Rosario Pavia  
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LEGGERE LE CONNESSIONI PER CAPIRE IL PIANETA


Commento al libro di Parag Khanna



Rosario Pavia


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Per introdurre una riflessione sul libro del geografo geopolitico Parag Khanna, Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale (Fazi, 2016), può essere utile ricordare le parole di un altro geografo, Franco Farinelli, che nella conclusione del suo saggio L'invenzione della Terra (Sellerio, 2007) affermava: "la globalizzazione, qualunque cosa con essa si voglia intendere, implica comunque e anzitutto la comprensione letterale del termine, e significa prima d'altro che non è più possibile contare, nel rapporto con la realtà, sulla potentissima mediazione cartografica che, riducendo ad un piano la sfera terrestre, ha fin qui permesso di evitare di fare i conti con la Terra così come davvero essa è, con il globo. [...] Proprio perché questi conti non possiamo più rimandarli, dobbiamo allora urgentemente iniziare a reinventare la Terra stessa, attraverso altre logiche ed altri modelli". È quello che Parag Khanna ha iniziato a fare con una nuova narrazione del mondo contemporaneo e futuro, che è descritto attraverso una cartografia in cui non sono i confini amministrativi e naturali a prevalere, ma i circuiti di reti e di flussi. Non più barriere e vincoli geografici, ma connessioni e filiere che legano i sistemi di produzione con quelli di distribuzione e consumo. Inseguire le supply chain porta a scoprire il mondo della globalizzazione, la cui descrizione avviene attraverso una molteplicità di mappe che si sovrappongono, si contraddicono, per poi variare continuamente. E porta alla stessa conclusione di Farinelli, ovvero all'impossibilità di fissare sulla superficie di una carta il reticolo mutevole di flussi e di infrastrutture che avvolgono la sfera terrestre.

Le reti che avviluppano la Terra sono fisiche e immateriali: le infrastrutture materiali si espandono insieme alle reti informatiche al punto che "il mondo sta davvero cominciando ad assomigliare a Internet" (Khanna, p.43). Nel 1989 decolla Internet e accelera i processi di globalizzazione, facendoci entrare in una fase che va oltre l'internazionalizzazione, in un mondo di supply chain. Queste "sono l'ecosistema completo di produttori, distributori e venditori che trasformano materiale grezzo (dalle risorse naturali alle idee) in beni e servizi erogati alla gente in qualsiasi parte del mondo" (ibidem, p.53). In realtà è estremamente complesso ricostruire il percorso di un prodotto finito che giunge a destinazione: dall'estrazione delle materie prime, alla produzione di semilavorati e componenti, al suo montaggio e distribuzione, al suo consumo e trasformazione in rifiuto o risorsa seconda per rientrare nuovamente nel ciclo. Dietro ogni merce c'è una filiera, una supply chain che sostiene il rapporto tra domanda e offerta.

Parag Khanna sa bene che questo "sistema di transazione" è per la sua complessità e ramificazione oscuro, perchè "vediamo chi vi lavora e le infrastrutture" ma ci sfuggono le logiche d'insieme. Vediamo le grandi reti infrastrutturali che realizzano la connettività materiale per il transito delle merci, scopriamo che lungo di esse si addensano le aree urbane, i nodi di scambio, le migliaia di piattaforme produttive e logistiche (in particolare le ZES, Zone Economiche Speciali). Lungo il percorso delle supply chain si concentra la ricchezza e il potere secondo una tendenza che trascende la sovranità degli stati in favore delle città. Su questo punto Parag Khanna non ha dubbi: il XXI secolo sarà dominato dai sistemi urbani, dalle "città stato", dalle loro federazioni, dalle loro alleanze. E non solo per la crescita demografica della popolazione urbana che già nel 2030 giungerà ad essere il 70% di quella mondiale - dato che di per sé sottolinea il ruolo delle agglomerazioni urbane come bacini di consumo e destinazione finale delle supply chain - ma perché nelle grandi città, soprattutto, si concentreranno capitali, cervelli, servizi, aziende multinazionali. Altro aspetto significativo, le principali agglomerazioni urbane saranno tutte sulle aree costiere. "Nel XXI secolo le città sono la più grande infrastruttura dell'umanità" (ibidem, p. 92). Questa insistenza di Khanna sul termine infrastruttura è importante. Essa si applica alla città, alle grandi opere, alle reti e alle supply chain. Tutte queste infrastrutture sono viste come il "fondamento della mobilità sociale e della resilienza economica" (ibidem, p. 41). Forse potrebbero fare di più. Del resto la radice di infrastruttura deriva dal latino infra che significa sotto, ma anche tra, tramite: per infrastruttura possiamo intendere una costruzione che unisce, che lega, che mette in relazione. Dovremmo chiederci, allora, in che misura le infrastrutture, così centrali per il funzionamento del sistema globale, si relazionano all'ambiente e incidono sulla sua resilienza. Questa prospettiva di ricerca manca nella riflessione di Khanna, ma in qualche modo l'esaltazione della connettività non può che sottenderla.

Il trapasso verso un futuro dominato da grandi città è pieno di ostacoli e di attriti, come dimostrano le tensioni politiche sovraniste diffuse in tutto il mondo e particolarmente accese in Europa (si pensi alla vicenda Londra Brexit o alla Catalogna). Gli Stati resistono alla dispersione, al decentramento, all'autodeterminazione delle metropoli e delle città regioni, ma nello stesso tempo non possono sottrarsi alla domanda di connettività richiesta dagli interessi commerciali ed economici interni e internazionali. Il mondo è sempre più connesso da corridoi autostradali e ferroviari, da rotte marittime, da canali, da reti elettriche e condotti per il trasporto di combustibili, da cavi di fibra ottica. Trattati commerciali, sanzioni, partenariati e accordi regolano un complesso equilibrio di scambi commerciali, di transazioni finanziarie e di dati. Non tutto è trasparente e lineare, ma il grosso fluisce in questo reticolo, superando ostacoli, attriti, improvvise interruzioni. Come in una fitta rete di vasi comunicanti alla fine i flussi trovano sempre i percorsi per arrivare a destinazione. "Il nostro mondo continuerà ad essere pieno di attriti, ma l'attrito del futuro consisterà nel controllo dei flussi" (ibidem, p. 70). In questa prospettiva anche le guerre sui dazi (oggi si è aperto lo scontro tra USA e Cina) alla fine troveranno una soluzione di equilibrio.

Ci sono attriti doganali, sanitari, di sicurezza, affinché il sistema continui a funzionare occorrono misure speditive e controlli rigorosi. Il controllo dei flussi sarà sempre più controllo delle connessioni e dei nodi di passaggio e di scambio. Il reticolo che avvolge il mondo è dinamico e mutevole, si ricompone di continuo a seconda delle interferenze (politiche, militari, ambientali), della densità di attrito e della variabilità dei fattori di costo. Per questo il futuro ci appare complesso e incerto.

È evidente in Khanna la fiducia nel ruolo positivo dell'investimento infrastrutturale, il riferimento costante è infatti Keines che vedeva nei lavori pubblici lo strumento per il sostegno dell'occupazione e della domanda interna aggregata. Dalla seconda guerra mondiale la formazione di capitale fisso è cresciuta vertiginosamente, passando da meno del 20% a oltre il 30% del Pil mondiale. "Oggi la Cina ha fatto di Keines il proprio verbo come nessun altro" (ibidem p. 41). Infrastrutture per connettere i territori interni e sostenere l'occupazione, ma sempre di più interventi per sviluppare una connettività globale. Attraverso le tante vie della seta la Cina sta ampliando le proprie reti in direzione dell'Europa che viene raggiunta via terra (i container possono arrivare da Pechino direttamente a Duisburg) e via mare con nuove postazioni portuali nel Mediterraneo (il porto di Pireo costituisce in questo senso un vero avamposto). A differenza delle potenze coloniali del passato che occupavano militarmente i territori, la Cina di Xi Jinping estende la sua influenza mediante accordi per concessioni minerarie, forniture energetiche, connessioni infrastrutturali, insediamenti di nuove ZES, accessi alle risorse idriche. L'obiettivo è l'estensione e la continuità delle supply chain. Le reti infrastrutturali promosse dalla Cina avanzano in ogni direzione: dalla Siberia alla Mongolia, all'Asia meridionale, al Pakistan e Afganistan, al Medio Oriente. In Africa la presenza cinese è pervasiva: ha già finanziato un corridoio stradale dal Sudan all'Etiopia, all'Uganda al Kenia, ma il progetto più ambizioso sarà la promozione di una ferrovia dal Cairo a Città del Capo.

C'è una sorta di orgoglio quando Khanna elenca i dati del patrimonio infrastrutturale mondiale: "la nostra griglia d'infrastrutture oggi include approssimativamente 64 milioni di chilometri d'autostrade, 2 milioni di chilometri di oleodotti e gasdotti, 1,2 milioni di chilometri di ferrovie, 750.000 chilometri di cavi Internet sottomarini che collegano i tanti centri nevralgici, per popolazione ed economia [...]. Secondo alcune stime l'umanità costruirà più infrastrutture nei prossimi quaranta anni che nei quattromila passati" (ibidem, p.43). La connettività avanza e i suoi effetti contribuiranno, secondo Khanna, a migliorare la stabilità economica e sociale del mondo. Possiamo esserne certi? In realtà le contraddizioni non mancano. "Le supply chain sono anche lo strumento con cui i mercati violentano il mondo" (p. 63). La connettività avanza e con essa aumenta il saccheggio delle foreste dell'Amazzonia e dell'Africa centrale; cresce lo sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio (l'Artico e l'Antartico garantiscono lunga vita all'energia fossile); crescono le emissioni di gas serra con effetti negativi sul cambiamento climatico (surriscaldamento, desertificazione, instabilità meteorologica, inondazioni, ondate di calore, dissesti idrogeologici...); aumenta l'inquinamento delle acque nei fiumi, nei laghi, nei mari, nello stesso tempo lo sfruttamento delle falde acquifere produce subsidenza e disastri idrogeologici. L'acqua, anche a causa dello sfruttamento intensivo agricolo e industriale e della crescita della popolazione urbana, è divenuta una risorsa limitata che mette a rischio la sopravvivenza di intere regioni. Cresce la produzione e il consumo e la questione dei rifiuti diventa sempre più drammatica. Accanto alle reti della connettività che sostengono le supply chain scopriamo le reti dismesse, gli scheletri delle fabbriche abbandonate, i vuoti delle cave e delle miniere, le discariche e i depositi dei rifiuti. Si delinea una geografia parallela di cui non si parla e che non trova posto neppure nella pur ampia e complessa connettografia con cui Khanna descrive il mondo.

Lungo le supply chain il lavoro legale incontra quello irregolare che sfrutta il lavoro a basso costo, senza tutela e senza sicurezza per la salute. Nelle maglie delle transazioni è frequente il ricorso al lavoro minorile, e questo coinvolge anche le grandi multinazionali. Non sarà facile garantire la qualità delle condizioni di lavoro lungo le filiere produttive che hanno fatto del decentramento e della frammentazione il sistema per abbassare i costi del processo. Occorre un codice etico, ma chi è in grado di introdurlo e farlo rispettare? Alcune filiere, del tutto clandestine e fuorilegge, dal traffico della droga, allo smaltimento dei rifiuti pericolosi, al commercio di armi, realizzano ramificazioni che si appoggiano alla connettività generale. Ecco che via via emerge un mondo oscuro e miserabile che vive all'ombra delle reti di connessione dei grandi poli di produzione e delle grandi città direzionali e di consumo. Intorno alle ZES e al cuore tecnologico delle megalopoli, sterminate periferie e insediamenti informali crescono a dismisura in condizioni di disuguaglianza e precarietà ambientale e igienica.

La connettività non si traduce in accoglienza e pari opportunità. Lo scopriamo nel degrado delle periferie urbane, nel dramma dei migranti che lasciano i loro paesi oppressi dalla povertà, dalla fame, dalle guerre, dai disastri ambientali, per trovare ospitalità e riscatto nei Paesi più sviluppati. Secondo Khanna ci sono oltre 300 milioni di persone che hanno lasciato la loro terra e che attualmente vivono la condizione precaria del migrante. Alla connettività che sostiene lo scambio e la valorizzazione delle merci, dovremmo aggiungere una connettività per l'accoglienza delle persone. La connettività non è solo collegamento e comunicazione tra continenti, tra aree geografiche, tra regioni e città. C'è una connettività a scala urbana che non può essere solo distribuzione di merci, ma accessibilità a beni, servizi, opportunità. Più connettività per avere più democrazia. Questo discorso ne apre un altro: può la connettività, che riconosciamo essere uno dei paradigmi del mondo contemporaneo e futuro, contribuire a ristabilire l'equilibrio ambientale minacciato dal cambiamento climatico che noi stessi stiamo producendo?

Il cambiamento climatico è in corso e produrrà mutamenti ambientali (e politici) che rivoluzioneranno la geografia insediativa del mondo (il pianeta si suddividerà in terre abitabili e terre del tutto inospitali). Khanna è convinto che questi cambiamenti avverranno nel corso del XXI secolo e che a poco varranno gli accordi internazionali promossi dall'ONU per contenere l'aumento della temperatura al di sotto dei due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Come del resto è emerso dalla conferenza di Parigi del 2017, dove alcuni Stati, a partire dagli USA, hanno rivisto i propri impegni. La ragione di questa resistenza e della incapacità di mantenere gli impegni assunti circa la riduzione dell'inquinamento e delle emissioni di gas serra, sta nel fatto che, in fondo, non sono gli Stati i principali responsabili ma la pluralità di soggetti che intervengono nella catena di valore delle supply chain. Metterli d'accordo non sarà una impresa facile, perché questi non sono riferibili a uno Stato preciso, ma a insiemi variabili che investono operatori di nazionalità diversa. Una recente analisi di "La Repubblica. Economia e Finanza" sulle componenti di un Boeing, la cui produzione è distribuita in una moltitudine di Stati, ha descritto mirabilmente la realtà industriale di un mondo globalizzato.

Una nuova geografia è in formazione per l'aumento della temperatura e lo scioglimento dei ghiacci. Vedremo l'Artico divenire una nuova rotta marittima; paesi freddi e scarsamente popolati come la Groelandia, la Siberia, il Canada si trasformeranno in terre appetibili in grado di accogliere centinaia di milioni di nuovi abitanti; lo scongelamento del permafrost che oggi copre grande parte del Nord Europa e dell' Eurasia trasformerà quelle terre desolate in terreni fertili e abitabili, (ma Khanna omette di ricordare che lo scioglimento del permafrost rilascerà nell'atmosfera enormi quantità di metano con il conseguente aumento della temperatura). Lo scioglimento dei ghiacci produrrà un innalzamento dei mari con gravi rischi per le urbanizzazioni costiere. E non basterà decentrare le città verso l'interno, come propone con insistenza Khanna. Abbondanza di acqua nel Grande Nord della Russia, dove lo scongelamento delle distese di permafrost accrescerà la portata dei fiumi (per cui si prevede una loro deviazione vero il Sud dell'Eurasia), e scarsezza di risorse idriche nella Cina meridionale. Siccità e desertificazione renderanno gran parte del pianeta inabitabile, con conseguenze drammatiche sulla popolazione. L'esodo dei rifugiati ambientali è già iniziato. La nuova geografia indotta dal cambiamento climatico sarà accompagnata da tragedie epocali (catastrofi ecologiche, guerre, epidemie) di cui non si parla sufficientemente. Ed è sempre più evidente come alla disuguaglianza sociale prodotta dal mercato capitalistico e dalle politiche neoliberiste si associ una disuguaglianza nella condizione di rischio ambientale (Bech, 2017).

Il mondo osservato e descritto da Khanna è il prodotto di questo intreccio, il racconto che ne trae rivela una disincantata accettazione, ma anche una fiducia che alla fine la connettività possa estendere le opportunità di lavoro e di vita per centinaia di milioni di persone. C'è dell'utopia positiva in Khanna. Una utopia politica nel prefigurare che megalopoli interconnesse possano evolversi in un organismo tecnocratico e cosmopolita in grado di guidare un nuovo ordine mondiale e imporre un capitalismo "regolatorio" più equo, capace di sfruttare la connettività per fini di utilità collettiva. E una utopia tecnologica legata alla potenza conformativa e salvifica delle reti infrastrutturali.

Un progetto di diffusa modernizzazione si cela dietro le grandi opere di ingegneria. Un sommario elenco di grandi opere realizzate, in corso di attuazione o in programma può dare la misura di come una tale processo stia trasformando il pianeta. I tunnel sottomarini e i ponti sono le infrastrutture che maggiormente rappresentano il progetto mondiale di interconnessione. Dopo il tunnel sotto la Manica e quello giapponese di Seikan, i tunnel più lunghi saranno quelli intercontinentali (la Cina e la Russia propongono di realizzare un tunnel di 85 km nello stretto di Bering per connettere la Siberia con l'Alaska, mentre Spagna e Marocco stanno progettando l'attraversamento dello stretto di Gibilterra). Il ponte di Ørensud che collega Copenaghen con Malmö in Svezia è il ponte più lungo europeo, ma i ponti di maggiore sviluppo li troviamo negli USA (Lake Pontchartrain Causeway e Manchac Swamp Bridge) e in Cina (il Danyang Kunshan Bridge che connette Pechino con a Shanghai e il Jiaozhou Bay Bridge che collega la città di Tsingtao con il distretto di Huangdao). Mentre sono terminati i lavori per l'ampliamento dei canali di Suez e di Panama per consentire il passaggio nelle due direzioni di grandi navi portacontainer capaci di trasportare oltre 15.000 TEU, viene annunciato il programma (russo kazako) per realizzare un canale tra il Mar Caspio e il Mar Nero e il progetto (cinese), anch'esso ambizioso, di connettere l'Atlantico con il Pacifico attraversando il Nicaragua. Un canale di connessione tra il Mar Rosso e il Mar Morto, con impianti di desalinizzazione e centrali idroelettriche, è in studio da parte della Banca Mondiale. Progetti di canali per l'irrigazione e l'approvigionamento idrico sono in corso di realizzazione in Cina tra il Sud e il Nord connettendo il fiume Yangtze con il fiume Huang Ho e le provincie di Pechino e Tianjin (questi grandi progetti di ingegneria idraulica richiamano alla mente imprese storiche come l'acquedotto del Colorado che ha consentito lo sviluppo della California o la devastante esperienza del canale Karakum che deviando le acque del fiume Amu Darya, ha stravolto l'equilibrio ambientale del lago d'Aral). Milioni di chilometri di gasdotti, di oleodotti attraversano i territori di tutto il mondo, appoggiandosi a nuove infrastrutture stradali. Nuove connessioni ferroviarie sia a Nord che a Sud sono previste per potenziare le 'vie della seta'. Nuovi porti si affiancano a quelli preesistenti che aumentano le loro dimensioni, gli hub aereoportuali si ingigantiscono, si moltiplicano le piattaforme logistiche. Lungo le traiettorie delle supply chain si impiantano immense zone economiche speciali e nuovi insediamenti.

Grandi dighe, centrali idroelettriche, impianti termoelettrici, ma anche impianti eolici e campi fotovoltaici con potenti reti di trasmissione (come il Solar Africa Europa Trans Green). Sterminati programmi di forestazione sono promossi in Cina per fermare, con una grande muraglia verde, la desertificazione che minaccia la provincia di Pechino. Un'altra grande muraglia verde è in studio in Africa, dal Senegal all'Oceano Indiano. Contro il rischio di inondazioni si fa tesoro dell'esperienza olandese e si progettano dighe per la protezione delle urbanizzazioni costiere (ma su questo punto Khanna lancia un preoccupato allarme: "con gli oceani che stanno sommergendo gli habitat in cui viviamo saremo costretti a deurbanizzarci con la stessa rapidità con la quale abbiamo affollato le coste?" (p.498). Per accrescere la produzione alimentare sono state realizzate grandi estensioni di serre (come ad Almere in Spagna) e sperimentate efficienti colture idroponiche in contesti privi di acqua e suolo fertile. Per contrastare la siccità, produrre acqua potabile e irrigare terreni per l'agricoltura sono già attivi in Israele e in Marocco enormi impianti di desalinizzazione. La questione alimentare è al centro della ricerca sia per la crescita della popolazione, sia per un futuro climatico a rischio. E proprio pensando al futuro che è stato realizzato lo Svalbard Global Seed Vault, una sorta di banca fortificata scavata in un ghiacciaio norvegese per preservare le sementi provenienti da tutte le parti del mondo e proteggere la biodiversità agricola.

A Dubai, per l'Expo 2020 il cui tema è Connecting minds. Creating future, avremo probabilmente un quadro aggiornato delle realizzazioni più innovative e dello sviluppo tecnologico futuro. Temiamo, tuttavia, che sarà un quadro parziale e insufficiente, ma che rappresenterà assai bene le forze e le intelligenze che si propongono di governare attraverso le supply chain l'ordine del mondo. Tra l'ordine del mondo e l'equilibrio ambientale del pianeta c'è uno scarto profondo, ma anche una condizione di similarità. Da un lato l'attuale sistema di produzione, distribuzione e consumo produce un continuo saccheggio delle risorse naturali e una progressiva alterazione del clima, dall'altro sia l'ordine mondiale che l'equilibrio ambientale appaiono fragili e precari. Da una parte disuguaglianze sociali insostenibili, tensioni, instabilità politiche, terrorismo e guerre minacciano la tenuta e lo sviluppo delle città e delle supply chain, dall'altra il riscaldamento globale in atto minaccia la vivibilità di interi territori.

Sarà possibile trovare una convergenza che leghi l'ordine del mondo all'equilibrio del pianeta? In fondo è questo il tema che l'Antropocene ci pone, per il quale dovremmo promuovere una nuova modernità capace di piegare la tecnologia ad una politica che metta al centro sia la questione sociale della disuguaglianza e dell'accoglienza, sia la questione ambientale: ovvero la salvezza dell'abitabilità del pianeta (città accoglienti in un pianeta ospitale). In questa prospettiva non interessano le soluzioni prospettate dalla geoingegneria, esse sono estreme e arriverebbero troppo tardi, quando tutto è perduto. Interessa, piuttosto, iniziare a ragionare sull'esistente, partendo proprio dalle infrastrutture che sostengono le supply chain che Parag Khanna ha utilizzato per descrivere l'ordine del mondo. Il punto di partenza dovrebbe essere la valutazione della loro impronta ecologica per comprendere il loro impatto e il loro costo sul sociale e sull'ambiente. Impresa difficile, ma che metterebbe finalmente in luce che l'investimento infrastrutturale va valutato nel tempo e che i costi dei suoi effetti collaterali non possono essere lasciati cadere su una indefinita collettività.

Il progetto di infrastruttura deve incorporare fin dall'inizio i costi aggiuntivi legati ai suoi effetti sull'ambiente e trasformarsi in un dispositivo complesso che produce servizi per l'equilibrio del pianeta. Dobbiamo pensarle come infrastrutture ambientali, come reti che dialogano con la natura e la rafforzano nella funzione di riproduzione delle condizioni di vita del nostro habitat. James Lovelock ci ha ricordato che Il pianeta, funziona come una grande infrastruttura capace di autoregolare le condizioni climatiche con la sua massa d'acqua, il suo suolo poroso e organico, il suo manto vegetale (Lovelock, 2006). Questo equilibrio è ora fortemente minacciato dalle nostre attività. Per questo l'attuale fase geologica è stata chiamata Antropocene, in cui per la prima volta il tempo breve dell'umanità si è incontrato con quello profondo del pianeta (Ghosh, 2017). Un mondo artificiale si è sovrapposto al sistema organico e naturale: le infrastrutture (dalle città, alle reti della connettività) avvolgono ora il pianeta come una seconda pelle. Naturale e artificiale si combinano insieme in ogni angolo della Terra, per cui la crosta terrestre appare un unico grande suolo di cui, come aveva anticipato William Morris all'inizio della modernità, occorre prendersi cura.

I fiumi sono insieme reti naturali e artificiali. Eliminato il loro inquinamento, le reti fluviali esemplificano molto bene la nozione di infrastruttura ambientale (Pavia, 2012). Come i fiumi, le infrastrutture ambientali incorporano la natura e contribuiscono all'equilibrio dell'habitat (producendo energia pulita, assorbendo carbonio, contenendo il rischio idrogeologico, incrementando le dotazioni di verde….). In questa fase di transizione verso incerti equilibri climatici non mancano sperimentazioni e programmi di rilievo sia a livello urban che territoriale (esistono un pluralità di piani per l'adattamento climatico). Tuttavia, abbiamo l'impressione che tali esperienze siano insufficienti, che la scala d'azione debba assumere una dimensione globale. Le infrastrutture che sorreggono le supply chain, e con esse l'economia del mondo, hanno una grande potenza di sviluppo e di distruzione, nello stesso tempo hanno l'estensione, le risorse e la connettività necessarie per poter agire in favore dell'ambiente e contenere gli effetti del cambiamento climatico. Forse, per questa via, potremo non soltanto descrivere il nuovo ordine del mondo, ma tentare di reinventare la Terra.

Rosario Pavia

 

 

Riferimenti bibliografici
Bech U., La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari-Roma 2017.
Farinelli F., L'invenzione della Terra, Sellerio, Palermo 2007.
Ghosh A., La grande cecità. Il cambiamento climatico e l'impensabile, Neri Pozza, Vicenza 2017.
Khanna P., Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, Roma 2016.
Lovelock J., La rivolta di Gaia, Rizzoli, Milano 2006.
Pavia R., Eco-Logiche, in "Piano Progetto Città", n. 25-26, 2012.

 

 

N.d.C. - Rosario Pavia, già professore ordinario di Urbanistica all'Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara, ha diretto il Dipartimento Ambiente Reti e Territorio e il periodico "Piano Progetto Città".

Tra i suoi libri: Le paure dell'urbanistica (Costa & Nolan, 1996); con A. Clementi, Territori e spazi delle infrastrutture (Transeuropa, 1998); Babele. La città della dispersione (Meltemi, 2002); con L. Caravaggi e S. Menichini, Stradepaesaggi (Meltemi, 2004); Adriatico risorsa d'Europa (Diabasis, 2007); con M. Di Venosa, Waterfront. Dal conflitto all'integrazione (LISt, 2012); Il passo della città. Temi per la metropoli futura (Donzelli, 2015).

Per Città Bene Comune ha scritto: Il suolo come infrastruttura ambientale (11 maggio 2016).

Sull'ultimo libro di Rosario Pavia, v. i commenti di: Patrizia Gabellini e Renzo Riboldazzi.

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

21 GIUGNO 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

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powered by:
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Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

G. Consonni, In Italia c'è una questione urbanistica?, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Romano, Memoria e bellezza sotto i cieli d'Europa, commento a: S. Settis, Cieli d'Europa (Utet, 2017)

V. Biondi, La nuova crisi urbana negli USA, commento a: R. Florida, The New Urban Crisis (Basic Books, 2017)

P. Colarossi, Per un ritorno al disegno della città, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2012, rist. 2015)

A. Clementi, In cerca di innovazione smart, commento a: C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita, From Smart Cities to Smart Region (Springer, 2016)

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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