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CALABI: UN RAZIONALISMO BEN TEMPERATO


Commento al libro curato da Elena Svalduz e Stefano Zaggia



Luca Zevi


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La mostra, allestita al Palazzo del Monte di Pietà di Padova nello scorso mese di maggio in occasione del sessantesimo anniversario della prematura scomparsa di Daniele Calabi, ha rappresentato un omaggio che la Fondazione Barbara Cappochin, coadiuvata da altri importanti soggetti istituzionali pubblici e privati della città, ha voluto dedicare al possente contributo offerto dall’architetto allo sviluppo architettonico e urbano della città del Santo. Curata amorevolmente da Elena Svalduz e Stefano Zaggia, l’esposizione ha documentato questo percorso a partire dall’esordio professionale, alla fine degli anni Venti del secolo passato, fino alla fine degli anni Cinquanta, quando il baricentro della sua attività si sposta a Venezia.

Il catalogo – Daniele Calabi. L’architetto e la città di Padova nel secondo dopoguerra –pubblicato da LetteraVentidue e oggetto della presente recensione, ripropone e arricchisce il messaggio della mostra. Il libro, infatti, dopo i saluti istituzionali e una mirabilmente sintetica introduzione dei curatori, è ‘protetto’ da due importanti sezioni documentarie: l’ampia rassegna fotografica di Alessandra Chemollo “Calabi oggi” sugli interventi residenziali, in apertura, e l’”Itinerario storico fra i progetti per Padova”, in chiusura. La seconda rappresenta una sorta di ‘archeologia’, grafica e fotografica, della prima, estesa anche all’ampia produzione relativa alle “architetture per la cura”.

La disamina della Chemollo, con immagini di particolare qualità ed efficacia, porta subito in evidenza alcuni temi dominanti l’opera di Calabi: la passione per i materiali – il cotto, il legno, il vetro, il vetrocemento, il ferro – attraverso i quali radica profondamente gli edifici nel loro contesto geografico e storico e regola la luminosità degli ambienti; la smaterializzazione dei volumi attraverso trame murarie – le cui immagini sono spesso veri e propri ‘quadri’ – spesso ispirate all’edilizia rurale veneta, che ne alleggeriscono e impreziosiscono la presenza, soprattutto di quelli la cui mole eccede (anche di molto) quella dell’intorno; la voluta distanza dalla ricerca della ‘purezza’ propria all’International Style, a favore di un dialogo con l’edilizia tradizionale mirata non a una fuga dalla modernità – come ad altri capiterà soprattutto nei successivi anni Ottanta – ma alla ricerca di una ‘diversa’ modernità che induce ad accostarlo a figure come Mario Ridolfi e Ignazio Gardella – un ‘neo-realismo ben temperato’ – che non a quelle di tendenze più ‘astrattiste’. Una ricerca già annunciata da alcuni lavori realizzati prima della partenza per il Brasile – come la Colonia Principi del Piemonte ad Alberoni o la Clinica Neurologica di Padova – che sembrano fare da contrappunto all’ispirazione più ‘altisonante’ dell’Osservatorio astrofisico di Asiago, da un lato, e a quella più razionalista della Casa del Fascio ad Abano Terme, dall’altro.

L’”Itinerario storico”, a conclusione del volume, conferma pienamente l’interesse suscitato dalla carrellata di immagini iniziale, arricchendo molto lo stesso repertorio fotografico con tanti scatti in bianco e nero di grande suggestione. Quello che emerge in piena luce dalla lettura dei disegni è l’approccio sempre rigoroso e sistematico al progetto, che scaturisce da una formazione che ha coniugato la laurea in Ingegneria a Padova a quella in Architettura a Milano – e le relative abilitazioni all’esercizio della professione – con le esperienze lavorative a Parigi, all’inizio dei Trenta, e a San Paolo del Brasile nel decennio 1949-59, nelle quali il tema dell’industrializzazione dell’edilizia è quanto mai presente. Si tratta di una competenza che, assieme a quella urbanistica, risulterà preziosa in particolare nella pianificazione dell’Area Ospedaliera – e segnatamente nella progettazione della Clinica Pediatrica – di Padova.

L’”Itinerario” illustra altresì, come ultimo dei progetti non realizzati, la proposta di ampliamento della sede della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo a Padova del 1959, caratterizzata dall’inserimento appropriato di un organismo moderno ‘sensibile’ all’interno del tessuto storico di Padova: grazie alla trasparenza dei due livelli vetrati – scanditi da un misurato ordine ‘gigante’ – l’opera avrebbe saputo ‘far respirare’ quel tessuto stesso. Si tratta di un approccio analogo a quello tentato un paio di anni prima con il progetto di concorso per la Biblioteca Augusta di Perugia, anch’essa dall’esito sfortunato.

E proprio questa proposta è presentata nell’intervento “Un filo rosso tra Storia e Memoria” di Donatella Calabi – che apre la serie dei saggi compresi fra le due ricordate sezioni illustrative di apertura e chiusura del catalogo – come esempio di adozione del metodo del fotoinserimento – il rendering dell’epoca! – quale strumento principe di controllo preventivo dell’esito del progetto per l’architetto e soprattutto per il committente. Lo scritto viaggia con profondità e leggerezza fra vicende biografiche-familiari e avventure professionali. Molto interessanti, nella parte finale, le notizie sul rapporto con Franco Basaglia, determinante nel promuovere un approccio inclusivo e rispettoso del paziente nella cura delle malattie psichiche (e non solo), e sull’adesione di Calabi alla prospettiva sociale e culturale di Adriano Olivetti.

Il testo “Le città di Daniele Calabi” di Guido Zucconi ripercorre gli scenari urbani nei quali l’esistenza di questo architetto ‘ebreo errante’ si sviluppa, per necessità nel trasferimento a San Paolo del Brasile, per libera scelta nel tirocinio a Parigi e nel ritorno Italia alla fine degli anni Quaranta, con le decisioni di prendere dimora (sempre temporanea!) prima nuovamente a Padova e poi a Venezia.

In “Daniele Calabi nello spazio in-between tra relazioni umane e culturali” Anat Falbel utilizza per l’architetto la definizione, coniata da Jean-Louis Cohen e Hartmut Frank, di “agente di interferenze” fra tradizioni e culture continuamente tentate da approcci autocentrati, che gli ripropongono spesso la propria (davvero non cercata) ‘diversità’.

Il contributo di Stefano Zaggia “Città, università, architettura: Daniele Calabi e Padova nel dopoguerra” racconta lo sviluppo urbanistico di Padova nell’immediato dopoguerra e il reinserimento dell’architetto, al suo ritorno dal Brasile, grazie alla stretta collaborazione con Luigi Piccinato e alla profonda esperienza maturata nel settore della progettazione sanitaria.

I due saggi “Altius non tollendi: gli edifici multipiano di Daniele Calabi a Padova” di Elena Svalduz e “Daniele Calabi e l’architettura a bassa densità a Padova” di Martina Massaro, danno conto della versatilità di un approccio progettuale disponibile a declinare, in maniera sempre originale, le diverse tipologie edilizie.

La complementarità fra arte e architettura, molto sentita da Calabi, è raccontata nell’articolo “In perfetta concordanza con l’architettura: gli interventi artistici nelle cliniche universitarie di Calabi e Brunetta” di Maria Cecilia Lovato e Chiara Marin. Vi si narra degli artisti italiani abitualmente coinvolti nella decorazione delle opere pubbliche, prescritte dalla legge del 2%, e di come Calabi, nel ’55, sia pur faticosamente riuscito a far commissionare a Gino Severini un grande mosaico da collocare nella Clinica Pediatrica di Padova.

“Spazio come azione: Sergio Bettini legge Daniele Calabi” di Giuliana Tomasella illustra tre impegnativi interventi dello storico dell’arte Sergio Bettini su “L’architettura-cronache e storia” di Bruno Zevi rispettivamente nel ’57, nel ’61 e nel ’64. In essi viene rivelata la complessità di scelte progettuali spesso celate dietro un linguaggio volutamente misurato, come quando la proposta per la nuova Biblioteca Augusta di Perugia viene letta come intervento di “restauro critico”.

“Le scale della progettazione: architettura e costruzione in Daniele Calabi” di Gianmario Guidarelli dà conto del difficile equilibrio fra industria e artigianato caratteristica di una ricerca che, fin dall’inizio degli anni Trenta, prende le mosse dalla convinzione che l’esplosione demografica all’orizzonte imponga l’avvio di un processo di industrializzazione della produzione edilizia. Non è però necessario sacrificare, sull’altare di tale processo, un sapere artigianale accumulato in secoli e secoli di costruzione di eccellenza. Dunque, nella coniugazione fra tecnologia e manualità risiede la chiave per l’elaborazione di un’edilizia di massa non standardizzata, capace di esprimere le potenzialità dell’approccio che oggi chiamiamo Made in Italy.

Claudio Caramel, in “Restaurare il contemporaneo”, esprime l’ansia con la quale si è trovato ad affrontare il tema della riqualificazione di edifici contemporanei, alcuni dei quali firmati da illustri colleghi fra cui lo stesso Daniele Calabi. Dal magistero di quest’ultimo si sente guidato a un approccio plurale che va dal restauro conservativo, raramente, a quello critico, più frequentemente, alla stessa demolizione e ricostruzione, nei non rari casi in cui la qualità tanto estetica quanto tecnologica è decisamente scadente.

“6x12, 5x26: la dimensione umana della costruzione” di Edoardo Narne, infine, documenta un’indagine sulle opere di Calabi che si fa esperienza didattica eminentemente creativa e arriva a ‘invadere’ la scena urbana con installazioni temporanee da quelle opere ispirate.

Una cifra determinante dell’opera di Calabi risiede nella sensibilità con la quale l’architetto sa dialogare da pari a pari con gli organismi storici. Una sensibilità che induce, al termine del breve percorso qui illustrato, a una rapida ‘fuga’ a Venezia per visitare una seconda mostra indipendente sui lavori veneziani dell’architetto, organizzata in parallelo a quella padovana e intitolata “Daniele Calabi: il piacere dell’onestà”. Curata da Maura Manzelle e ospitata nei larghi corridoi del Rettorato dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, la mostra si conclude proprio con il progetto di trasformazione di quel complesso. Qui la sapienza dell’ingegnere si sposa mirabilmente alla sensibilità spaziale dell’architetto – anche come regista di grandi ‘solisti’ quali erano i colleghi accademici coinvolti – nel rappresentare il mitico luogo di formazione di eccellenza ideato e diretto per decenni da Giuseppe Samonà.

Luca Zevi

 

 

 

N.d.C. - Luca Zevi, architetto e urbanista, ha insegnato nelle università di Roma e Reggio Calabria. Come progettista si è occupato della rigenerazione di centri storici e del restauro di edifici antichi. A Roma ha progettato il Memoriale ai caduti del bombardamento di San Lorenzo del 1943 e il Museo Nazionale della Shoah. Per il Comune di Roma ha inoltre messo a punto una metodologia di recupero urbano mirata a una «città a misura dei bambini» e per il Ministero degli Esteri ha contribuito a progetti di sviluppo in Albania e El Salvador. È impegnato nella promozione di «viali alberati del terzo millennio» pensati come centrali lineari di produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel 2012 è stato direttore del Padiglione Italia alla XIII Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia.

Tra i suoi libri: (coord.) Il manuale del restauro architettonico (Mancosu, 2001, 2002, 2007); (dir. scient.), Il nuovissimo manuale dell'architetto (Mancosu / Architectural Book and Rewiew, 2003, 2007, 2009, 2010, 2011, 2013, 2019); (a cura di), Cinquanta incontri fra antico e nuovo. 1993-2003 (Mancosu, 2003); Esperienza ebraica e restauro del territorio (Mancosu, 2003); Conservazione dell'avvenire. Il progetto oltre gli abusi di identità e memoria (Quodlibet, 2011); con S. Anastasia, F. Corleone (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie (Ediesse, 2011); a cura di, Le quattro stagioni. Architetture del made in Italy. Da Adriano Olivetti alla green economy (Electa, 2012); (a cura di), Per Genova. Restaurare e reintegrare il Viadotto Morandi? Opinioni culturali e tecniche a confronto (Timìa, 2018); (a cura di), Il Foro italico da ieri a domani (LetteraVentidue, 2023).

Per Città Bene Comune ha scritto: Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe (28 febbraio 2020); Verso una sacralità non confessionale (10 novembre 2023).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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15 NOVEMBRE 2024

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture interpretative e progettuali

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L. Konderak, Per una razionalità ecosistemica, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica (Efesto, 2023)

G. Nuvolati, Capire le città: i dati non bastano, commento a: A. Balducci (a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)

M. Agostinelli, Crisi climatica? Colpa dei nazionalismi, commento a: D. Conversi, Cambiamenti climatici (Mondadori Education, 2022)

R. Pavia, La cura è nel Mediterraneo, commento a: P. Barbieri, A. Fiorelli, A. Lanzetta, Il respiro delle città (Libria, 2023)

F. Cardullo, Non tutto è città, commento a: G. Fera, Spazio pubblico e paesaggio urbano nella città moderna (Planum Publisher, 2020)

E. Scandurra, Roma, scenografia urbana e vita quotidiana, commento a: F. Erbani, Roma adagio (Edea, 2023)

B. Bottero, Città femminili? Ahimè, non ancora, commento a: E. Granata, Il senso delle donne per la città (Einaudi 2023)

A. Calafati, Capitalismo e degenerazione urbanistica, commento a: F. Chiodelli, Cemento armato (Bollati Boringhieri, 2023)

M. Barzi, Il potere dei parchi urbani, commento a: M. Sioli, Central Park (Elèuthera, 2023)

B. Bonfantini, Politiche abitative e governo urbano, commento a: A. L. Palazzo, Orizzonti dell'America urbana (Carocci, 2022)

G. Azzoni, Quando l'architettura è donna, commento a: A. Brandino (a cura di), Antonietta Iolanda Lima architetto (Gangemi, 2024)

M. A. Crippa, Sacro e profano: un nodo architettonico, commento a: M. Botta, Il cielo in terra (Libri Scheiwiller, 2023)

R. Baiocco, E. Beacco, Geddes: la ricerca del metodo, commento a: La città è vostra. Patrick Geddes (LetteraVentidue, 2021)

S. Tagliagambe, Salvare le città: una questione politica, commento a G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)

C. Olmo, Ansia sociale e progettualità, commento a: V. Costa, v La società dell’ansia (Inschibboleth Ed., 2024)

V. Conte, Come si studia il territorio, commento a: G. Nuvolati, M. d’Ovidio (a cura di), Temi e metodi per la sociologia del territorio (Utet, 2022)

G. Pasqui, Spazio, vita e progetto, commento a: P. Viganò, Il giardino biopolitico (Donzelli, 2023)

F.Barbera, Dissidi culturali? No, errori interpretativi, replica al commento di O. De Leonardis

M. Filandri, L'Italia è povera, commento a: C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio, La povertà in Italia (il Mulino, 2022)

G. Dematteis, Cosa ci ha insegnato la pandemia, commento a: C. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

L. Sciolla, Genealogia della creatività, commento a: P. Perulli, Anime creative (il Mulino, 2024)

G. Consonni, Roma: il possibile riscatto, commento a: E. Scandurra, Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024)

P. Gabellini, Napoli, il coraggio della verità, commento a: A. Belli (a cura di), Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento (Guida, 2023)

D. Calabi, Proiettare il passato nel futuro, commento a: G. Zucconi (a cura di), Ricostruire Longarone (IUAV, Silvana ed. 2023)

C. Cellamare, Relazionalità per capire le periferie, commento a: P. Grassi, Barrio San Siro (FrancoAngeli, 2022)

G. B. Lattes, Il sociologo e la città, commento a: G. Amendola, La città: immagini e immaginari (FrancoAngeli, 2024)

G. M. Flick, La città dal diluvio universale all'arcobaleno, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

V. Prina, Esplorare e raccontare Varese, commento a: L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese (Silvana ed., 2023)

C. Olmo, Le molteplici dimensioni del tempo, commento a: M. Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? (Einaudi, 2023)

S. Tagliagambe, Al diavolo la complessità, commento a: J. Gregg, Se Nietzsche fosse un narvalo (Aboca, 2023)

A. Ziparo, Ecoterritorialismo: una strada tracciata, commento a: A. Magnaghi, O. Marzocca (a cura di), Ecoterritorialismo (Firenze University Press, 2023)

L. Gaeta, Ritorno al quotidiano (dopo l'evento), commento a: M. Mininni, Osservare Matera (Quodlibet, 2022)

C. Saraceno, Una casa di tutti, commento a: A. Agnoli, La casa di tutti (Laterza, 2023)

P. Salvadeo, Cosa può fare l'architetto?, commento a: A. Di Giovanni e J. Leveratto (a cura di), Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)

W. Tocci, Visibile-invisibile per il buongoverno urbano, commento a: A. Balducci(a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)

I. Forino, Una casa (e un arredo) per tutti, commento a: G. Consonni, Il design prima del design (La Vita felice, 2023)

E. Ruspini, Intersezionalità e Teoria sociale critica, commento a: P. Hill Collins,Intersezionalità come teoria critica della società (UTET Università, 2022)

M. Caja, Il tempo fa l'architettura, commento a: A. Torricelli, Il momento presente del passato (FrancoAngeli, 2022)

A. Porrino, Biopolitica e governo delle condotte, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica (Efesto, 2023)

A. Bonaccorsi, La Storia dell'aerchitettura è la Storia, commento a: C. Olmi, Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico, (Donzelli, 2023)

M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)

G. Pasqui, Città: fare le cose assieme, commento a: B. Niessen, Abitare il vortice (Utet, 2023)