Giampaolo Nuvolati  
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CAPIRE LE CITTÀ: I DATI NON BASTANO


Commento al libro curato da Alessandro Balducci



Giampaolo Nuvolati


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Mi piace considerare questo ponderoso volume a cura di Alessandro Balducci per i tipi della Fondazione Feltrinelli – La città invisibile. Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli – come una città vera e propria con tutti i problemi che la riguardano: ambiente, sanità, disparità sociali, mobilità spazio-temporale, innovazione, etc. con altrettanti temi e sequenze argomentative in chiave di sentieri analitici percorribili. Questo libro/città, in altre parole, mi consente alcune libere flânerie sui temi e le questioni della metropoli contemporanea. Ne ho individuate due, una di tipo sociologico e una di tipo più epistemologico-metodologico, a loro volta scomponibili in più momenti.

 

La prima si articola in tre soste, cioè tre temi formulati di seguito in forma dicotomica per tracciare continuum teorici rispetto ai quali analizzare la realtà. Si tratta di temi che mi stanno particolarmente a cuore e che ho rintracciato in modo più o meno esplicito nel volume, ovvero quello della relazione tra città attraente/città respingente, quello del rapporto tra neo-liberismo e innovazione sociale e infine quello tra città e quartieri.

La grande città attrae ma è anche motivo di marginalità ed espulsione. La polarizzazione sociale frutto della globalizzazione diventa una cifra della metropoli con la presenza di immigrati provenienti da Paesi poveri nel segmento più basso ma anche di stranieri (visitatori abbienti) nel segmento più alto. Come i gruppi sociali (più che le classi sociali) emergenti si collocano lungo questo asse? Penso alla neo-plebe e alla classe creativa di Paolo Perulli(1) o a quella che Denis Duclos chiamava l’iper-bourgeoisie(2).

Da un lato, le città sono il luogo privilegiato per rigurgiti di neodarwinismo (se mai è passato di moda) in chiave post-moderna (forte individualizzazione delle biografie). Un tema che non può non ricordare le ricerche degli anni ‘20 della Scuola Chicago dell’approccio della ecologia umana, come studio della capacità di adattamento e senso di appartenenza dell’essere umano al tessuto fisico e culturale offerto da un quartiere. Dall’altro, però, nelle città si afferma anche un desiderio di ricostruire comunità magari in forme ibride: tra compresenza fisica e mediazione tecnologia: la cosiddetta community without propinquity di cui parlava Melvin Webber già negli anni ’60(3). L’innovazione sociale, come insieme di pratiche che possono favorire in maniera creativa la partecipazione civile in accordo con le istituzioni locali, rinvia, peraltro, alla possibilità di empowerment dei gruppi sociali più deboli.

Nell’ultimo caso il tema è: come guardare alla distribuzione spaziale dei problemi? Da sottolineare è la crescente rilevanza che oggi assumono i quartieri e i territori in una ottica di periferizzazione di alcune popolazioni. Il dibattito sulla “città dei 15 minuti”, piuttosto che sul “ritorno ai borghi” – in entrambi i casi motivato dalla pandemia –, accanto a utili considerazioni(4), spesso oggi assume il tono della retorica. Sta di fatto però che le città diventano sempre più policentriche, fatte di tante isole in un arcipelago urbano, che promettono condizioni e qualità di vita, relazioni sociali molto differenti a seconda dei contesti.

 

Qui finisce la prima passeggiata nel libro/città curato da Alessandro Balducci, avremmo potuto ovviamente prendere altre strade, guardare di sbieco negli interstizi delle vie laterali, lasciarci distrarre da una sorta di toponomastica dei problemi urbani, per trovare questioni aperte che invitano alla riflessione, offrono conferme su quanto già si sapeva o aprono a nuove riflessioni. Ma non è questo il mio intento. Piuttosto questa brevissima passeggiata appena tratteggiata mi dà l’opportunità di parlare di un secondo modo di perdersi nel volume e questa volta si tratta di una escursione, come già anticipato, di carattere epistemologico-metodologico che ha a cuore il tema generico della visibilità-invisibilità dei fenomeni. Anche qui procederemo per tappe.

La prima riguarda il tema della post-modernità (per come è stata delineata da molti autori che sarebbe qui pleonastico ricordare… Zygmunt Bauman, Ulrich Beck, etc. etc.) caratterizzata da una accelerazione delle trasformazioni, davvero oggigiorno molto rapide. Troppo rapide per essere analizzabili utilizzando gli impianti metodologici tradizionali. Di fatto le nostre analisi arrancano nello studio della città specialmente sotto il profilo della disaggregazione territoriale e della tempestività nella lettura dei fenomeni. A ciò si aggiunge che le storie di vita tendono a parcellizzarsi mosse dal prevalere di una già accennata ottica neo-liberista, che vede la frammentazione dei profili, il venir meno di processi facilmente identificabili con le più consuete segmentazioni sociali novecentesche. In particolare, nelle città attuali, le comunità locali sono caratterizzate da alto turnover e scarsa omogeneità e continuità socio-culturale, da condotte individuali e forme di partecipazione effimera o di tipo NIMBY (Not In My BackYard), che rendono alquanto problematica la messa a fuoco di alcuni processi e anche gli interventi pubblici rispetto ad essi. A ciò si aggiunge che i nuovi gruppi sociali oltre ad essere in continua trasformazione (sia in chiave ascendente che discendente) non presentano una esplicita rappresentanza politica (partiti, sindacati, associazioni). Penso alle popolazioni residenti e non-residenti: gli abitanti, ma anche i pendolari, i city users, i turisti, le persone d’affari, di cui si conosce la presenza ma non l’effettiva consistenza numerica in città tanto è fluido e non sempre registrato il loro passaggio(5). Lo stesso vale per i lavoratori della cosiddetta gig economy, lavoratori a bassa qualifica nel settore dei servizi, rispetto ai quali non sempre si dispone di informazioni precise. Interpretare il sociale risulta pertanto assai più complicato rispetto al passato. Si manifesta in particolare la difficoltà di geo-referenziare il dato statistico (quando esiste) e definire ad esempio la concentrazione e riproduzione del disagio sociale ed economico a livello di quartiere o micro-aree e gli effetti spaziali e temporali moltiplicatori del disagio stesso nelle enclave che vengono formandosi. Dopo la fase “quantofrenica” (in chiave scientista-positivista) della sociologia oggi prendono sempre più fiato anche gli approcci qualitativi (in buona parte etnografici), proprio in considerazione del fatto che il dato statistico non sempre è appropriato/aggiornato per lo studio della realtà urbana per come va rapidamente configurandosi. Lungi da chi scrive riproporre la contrapposizione tra metodi di ricerca, valutandone l’adeguatezza, è tuttavia necessario riconoscere che i sistemi statistici (frutto di analisi secondarie su fonti ufficiali o di survey) oggi non sono in grado di rispondere alle urgenze conoscitive del territorio.

In particolare, e questa è la seconda tappa del nostro percorso, i dati presentano spesso scarsa affidabilità soprattutto per quanto riguarda lo studio dei fenomeni informali: la diffusione del lavoro in nero, il consumo di stupefacenti, la presenza di immigrati irregolari. Spesso i dati risultano insufficienti non solo per lo studio delle fasce più deboli della popolazione ma anche per quelle più abbienti, residenti o di semplice passaggio in città, con i vari conflitti che ne derivano. Mi permetto al riguardo di fare una autocitazione richiamando un testo scritto qualche anno fa per un volume sul tema della mobilità a cura di Paola Pucci e Matteo Colleoni(6). In sociologia c’è poi una lunghissima tradizione di studi sulla povertà ma molto meno sulla ricchezza, dal punto di vista delle risorse disponibili e degli stili di vita. In altre parole, la società urbana è particolarmente complessa, capace di prendere forme diverse a seconda città e quartieri. Molti aspetti non sono immediatamente visibili e misurabili.

Eccoci ad un'altra tappa che concerne due profondità temporali dell’analisi. La prima, più attenta alla lunga durata dei fenomeni, significa riconoscere la sedimentazione necessaria dei fenomeni stessi perché abbiano i loro effetti. L’esempio emblematico è lo smart working che oggi ha trovato grande diffusione anche in seguito alla pandemia. Prima di poter trarre le conseguenze sull’impatto che esso può avere sulla società nel suo complesso bisogna indagare non solo su quanto sta accadendo in questi anni, ma, ad esempio, immaginare coorti di popolazioni di lavoratori educati e cresciuti esclusivamente all’uso di tecnologie che consentono relazioni a distanza. Nello stesso tempo, però, la società attuale è interessata da continue “microscosse” anche dal carattere emergenziale che richiedono rapide interpretazioni, come appunto nel caso del Covid-19. Le “faglie” della società si muovono lentamente, le “microscosse telluriche” reclamano una lettura assai più rapida. Se guardiamo una città riusciamo a distinguere i mutamenti più epidermici da quelli che strutturano l’urbano nel tempo lungo? È un quesito cui è molto difficile rispondere.

Infine, e siamo giunti al termine del viaggio, se le fonti non sono sempre di qualità è pur vero che sono sempre di più. Addirittura, si assiste ad una moltiplicazione dei dati, ad una sorta di “nebbia informativa” in cui è difficile muoversi e riconoscere l’attendibilità delle informazioni(7). La critica post-moderna alla torre d’avorio (verticalità) ha paradossalmente generato la messa in discussione di qualsiasi gerarchia (orizzontalità della informazione), generando inevitabilmente confusione e forme di relativismo.

 

Le nostre due passeggiate nel libro a cura di Alessandro Balducci – un testo davvero di straordinaria completezza e multidisciplinarietà – sono terminate, ed è giunto il momento di alcune provocazioni, proposte qui in ordine sparso.

Come facciamo ad afferrare e descrivere una città dai confini sempre più fluttuanti attraversata giornalmente da persone, merci e informazioni sempre più globali? Ogni fotografia, già di per sé difficile da scattare, invecchia troppo rapidamente.

Possiamo pensare ad una città-vera che non si vede (perché non misurabile con i dati disponibili o perché alcuni fenomeni non sono facilmente decifrabili nella loro complessità) ma esistente e ad una città-teatro (la parte più esposta all’analisi) che si vede ma forse non esiste?

E del genius loci di una città (nelle sue dimensioni tangibili e intangibili)… che si può dire? Che esiste ma non si vede e non si misura ma che incide fortemente su di una città? Del tipo, Milano resta Milano perché ha una sua anima, una sua storia che è difficile da modificare, checché ne dicano i costruttivisti a là Doreen Massey in contrapposizione all’approccio fenomenologico che Christian Norberg Schulz ha ereditato da Martin Heidegger(8). Per cui diviene inutile dannarsi troppo: ogni città mostra un carattere immutabile che la differenzia dalle altre indipendentemente dagli sforzi che si possono mettere in campo per ridefinirla e migliorarla di volta in volta. Se non siamo in grado di contemplare anche questo aspetto, la nostra analisi diventa monca, concentrata sul presente senza riconoscere una continuità storica.

Una città ci piace o meno per le politiche che mette in campo rispetto ai valori in cui crediamo. Ma se le cose fossero andate diversamente da come sono andate, come sarebbe oggi la città oggetto delle nostre considerazioni. Sarebbe migliore o peggiore? Anche la città che poteva essere e non è stata ci chiama a considerazioni sulla sua invisibilità, sulla evidenza e sulla immaginazione, sulle ipotesi e sulle utopie, sulle potenzialità e le delusioni che ci ha procurato. Penso che gli scienziati sociali, urbanisti e architetti, dovrebbero misurarsi sui possibili scenari passati e futuri delle metropoli, anziché concentrarsi esclusivamente sulla pura realtà dei fatti, sperando peraltro questi siano sufficientemente riscontrabili. Certo la provocazione è forte. Non è invisibile ciò che non esiste, semplicemente non esiste. Ma esplorare l’immaginario è una forte tentazione.

La relazione tra la realtà e la sua rappresentazione non sempre è chiara. In particolare, i nessi di causalità tra i fenomeni sono spesso deboli, persino difficili da misurare. In ogni equazione del tipo Y=b0+b1*X1+b2*X2+…+bn*Xn+e nel fondo c’è sempre l’errore statistico di misurazione “e”, unito agli aspetti impensati o non stimati all’origine degli eventi. Diventa in questo quadro cruciale ipotizzare quale variabile indipendente (al momento ancora invisibile) prendere in considerazione, per cercare di operativizzarla e dunque inserirla nel modello al fine di testarlo.

Infine, un’ultima provocazione riguarda il rapporto tra l’oggettivismo (chi pensa che il mondo si possa leggere per quello che è) e il soggettivismo (chi pensa che possano esistere solo angolature diverse, personali). Anche questa dimensione è da considerare. L’avere punti di vista alternativi interroga direttamente la questione della invisibilità e il modo di affrontarla attraverso un processo critico-dialettico.

 

Prendendo in prestito le parole di Pier Paolo Pasolini che a proposito delle stragi fasciste degli anni 60-70 scrisse “io so ma non ho le prove”, oggi si può dire che per studiare le città e gli squilibri che in esse si generano, sappiamo tante cose ma non sempre abbiamo i dati, o quelli che abbiamo non sempre sono di qualità e c’è posto anche per interpretazioni alternative. Resta in sintesi sullo sfondo una certa discrezionalità nel raccontare il mondo e dunque diventa inevitabile affrontare una serie di questioni epistemologiche e metodologiche sulla capacità delle discipline di arrivare alla verità, riducendo la parte in ombra, sia quest’ultima riconducibile ad un qualche genius loci, un errore statistico, un vuoto teorico, una carenza di informazioni di varia natura.

Più in generale, mi pare che la capacità di ogni ricercatore e ricercatrice sociale di gestire le situazioni di incertezza documentale e statistica nella analisi delle città sia di crescente importanza. È allora interessante capire come il libro di cui stiamo parlando si confronti con questi temi. L’intento degli autori e autrici del volume è infatti quello di portare alla luce alcune questioni urbane, consapevoli altresì del fatto che si tratta di materie sfuggenti forse più sotto il profilo metodologico che su quello teorico; sebbene le due dimensioni siano fortemente connesse e alla base di uno spirito propositivo e di responsabilità – non solo scientifica ma anche civile – che oggi diventa sempre più decisivo.

Nello stesso tempo, credo che la scelta e l’impegno politico più che mai richiedano un atto di slancio, di fede non necessariamente confortati da una precisa contabilità degli elementi in gioco. La partecipazione e l’impegno politico e sociale, soprattutto verso i più deboli, le persone in difficoltà, non possono infatti che essere mossi da valori, intuizioni, esperienze che esulano da una verifica stretta e obbiettiva della realtà, attraverso i dati. Potremmo dire, proprio in considerazione della invisibilità (non misurabilità) di alcuni fenomeni, che i dati sono importanti ma non sufficienti per raccontare i bisogni delle persone e valutare l’appropriatezza o meno delle politiche pubbliche.

Giampaolo Nuvolati

 

 

Note
1) Perulli P., 2022, Neoplebe, classe creativa, élite, Laterza, Bari.
2) Duclos, D., 1999, “La nascita dell’iperborghesia”, in G. Martinotti (a cura di), La dimensione metropolitana: sviluppo e governo della nuova città, il Mulino, Bologna, pp. 175–187.
3) Webber M., 1963, Order in Diversity: Community without Propinquity, in L. Wingo (ed.), Cities and Spaces, Johns Hopkins Press, Baltimore, pp. 22-54.
4) Manzini E., 2021, Abitare la prossimità. Idee per la città dei 15 minuti, Egea, Milano; Moreno C., 2024, La città dei 15 minuti. Per una cultura urbana democratica, Add Editore, Torino, 2024.
5) Martinotti G., 1993, Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, il Mulino, Bologna.
6) Nuvolati G., 2016, “Resident and Non-resident Populations: Types of Conflicts”, in P. Pucci and M. Colleoni (eds.), Understanding Mobilities for Designing Contemporary Cities, Springer, New York, pp. 191-203.
7) In merito alle questioni di ordine metodologico trattate nel volume, davvero molto interessante risulta il capitolo di Piercesare Secchi: “Rendere visibile la diversità invisibile. Big data e algoritmi: quantificare, interpretare e prevedere”.
8) Jianhui G., 2006, “No More Heidegger, No More Genius Loci: a Poststructuralist View of Place”, Journal of Environment and Art, Vol. 4, 47–56.

 

 

N.d.C. Giampaolo Nuvolati è professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università degli studi di Milano Bicocca dove insegna Sociologia urbana. Nello stesso Ateneo è stato presidente del Corso di laurea Magistrale di Sociologia e direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale. È prorettore dell’Ateneo per i Rapporti con il Territorio.

Tra i suoi libri: La qualità della vita delle città. Metodi e risultati delle ricerche comparative (FrancoAngeli, 1998); Popolazioni in movimento, città in trasformazione. Abitanti, pendolari, city users, uomini d'affari e flâneur (il Mulino, 2002); Lo sguardo vagabondo. Il flâneur e la città da Baudelaire ai postmoderni (il Mulino, 2006); Mobilità quotidiana e complessità urbana (Firenze University Press, 2007); L'interpretazione dei luoghi. Flanerie come esperienza di vita (Firenze University Press, 2013); Un caffè tra amici, un whiskey con lo sconosciuto. La funzione dei bar nella metropoli contemporanea (Moretti & Vitali, 2016); (a cura di), Sviluppo urbano e politiche per la qualità della vita (Firenze University Press, 2018); con Giorgio Bigatti (a cura di), Raccontare un quartiere. Luoghi volti e memorie della Bicocca (Scalpendi, 2018); Interstizi della città. Rifugi del vivere quotidiano (Moretti & Vitali, 2019); (a cura di), Enciclopedia sociologica dei luoghi (Ledizioni, vol.1-2019; vol.2-2020; vol.3-2020; vol. 4-2021; vol. 5-2021; vol. 6-2022); (a cura di), con Sara Spanu, Manifesto dei Sociologi e delle Sociologhe dell’Ambiente e del Territorio sulle Città e le Aree Naturali del dopo Covid-19 (Ledizioni, 2020); (a cura di), con Rita Capurro, Milano, ritratto di una città. Il paesaggio culturale(Silvana Editoriale, 2020); con Alessandra Terenzi, Qualità della vita nel quartiere di edilizia popolare a San Siro, Milano (Ledizioni, 2021); a cura di, Esperienze di vita nei giorni del silenzio. La Bicocca al tempo del coronavirus (Nomos, 2021); con Marianna D'Ovidio, a cura di, Temi e metodi per la sociologia del territorio(UTET Università, 2022); a cura di, Il campus Bicocca. Storia passata e nuova vita degli edifici dell'Ateneo (Rubbettino, 2022).

Per Città Bene Comune ha scritto: Città e paesaggi: traiettorie per il futuro (8 dicembre 2017); Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo (13 luglio 2018); Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali (29 maggio 2020); Abitare la diversità (4 giugno 2021); Per una riflessione olistica sul vivere urbano (17 febbraio 2022); Anche lo spazio fa la società (25 novembre 2022); Emanciparsi (e partecipare) camminando (10 marzo 2023); Il design è nei territori (7 luglio 2023).

Sui libri di Giampaolo Nuvolati, v. i commenti di: Duccio Demetrio (27 settembre 2019); Giancarlo Consonni (29 novembre 2019); Marino Ruzzenenti (29 gennaio 2021); Giovanni Semi (9 aprile 2021); Alfredo Mela (18 marzo 2022), Anna Lazzarini (20 ottobre 2023); Veronica Conte (19 settembre 2024).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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08 NOVEMBRE 2024

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E. Scandurra, Roma, scenografia urbana e vita quotidiana, commento a: F. Erbani, Roma adagio (Edea, 2023)

B. Bottero, Città femminili? Ahimè, non ancora, commento a: E. Granata, Il senso delle donne per la città (Einaudi 2023)

A. Calafati, Capitalismo e degenerazione urbanistica, commento a: F. Chiodelli, Cemento armato (Bollati Boringhieri, 2023)

M. Barzi, Il potere dei parchi urbani, commento a: M. Sioli, Central Park (Elèuthera, 2023)

B. Bonfantini, Politiche abitative e governo urbano, commento a: A. L. Palazzo, Orizzonti dell'America urbana (Carocci, 2022)

G. Azzoni, Quando l'architettura è donna, commento a: A. Brandino (a cura di), Antonietta Iolanda Lima architetto (Gangemi, 2024)

M. A. Crippa, Sacro e profano: un nodo architettonico, commento a: M. Botta, Il cielo in terra (Libri Scheiwiller, 2023)

R. Baiocco, E. Beacco, Geddes: la ricerca del metodo, commento a: La città è vostra. Patrick Geddes (LetteraVentidue, 2021)

S. Tagliagambe, Salvare le città: una questione politica, commento a G. Consonni, Non si salva il pianeta se non si salvano le città (Quodlibet, 2024)

C. Olmo, Ansia sociale e progettualità, commento a: V. Costa, v La società dell’ansia (Inschibboleth Ed., 2024)

V. Conte, Come si studia il territorio, commento a: G. Nuvolati, M. d’Ovidio (a cura di), Temi e metodi per la sociologia del territorio (Utet, 2022)

G. Pasqui, Spazio, vita e progetto, commento a: P. Viganò, Il giardino biopolitico (Donzelli, 2023)

F.Barbera, Dissidi culturali? No, errori interpretativi, replica al commento di O. De Leonardis

M. Filandri, L'Italia è povera, commento a: C. Saraceno, D. Benassi e E. Morlicchio, La povertà in Italia (il Mulino, 2022)

G. Dematteis, Cosa ci ha insegnato la pandemia, commento a: C. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

L. Sciolla, Genealogia della creatività, commento a: P. Perulli, Anime creative (il Mulino, 2024)

G. Consonni, Roma: il possibile riscatto, commento a: E. Scandurra, Roma. O dell’insostenibile modernità (MachinaLibro, 2024)

P. Gabellini, Napoli, il coraggio della verità, commento a: A. Belli (a cura di), Dire-il-vero. Napoli nel secondo Novecento (Guida, 2023)

D. Calabi, Proiettare il passato nel futuro, commento a: G. Zucconi (a cura di), Ricostruire Longarone (IUAV, Silvana ed. 2023)

C. Cellamare, Relazionalità per capire le periferie, commento a: P. Grassi, Barrio San Siro (FrancoAngeli, 2022)

G. B. Lattes, Il sociologo e la città, commento a: G. Amendola, La città: immagini e immaginari (FrancoAngeli, 2024)

G. M. Flick, La città dal diluvio universale all'arcobaleno, commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio (a cura di), La città dopo la pandemia (Aracne, 2023)

V. Prina, Esplorare e raccontare Varese, commento a: L. Crespi (a cura di), Atlante delle architetture e dei paesaggi dal 1945 a oggi in provincia di Varese (Silvana ed., 2023)

C. Olmo, Le molteplici dimensioni del tempo, commento a: M. Bettini, Chi ha paura dei Greci e dei Romani? (Einaudi, 2023)

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