Patrizia Gabellini  
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NAPOLI, IL CORAGGIO DELLA VERITÀ


Commento al libro di Attilio Belli



Patrizia Gabellini


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Il nuovo libro curato da Attilio Belli - Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento, un’identità controversa (Guida editori, 2023) - è una riflessione a più voci sulla responsabilità dell’intellettuale, assumendo il caso emblematico di Napoli in una stagione difficile, e considerando i modi propri di assumersela da parte di un significativo gruppo di figure eminenti impegnate in specifici campi della vita pubblica. Un tema che va al cuore della problematica condizione del momento attuale.

I libri che Attilio Belli ha dedicato a Napoli sono numerosi, a cominciare da Napoli nella crisi del 1976 per arrivare al più recente Napoli. Cronaca di un’implosione annunciata del 2018. Con continuità, e particolare assiduità negli ultimi anni, Belli non ha mai cessato di osservare i processi territoriali e le scelte che interessano Napoli, con testi scritti da solo o a più mani, disciplinari e non (per esempio con il romanzo Fuoco ai Quartieri spagnoli del 2010). Una produzione che testimonia un’attenzione pluridecennale che si alimenta delle esperienze nella costruzione di piani per Napoli e la regione, un’assunzione di responsabilità da parte dello stesso autore del libro che mostra il suo amore per la città e le delusioni che le sue vicende gli provocano.

Quest’ultimo libro, Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento, un’identità controversa, aggiunge al racconto continuo un ulteriore capitolo, non propriamente centrato sull’urbanistica benché questa rimanga un nodo importante dell’identità controversa, anzi, come scrive Antonio Ghirelli nella sua Storia di Napoli del 1996, “La premessa per realizzare il massacro di Napoli è [stata proprio] la totale mancanza di una disciplina urbanistica. Funzionari governativi, amministratori comunali, architetti, ingegneri, giuristi, il fior fiore dei professionisti e dei docenti universitari, si lasciano mobilitare e corrompere per fornire giustificazioni alla violazione delle leggi e dei regolamenti, delle norme più elementari di ogni convivenza civile”. Attilio Belli riporta questa valutazione di Ghirelli nell’introduzione (p.11) ricordando che essa fa riferimento al periodo laurino e democristiano, dagli anni Quaranta ai Sessanta del Novecento. Questo libro conferma la persistente rilevanza dell’urbanistica nel connotare il governo della città, il suo ruolo in qualche modo dirimente, ma allarga lo spettro dell’osservazione.

Il libro conta 507 pagine scandite in 26 paragrafi scritti da altrettanti autori accomunati dalla conoscenza approfondita e talvolta diretta dei personaggi che occupano la scena (la scheda degli autori è parte utile della lettura). La composizione è complessa benché la lettura scivoli via coinvolgente per l’interesse che suscita la galleria di ritratti dei napoletani -originari o impiantati- impegnati nel riscatto della città. Nell’ordine di apparizione essi sono: Benedetto Croce, Amadeo Bordiga, Renato Caccioppoli, Andrea Geremicca, Giuseppe Cenzato, Stefano Brun, Enzo Giustino, Roberto Pane, Luigi Cosenza, Domenico Andriello, Giuseppe Galasso, Francesco Compagna, Luigi Piccinato, Marcello Vittorini, Daniela Lepore, Percy Allum, Aldo Masullo, Antonio Iannello, Mario De Cunzo, Giancarlo Siani, Domenico Rea, Luigi Incoronato, Anna Maria Ortese, Raffaele La Capria, Michele Prisco, Luigi Compagnone, Eduardo De Filippo, Titina De Filippo, Francesco Rosi. Filosofi, politici, manager, imprenditori, professori, architetti, urbanisti, giornalisti, storici, soprintendenti, scrittori, attori e registi, spesso di fama nazionale e talvolta internazionale, cercano, tutti, di lavorare sulle componenti progressiste dell’identità con diversi modi di dire-il-vero, da intellettuali “specifici” (secondo la distinzione introdotta da Michel Foucault) in quanto impegnati all’interno di ambiti definiti da problemi propri, particolari.

“Il libro cerca di proporre un quadro problematico dei diversi soggetti e modi di dire-il-vero, anche alla faticosa ricerca delle conseguenze parziali, spesso contraddittorie, dei ritardi e delle insufficienze. ... Si tratta di orientarsi e riconoscere nella realtà napoletana soggetti che in ambiti diversi si sono impegnati a rappresentare nodi significativi della città, della sua trasformazione, delle politiche messe in campo, con ‘impegno, rischio, audacia e vulnerabilità’, valorizzando l’approfondimento del rapporto tra verità e potere nel convincimento dell’importanza di un impegno a livello locale per cercare di trasformare l’articolazione dei rapporti di potere” (così Attilio Belli nell’introduzione, pp. 8-9). Una mappa, dunque, volta al riconoscimento di coloro che, in una precisa fase della vita della città, non si sono sottratti alla responsabilità dell'impegno critico, costituendo una piccola schiera di critici ostinati. Una mappa che sarebbe utile costruire anche in altre città di un paese ancora poco conosciuto da questo punto di vista.

Per comporre questo coro di narrazioni e narratori attorno a una galleria eterogenea di figure senza cadere nella trappola della riduzione connessa all’interpretazione ‘rotonda’, Attilio Belli si affida ai sottotitoli delle tre parti e ai titoli dei capitoli che organizzano i paragrafi. La parte prima, la più estesa (circa 370 pagine e 20 paragrafi) presenta “I soggetti del parlar chiaro” in 10 capitoli i cui titoli (quasi sempre connotativi) aiutano il lettore a orientarsi nelle ‘stanze’ della galleria di ritratti e a cogliere l’interpretazione del curatore-regista: I. L’impronta crociana; II. L’autonomia di pensiero oltre i condizionamenti del mondo politico; III. L’azione economica contro l’immobilismo; IV. La voce dell’Università intransigente; V. Il ruolo del passato e la proiezione verso il futuro; VI. Per un’urbanistica libera; VII. Potere e società; VIII. Potenziare la cultura; IX. La difficile lotta per la tutela del paesaggio; X. I media, la malavita e la parrësia. La parte seconda, senza capitoli e con 4 paragrafi, raccoglie i contributi sui protagonisti de “La verità dell’arte”; la terza parte, dal titolo “Immagini identitarie, poteri vecchi e nuovi”, richiama le due questioni che tengono insieme il tutto -identità e dire-il-vero-con due testi che chiudono il cerchio agganciandosi all’Introduzione del curatore. Una scansione che Belli (pp. 14-15) spiega con riferimento al profilo intellettuale degli attori individuati e del loro modo di dire-il-vero entro lo specifico ambito di impegno:

“- intellettuali che affrontano il tema della verità in rapporto ai condizionamenti del mondo politico, dei partiti, in particolare nel rapporto con il partito comunista (Bordiga, Caccioppoli, Geremicca) [L’autonomia di pensiero oltre i condizionamenti del mondo politico];

- intellettuali che operano nel mondo dell’economia, della produzione, dello sviluppo anche con proposte fortemente contestate (Cenzato, Brun, Giustino) [L’azione economica contro l’immobilismo];

- intellettuali che dal mondo dell’università si concentrano sui problemi dello sviluppo della città (Pane, Cosenza, Andriello) [La voce dell’Università intransigente], in modi che potremmo considerare parrësiastici, o con un’apertura alla dimensione meridionale e in ruoli di governo (Galasso, Compagna) [Il ruolo del passato e la proiezione verso il futuro];

- intellettuali che pur interni all’università prospettano prove di verità nell’attività professionale in un confronto con le istituzioni deputate al governo del territorio (Piccinato, Vittorini); o ancora in rapporto diretto a movimenti e realtà sociali in azione (Lepore) [Per un’urbanistica libera];

- intellettuali che agiscono all’interno o a fianco di istituzioni preposte alla tutela del territorio e del paesaggio (Iannello, De Cunzo) [La difficile lotta per la tutela del paesaggio];

- intellettuali che compiono un’analisi impietosa del rapporto tra società e potere nei Trenta (in) Gloriosi (Allum) [Potere e società];

- intellettuali volti ad accrescere la presenza della cultura nella società napoletana anche con un’estensione della loro azione in ambiti più vasti (Masullo) [Potenziare la cultura];

- intellettuali che operano nel campo dei media in una direzione strettamente parrësiastica di critica delle aberrazioni sociali (Siani) [I media, la malavita e la parrësia]”.

La figura che apre, e si distingue nella galleria, è quella di Benedetto Croce, intellettuale “universale” che ha avuto un “indubbio ruolo di orientamento della cultura napoletana per lunghi anni già nel primo Novecento”, per cui si può parlare di una Impronta crociana.

Si tratta di un impalcato che aiuta a non smarrire il filo che tiene insieme l’impresa collettanea, e che restituisce l’ambizione di contribuire alla storia di Napoli nel secondo Novecento lavorando con la materia incandescente della cronaca e della memoria e utilizzando l’imperituro approccio biografico. Una struttura complessa che nasce dall’obiettivo del curatore di avvalersi di un coro di voci per tratteggiare attraverso squarci, in maniera indiretta e non lineare, l’identità napoletana scrutata da una vasta letteratura (si richiama solo quella più recente degli “estranei”) col risultato di consolidare non pochi luoghi comuni, che si sono aggiunti nel tempo sostanzialmente consolidando il proverbio “un paradiso abitato da diavoli”, che Croce aveva storicizzato in un suo libro del 1926.

Immagino che ogni lettore metterà a fuoco differenti aspetti emergenti dalla ricca mole di informazioni, interpretazioni, questioni depositate nel libro, anche se non potrà prescindere dal riconoscere articolazione e statura dell’intellighenzia impegnata, dal soffermarsi sui tratti salienti dell’identità di Napoli, dal riflettere sui modi nei quali si esprime il rapporto critico tra gli intellettuali e il potere.

In che cosa consista quell’”identità controversa” annunciata dal sottotitolo del libro rimane una domanda aperta. I testi centrati sui protagonisti che con quell’identità hanno dovuto/voluto confrontarsi non prendono di petto la domanda implicita circa la loro capacità di incidere in senso progressivo (punto di vista scelto per comporre la galleria). Ci prova Donatella Mazzoleni nella terza parte, con il testo La Città e la sua Ombra che apre così: “In questo libro siamo invitati a partire dal ‘complessivo tradimento dell’identità della città’ perpetrato nella seconda metà del Novecento ‘con la principale responsabilità delle istituzioni’ e ad esprimere una sorta di ‘ostinazione della speranza’ per dare il nostro contributo ad una ‘svolta positiva nella prospettiva di sviluppo della città’” (p. 459).

L’autrice, dopo aver correttamente dichiarato il proprio sguardo centrato sulle forme dello spazio costruito e sui significati consci e inconsci che da esse vengono trasmessi alle comunità abitanti, conferma un’identità duale “difficile da sopportare”, solare e sublime se percepita dall’esterno, ambigua e feroce se percepita dall’interno, ma che affonda nel tempo lungo per cui sarebbe una semplificazione attribuire la scissione identitaria alla seconda metà del Novecento. “Il corpo di Napoli, nella sua stratificazione e complessità, ci mostra che le radici di una dualità identitaria sono molto profonde e significative. Forse addirittura sono alimentate da substrati antichi dell’inconscio collettivo” (p.460). Convinzione che emerge anche nel libro di Daniela Lepore pubblicato postumo nel 2023: Il corpo di Napoli. Organizzazione culturale dello spazio naturale, dove si ritrova il riferimento al corpo della città. La consonanza è forte, e il riferimento di Lepore ad altri strappi identitari, come il risanamento ottocentesco, che si aggiunge a quello che Mazzoleni individua nell’eruzione vulcanica del 1632 seguita da un secolo di disastri naturali e sociali, confermano l’importanza di considerare il tempo lungo per addentrarsi nei meandri dell’identità e, in ogni caso, il carattere tentativo dell’individuazione di cesure radicali, capaci di incidere sulla natura del corpo urbano. Certo il secondo Novecento è un’altra epoca di catastrofi: i bombardamenti della seconda guerra mondiale, i trent’anni “ingloriosi” delle mani laurine sulla città, il colera del 1973, il terremoto del 1980, le guerre di camorra, la catastrofe della munnezza all’apertura del nuovo secolo, ma è anche “l’alba di un nuovo sguardo” che motiva la speranza ispiratrice di questo libro.

L’identità di una città, prodotto complesso di una società insediata che agisce e reagisce a natura e storia, si conferma una questione generale particolarmente insidiosa che, per Napoli, assume i contorni della tragedia. Che la conclusione debba essere quella di comprendere e coltivare la dualità nella sua “paradossale sinergia” (come suggerisce Mazzoleni) è un altro motivo di discussione. Dunque, sembra comprensibile che Attilio Belli scriva: “A conclusione del Novecento, nonostante la vastità e diversità dei discorsi veridici è ancora possibile osservare che ... l’identità di Napoli resta ancora misteriosa” (p.16) e che, ciononostante, non rinunci a sollecitare l’intelligenza critica.

Dire-il-vero attraverso i piani, l’insegnamento e l’attivismo sociale (come Piccinato, Vittorini e Lepore), dire-il-vero con il cinema (come Rosi) e la scrittura (come La Capria, Rea e gli altri “scrittori senza maestri”), fare-il-vero (come Geremicca), discutere la menzogna (come Croce), dire il vero in modo parrësiastico (come Siani), sono modi diversi accomunati dalla disponibilità a mettersi in gioco vivendo a patendo la trasformazione. Dire-il-vero contro il conformismo e l’immobilismo è non mentire a sé stessi e agli altri, denunciare quel che non va e prospettare alternative possibili, non avere paura perché mossi dalla volontà di costruire una Napoli diversa, moderna, senza nascondersi i lati oscuri della città. “Tra le diverse modalità di ‘dire il vero’ - la profezia, la saggezza, l’insegnamento e il sapere tecnico, la parrësia -, individuate da Michel Foucault nel sapere antico, ‘il tecnico ha un certo dovere di parola’. In una certa maniera, è tenuto a esprimere il sapere che possiede e la verità che conosce, poiché questo sapere e questa verità ‘si collegano a un insieme di metodi e insegnamenti tradizionali’. È questa una modalità che sembra custodire ancora un’attualità nella modernità” (p. 227). L’affondo sul dire-il-vero dei tecnici, col quale Attilio Belli e Gemma Belli aprono il loro saggio su Luigi Piccinato, da un lato richiama il retroterra culturale e l’opera del curatore, dall’altro sottolinea la specifica e rilevante responsabilità dell’urbanista, che nel saggio di Enrico Formato viene messa in evidenza non solo con riferimento alla figura di Antonio Iannello, ma anche degli altri tecnici di cui si parla nel libro, protagonisti di questa storia.

Il libro si chiude con un saggio che si interroga sul Dire-il-vero ai tempi del digitale. “Disintermediazione e ibridazione delle forme di comunicazione, insieme alla disponibilità pressoché illimitata di dati nel Web, ... stanno rivoluzionando con velocità vertiginosa concetto e struttura stessa del Vero cui eravamo abituati ... Molto più arduo risulta, pertanto, proporre indirizzi di cambiamento fondati sulla realtà dei dati validati ... D’altra parte, le molte sfaccettature del concetto di Vero che da sempre sono state affrontate in filosofia, in letteratura, nel teatro ... stanno trovando nel digitale ... una moltiplicazione vertiginosa” (Antonio Dinetti, pp. 480-481). Nino Daniele, commentando la credibilità di Aldo Masullo che esercitava “il dialogo filosofico come un processo operoso”, aggiunge che “Nella ‘liquida’ civiltà occidentale, ormai tutta appiattita sul consumo del presente, la funzione intellettuale ha completamente smarrito questa dimensione intersoggettiva per consegnarsi quasi interamente alla comunicazione che, per evidenti analogie, potremmo agevolmente definire sofistica, in quanto integralmente ridotta a tecnica per tutti gli scopi di manipolazione” (p. 303).

Attilio Belli propone una sorta di conclusione quando cita le parole di Luigi Cosenza che accostano all’ottimismo della volontà la consapevolezza delle conseguenze indelebili degli errori commessi: “alla fine la verità sarà riconosciuta, ... ma l’impronta degli errori resterà a lungo nella carne della città, come i tradimenti che talvolta si nascondono insospettatamente anche a fianco ai discorsi o ai silenzi degli stessi paladini del parlar franco. In ogni caso, il ‘coraggio della verità’ è necessario, ma da solo non basta, soprattutto di fronte alle decisioni cruciali che per lo più hanno una natura incerta” (p.17).

Patrizia Gabellini

 

 

N.d.C. – Professore onorario di Urbanistica del Politecnico di Milano, Patrizia Gabellini ha diretto il Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico e "Urbanistica", rivista dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. È stata assessore all'Urbanistica Citta storica e Ambiente del Comune di Bologna e ha fondato l'e-magazine "Planum. The Journal of Urbanism" di cui è attualmente direttore responsabile. Ha progettato ed è stata consulente di piani urbani e territoriali.

Tra i suoi libri: Bologna e Milano. Temi e attori dell'urbanistica (Franco Angeli, 1988); con P. Di Biagi (a cura di), Urbanisti italiani. Piccinato Marconi Samonà Quaroni De Carlo Astengo Campos Venuti (Laterza, 1992); Il disegno urbanistico (Nuova Italia Scientifica, 1996); Tecniche urbanistiche (Carocci, 2001); Fare urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria (Carocci, 2010); Le mutazioni dell'urbanistica. Principi, tecniche, competenze (Carocci, 2018); con C. Merlini, P. Savoldi, F. Zanfi, Urbanistica per una città media. Esperienze a Modena (FrancoAngeli, 2023); Avvicinarsi all’urbanistica/Approaching Urbanism (Planum Publisher 2024).

Per Città Bene Comune ha scritto: Un razionalismo intriso di umanesimo (22 settembre 2016); Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano (26 ottobre 2018); Suolo e clima: un grado zero da cui ripartire (24 aprile 2020).

Sui libri di Gabellini, v. in questa rubrica: Renzo Riboldazzi, Patrizia Gabellini a Città Bene Comune 2019 (10 maggio 2019); Silvia Viviani, Urbanistica: e ora, che fare? (12 luglio 2019); Pier Carlo Palermo, Oltre la soglia dell’urbanistica italiana (13 settembre 2019).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.


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19 GIUGNO 2024

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