di Roma, mi sono venute alla mente queste pagine scritte da Federico Gorio. Perché il libro di Erbani - Roma adagio. La città eterna, la città quotidiana (Edea, 2023) - può apparire a prima vista una ottima guida per i romani distratti, per un flâneur contemporaneo che vuole perdersi tra i suoi misteri, o anche per un turista particolare, non frettoloso né superficiale, che vuole comprenderne il fascino, la storia, le mille sorprendenti meraviglie di questa città che non si lascia mai scoprire del tutto.
Ma così non è. Erbani, abbandonata la critica politica ai governi della città (come in altri e precedenti libri da lui scritti), punta al complesso rapporto tra la scenografia urbana e la vita quotidiana che in essa si svolge: “un’impresa ciclopica per aggirare la mole infinita del già detto” (2).
Il carattere nuovo del lavoro di Erbani consiste nel mettere insieme scenografie e architetture ben note, come nel caso del centro storico, con pezzi di città quasi sconosciuti, come il laghetto della Snia, o Corviale o, ancora, Tor Bella Monaca, oltre che fornirci una serie di informazioni circa poco noti luoghi di pausa (ristoranti, ritrovi, mercati, fontane). Così che Roma da “eterna” ci appare una città variopinta dai mille angoli e luoghi d’incontro. La scoperta di questi luoghi svela una città più “vera”, dove il paesaggio monumentale incontra i luoghi della quotidianità romana in un insieme sorprendente di mille colori e piccole luci sparsi in uno dei territori comunali più vasti d’Europa. Viene così alla mente quella frase celebre ai tempi di Nicolini: il meraviglioso urbano dove tutto si fonde in un’armonia incantata lontana dalla retorica della grande bellezza.
Piccolo e grande, sacro e profano, mirabili architetture e luoghi disincantati si mescolano in questa che definire “guida” della città sarebbe non solo riduttivo quanto mortificante. E così poco alla volta, adagio, dice Erbani, si scopre quella continuità di storia e di storie che hanno reso questa città non solo unica ma misteriosa, affascinante, ammaliante, intrigante. Cos’è che infatti lega la chiesa di Sant’Ignazio o quella di San Pietro in Montorio con il laghetto (apparso quasi magicamente nel 1992) della Snia lungo la Prenestina o con il Maam (Museo dell’Altro e dell’Altrove) situato anch’esso lungo la consolare, praticamente sconosciuto ai più? Per una guida classica per frettolosi turisti sarebbe una bestemmia. Erbani sembra dirci che questa è proprio la singolarità di questa città, un caleidoscopio sorprendente che crea una molteplicità di possibili sguardi e inediti paesaggi tenuti insieme da una magia che spiazza l’ignaro flâneur.
Il libro si apre ricordando che Roma è soprattutto una città che abbonda di acqua. C’è il Tevere che l’attraversa con i suoi tanti ponti; sotto la Rinascente, in via del Tritone, puoi trovare traccia di uno dei principali acquedotti romani: l’Acquedotto Vergine di epoca augustea che inizia presso Salone, ad una ventina di chilometri da Roma. L’altro fiume che attraversa la città è l’Aniene, più selvaggio e “più romano” del primo, che a differenza di questo è anche più visitabile in quanto appare e scompare nella campagna romana formando l’omonima valle. In passato era la via attraverso la quale giungevano a Roma i blocchi di travertino per la costruzione di celebri monumenti. Poi la fontana dell’acqua sacra, quella delle anfore e, infine, i famosi “nasoni”, fontanelle a perdere situate un po’ dovunque nella città, uno dei simboli più caratteristici.
L’”antico” non poteva non iniziare che dai Fori, da anni oggetto di dibattito per eliminare lo stradone di epoca mussoliniana che li taglia in due, e dalla via Appia Antica, la regina viarum, anche questa sempre a rischio di costruzioni abusive. Parlare di Antonio Cederna, in questo caso, è d’obbligo anche perché era soprannominato “l’appiomane” che tanti anni, articoli e saggi dedicò alla salvaguarda di questo incredibile paesaggio.
Dall’antico alle chiese che a Roma sono tantissime: San Clemente, Santi Quattro Coronati, San Pietro in Montorio, San Carlo alle Quattro Fontane (che a Roma tutti chiamano San Carlino), Cristo Re e tante altre. Insieme alle Basiliche: San Pietro, San Giovanni, Santa Maria Maggiore, San Paolo. Bernini e Borromini, storici rivali, sono tra i principali architetti cui si devono molte delle chiese romane.
Un’altra partitura è dedicata ai musei, soprattutto moderni come il Maxxi (Museo nazionale delle arti del XXI secolo) ma anche il Maam e quello di Casal de’ Pazzi (leggi Rebibbia) che ospita nientemeno che un mammut che riporta indietro l’orologio della storia romana di duecentomila anni fa. Quindi anche qui antico e nuovo: dai musei vaticani alla Centrale Montemartini situata sulla via Ostiense.
Non manca l’elenco delle piazze storiche, delle Porte, dei Porti, delle Mura e dei Muri, cui si aggiunge una carrellata sul verde che vede la Capitale come una delle città più dotate di tutta Europa, un verde però in gran parte privatizzato e continuamente minacciato dall’edificazione.
La mia conclusione, leggendo il libro di Erbani, è che questa città non abbia alcun deficit da recuperare rispetto alle grandi città europee, come vuole una falsa retorica che spingerebbe verso una sua modernizzazione. Roma, moderna lo è già senza alcun bisogno di imbellettamenti, basta cercarla come fa Erbani.
Enzo Scandurra
Note 1) F. Gorio, Caro Quaroni, lettera del 30 novembre 1947, in Il mestiere di architetto, Edizioni dell’Ateneo, Roma, pp. 7/8/9. 2) F. Erbani, p.7
N.d.C. - Enzo Scandurra, saggista, scrittore, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica, ha insegnato Sviluppo Sostenibile per l'Ambiente e il Territorio all'Università La Sapienza di Roma. Nello stesso ateneo è stato direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica e coordinatore del Dottorato di Ricerca in Ingegneria per l'Architettura e l'Urbanistica. È tra i soci fondatori della Società dei Territorialisti/e onlus, membro del comitato scientifico della rivista “Luoghi comuni” e collabora a "il manifesto".
Tra i suoi ultimi libri: Vite periferiche (Ediesse, 2012); con Giovanni Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni (DeriveApprodi, 2012); con Giovanni Attili, Pratiche di trasformazione dell'urbano(FrancoAngeli, 2013); Recinti urbani. Roma e luoghi dell'abitare (Manifestolibri, 2014); con Ilaria Agostini, Giovanni Attili, Lidia Decandia, La città e l'accoglienza (manifestolibri, 2017); Fuori squadra(Castelvecchi, 2017); con Ilaria Agostini, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018); Exit Roma (Castelvecchi, 2019), La disgrazia (Castelvecchi, 2020); con Ilaria Agostini e Giovanni Attili, Biosfera, l'ambiente che abitiamo. Crisi climatica e neoliberismo (DeriveApprodi, 2020); con Tiziana Drago, a cura di, Contronarrazioni. Per una critica sociale delle narrazioni tossiche(Castelvecchi, 2021); con Piero Bevilacqua, a cura di, Roma. Un progetto per la capitale(Castelvecchi, 2021); La svolta ecologica. Ultima chance per il pianeta e noi (DeriveApprodi, 2022); Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024),
Per Città Bene Comune ha scritto: La strada che parla (26 maggio 2017); Dall'Emilia il colpo di grazia all'urbanistica (19 ottobre 2017); Periferie oggi, tra disuguaglianza e creatività (18 ottobre 2019); Nel passato c’è il futuro di borghi e comunità (5 marzo 2021); Roma, e se non capitasse niente? (16 luglio 2021); Il territorio non è una merce (25 marzo 2022); Dalle aree interne un’inedita modernità (20 giugno 2023).
Sui libri di Enzo Scandurra, v. i commenti di: Giancarlo Consonni, In Italia c’è una questione urbanistica? (15 giugno 2018); Francesco Indovina, Non tutte le colpe sono dell’urbanistica (14 settembre 2018); Renzo Riboldazzi, Agostini e Scandurra a Città Bene Comune. Le ragioni di un incontro (3 maggio 2019); Carlo Cellamare, Roma tra finzione e realtà (18 luglio 2019); Graziella Tonon, Città: il disinteresse dell’urbanistica (11 ottobre 2019); Mario Agostinelli, Più ecologia, meno disuguaglianze (18 novembre 2022); Giancarlo Consonni, Roma: il possibile riscatto (28 giugno 2024).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 25 OTTOBRE 2024 |
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