Maria Antonietta Crippa  
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CHIESE E CITTÀ: UN TEMA NON SOLO STORIOGRAFICO


Commento al libro di Giuseppe Meduri



Maria Antonietta Crippa


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Ho volentieri accettato l'invito a recensire e discutere il volume di Giuseppe Meduri, Quarant'anni di architettura sacra in Italia 1900-1940. Le questioni, il dibattito, le polemiche (Gangemi, 2016) perché esplora la produzione di chiese in un periodo la cui storia 'architettonica' è da qualche decennio in revisione. Inoltre, le pubblicazioni sul tema denominato architettura sacra (dizione che a molti può apparire oggi imprecisa o non del tutto pertinente) sono numerose, non solo in Italia dove abbondano, ma riguardano quanto si è discusso e realizzato dal secondo dopoguerra ad oggi. I rari studi su personalità e tendenze relative alla prima metà del secolo non hanno varcato la soglia di indagini destinate a cerchie specialistiche di studiosi, sia in Italia che in Europa. Solo a pochissime chiese europee tra le due guerre, inoltre, si fa cenno nei manuali di storia dell'architettura pubblicati dalla seconda metà del secolo fino a oggi. L'argomento affrontato da Meduri mi ha per questo incuriosito; merita, mi pare, di non essere lasciato cadere. Propongo pertanto qui, con la recensione, una serie di interrogativi che il taglio e il tema del libro stimolano, nella speranza di aprire un dibattito relativo a un vasto patrimonio, che chiede cure nel quadro delle tutele nazionali, che è riferimento identitario importante per molti e che rimane ancora in gran parte sconosciuto.

Rendono ancor più necessarie, persino impellenti, considerazioni puntuali a diverse scale - territoriali, di città grandi e piccole, di quartieri - e da diversi punti di vista procedurali, sul tema chiese e sistema parrocchiale ad esse normalmente connesso, le emergenze generate dalla dismissione, anche in Italia, di molte chiese, e dai danneggiamenti dei terremoti. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) e presidente dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), intervenendo presso il Pontificio Consiglio della cultura presieduto dal card. Ravasi alla conferenza stampa, del 10 luglio 2018, per la presentazione del convegno internazionale Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi di culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici (Pontificia Università Gregoriana, 29-30 novembre), ha affermato che la dismissione di chiese è "problema di natura culturale, valoriale e pastorale". Secondo il censimento avviato dalla Cei, le chiese (parrocchiali e non) ammontano a circa 65mila, ricognizione che non comprende le chiese degli ordini religiosi. Su questo dato quantitativo si sono incrociate quattro criticità richiamate dal card. Ravasi: 1- generale crisi economica, 2- diminuzione dei fondi pubblici per la gestione del patrimonio, 3- riduzione di pratica religiosa e attività pastorale, 4- diminuzione del numero del clero.

Ad aumentare le difficoltà si sono aggiunti, da tempo, i problemi conseguenti ai terremoti. Il 3 agosto 2018 mons. Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica e co-presidente dell'Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica, facendo il bilancio dei danni alle chiese degli ultimi terremoti nell'Italia centrale, ha segnalato che "i terremoti degli ultimi due anni hanno danneggiato circa 3mila luoghi di culto, 300 nella sola diocesi di Camerino". Ha poi precisato: "Parliamo di strutture di dimensioni differenti, disseminate spesso in piccoli centri storici collocati nelle montagne dell'Appennino centrale. Non dimentichiamo, inoltre, che ci sono anche centinaia di edifici di proprietà ecclesiastica che hanno subito danni seri, come case canoniche, stabili per la pastorale, episcopi, archivi, musei, biblioteche". Si aggiunga infine che la maggior parte delle chiese in uso, comprese quelle costruite dal secondo dopoguerra fino a tempi recenti, vengono negli ultimi decenni sottoposte ad adeguamenti interni, liturgici, connessi per lo più anche a interventi tecnici e di restauro; mentre diminuisce il numero di nuove chiese. Il quadro di emergenze e fitte attività di gestione rapidamente richiamato è al contempo di carattere architettonico, urbanistico e territoriale. Impone un'approfondita conoscenza dello stato di fatto, purtroppo invece scarsa, e un dialogo tra istituzioni e cittadini molto ampio e articolato, con ricadute su piani e progetti.

Il testo di Meduri, benché storicamente circoscritto, è buona occasione per aprire un dibattito di più larga portata, per il taglio messo a punto e per l'ampiezza dei temi proposti. L'autore del volume ha assunto l'oneroso impegno di raccogliere, ordinare e interpretare, in modo sistematico tramite spoglio delle riviste di settore dell'epoca, l'insieme di saggi e notizie sulle attività relative a progetto e costruzione in Italia di chiese cattoliche, soprattutto parrocchiali, nella prima metà del secolo XX. In un linguaggio piuttosto scabro, egli precisa subito che l'indagine, inedita per completezza, intende in primo luogo mettere a fuoco che il periodo trattato è "quello durante il quale tutti i dogmi sullo spazio sacro in quanto tale e soprattutto sul rapporto fra spazio sacro e architettura vengono messi in discussione". La perentorietà del giudizio, l'evocazione cioè di un 'dogma' messo in discussione, è rilievo critico che rimanda a dati confessionali rimasti del tutto impliciti nel testo. Inoltre non viene chiarita una distinzione, d'obbligo almeno in termini generali, tra sacro, come dimensione di coscienza con proprie espressioni spazio temporali, oggetto di esplorazioni approfondite da parte dell'antropologia religiosa, e liturgia, come insieme dei riti della chiesa cattolica comprendente anche un'articolazione preghiere giornaliere e di festività nell'anno, queste ultime in parte tuttora accolte nei calendari civili. Scrive Meduri che, solo in riviste specializzate soprattutto di contesto cattolico, progetto e costruzione di chiese vennero presi in serio esame nel periodo tra le due guerre mondiali. Vi avvenne nei termini di un dichiarato "ostracismo da parte della Chiesa ufficiale al moderno, al limite della scomunica", di evidenza lampante nel caso dei due concorsi per la cattedrale di La Spezia e per le chiese di Messina, molto vicini nel tempo (1929 e 1932). A tale atteggiamento egli contrappone l' "ostracismo intellettuale", degli storici d'architettura attenti solo a temi laici nelle loro narrazioni, cronologicamente successivo e all'apparenza speculare a quello precedente ecclesiastico, in realtà inscritto - mi pare doveroso precisare - nel contesto un'esplosiva secolarizzazione ancora non evidente, in Italia, nel periodo tra le due guerre mondiali.

Individuato nei termini sopra richiamati il fulcro del "dramma" in gestazione nella quarantennale produzione di chiese di contesto italiano nel primo Novecento, nell'Introduzione e nelle Conclusioni propone, in sintesi, le proprie chiavi interpretative e le coordinate di storia e di cultura di cui si è dotato facendo riferimento a studiosi di cui dirò più avanti. Due sono, a suo parere, gli imponenti dati che risolsero il dramma in rottura irreversibile delle forme delle chiese con la tradizione: da una parte, un vuoto generalizzato di conoscenza del senso e del modo di 'abitare' e quindi costruire chiese, vale a dire un'ignoranza da parte di architetti e ingegneri progettisti imputata dallo studioso all'ostracismo storiografico di cui si è sopra si è detto; dall'altra, l'opzione funzionale e anti-decorativa emersa in progetti di chiese dagli anni Trenta indifferenti allo specifico ecclesiale. La radicale opposizione fra tradizione e modernità, emersa allora in progetti, divenne rottura concretamente attuata nella seconda metà del secolo. Restò, fino agli anni Quaranta, dramma irrisolto, esasperato dall'opposizione a ogni novità da parte dell'istituzione ecclesiastica - del papato e di figure di primo piano nel clero - che non intendeva perdere il controllo bimillenario del mondo dell'arte mentre, contemporaneamente, veniva messa sotto pressione dal contesto politico generato dal regime fascista.

Per Meduri, solo nella teoria e nei progetti del monaco benedettino e architetto Hans van der Laan (1901-1991), ai quali connette, come significative premesse, puntuali esperienze di area francese e tedesca che segnalo più avanti, si ritrova la corretta convergenza, nel tema ecclesiale, di fattori tra loro eterogenei quali: spirito liturgico, monumentalità, armonica essenzialità formale, valorizzazione di 'nuovi' materiali, in particolare del calcestruzzo armato. Riemerge con lui un'architettura nella quale convergono tradizione e innovazione, in una sintesi che lascia alle spalle in modo definitivo sia l'eclettismo che la modernità come mito. Il suo è dunque progetto moderno che non coincide totalmente con gli assunti della modernità. La tesi, benché esposta in termini troppo sintetici, è tuttavia molto suggestiva, non priva di echi con posizioni storiografiche attuali e, più in generale, col superamento della mitizzazione del moderno costruire, maturato dagli anni ottanta del secolo scorso in poi e ragione di attuali attenti ripensamenti. Colpito dall'emergere di questa singolare esperienza progettuale olandese, lo studioso la contrappone di fatto in blocco all'ignoranza degli architetti, rimasta sostanzialmente tale a suo parere lungo tutto il XX secolo fino a oggi, del senso delle chiese cattoliche. Depotenzia di conseguenza il coinvolgimento di molti di loro nel dinamismo di un movimento liturgico innovatore, prima e dopo il Concilio Vaticano II. Implicitamente dunque rivolge la propria accusa non solo contro il mondo ecclesiale, arroccato in difesa di tradizioni anche figurative, precedente alla seconda guerra mondiale, ma anche contro quello posteriore, in generale troppo ignaro del senso profondo, non solo formale, della nozione di tradizione cristiana. Al senso del sacro e alla sua qualificazione liturgica di contesto cattolico lo studioso connette il felice dialogo fra tradizione e modernità vivo van der Laan.

L'esito della ricerca documentata nel volume è la dimostrazione, egli afferma, dei caratteri del dramma vissuto tra le due guerre in Italia, in un tratto di storia che, proprio in quanto cruciale premessa all'evento innovativo definitivamente riemerso in van der Laan, non può essere ancora oggi ignorato. Al contrario, esso deve essere riesaminato, sia in parallelo con le esperienze laiche d'architettura, sia alla luce di quella drammatica commistione fra politica e cultura architettonica in regimi totalitari, che a lungo segnò la memoria degli architetti europei. Pur riconoscendo nell'argomentare dello studioso la segnalazione di questioni fondamentali per l'architettura contemporanea tour court e per la sua storicità nel secolo che ci sta alle spalle, non vi rinvengo però una loro precisa messa a fuoco. Egli auspica un articolato parallelismo tra contesto laico e ambiti ecclesiali, ma non accenna al profilo che esso dovrebbe avere; non approfondisce caratteri e crisi dei nazionalismi otto novecenteschi e non esplora a fondo la commistione tra politica e cultura architettonica, così fondamentali anche per la rilevanza della presenza dei cattolici in Italia. Formula soltanto, per cenni, questi temi individuandoli, parrebbe, come compiti che lascia a studi successivi, essendo sua preoccupazione la restituzione, analiticamente descrittiva più che dimostrativa, delle premesse all'inevitabile "rottura definitiva", premesse che egli ritiene indeterminate negli esiti ancora fino agli anni Quaranta. Tale rottura senza possibilità di ritorno alla tradizione stilistica precedente, è importante ribadirlo essendo questa la chiave di volta dell'ipotesi di lavoro di Meduri, è pienamente compiuta, in realtà, solo là dove viene attivata una globale 'rifondazione' del progetto di chiesa, non a partire solo da linguaggi o dalle forme ma da sintesi tra queste e il senso liturgico che presiede alla loro conformazione.

Il volume è strutturato in otto capitoli di diversa lunghezza. I primi quattro presentano un'ordinata sequenza cronologica per decenni, rispondente ad analoga organizzazione tematica che si svolge dalla continuità della lunga tradizione ecclesiale confermata nei progetti agli inizi del Novecento, alla ricerca di un nuovo stile negli anni Venti, quindi alla svolta degli anni Trenta per l'emergere, anche nel progetto di chiese, del movimento razionale, fino all'intervento della chiesa istituzionale (in particolare con il discorso papale del 1932), contro il 'nuovo corso' di architettura ecclesiale aperto poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale in Italia, ma già fiorente in Europa dagli anni Venti. Ogni sezione tematica comprende: sintesi di saggi selezionati; segnalazione di mostre e concorsi, eventi significativi; foto e disegni di chiese, ripresi dalla pubblicistica. Il quinto capitolo, relativo al dibattito sull'architettura religiosa nella pubblicistica del tempo, si sofferma in breve: sul pensiero di mons. Giuseppe Polvara, fondatore della scuola milanese "Beato Angelico", espresso nel suo libro Domus Dei e in più saggi della rivista "Arte cristiana" da lui diretta; sulle discussioni, tra 1931 e 1933, sulla rivista "Arte Sacra" e sul referendum da questa indetto nel 1932; su interessanti contributi - di Pagano, Persico, razionalisti e novecentisti - nella pubblicistica laica di "Rassegna di Architettura", "Le Arti", "Casabella". Seguono: nel sesto capitolo, annotazioni sul rapporto tra architettura e liturgia; nel settimo, cenni alla ricostruzione dell'edilizia sacra in Reggio Calabria dopo il sisma del 1908, con particolare attenzione per la ricostruzione della cattedrale della città; nell'ottavo, un breve richiamo a tre nuove cattedrali a Mogadiscio, Tripoli, Bengasi, nelle colonie italiane d'Africa. Breve ma essenziale ai fini interpretativi è l'esplorazione dei legami tra architettura e liturgia del sesto capitolo. Di questi vengono riprese alcune definizioni - di liturgisti, critici, architetti, come P. Guéranger, R. Tagliaferri, G. Fedriani, S. Benedetti, A. Cornoldi. Quale chiave del "rapporto intimo […] nella sua complessità […] quasi inafferrabile" tra i due termini, architettura e liturgia, viene proposto il 'senso del sacro' secondo l'antropologia simbolica di J. Ries. Sono sintetizzati infine i principi organizzativi dello spazio ecclesiale proposti da E Steffann, O. Bartning, M. Weber, R. Schwarz.

Il libro, ben strutturato, onesto nella precisazione dei riferimenti, interessante per le informazioni che possono, in molti casi, costituire piste per ulteriori indagini, non è di facile lettura a causa delle molte affermazioni non dimostrate, dei bruschi passaggi dal contesto italiano a quello internazionale e da situazioni proprie della prima metà del secolo a quelle della seconda. Propongo qui di seguito alcune critiche al suo sviluppo, col solo scopo di aiutare successive indagini. In una scrittura di carattere più narrativo che valutativo, Meduri raccoglie e sintetizza, spesso in citazioni molto brevi, i saggi più importanti da lui esaminati, cercando di restare aderente il più possibile al loro svolgimento originario che, inevitabilmente, risponde a un senso storico, a criteri valutativi, a un linguaggio e ad accenti polemici spesso a noi non più familiari. Gli autori dei saggi selezionati sono, inoltre, per la gran parte oggi del tutto sconosciuti. Neppure per quelli più importanti viene proposta una breve nota biografica. Si dà per scontata, ad esempio, la conoscenza di prelati con ruoli di primo piano come Celso e Giovanni Costantini o Giuseppe Polvara; di critici come Ugo Ojetti, Alberto Sartoris, Giuseppe Dalla Torre; di architetti come Ulisse Arata, Luigi Angelini, Ottavio Cabiati; di urbanisti come Luigi Dodi. Non si precisano in termini adeguati carattere e ruolo di istituzioni importanti come la Pontificia Commissione centrale per l'arte sacra, le corrispondenti Commissioni Diocesane, l'associazione degli Amici dell'arte cristiana, l'Opera di soccorso per chiese rovinate dalla guerra. Mi sono chiesta se una selezione antologica più ristretta, con stralci dai saggi sufficientemente ampi, accompagnata da robusta presentazione critica e da brevi schede biografiche non avrebbero consentito una lettura più agevole ed efficace, oltre che la messa a punto di una più ricca bibliografia, guida per ulteriori esplorazioni. Alcune informazioni importanti, come quelle, per fare qualche esempio che ritengo rilevante, della preoccupazione dei papi e dei vescovi per la formazione del clero nel settore dell'arte sacra, dell'attenzione per problemi di tutela, di restauro, di archiviazione e di catalogazione dei beni del patrimonio ecclesiastico, sono presenti ma troppo disseminate, come spunti quasi occasionali, nel testo. I progetti d'architettura vi sono proposti in figure di piccole dimensioni, che ne fanno perdere la prevalente monumentalità e ne esasperano i caratteri formali eclettici o razionali. Si tenga presente inoltre che nulla si dice delle vicende costruttive e di continuità nel tempo degli edifici, poiché i dati che li riguardano sono solo quelli ripresi dai saggi delle riviste di cui Meduri ha fatto lo spoglio.

Senza pretesa di esaustività, qui di seguito propongo qualche approfondimento di questioni aperte che il libro mi ha suggerito; resto nell'orizzonte già molto ampio che in esso viene costruito, pur non ignorando la necessità di ulteriori connessioni con problemi attuali. La chiesa cattolica, più in generale cristiana, in particolare la chiesa cattedrale e quella parrocchiale, si inscrive dalle origini nel disegno globale della città e del territorio; non dà luogo a un modo fisicamente distinto da quello civile. Questa commistione è carattere storico dei luoghi di culto nel mondo occidentale fino a oggi, segnato in tempi recenti da insistita ricerca di un equilibrio tra salvaguardia della propria identità, da parte dei soggetti comunitari che li promuovono, e continui adattamenti ai mutamenti indotti da processi sociali, culturali e economici di vasta portata. Tra questi si devono inscrivere, per quanto riguarda il rapporto tra chiesa e suo contesto, il suo variare nella localizzazione, nelle dimensioni, nel linguaggio e nelle tecniche costruttive. Per quanto riguarda la vita all'interno dello spazio ecclesiale, le azioni culturali e sacramentali definite dalle norme del programma liturgico, dal carattere prevalentemente comunitario ma anche individuali, esigono dimensioni, proporzioni e qualità sensoriali dell'unico invaso e delle sue parti, correlate alle capacità umane di orientamento, partecipazione e raccoglimento. Osservato sotto il profilo più generale, la chiesa è oggi tema ampiamente sperimentato, oggetto di un'attenzione da parte di critici e storici dell'architettura connessa, nel quadro nel quale essi inscrivono le proprie interpretazioni, al permanere sia di spinte funzionalistiche, tradotte in un prevalente razionalismo, sia di movimenti espressionistici in senso lato, sia di forme tradizionali essenzializzate o rielaborate. Emergono singoli progetti di chiese, di architetti di riconosciuto talento, ritenute testimoni del sacro espresso in poetiche personali, senza precisi agganci ai caratteri confessionali delle loro opere e pertanto senza concreta identificazione delle esigenze delle committenze.

Nel difficile passaggio in corso, da una storiografia esclusivamente ancorata alla genealogia degli architetti maggiori e delle loro scuole alle fenomenologie esito della disseminazione linguistica e tecnica di tendenze, nel mutare degli orientamenti in archi temporali sempre più brevi, l'enorme produzione del XX secolo ha imposto anche, come dato di fatto gravido di conseguenze, una sistematica sospensione della stretta connessione tra architettura e città, tra progetto della prima e urbanistica, unità di termini ritenuta invece indispensabile dai protagonisti della prima modernità. Conseguenze, dei processi interpretativi qui sintetizzati il cui contrasto risulta laborioso benché dovere impellente, sono: la distanza tra forme architettoniche e soggetti, che le chiedono e che ne fruiscono, e loro decontestualizzazione, vale a dire la riduzione dell'architettura a oggetto, nei casi migliori di alta valenza estetica. Anche le chiese vengono talvolta inscritte nel cerchio magico dello star system che domina il mondo dell'informazione. In conseguenza di considerazioni di questo tipo, non concordo sulla necessità di un approfondimento "in parallelo", tra esperienze laiche e ecclesiali d'architettura nel periodo tra le due guerre e all'interno della drammatica commistione fra politica e cultura specialistica, che Meduri auspica. Occorre al contrario un'indagine unitaria dei connotati identitari e culturali di ambedue gli ambiti dell'unico contesto italiano per mettere a fuoco, tra l'altro, il fenomeno che lo studioso identifica come dramma e rottura definitiva di una tradizione.

Concludo queste riflessioni offrendo all'attenzione due spunti: il primo riguarda il carattere sperimentale, aperto a futuri svolgimenti, dell'architettura contemporanea osservata anche dal punto di vista del progetto delle chiese e, in esse, del rapporto tra forme spaziali e liturgia; il secondo, conseguente al primo, la sua non perseguibile normatività espressiva. Dieci anni prima del Concilio ecumenico vaticano II (1962-65), il grande teologo cattolico Hans Urs von Balthasar aveva affermato l'urgenza, per la chiesa cattolica, di abbattere i propri i bastioni difensivi [Schleifung der Bastionen. Von der Kirche in dieser Zeit, 1952] per allargare la propria capacità di visione della realtà e insieme ritrovare i fattori essenziali del proprio compito. Non era una proposta di adesione alla modernità tout court, ma di un'uscita da perimetri circoscritti e da atteggiamenti pregiudiziali falsamente confortanti. In quello stesso 1952 il domenicano padre Régamey, amico e collaboratore del più celebre Couturier, pubblicò il volume Art sacré au XX siècle?, che segnalava la necessità di un lungo e paziente lavoro sull'arte/architettura entro il contesto ecclesiastico. Da allora, prima e dopo il Concilio, si è messo in moto un lungo e vario esperimento di nuove chiese troppo rapidamente surclassato nel libro di Meduri, meritevole invece di rinnovata esplorazione in termini che verifichino cosa ne è stato dell'invito di von Balthasar e di Régamey. Come dire che, nelle chiese di questo lungo periodo non si tratta innanzi tutto di individuare fedeltà o tradimento a 'dogmi', ma paziente esplorazione, rinnovata in molti progetti, dei legami tra liturgia e arte/architettura entro specifici contesti sociali e storico geografici, che hanno felicemente superato ostacoli e paradossali derive delle arti contemporanee.

Il medievista Paolo Piva ritiene che, se si concepisse "la liturgia come il 'codice' esclusivo che determina la struttura della chiesa e il suo ' allestimento' interno, si commetterebbe senz'altro un errore, pur essendo l'esercizio del culto divino scopo istituzionale per cui un'aula di culto nasce. Prima di tutto perché nel Medioevo non ci fu una liturgia ma molti usi locali (pur 'emergenze' di una struttura profonda comune); in secondo luogo perché il peso e l' 'intensità' del fattore liturgico furono diverse a seconda delle fasi storiche; in terzo luogo perché la liturgia non fu mai l'unica componente in gioco (in caso contrario si sarebbe verificata una ben maggiore omogeneità strutturale delle chiese nello spazio e nel tempo)" [P. Piva (a cura di), L'arte medievale nel contesto, Milano 2006]. Le osservazioni mi paiono valide in termini del tutto identici per le chiese moderne. Anche nel loro progetto si può correre il rischio di sopravvalutare assolutizzandolo il peso della componente liturgica, non comprendendola alla luce di fattori squisitamente architettonici come, per esplicitarne qualcuno: la qualità eminentemente spaziale della chiesa, abbia essa configurazione plastica o di assoluto rigore geometrico; il suo valore di prototipo o di opera non ripetibile; la specificità in essa del rapporto tra tecniche e soluzioni formali; l'affermazione o il rifiuto della monumentalità. La segnalazione di errore vale ovviamente anche nel senso opposto, quando si riduce a somma di funzioni il programma liturgico dell'edificio, di questo si ignora la caratterizzazione funzionale (di chiesa parrocchiale, monastica, conventuale, santuario, ecc.), si ritiene il sacro dimensione propria dell'architettura riducendone la profondità antropologica nell'orizzonte della creatività soggettiva.

L'esperimento di collaborazione dei due termini è questione intrinsecamente aperta. Nel percorso di ricerca contemporaneo, in questo come in tutti i temi d'architettura, non esiste, io penso, un vertice espressivo che possa essere additato come normativo, al di sopra di contingenze e opzioni libertà. Si è così giunti a van der Laan e al valore del suo contributo ritenuto emblematico, nelle costruzioni di chiese del XX secolo, da Meduri. I pochi studi per ora condotti, alcuni dei quali molto approfonditi, ne segnalano l'importanza; le sue costruzioni monastiche che ho potuto visitare mi sono apparse di qualità eccelsa, nell'armonica e 'silenziosa' essenzialità delle forme; la sua teoria ricca di preziosi stimoli per il mondo contemporaneo. Il suo contributo - sviluppato sia nel contesto monastico al quale appartenne sia, con il supporto di un fratello, nell'insegnamento, durato circa trent'anni, per la formazione di architetti impegnati nella costruzione di nuove chiese dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale - è in realtà solo parzialmente noto. Alcune chiese di suoi allievi sono state recentemente demolite, perché ritenute troppo austere. Scrive Michel Rémery, che ne ha indagato a fondo gli archivi e ha raccontato gli esiti della propria ricerca in Materia e memoria. Sulla relazione tra liturgia e architettura nel pensiero di dom van der Laan osb (1904-1991) del 2016 (edizione inglese 2010) che il suo maggiore contributo "è quello di aver messo in relazione l'intero mondo e gli oggetti e i manufatti che lo costituiscono […] mediante la loro inclusione in un'unica teoria" in grado di declinare, in metodo progettuale, il "rapporto tra materia e vita soprannaturale". All'interno di tale teoria, il monaco architetto ha individuato "la relazione tra le forme materiali e la celebrazione liturgica". Egli non ha voluto tuttavia definire i caratteri specifici dell'architettura di chiese, che considerava dimore per eccellenza e pertanto case fra le altre, né ha ritenuto compiuta la propria teoria empirico fenomenologica, coinvolgente sensibilità e intelletto a partire dal vissuto della vita benedettina e della sua liturgia, i cui caratteri assunse come fattori già pienamente definiti. Almeno per quanto fino ad ora si è compreso, ci si può chiedere, scrive ancora Rémery, se il suo stile "debba essere applicato solo ad alcuni specifici ambienti monastici", se sia cioè da intendere come variante espressiva sullo sfondo profondo comune, direbbe Piva, della liturgia monastica benedettina e più in generale cattolica.

Queste affermazioni, mentre confermano la mia convinzione che non esiste né va ricercato, in questo come in tutti gli altri temi architettonici attuali, un vertice espressivo normativo, vale a dire un'opera chiave che identifica la 'modernità', in questo caso di segno cattolico, mi consentono di affermare che il carattere sperimentale del progetto contemporaneo di chiese, in corso di svolgimento ormai da almeno un secolo, esige la coesistenza di tre istanze, oltre che di serio impegno professionale: l'attenzione al compito della chiesa, implicante comprensione dello specifico spirito della liturgia; l'impegno a rispondere alle esigenze delle comunità dei credenti, committenti da riconoscere nei loro diversi status; la piena libertà inventiva, nell'orizzonte della contemporanea varietà linguistica. Il tutto però deve essere oggi vagliato all'interno di una situazione insediativa, non solo italiana, in accelerata trasformazione sociale ed economica e più in generale culturale, con emergenze - soprattutto a seguito di dismissioni e terremoti - alle quali sopra si è fatto cenno - ma anche con orientamenti, di gestione delle comunità parrocchiali e degli spazi ecclesiali esistenti, mutate rispetto a quelle del secolo scorso. L'insieme di questi temi ha caratteristiche nazionali ma anche componenti esito di contatti essenziali con fattori internazionali; tuttavia non esiste a tutt'oggi una documentazione adeguata a consentire confronti non generici con altri contesti europei, tanto meno con quelli delle due Americhe.

Maria Antonietta Crippa

N.d.C. - Maria Antonietta Crippa, architetto, già professore ordinario di Storia dell'architettura al Politecnico di Milano dove tuttora insegna, è attiva nel campo della conservazione e del restauro di edifici antichi e moderni, dirige la collana Fonti e saggi edita da Jaca Book, l'Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda e la "Rivista dell'Istituto per la storia dell'Arte lombarda".

Tra i suoi libri: Carlo Scarpa. Il pensiero, il disegno, i progetti (Jaca book, 1984); Storia dell'architettura. Il mondo delle costruzioni e le sue immagini (Jaca book, 1992); Storie e storiografia dell'architettura dell'Ottocento (Jaca book, 1994); Luigi Caccia Dominioni. Flussi, spazi e architettura (Testo & immagine, 1996); Cremona. il Museo civico Ala Ponzone in Palazzo Affaitati. Il contributo museografico di Antonio Piva (Electa, 2001); Antoni Gaudí, 1852-1926. De la nature à l'architecture (Taschen, 2003; ed. it. 2004, 2007, 2015); con C. Capponi, (a cura di), Gio Ponti e l'architettura sacra. Finestre aperte sulla natura, sul mistero, su Dio (Pizzi, 2005); con D. Cattaneo (a cura di), È Dio il vero tema. Cesare Cattaneo e il sacro (Archivio Cattaneo, 2011); con C. Ajroldi, G. Doti, L. Guardamagna, C. Lenza, M. L. Neri (a cura di), I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento (Mondadori Electa, 2013); con Francçoise Caussé, Le Corbusier, Ronchamp. La Cappella di Notre-Dame du Haut (Jaca book, 2014); Avvicinamento alla storia dell'architettura. Racconto, costruzioni, immagini (Jaca Book, 2016); con F. Zanzottera (a cura di), Fotografia per l'architettura del XX secolo in Italia (Silvana Ed., 2018).

Per Città Bene Comune ha scritto: Uno scatto di 'coscienza storica' per le città (20 ottobre 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

16 NOVEMBRE 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

Gli incontri

- cultura urbanistica:
- cultura paesaggistica:

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

G. Di Benedetto, L'architettura e la sostanza delle cose, commento a: C. Baglione (a cura di) Angelo Torricelli. Architettura in Capitanata (Il Poligrafo, 2014)

P. Pileri, Udite, udite: gli alberi salvano le città!, commento a: F. Hallé, Ci vuole un albero per salvare la città (Ponte alle Grazie, 2018)

A. Cagnato, Il paesaggio e la convenzione disattesa, seconda parte del commento a: A. Calcagno Maniglio (a cura di), Per un Paesaggio di qualità (FrancoAngeli 2015)

P. Ceccarelli, De Carlo a Catania: una lezione per i giovani, commento a: A. Leonardi, C. Cantale (a cura di), La gentilezza e la rabbia (Editoriale Agorà, 2017)

A. Cagnato, Il paesaggio e la convenzione disattesa, prima parte del commento a: A. Calcagno Maniglio (a cura di), Per un Paesaggio di qualità (FrancoAngeli 2015)

P. Gabellini, Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

E. M. Tacchi, Anche quelli interni sono migranti, commento a: M. Colucci, S. Gallo (a cura di), Fare Spazio (Donzelli, 2016)

A. Calcagno Maniglio, Esistono gli specialisti del paesaggio?, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

R. Balzani, Suolo bene comune? Lo sia anche il linguaggio, commento a: M. Casa, P. Pileri, Il suolo sopra tutto (Altreconomia, 2017)

A. Clementi, Un nuovo paesaggio urbano open scale, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

L. Meneghetti, Stare con Settis ricordando Cederna, replica alla posizione di Marco Romano e Francesco Ventura

C. Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

F. Ventura, Sapere tecnico e etica della polis, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

P. Pileri, L'urbanistica deve parlare a tutti, commento a: Anna Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Indovina, Non tutte le colpe sono dell'urbanistica, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

R. Milani, Viaggiare, guardare, capire città e paesaggi, commento a: C. de Seta, L'arte del viaggio (Rizzoli, 2016)

F. Gastaldi, Un governo del territorio per il Veneto?, commento a: M. Savino, Governare il territorio in Veneto (Cleup, 2017)

G. Nuvolati, Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

F. Mancuso, Città come memoria contro la barbarie, commento a: A. Zevi, Monumenti per difetto (Donzelli, 2014)

M. Morandi, Per una Venezia di nuovo vissuta, commento a: F. Mancuso, Venezia è una città (Corte del Fontego, 2016)

R. Pavia, Leggere le connessioni per capire il pianeta, commento a: P. Khanna, Connectography (Fazi, 2016)

G. Consonni, In Italia c'è una questione urbanistica?, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Romano, Memoria e bellezza sotto i cieli d'Europa, commento a: S. Settis, Cieli d'Europa (Utet, 2017)

V. Biondi, La nuova crisi urbana negli USA, commento a: R. Florida, The New Urban Crisis (Basic Books, 2017)

P. Colarossi, Per un ritorno al disegno della città, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2012, rist. 2015)

A. Clementi, In cerca di innovazione smart, commento a: C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita, From Smart Cities to Smart Region (Springer, 2016)

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

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