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Infinito urbano?
Nella civiltà contemporanea, urbano designa il contesto, i connotati e le dinamiche tipiche di aree densamente popolate caratterizzate dallo scambio di beni e servizi e da complesse interazioni come effetto della diversificazione del corpo sociale (Mumford, 1938; Bairoch, 1987). I suoi derivati inurbamento, urbanesimo e urbanizzazione, spesso impiegati come sinonimi, ne rafforzano il senso alludendo a processi di costruzione di spazi fortemente interconnessi sottoposti a due condizioni: i) la concentrazione spaziale di una popolazione oltre certe soglie dimensionali e di densità; ii) la diffusione di sistemi di valori, atteggiamenti e comportamenti che vanno sotto il nome di cultura urbana (Castells, 1974, p. 35), in stretta connessione con un’idea di città come avamposto di modernità, come laboratorio di sperimentazione delle dinamiche di scambio materiale e immateriale a presidio del requisito essenziale della libertà nel legame sociale.
Tale concezione universalistica dei diritti coltivata dalla Rivoluzione Francese si è progressivamente estesa dalla dimensione urbana – citadinité – a quella dello Stato nazione – citoyenneté – con riformulazioni continue dei sistemi di garanzie e delle soglie di prestazioni erogate alla popolazione.
Di fatto, tuttavia, laddove le città delle democrazie occidentali hanno continuato a presidiare i valori della convivenza – il patrimonio comune di tradizioni e virtù civiche inscritto nella civilisation insieme alle prerogative della politesse, l’appropriatezza del contegno individuale –, su scala mondiale l’urbanizzazione ha proceduto a grandi passi, ascrivendo al dominio urbano situazioni variegate, di cui solo una esigua minoranza risponde a una qualche idea di città: si tratta di fenomenologie molto distanti, per dimensioni e prestazioni, dalla città tradizionale incentrata sulla rappresentatività dello spazio pubblico e da quella codificata dal Movimento moderno che coltivava una potente utopia di miglioramento. Se questi tipi di insediamento ospitano all’incirca 900 milioni di individui, le conurbazioni di fatto, nelle loro variegate espressioni, ne ospitano oltre un miliardo, e forme diffuse di urbanizzazione oltre due.
Agli estremi superiori del composito universo urbano che ospita dal 2007 oltre la metà della popolazione mondiale si collocano le megalopoli mondiali, di cui 37 oltrepassano i dieci milioni di abitanti: il continente asiatico domina la classifica, con agglomerati cresciuti esponenzialmente in pochi decenni.
La crescita demografica impetuosa e ineguale, l’instabilità geopolitica, i rischi di nuove pandemie e l’imperativo a una transizione ecologica sostenuta dalla mano pubblica, destano preoccupazione anche alla nostra latitudine: nel solo spazio europeo, le aree urbane, utilizzando circa l’80% delle risorse energetiche e generando fino all’85% del PIL, sono il recapito dei più intensi fenomeni legati ai cambiamenti climatici.
Se è vero che il destino dell’uomo è inscindibile da quello della forma città che ne costituisce l’habitat più congeniale, le riflessioni condotte sullo scorcio del secolo scorso da Paul Bairoch – De Jéricho à Mexico. Villes et économies dans l’histoire (Gallimard, 1985; tr. ing. Cities and Economic Development: From the Dawn of History to the Present, Taylor & Francis, 1987) – e da Murray Bookchin – From Urbanization to Cities. The Politics of Democratic Municipalism (the Bookchin Trust, 2021; tr. it. Dall’urbanizzazione alle città. La politica del municipalismo democratico (Elèuthera, 2023) –, offrono spunti di notevole interesse al dibattito attuale. Pur nella differenza di metodi e apparati argomentativi, i saggi convergono sul fondamento comunitario del fenomeno urbano sin dalle sue prime manifestazioni: fondamento alimentato dalla tensione tra individuo e corpo sociale, tra vincoli di sussistenza e volontà di convivenza, consacrato dal rispetto di regole implicite o da espliciti patti di reciprocità. In termini generali, le trattazioni si concentrano sulla (ri)conciliazione tra processi socio-spaziali (forme dell’urbano) e fenomeni economici, politici e culturali di portata più ampia, dove la sfera sociale contiene e riverbera le due accezioni di economia proposte da Karl Polanyi:
«Tutti i tentativi volti a chiarire il posto dell’economia nella società devono muovere dal semplice riconoscimento del fatto che il termine economico, come viene comunemente usato per descrivere un tipo di attività umana, consta di due significati. Questi hanno radici separate e indipendenti. Non è difficile individuarle, anche se per ciascuno di essi si dispone di una serie di parole che sono sinonimi in senso lato. Il primo significato, quello formale, deriva dalla natura logica della relazione mezzi-fini, come in economizzare o economico; da questo significato discende la definizione di economico basato sulla scarsità. Il secondo significato, quello sostanziale, rinvia al fatto elementare che gli esseri umani, come tutti gli esseri viventi, non possono mantenersi in vita senza un ambiente materiale che li sostenga; è questa l’origine della definizione sostanziale di economico. I due significati, quello formale e quello sostanziale, non hanno nulla in comune» (Polanyi, 1977, trad. it. 1983, p. 42).
Lezioni di storia, lezioni dalla storia
Il saggio di Paul Bairoch, geografo economico sensibile agli apporti della storia urbana e dall’archeologia, indaga la correlazione tra urbanizzazione ed economia, fenomeni trainati da tassi di crescita demografica sin dalla “rivoluzione neolitica” (Childe, 1950), ponendosi alcuni interrogativi di fondo: Quando e come sono nate le città? Ogni forma di civilizzazione ha una forma specifica di città? L’urbanizzazione favorisce l’innovazione e lo sviluppo economico? Qual è stato l’impatto della colonizzazione sui sistemi urbani? Quale è l’importanza della popolazione urbana nelle società tradizionali? L’inflazione urbana del terzo mondo è un handicap o un agente di sviluppo? La rivoluzione industriale è stata favorita dall’urbanizzazione?
Gli argomenti e le argomentazioni del libro sono compendiati da tabelle analitiche e quadri comparativi costruiti a partire da una vasta e approfondita ricerca bibliografica e documentale. Nella prefazione, l’Autore sottolinea come, a fronte di una consolidata tradizione di studi di storia urbana, manchino ancora sintesi generali del processo di urbanizzazione dalla sua comparsa (De Jéricho à Mexico, come recita il titolo dell’opera pubblicata in francese), attribuendone la causa all’eterogeneità delle fonti, all’aleatorietà delle stime demografiche soprattutto per i periodi più lontani, e in particolar modo alla difficoltà di designare con un lessico univoco dinamiche distanti nello spazio e nel tempo.
«L’oggetto essenziale di questa analisi resta tuttavia l’urbanizzazione nella sua primaria accezione. Avremo spesso l’occasione di utilizzare il termine sviluppo o quello di sviluppo economico. Intesa nel senso più esteso essa esprime una condizione che ingloba l’insieme dei fenomeni economici e sociali legati all’evoluzione generale delle società. Dal 1961, sulle tracce di Perroux, le nozioni di crescita e di sviluppo e di progresso economico sono chiaramente distinte, in quanto la crescita è il semplice aumento della produzione dei beni mentre lo sviluppo implica in più dei cambiamenti strutturali e il progresso economico aggiunge allo sviluppo delle nozioni sociali e culturali più ampie.
Nel contesto della presente analisi, il termine sviluppo economico ingloba dunque l’insieme di questi concetti, e beninteso, anche i fenomeni del sottosviluppo. Diciamo che può essere considerato come sinonimo di vita economica e sociale o seguendo Braudel per impiegare una espressione ancora più adeguata di civiltà materiale. D’altronde come vedremo per i fenomeni economici che anticipano la rivoluzione industriale è difficile parlare di sviluppo nel senso attuale» (Introduzione, trad. nostra, pp. 14-15).
Il volume è organizzato in quattro ampie sezioni suddivise in numerosi capitoli e paragrafi. La prima, Dalla nascita del fenomeno urbano agli inizi delle grandi civiltà, si svolge nel ciclo lungo dell’antichità: l’agricoltura, che costituisce un primario motivo per la stanzialità umana, avrebbe fatto la propria comparsa nel Neolitico quasi simultaneamente in diverse aree geografiche, progredendo in virtù di innovazioni nei metodi di coltivazione verso forme via via più intensive di sfruttamento del suolo. Il passaggio dai primi insediamenti alla forma città si è dipanato in tempi lunghi scanditi da processi di specializzazione sociale e funzionale: l’eccedenza di risorse alimentari avrebbe favorito lo scambio con i beni prodotti da un nuovo ceto artigiano, ma anche il sostentamento di figure in grado di emanciparsi dalle attività primarie in direzione di una produzione articolata di servizi dedicati alla gestione dell’apparato amministrativo, alla sicurezza, alle questioni religiose: lo scriba, la guardia, il sacerdote. Come riflesso della divisione del lavoro si sarebbe verificata un’estensione della gamma degli spazi di vita, di relazione e di culto, cadenzati da rituali e codici di convivenza tramandati per via orale o incisi su supporti durevoli. La localizzazione dei nuclei insediativi, la cui dimensione demografica poteva variare da poche centinaia a qualche decina di migliaia di individui, risultò anche condizionata dalla esigenza di presidi stabili lungo gli itinerari di terra e in corrispondenza degli approdi delle rotte marine che inaugurarono il commercio “internazionale”. Oltre alla descrizione del passaggio dalla preistoria alla storia e delle prime forme di civilizzazione in Asia, Africa e Medio Oriente, l’Autore riserva una speciale attenzione al ruolo della Grecia e di Roma nella fase di consolidamento di veri e propri sistemi urbani che dal bacino del Mediterraneo si ramificheranno negli entroterra più remoti.
La seconda sezione, intitolata L’Europa dal V al XVIII secolo, ripercorre un lungo ciclo di vita delle città, alle prese con eventi dirompenti come le invasioni barbariche, l’espansione del Cristianesimo, il protagonismo dei liberi comuni, e infine l’apertura inevitabile e problematica di nuove rotte commerciali che suggellano la proiezione del vecchio mondo sul nuovo inteso come terreno di conquista. Nell’Alto Medioevo, in cui il declino demografico è accompagnato da una significativa dispersione insediativa, alcuni fermenti di innovazione dall’amalgama tra vincitori e vinti preparano il terreno a una nuova fioritura economica e urbana (Sergi, 1998): dopo l’anno Mille, la maggiore mobilità degli uomini e la decisiva riapertura all’economia monetaria determinano, a dispetto dei ripetuti eventi traumatici, come la “peste nera” del Trecento, un intenso sviluppo policentrico su base demografica, tecnologica ed economica sull’intero continente, condensato dall’espressione “l’Europa delle Città” (Hohenberg, Hollen Lees, 1985).
Con l’Umanesimo, dominato da società urbane aperte in condizioni di relativo equilibrio, si sviluppano nuove forme di specializzazione e differenziazione tra mestieri e ruoli nelle compagini urbane (arti maggiori e arti minori) sotto la regia delle corporazioni: si istituiscono nuove consuetudini locali che disegnano nel tempo lungo variabili rapporti di dominanza e meccanismi di mobilità sociale. Con tutti i suoi limiti, l’Europa delle città, che alla fine del XVI secolo conta da 130 a 160 insediamenti sopra i 20.000 abitanti, e quasi un migliaio tra 5.000 e 20.000, rappresenta l’affermazione delle libertà individuali e dei diritti collettivi, in un clima propizio al progresso tecnologico ed a registri di convivenza civile inediti per il passato: tornano ad emergere le figure centrali dell’antichità, l’artigiano, da cui dipende essenzialmente l’aumento della produttività, e il mercante, straordinario veicolo di conoscenza e di tolleranza tra distinte culture.
Una demarcazione definitiva, con la Rivoluzione industriale, inaugura la terza sezione del volume, La città e lo sviluppo del mondo occidentale: nel suo luogo di elezione, l’Inghilterra liberale e capitalista, il fenomeno sovvertirà nel giro di un secolo il rapporto dimensionale tra città e campagna, richiamando nei centri produttivi oltre la metà della popolazione. Questo protagonismo urbano, i cui costi iniziali saranno pagati da elevati tassi di mortalità, si propagherà nell’Europa continentale suscitando presso le amministrazioni cittadine provvedimenti normativi e innovazioni tecnologiche volte ad assicurare condizioni accettabili di igiene e salute, anche grazie alla pressione di estesi movimenti di opinione.
La quarta sezione, Il fenomeno urbano e il Terzo Mondo, esplora le società non occidentali dal XVI al XX secolo, analizzando gli impatti della colonizzazione sulle società tradizionali e gli squilibri della “inflazione urbana” nei paesi emergenti: qui la forma urbis trascritta da improvvisate bidonville non corrisponde davvero alle attese di riscatto di popolazioni in fuga da condizioni di miseria assoluta.
Il capitolo conclusivo, ripercorrendo le costanti del fenomeno urbano oltre le sue multiformi espressioni, ruota attorno ai principali elementi di discontinuità, alle fratture endogene ai modelli di sviluppo che ne flettono le traiettorie e ai rischi esogeni che ne mettono in causa la sopravvivenza stessa soprattutto nei paesi poveri, afflitti da tassi di crescita ingovernabili, disoccupazione, emergenze alimentari, e minacciati da catastrofi sanitarie ed ecologiche.
Queste tematiche sono approfondite nel saggio di Murray Bookchin che concentra la propria lente di sociologo militante sulla forma città come campo di battaglia tra libertà individuale e responsabilità collettiva, tra spazio e società. L’Autore, che getta luce sulle principali contraddizioni e disfunzioni della vita urbana, mascherate da un glossario approssimativo che confonde tra dimensione sociale, politica e statuale, si interroga sulla fungibilità e attualità dei temi portanti dell’apporto sociologico alla costruzione di una vocazione alla politica, ponendo enfasi sul tema della cittadinanza e invitando a un ripensamento radicale del nostro rapporto con l’ambiente costruito.
Il testo ha conosciuto diverse stesure: apparso nella prima edizione con il titolo The Rise of Urbanization and Decline of Citizenship (Sierra Club Books, 1987), viene ripubblicato in edizione economica con il significativo titolo di Urbanization Without Cities (Black Rose Books, 1992), e infine, nel 2021, in una versione con alcune riscritture del testo originale e l’aggiunta del capitolo conclusivo, La nuova agenda municipale, che affronta l’emersione del legame sociale in diversi contesti sulle due sponde dell’Atlantico. Questa versione, pubblicata da The Bookchin Trust nel 2021, è ora disponibile in lingua italiana nella bella traduzione di Elena Cantoni con il titolo Dall’urbanizzazione alle città. La politica del municipalismo democratico (Elèuthera, 2023).
Il taglio tematico è evidente nella intitolazione dei capitoli ad alcuni concetti chiave – urbanizzazione Vs città; la creazione della politica; l’idea di cittadinanza; modelli di libertà civica; politica Vs arte di governo –, che precedono i due saggi conclusivi, dedicati alla ecologia sociale dell’urbanizzazione e alla nuova agenda municipale, compendiati dall’appendice Municipalismo confederale: una visione d’insieme. Questo percorso denso e ambizioso si sofferma sullo spazio di manovra tra emancipazione dell’individuo ed empowerment collettivo in alcune esperienze di comunità e su codici di convivenza basati sulla partecipazione e collettivizzazione responsabile delle risorse naturali. Emergono nel filo del tempo varie declinazioni del vivere associato alla luce delle mutevoli relazioni tra soggetto politico e cittadinanza attraverso le forme sociali in cui né l’individuo né il collettivo rivendicavano sovranità l’uno sull’altro, ma formavano piuttosto un rapporto complementare di reciproco sostegno (p. 314).
Il trasferimento della sovranità popolare nelle mani di élite burocratiche e di forme statuali ha prodotto effetti irreversibili di accentramento del potere politico ed economico, determinando lo smembramento del tessuto sociale, con portati devastanti in termini di qualità della vita collettiva e dell’ambiente insediativo. Per contrastare l’urbanizzazione alienante e la disumanizzante delle città moderne, il concetto di “ecologia sociale” apre a una visione alternativa basata su forme di autogoverno di democrazia decentrata, in cui le comunità locali tornano ad assumere il controllo delle risorse e dei mezzi di produzione-riproduzione.
«Quando i cacciatori raccoglitori nomadi si sedentarizzarono, introdussero cambiamenti radicali che andavano ben oltre il passaggio dalla raccolta del cibo alla sua coltivazione. E quando i villaggi divennero borghi, gli esseri umani cominciarono gradatamente a de-tribalizzarsi e a creare le istituzioni civiche che noi associamo alla civiltà. Il legame di sangue e la divisione delle funzioni in base al genere e i gruppi di status in base all’età furono assorbiti in un assetto sociale del tutto nuovo: la città. Questa era strutturata principalmente intorno alla residenza, alla suddivisione del lavoro e a una varietà di ordini e classi, alcuni dei quali uniti da interessi economici, altri da potere e prestigio. Poco alla volta, i dati biologici di parentela, genere ed età si stemperarono in quelli sociali di prossimità, professione, ricchezza e privilegio.
Da questa vasta trasformazione storica iniziarono ad emergere nuovi modi di organizzare la vita. L’ambito biologico, con le sue apparenti origini naturali, diventò ciò che oggi consideriamo la sfera sociale, ovvero la sfera in cui le persone si incontravano per soddisfare le proprie esigenze materiali, riprodursi, produrre, relazionarsi reciprocamente come individui e gruppi familiari, fraternizzare in un vasto assortimento di rapporti caratterizzati da gradi diversi di intimità. La città, il paese e persino il villaggio fornivano un nuovo ambito di vita: politico, creato dagli esseri umani in cui le persone entravano in un rapporto reciproco in qualità di cittadini per gestire le proprie comunità e risolvere le questioni civiche. Fino a tempi relativamente recenti, l’ambito biologico e quello politico presentavano ampie sovrapposizioni, così che le élite politiche come le aristocrazie legittimavano la propria autorità su borghi e città con rivendicazioni fortemente tribali di ascendenza e genealogia. Finché l’imperatore Caracalla non concesse a tutti gli uomini liberi dell’impero lo status di cittadini, la cittadinanza era in larga parte un privilegio ancestrale. I diritti che conferiva nella gestione della Comunità erano caratterizzati da varie gradazioni di esclusività etnica.
Ma a partire dalla polis greca, la città creò anche una nuova configurazione sociale: al livello minimo, uno spazio territoriale in cui un residente straniero o alieno poteva godere un certo grado di protezione e, successivamente, di partecipazione - un riconoscimento concesso molto di rado agli outsider dalle comunità tribali, per quanto accoglienti fossero nei confronti dell’ospite. Due nuove categorie civilizzatrici, la politica e la cittadinanza, iniziarono ad assorbire le forme prevalentemente biosociali che erano state il collante dei gruppi familiari e tribali del passato» (Bookchin, 2023, pp. 307-308).
Il modello di agenda municipalista confederale a cui tendere in sostegno a processi di autodeterminazione non ha per obiettivo immediato l’esercizio di
«[…] un controllo istantaneo e massiccio sull’economia esistente, mediante i suoi rappresentanti o i loro agenti burocratici, bensì la riapertura di una sfera pubblica totalmente estranea alla sfera statuale e capace di dar vita a un massimo di democrazia nel senso letterale del termine, ovvero creare in forma embrionale le istituzioni in grado di dare potere al popolo in generale. Se è vero che all’inizio una tale prospettiva potrà essere realizzata solo su scala limitata e da assemblee dotate di potere morale, nondimeno questa forma di potere popolare con il tempo potrà espandersi prima localmente e poi su regioni più vaste. Che il suo futuro non sia prevedibile non altera il fatto che il modo in cui si svilupperà dipenderà dal crescere della consapevolezza del popolo e non dal crescere del potere statuale; e come quella consapevolezza, concretizzata in istituzioni altamente democratiche, potrà svilupparsi, resterà una questione aperta, e tuttavia sarà una vicenda eminentemente politica.
Grandi o piccole che siano, queste assemblee iniziali e il movimento che si impegna a promuoverle nelle elezioni civiche sono l’unica scuola concreta di cittadinanza a nostra disposizione. Non esiste un ambito politico altrettanto vivo e creativo in cui formare persone con un curriculum civico che consenta di occuparsi seriamente della gestione degli affari pubblici. In un’epoca di mercificazione, concorrenza, anomia ed egoismo, il nostro compito è creare consapevolmente una sfera pubblica che immette i valori di umanesimo, cooperazione, comunità e servizio pubblico nella prassi quotidiana della vita civica» (Bookchin, 2023, pp. 352-353).
Prospettive
Nelle note conclusive del suo saggio, Bairoch preconizzava in opposizione al gigantismo delle bidonville dei paesi emergenti una flessione responsabile dei ritmi di crescita urbana e l’aumento della produttività agricola, supportati da programmi e politiche sovranazionali incentrate sull’educazione e la formazione al lavoro delle donne e su presidi di welfare su modello delle società occidentali. Ignacy Sachs, recensendo il libro alla sua uscita, segnalava che
«[…] le nostre città, anche nei paesi industriali, sono sempre più segnate dalla segregazione spaziale tra ricchi e poveri, maggioranze e minoranze etniche, e dall’accettazione di una “economia a due velocità”, di una disoccupazione strutturale permanente: a lungo termine rischiano di produrre società di apartheid. Se la riforma urbana prevede una componente importante di opere pubbliche di utilità sociale – il ritorno al keynesianesimo di sinistra – essa non può fare a meno di una diversa ripartizione del lavoro e del reddito, operando un riequilibrio tra città dei produttori e città dei consumatori» (Sachs, 1988, p. 509).
Dagli anni Ottanta ad oggi, la popolazione mondiale è cresciuta del 60%, oltrepassando gli otto miliardi, ma le barriere all’accesso a beni e servizi e ai fattori di produzione hanno aggravato le disuguaglianze. Un recente rapporto della FAO ha posto in luce il rallentamento, se non l’inversione, delle traiettorie intraprese dalla metà del decennio scorso per conseguire gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030. Eventi come la pandemia di COVID-19, i conflitti armati, l’inflazione accelerata e la crisi climatica hanno frenato nei paesi emergenti gli investimenti nel settore chiave dell’agricoltura e distratto dalle politiche di conservazione delle risorse genetiche animali e tutela delle aree forestali essenziali al benessere umano.
Anche nelle regioni a capitalismo maturo, lo smarrimento delle identità urbane e il declino delle rappresentanze concorrono a fenomeni di alienazione sociale, alla crisi ecologica e alle disuguaglianze trascritte in forma indelebile nei sistemi territoriali; non opporsi a queste derive significa assecondare una sorta di neodarwinismo che assume la sfera sociale come «mero risultato delle tendenze associative di individui distinti che interagiscono attraverso un contatto esterno, che ne lascia le nature di base sostanzialmente immutate» (Ingold, 2016, pp. 103-104).
L’urbanizzazione costituisce l’artefatto più rilevante che il genere umano abbia concepito per consistenza e durata: le città continuano a costituire luoghi di accumulazione e snodi di intelligenza collettiva che sviluppano la socialità ed il contatto informale (Amin, Thrift, 2020). Esse risultano inoltre i sensori più esposti alle emergenze: ieri gli elevati tassi di crescita che avrebbero mobilitato expertise maturate sul campo da professionisti della tecnica e dell’amministrazione, oggi i rischi globali, come il cambiamento climatico, gli elevati tassi di disoccupazione e i nuovi flussi migratori, che oltrepassano le tradizionali categorie interpretative di classe o di confini nazionali e producono nuove diseguaglianze (Beck, 2017). Il testo di Bookchin approfondisce il dualismo tra appartenenza e tolleranza, tra processo di individuazione e costruzione del sé e patto di convivenza nel segno dello scambio solidale entro arene inclusive, ma solleva diversi interrogativi circa le concrete modalità attraverso cui tali processi potrebbero propagarsi ed attuarsi efficacemente su più ampia scala.
Le suggestioni di questa utopia permeano la riflessione avviata nei territori del vecchio mondo giunti ai limiti delle proprie possibilità, destabilizzando alcune certezze della logotecnica imperante (Choay, 1965) e approdando a un concetto di “bioregione”, che integra la componente identitaria connaturata alla regione geografica con la finalità di un conseguimento della sostenibilità ambientale (Magnaghi, 2019). La sfida ai modi di produzione e consumo in contesti di crisi ecologica, sociale ed economica potenziale o immanente, impone di comprendere le logiche sottese alle diverse territorialità del lavoro, della produzione, dello svago, del consumo, assumendo la natura intimamente dialettica dei processi di significazione dello spazio nella sfera sociale: sfida incarnata in forma mitopoietica da una visione alternativa del futuro della metropoli parigina (Thévard et al., 2020), e in forma concreta dal policentrismo cui si ispira il Piano di indirizzo territoriale della Regione Toscana (2007).
La bioregione, organizzata attorno ai principi della biologia e degli ecosistemi, intende rispondere
«[…] alle questioni intrinsecamente multiscalari poste dall’esigenza di (ri)definire potenziali riequilibri dei rapporti fra insediamento umano e ambiente, alla scala geografica in cui si dà oggi il territorio dell’abitare e a cui si danno tecnicamente potenziali soluzioni di riequilibrio; e introduco l’aggettivo urbana per accettare sul suo terreno la sfida dell’urbanizzazione globale, proponendo una sua riconversione sia attraverso la ricostruzione dell’urbanità dei luoghi, in forma plurale e multicentrica, sia attraverso nuove relazioni sinergiche fra mondi di vita urbani e rurali a partire dai tessuti più densi delle aree metropolitane e dei territori intermedi post-metropolitani, fino a quelli più radi della collina e della montagna. Si tratta in altri termini di progettare la scomposizione delle megacities e delle urban regions che si vanno oggi edificando in “luoghi urbani”, e di avviarne la ricomposizione reticolare e policentrica in sistemi bioregionali» (Magnaghi, 2019, p. 38).
In Francia gli schemi territoriali di ultima generazione contemperano sfide ambientali e sociali, trascrivendo gli impegni assunti in termini di biodiversità e continuità ecologica assieme a quelli di giustizia spaziale e programmazione dello sviluppo su un ampio ventaglio di tematismi. Si tratta di esperienze non scevre da criticità, in relazione alla fragilità di alcuni costrutti legati a forme di conoscenza “imperfetta”, soprattutto alle scale più alte, e alle tensioni generate dagli interessi contrastanti che emergono nel contesto delle trasformazioni territoriali.
Occorre tuttavia ripartire da questi capisaldi per agende urbane e territoriali in grado di riconfigurare in maniera etica ed ecologica il legame sociale, richiamandosi al principio di reciproca condizionalità tra pieno sviluppo della persona umana e partecipazione enunciato dalla nostra Costituzione, e imboccando percorsi di condivisione e gestione dei beni comuni.
Anna Laura Palazzo
Riferimenti bibliografici
Amin A., Thrift N. J. (2020), Vedere come una città, Mimesis, Milano-Udine. Beck U. (2017), La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari-Roma. Castells M. (1974), La questione urbana, Marsilio, Venezia. Childe G. (1950), The Urban Revolution, in “The Town Planning Review”, 21 (1), pp. 3-17. Choay F. (1965), L’urbanisme, utopies et réalités: Une anthologie, Seuil, Paris. Hohenberg P., Hollen Lees L. (1985), The Making of Urban Europe (1000-1950), Harvard University Press, MA. Ingold T. (2016), Ecologia della cultura, Meltemi, Sesto S. Giovanni. Magnaghi A. (2019), La bioregione urbana nell’approccio territorialista, in “Contesti. Città, Territori, Progetti”, 1, pp. 26-51. https://doi.org/10.13128/contest-10629 Mumford L. (1938), The Culture of Cities, Harcourt Brace Jovanovich, Publishers, San Diego. Polanyi K. (1977), The Livelihood of Man, Academic Press, New York (tr. it. La sussistenza dell’uomo. Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi, Torino, 1983). Sachs I. (1988), Paul Bairoch, De Jéricho à Mexico: villes et économies dans l’histoire, in “Annales. Economies, sociétés, civilisations”, 43 (2), pp. 507-509. Sergi G. (1998), L’idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Donzelli, Roma. Thévard B., Sinaï A., Cochet Y. (2020), Le Grand Paris après l’effondrement: Pistes pour une Île-de-France biorégionale, Éditions Wildproject, Marseille.
N.d.C. - Anna Laura Palazzo è professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi di Roma Tre. È stata Visiting Professor presso l'Ecole Normale Supérieure de Lyon, la Northeastern University of Boston e la San Diego State University. Si occupa di politiche di rigenerazione urbana in Italia e in Europa, è membro del consiglio direttivo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (sezione Lazio) e fa parte del comitato di redazione di “Urbanistica”.
Tra i suoi libri: (a cura di) Centri storici. Innovazioni del recupero (DEI, 1988); Governo dell'ambiente e memoria dei luoghi (Gangemi, 1993); (a cura di) con Mosè Ricci, Permanenza e progetto. Territorio storico e nuova infrastruttura (Argos, 1995); con Ottavia Aristone, Città storiche. Interventi per il riuso (Il sole-24 ore, 2000); (a cura di) con Giovanni Caudo, Comunicare l'urbanistica (Alinea, 2000); (a cura di) Piano locale e politiche sul territorio. Casi di studio (Dedalo, 2000); (a cura di), Campagne urbane. Paesaggi in trasformazione nell'area romana (Gangemi , 2005); con Biancamaria Rizzo, Paesaggio, storia e partecipazione. La convenzione europea a San Marino (Officina edizioni, 2009); (a cura di), con Lucio Giecillo, Territori dell'urbano. Storie e linguaggi dello spazio comune (Quodlibet, 2009); (a cura di) con Simone Ombuen, Roma fra realtà e prospettive, (Università degli Studi Roma Tre, 2013); (a cura di) con Federica Benelli, Energy planning in mediterranean landscapes. Innovation paths in practices and careers (Quodlibet, 2020); (a cura di) con Stefano Magaudda, Serena Muccitelli, Multilevel green governance. Politiche, programmi, progetti per l'attuazione e gestione delle infrastrutture verdi (Quodlibet, 2022); Orizzonti dell’America urbana. Scenari politiche progetti (Roma TrE-Press, 2022); con Antonio Cappuccitti, Rigenerazione urbana. Sfide e strategie (Carocci, 2024); con Alfredo Mela, Elena Battaglini, La società e lo spazio. Quadri teorici, scenari e casi di studio (Carocci, 2024).
Per Città Bene Comune ha scritto: La forma dei luoghi nell’età dell’incertezza (3 novembre 2017).
Sui libri di Anna Laura Palazzo, v. in questa rubrica: Renzo Riboldazzi, Urbanistica: quali politiche per la casa? (19 maggio 2023); Paolo Colarossi, Le città sono fatte di quartieri e di abitanti (27 ottobre 2023); Bertrando Bonfantini, Politiche abitative e governo urbano (11 ottobre 2024).
N.b. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 29 NOVEMBRE 2024 |
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2015: online/pubblicazione 2016: online/periodico1/24 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020: online/pubblicazione 2021: online/pubblicazione 2022: online/pubblicazione 2023: online/pubblicazione 2024:
R. L. Peragine, L'architettura del debito, Commento a: A. di Campli, C. Cempini, Debito e spazio (LetteraVentidue, 2024)
A. Petrillo, La bellezza salverà le città? commento a: G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)
M. Sèstito, La stanza e l'astanza in Louis Kahn, commento a: F. Visconti, Lo spazio al centro in Kahn (LetteraVentidue, 2023)
L. Zevi, Un razionalismo ben temperato, commento a: E. Svalduz, S. Zaggia, (a cura di), Daniele Calabi. L’architetto e la città di Padova nel secondo dopoguerra (LetteraVentidue, 2024)
L. Konderak, Per una razionalità ecosistemica, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica: forme e mutazioni (Efesto, 2023)
G. Nuvolati, Capire le città: i dati non bastano, commento a: A. Balducci (a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)
M. Agostinelli, Crisi climatica? Colpa dei nazionalismi, commento a: D. Conversi, Cambiamenti climatici (Mondadori Education, 2022)
R. Pavia, La cura è nel Mediterraneo, commento a: P. Barbieri, A. Fiorelli, A. Lanzetta, Il respiro delle città (Libria, 2023)
F. Cardullo, Non tutto è città, commento a: G. Fera, Spazio pubblico e paesaggio urbano nella città moderna (Planum Publisher, 2020)
E. Scandurra, Roma, scenografia urbana e vita quotidiana, commento a: F. Erbani, Roma adagio (Edea, 2023)
B. Bottero, Città femminili? Ahimè, non ancora, commento a: E. Granata, Il senso delle donne per la città (Einaudi 2023)
A. Calafati, Capitalismo e degenerazione urbanistica, commento a: F. Chiodelli, Cemento armato (Bollati Boringhieri, 2023)
M. Barzi, Il potere dei parchi urbani, commento a: M. Sioli, Central Park (Elèuthera, 2023)
B. Bonfantini, Politiche abitative e governo urbano, commento a: A. L. Palazzo, Orizzonti dell'America urbana (Carocci, 2022)
G. Azzoni, Quando l'architettura è donna, commento a: A. Brandino (a cura di), Antonietta Iolanda Lima architetto (Gangemi, 2024)
M. A. Crippa, Sacro e profano: un nodo architettonico, commento a: M. Botta, Il cielo in terra (Libri Scheiwiller, 2023)
R. Baiocco, E. Beacco, Geddes: la ricerca del metodo, commento a: La città è vostra. Patrick Geddes (LetteraVentidue, 2021)
S. Tagliagambe, Salvare le città: una questione politica, commento a G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)
C. Olmo, Ansia sociale e progettualità, commento a: V. Costa, v La società dell’ansia (Inschibboleth Ed., 2024)
V. Conte, Come si studia il territorio, commento a: G. Nuvolati, M. d’Ovidio (a cura di), Temi e metodi per la sociologia del territorio (Utet, 2022)
G. Pasqui, Spazio, vita e progetto, commento a: P. Viganò, Il giardino biopolitico (Donzelli, 2023)
F.Barbera, Dissidi culturali? No, errori interpretativi, replica al commento di O. De Leonardis
M. Filandri, L'Italia è povera, commento a: C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio, La povertà in Italia (il Mulino, 2022)
G. Dematteis, Cosa ci ha insegnato la pandemia, commento a: C. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)
L. Sciolla, Genealogia della creatività, commento a: P. Perulli, Anime creative (il Mulino, 2024)
G. Consonni, Roma: il possibile riscatto, commento a: E. Scandurra, Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024)
P. Gabellini, Napoli, il coraggio della verità, commento a: A. Belli (a cura di), Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento (Guida, 2023)
D. Calabi, Proiettare il passato nel futuro, commento a: G. Zucconi (a cura di), Ricostruire Longarone (IUAV, Silvana ed. 2023)
C. Cellamare, Relazionalità per capire le periferie, commento a: P. Grassi, Barrio San Siro (FrancoAngeli, 2022)
G. B. Lattes, Il sociologo e la città, commento a: G. Amendola, La città: immagini e immaginari (FrancoAngeli, 2024)
G. M. Flick, La città dal diluvio universale all'arcobaleno, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)
V. Prina, Esplorare e raccontare Varese, commento a: L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese (Silvana ed., 2023)
C. Olmo, Le molteplici dimensioni del tempo, commento a: M. Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? (Einaudi, 2023)
S. Tagliagambe, Al diavolo la complessità, commento a: J. Gregg, Se Nietzsche fosse un narvalo (Aboca, 2023)
A. Ziparo, Ecoterritorialismo: una strada tracciata, commento a: A. Magnaghi, O. Marzocca (a cura di), Ecoterritorialismo (Firenze University Press, 2023)
L. Gaeta, Ritorno al quotidiano (dopo l'evento), commento a: M. Mininni, Osservare Matera (Quodlibet, 2022)
C. Saraceno, Una casa di tutti, commento a: A. Agnoli, La casa di tutti (Laterza, 2023)
P. Salvadeo, Cosa può fare l'architetto?, commento a: A. Di Giovanni e J. Leveratto (a cura di), Un quartiere mondo (Quodlibet, 2022)
W. Tocci, Visibile-invisibile per il buongoverno urbano, commento a: A. Balducci(a cura di), La città invisibile (Feltrinelli, 2023)
I. Forino, Una casa (e un arredo) per tutti, commento a: G. Consonni, Il design prima del design (La Vita felice, 2023)
E. Ruspini, Intersezionalità e Teoria sociale critica, commento a: P. Hill Collins,Intersezionalità come teoria critica della società (UTET Università, 2022)
M. Caja, Il tempo fa l'architettura, commento a: A. Torricelli, Il momento presente del passato (FrancoAngeli, 2022)
A. Porrino, Biopolitica e governo delle condotte, commento a: O. Marzocca, Il virus della biopolitica (Efesto, 2023)
A. Bonaccorsi, La Storia dell'aerchitettura è la Storia, commento a: C. Olmi, Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico, (Donzelli, 2023)
M. Venturi Ferriolo, La città vivente, commento a: S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente (Laterza 2023)
G. Pasqui, Città: fare le cose assieme, commento a: B. Niessen, Abitare il vortice (Utet, 2023)
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