Annalisa Calcagno Maniglio  
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ESISTONO GLI SPECIALISTI DEL PAESAGGIO?


Commento al libro di Salvatore Settis



Annalisa Calcagno Maniglio


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Ho letto con interesse molti degli articoli e dei libri scritti da Salvatore Settis che trattano, con approfondite e ricorrenti riflessioni, il tema del paesaggio, il significato culturale del termine, l'antico equilibrio tra cultura e natura, tra paesaggio e patrimoni culturali ereditati del passato. L'Autore si è spesso soffermato sulle mutazioni e sulle devastazioni che nel tempo, sotto il segno del progresso, hanno generato un'indiscriminata cementificazione che ha divorato città e campagne, nonostante il succedersi e intrecciarsi di leggi e norme per garantire la protezione dei valori paesistici e di "carte" per dirimere conflitti incostituzionali. Poiché il tema del paesaggio è stato centrale - come accennerò più avanti - nella mia didattica universitaria e nelle mie ricerche, di Settis ricordo con particolare interesse Paesaggio, Costituzione, cemento. La battaglia per l'ambiente contro il degrado civile (Einaudi, 2010) cosi come Azione popolare. Cittadini per il bene comune (Einaudi, 2012) e dopo aver terminato l'attenta lettura di Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili (Einaudi, 2017) - circa il quale mi è stato chiesto un commento - desidero affidare a questo mio scritto non solo un'analisi delle molte interessanti e innovative riflessioni sviluppate nei cinque capitoli in cui è articolato il libro, ma anche esporre alcune personali considerazioni legate alla mia quarantennale attività di architetto e professore alla Facoltà di Architettura di Genova che la lettura di questo testo ha suscitato, oserei dire quasi provocato.

Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili è un libro che raccoglie alcune lezioni svolte da Salvatore Settis sul tema del paesaggio all'Accademia di Architettura dell'Università Svizzera di Mendrisio. Nell'attività didattica rivolta agli studenti di Architettura, Settis ha dovuto affrontare - come lui stesso scrive - "categorie interpretative, linguaggi e prospettive" differenti da quelli "del suo ambito di formazione che è l'archeologia classica e la storia dell'arte". Così, nello sviluppare il tema del paesaggio - di centrale importanza nel nostro tempo -, fin dall'inizio del libro si interroga su "cosa intendiamo per paesaggio" e indirizza l'attenzione del lettore su alcune ben note problematiche dei nostri territori: sull'estendersi dei tessuti urbani in periferie indefinite nei confini e prive di identità nei rapporti spaziali, sul diffondersi nei contesti agrari di infrastrutture, capannoni industriali, centri commerciali, sull'indiscriminata espansione dell'urbanizzato che investe i territori e interferisce, degradandoli, con i patrimoni storico-culturali e con gli equilibri ambientali. La sua risposta al quesito posto ai lettori è una riflessione che prende in considerazione le difficoltà che si incontrano quando si devono individuare le differenze nell'uso comune dei tre termini paesaggio, territorio e ambiente: tutti termini che indicano lo spazio che ci circonda e in cui si svolge la nostra vita quotidiana, ma al quale, nella storia e nella cultura delle società che lo ha plasmato e trasformato nel tempo, sono stati attribuiti differenti significati o valori - geografici, storico-culturali, scientifici o giuridici - per i numerosi e differenti problemi che lo caratterizzano e lo coinvolgono. Ne sono derivate considerazioni sulle varie competenze che investono tutela, salvaguardia e gestione ora del paesaggio, ora del territorio, ora dell'ambiente, che sono state attribuite a differenti amministrazioni, statali o regionali. Per richiamare alla memoria l'origine dell'attribuzione delle varie "competenze" Settis ricorda, ad esempio, come con il progressivo emergere, nel secolo scorso, della cultura ambientalista, la nozione di ambiente abbia iniziato a riferirsi alla protezione delle risorse naturali del territorio, al regime dei suoli e delle acque, alla salvaguardia dell'aria dall'inquinamento, e nel tempo anche alle variazioni del clima e a molto altro ancora.

Nel 1967, la Commissione Franceschini riferendosi alla categoria dei beni sia culturali che ambientali, ha messo in evidenza, l'importanza di "un'interpretazione storica e geografica globale (…) della complessa realtà culturale di cui strutture e forme del paesaggio umanizzato sono l'espressione". Vent'anni dopo la legge Galasso, per superare la considerazione prevalentemente estetica dei paesaggi di riconosciuto valore, ha individuato ed esteso tra le zone da assoggettare a vincolo paesaggistico nuove categorie di beni e di oggetti geografici da tutelare e da introdurre nella pianificazione a seguito di particolari analisi delle linee e delle forme che strutturano il paesaggio ed esprimono i suoi assetti e i suoi caratteri naturali biotici e abiotici. Eppure anche questi innovativi provvedimenti non coglievano ancora pienamente la complessità del paesaggio e non ne comprendevano la sua vera natura. Solo in seguito alla presentazione, a Firenze nel 2000, della Convenzione Europea del Paesaggio, questo è stato definito più chiaramente e portato a una nuova e maggiore attenzione di amministratori, studiosi e professionisti, e anche della collettività, per le importanti funzioni che svolge "sul piano culturale, scientifico, ecologico, sociale ed economico". I cambiamenti intervenuti nella versione finale del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, del 2008, hanno introdotto, a loro volta, nuovi principi fondati sulla "cooperazione tra amministrazioni pubbliche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio" a partire dai "piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici": piani da elaborarsi congiuntamente tra Ministero e Regioni.

Nell'analizzare la nozione di paesaggio - riconosciuto dall'art. 9 della Costituzione Italiana come un valore della Nazione da sottoporre, unitamente al patrimonio storico e artistico, a tutela giuridica - Settis introduce alcune interessanti riflessioni sulle valutazioni estetica ed etica del paesaggio: egli sostiene che se riconosciamo come paesaggio solamente ciò che vediamo e osserviamo, ciò che attrae lo sguardo di ognuno di noi e che si manifesta come una veduta ai nostri occhi, allora il paesaggio è da considerarsi un oggetto di valutazione estetica. Se, invece, guardiamo al paesaggio come al luogo in cui si vive, si sosta, si passeggia, si lavora, allora ci rendiamo conto che tutti noi abbiamo su di esso un diritto di fruizione e che il paesaggio non è un mosaico di interessi individuali, ma una ricchezza collettiva che racchiude valori naturali e storico-artistici verso i quali l'intera comunità ha un dovere di protezione, di difesa dagli abusi, dagli usi impropri e dal degrado.

Settis chiarisce ulteriormente un concetto centrale delle sue riflessioni: quello del paesaggio come patrimonio culturale e del suo valore collettivo per l'umanità che lo vive, lo conosce, lo utilizza: ne consegue che il paesaggio è per Settis "teatro della democrazia" e in quanto tale dovrebbe orientare le politiche territoriali. Questa affermazione - che, sottolinea l'Autore, non è "né ovvia né scontata" (e sulla quale svilupperà nel libro ulteriori analisi) - viene posta subito all'attenzione degli studenti-architetti e all'etica del loro futuro operare. Nel suo ruolo di docente ricorda, perciò, ai futuri architetti, che nell'attività progettuale non devono ritenersi solo al servizio dei committenti, e cioè al "profitto dei pochi", ma devono "tener presente un quadro assai più vasto, quello della comunità dei cittadini". Così nel libro richiama più volte le responsabilità professionali che riguardano gli architetti di fronte alla disordinata crescita delle città e dei quartieri che erodono i confini urbani e divorano le campagne, alla "verticalizzazione selvaggia" dell'edificato, alla continua espansione di una forma urbana spesso non pianificata che avviene a spese dello spazio naturale ed agricolo, al declino dell'identità culturale della città storica e alla devastazione crescente dei paesaggi.

Nelle lezioni svolte da Settis agli studenti dell'Accademia di Architettura di Mendrisio i riferimenti alla "responsabilità professionale degli architetti" sono numerosi e frequenti: responsabilità non solo nei confronti degli insegnamenti ricevuti e delle nozioni apprese, ma anche verso quegli spazi nei quali si svolge, generalmente, l'attività degli architetti e che rappresentano importanti valori e particolari significati per la collettività. Sono responsabilità "che hanno molto a che fare con la democrazia", perché l'intero contesto in cui l'architetto si trova ad operare é paesaggio, è spazio collettivo, è patrimonio culturale della società. È su queste affermazioni che vorrei introdurre alcune mie considerazioni, che svilupperò dettagliatamente più avanti, come architetto, laureato all'Università La Sapienza di Roma e docente per oltre trent'anni alla Facoltà di Architettura di Genova: sono considerazioni sulle carenze esistenti nella formazione universitaria dell'architetto - almeno in Italia - nel settore del paesaggio: carenze culturali che non gli consentono di affrontare, nell'attività progettuale, con la necessaria professionalità, quelle problematiche, che Settis definisce "etiche" e che riguardano fenomeni estesi e complessi come l'incessante espansione della città oltre i confini urbani che devasta le campagne, la crescente alterazione dell'identità dei beni culturali e paesaggistici, la frequente devastazione del paesaggio, bene comune e patrimonio collettivo. L'architetto è impreparato ad operare nella complessità del paesaggio, attraverso la comprensione dei processi che lo generano, la conoscenza dei numerosi elementi e fattori che lo caratterizzano, dei molteplici fenomeni e relazioni che interagiscono su di esso. Il paesaggio è molto di più di una veduta o di un bel panorama, è una risorsa comune del nostro abitare, permeata da segni, tracce e culture di molteplici stratificazioni storiche, sintesi di un'incessante rete di azioni e rapporti che hanno legato e legano l'uomo al suo territorio.

Ma ritornando alle analisi e alle considerazioni di Settis, leggiamo che l'Autore, accingendosi ad affrontare il tema del paesaggio, centrale nel nostro tempo, anche in rapporto ai futuri sviluppi, ricorda al lettore di non essere in alcun modo uno "specialista" su questi argomenti! Vorrei ricordare a proposito di questa affermazione che sono note a molti non solo le sue interessanti trattazioni su Il paesaggio come bene comune (La scuola di Pitagora, 2013), sulle modificazioni degli spazi naturali ad opera dell'uomo che rappresentano "la memoria delle storie e delle società che lo hanno plasmato nel tempo". Egli è anche conosciuto per gli importanti contributi dati nel presiedere la Commissione di Studio per la redazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio dove i beni paesaggistici ed i beni culturali sono riconosciuti, nel loro insieme, come un patrimonio culturale che, in riferimento all'art. 9 della Costituzione, sono da tutelare e valorizzare. Il Codice inoltre, nella versione finale del 2008, ha introdotto con il contributo di Settis, in riferimento al paesaggio, alcune modifiche migliorative alla precedente legge e ha affrontato il complesso, necessario coordinamento tra il ruoli dello Stato e quello delle Regioni nella legge che si riferisce al paesaggio (1939) e in quella sull'urbanistica (1942).

Nei cinque capitoli del libro sono ricordati, con interessanti riflessioni ed erudite citazioni storiche, alcuni precedenti sulle misure di protezione nei confronti del patrimonio culturale, storico-artistico e archeologico e quelle del paesaggio. È ricordato il primo atto legislativo della storia d'Italia (1922) Per la tutela della bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico dell'allora Ministro dell'Istruzione Pubblica Benedetto Croce, massimo teorico dell'estetica italiana; sono sviluppate necessarie riflessioni sulle leggi che hanno applicato nuovi vincoli alle "bellezze panoramiche" e ai "belvedere accessibili al pubblico", analizzandone i significati politici e culturali e ricordando i contributi che sono stati introdotti, a seguito del rinnovamento delle concezioni esclusivamente estetiche e percettive del paesaggio. Un'interessante analisi illustra anche come nel Novecento un numero crescente di Costituzioni abbia affrontato, in vari Paesi, il tema del rapporto tra spazi urbani e paesaggio, riconoscendo come paesaggio e patrimonio culturale siano entrambi parte integrante della storia dei luoghi. L'analisi mette a confronto tra loro, in particolare, la Costituzione tedesca e quella spagnola che hanno preceduto di alcuni anni quella italiana, che, nel 1948, ha elevato la tutela del paesaggio a principio fondamentale del nostro ordinamento perché parte integrante della nostra storia e della nostra cultura.

Nel capitolo Man and Nature, analizzando i rapporti tra città e paesaggio in diversi Paesi e nei vari aspetti "storici, artistici, antropologici, sociologici, di geografia storica e culturale", Settis ricorda come negli Stati Uniti di fronte all'occupazione intensiva del territorio furono assoggettati a tutela, con l'istituzione di parchi e aree protette, milioni di ettari di suoli naturali, incontaminati, per preservarli al godimento delle generazioni future: il patrimonio naturale era cioè considerato elemento identitario e vanto della nazione. Nei paesi Europei, invece, sull'importanza dei paesaggi naturali ha prevalso l'attenzione per il paesaggio plasmato dagli uomini nel corso dei secoli. Le riflessioni storiche di Settis percorrono anche momenti dell'antica cultura greca e romana attraverso il pensiero di importanti filosofi, letterati, trattatisti, e numerose rappresentazioni musive e pittoriche dei siti storici. Nell'interessante capitolo Confini difficili. Patrimonio culturale, paesaggio città è sviluppata un'articolata analisi sui difficili limiti che definiscono l'habitat umano dentro e intorno alla città, limiti che sono spesso considerati "merce passiva da sfruttare" anziché "vivo scenario di una democrazia futura". L'ultimo capitolo è una grave e spietata attribuzione di responsabilità all'architetto nei confronti degli attuali scenari di degrado e perdita di identità paesistica delle città storiche nelle quali ancora, in futuro, "dovrà dispiegare la propria immaginazione progettuale".

Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili è un libro colto e ricco di approfondimenti sul rapporto tra paesaggio e diritti dei cittadini e sul suo valore come "teatro della 'democrazia'". Sorprende, però, che nell'excursus storico e geografico sul significato del termine paesaggio, anche in rapporto al patrimonio storico-culturale, non venga considerata la Convenzione Europea del Paesaggio, importante testo giuridico interamente e specificamente riferito al paesaggio, ratificato fino ad oggi da 38 Paesi, tra i quali la Svizzera, e dall'Italia nel 2006. La Convenzione Europea del Paesaggio fonda il suo impianto normativo e la sua efficacia giuridica sulla promozione della dimensione paesaggistica dell'intero territorio degli Stati: riguarda i paesaggi naturali, quelli rurali, urbani e periurbani, quelli considerati eccezionali, quelli della vita quotidiana e quelli degradati; valorizza il ruolo delle comunità locali chiamandole ad una partecipazione attiva ai processi di identificazione dei valori e delle strategie d'intervento nei paesaggi della vita quotidiana, fondamento delle identità locali; sollecita la sensibilizzazione, l'educazione e la formazione di una cultura paesaggistica della società civile. Pone l'attenzione sulla necessità di promuovere insegnamenti universitari specializzati nella formazione di specialisti della conoscenza e dell'intervento sui paesaggi, di programmi pluridisciplinari di formazione sulla politica, la protezione, la gestione e la pianificazione del paesaggio, destinati ai professionisti del settore privato e pubblico; raccomanda di provvedere a queste specifiche formazioni attraverso diplomi riconosciuti dagli Stati.

I temi del paesaggio e della formazione di una cultura paesaggistica hanno costituito uno dei miei interessi principali già dalla metà degli anni '70 quando professore alla Facoltà di Architettura ero stata incaricata di svolgere il corso di Architettura dei Giardini e Paesistica. Mi domandavo allora quali basi culturali, quali fondamenti scientifici e quali approfondimenti progettuali fosse utile, e soprattutto possibile, trasferire nella formazione degli studenti di Architettura, attraverso questa sola disciplina collocata alla fine del ciclo di studi quinquennale, per contribuire a sviluppare, nella loro formazione e nella loro futura attività progettuale, un'attenta considerazione dei codici genetici dei paesaggi e delle storiche sintonie tra architettura, territorio e ambiente. In particolare, ritenevo necessario promuovere nelle Facoltà di Architettura una conoscenza e una comprensione dei processi di trasformazione del territorio e dell'ambiente naturale, riservando una specifica attenzione al benessere e alla qualità della vita delle popolazioni, al miglioramento degli equilibri dei nostri paesaggi, introducendo il paesaggio come elemento centrale del progetto di architettura.

Oltre alla carenza di competenze specifiche nell'analisi e soprattutto nella progettazione del paesaggio, già ricordate sopra nella formazione degli architetti, occorre sottolineare la carenza di una domanda di mercato che richiedesse operazioni di trasformazione e riqualificazione del paesaggio; si è spesso affidata a tecnici privi di preparazione ed esperienza, l'analisi e la progettazione paesaggistica e l'approvazione e/o valutazione delle opere da valutare e/o realizzare in zone di comprovato interesse per la nostra storia e il nostro patrimonio culturale. Nell'opinione comune si è ritenuto a lungo che la progettazione paesaggistica non dovesse richiedere una preparazione specialistica e i professionisti, laureati in architettura e in scienze agrarie e forestali, ingegneri e geometri, hanno potuto svolgere anche attività paesaggistica senza aver conseguito una preparazione specifica. Queste varie carenze e vari aspetti del ritardo nella formazione e nel riconoscimento istituzionale della professione del paesaggista mi sorprendevano perché in Italia la delicata materia del paesaggio aveva già avuto la necessaria rilevanza con l'articolo 9 della Costituzione che dichiarava l'impegno della Repubblica a tutelarlo in quanto bene da difendere perché parte integrante della nostra storia e del nostro patrimonio culturale. Non intendo, in queste mie riflessioni sul libro di Settis, ripercorrere la mia più che trentennale attività di docente alla Facoltà di Architettura, ma desidero ribadire la mia diretta constatazione delle carenze esistenti nella formazione dell'architetto nel campo del paesaggio e di conseguenza sull'assoluta impreparazione ad affrontare, nell'attività progettuale, le problematiche - che Settis definisce "etiche" - che riguardano il contesto territoriale nel quale l'architetto deve assai frequentemente intervenire. Nel percorso formativo quinquennale degli studi di architettura, nel contenuto dei vari insegnamenti, avevo potuto constatare come nella struttura didattica dei corsi era dedicata un'attenzione prevalente, se non esclusiva, alla dimensione conclusa del progetto, mentre scarsa o nulla attenzione veniva rivolta al contesto nel quale l'opera progettuale doveva inserirsi. Ma la responsabilità del degrado dei nostri paesaggi, della crescita urbana che ha stravolto la forma della città, ha profanato i centri storici ed ha trascurato l'integrazione dei nuovi interventi nel contesto paesaggistico non può essere attribuita esclusivamente agli architetti. Quando nella cultura del progetto di architettura è assente la conoscenza e, di conseguenza, la capacità di considerazione del contesto, ritengo errato attribuirne solo agli architetti la responsabilità, dimenticando che i volumi architettonici da progettare hanno una loro collocazione nelle norme imposte dalla pianificazione urbanistica: voci troppo spesso dissonanti nei confronti del territorio e del paesaggio urbano e delle periferie che non sono state la "naturale e organica estensione delle città". È opportuna, dunque, anche una considerazione sulle attività urbanistiche degli ultimi decenni, dove è evidente la carenza di una maturazione e evoluzione degli apparati concettuali con cui la cultura della pianificazione si accingeva a guidare le politiche del paesaggio e le interazioni tra i fattori naturali e culturali, per l'attivazione di processi di valorizzazione durevole e sostenibile e il miglioramento dei paesaggi e delle condizioni di vivibilità delle popolazioni.

Queste ed altre considerazioni mi avevano fatto riflettere sull'importanza di attivare una preparazione specifica idonea ad operare nel paesaggio, per supplire alle carenze degli ordinari percorsi universitari delle Facoltà di Architettura; studi e approfondimenti sul paesaggio e sulla professione di uno "specialista del paesaggio" e continui rapporti con le Facoltà esistenti in questo settore in altri Paesi, che non posso qui ricordare, mi consentono di arricchire di contenuti la risposta al quesito che Settis pone all'inizio del suo libro sull'esistenza o meno degli "specialisti del paesaggio". Si era concretizzata in me la convinzione della necessità di istituire, anche in Italia, Corsi di specializzazione post-lauream in Architettura del Paesaggio per colmare i ritardi e le carenze didattico-culturali nei confronti delle complesse problematiche emergenti con la crescita dell'urbanizzazione e la trasformazione delle città e del territorio: trasformazioni avvenute in modo particolarmente rilevante con l'inizio del Novecento e in particolare dalla febbrile attività di ricostruzione del dopoguerra. Ricordo anche le numerose costruttive discussioni svolte tra colleghi di varie facoltà umanistiche e scientifiche sulle conoscenze e le analisi che dovevano essere poste alla base degli interventi da programmare in un "paesaggio" non considerato esclusivamente come immagine ma come realtà complessa per i numerosi elementi e fattori che lo costituiscono, per i molteplici fenomeni e relazioni che interagiscono con esso e per i processi che lo generano. Ricordo anche i ripetuti incontri al Ministero per definire un percorso idoneo a una nuova formazione in ambito universitario nel settore del paesaggio, già sollecitata dalla Convenzione Europea del Paesaggio agli Stati membri che avevano l'avevano ratificata. Nel 1983 veniva così attivata all'Università di Genova la prima scuola italiana di Specializzazione in Architettura del Paesaggio seguita, in breve tempo, dalle Università di Firenze e di Roma.

Dunque, la risposta alla domanda che Settis pone all'inizio del suo libro, se "esistono davvero specialisti del paesaggio che siano in grado con piena competenza di affrontare tutti gli aspetti del problema, da quelli estetici, storici, storico-artistici a quelli geografici, architettonici, giuridici, biomedici, sociologici, antropologici (…)" è certamente affermativa: questo professionista esiste, è l'architetto del paesaggio, un professionista che viene formato attraverso studi interdisciplinari, per poter intervenire in modo propositivo sulle azioni antropiche che interagiscono con i processi naturali, per saper integrare metodi e tecniche di progettazione e pianificazione del paesaggio e contribuire a riqualificare situazioni paesistiche degradate, rendere sostenibili differenti interventi in vari territori, per operare attraverso la conoscenza dei paesaggi naturali, per rispondere con competenza alle esigenze di vita della società contemporanea. Un professionista con una formazione interdisciplinare, per interpretare la complessità del paesaggio e delle sue leggi evolutive, per tutelare e gestire i paesaggi nella loro integrazione tra natura, cultura e storia; per valorizzarli nelle numerose secolari testimonianze di equilibrati rapporti tra intervento umano e contesto naturale; per risanarli da degrado e inquinamenti causati da interventi e negligenze insostenibili; per progettarli con capacità creativa e con dialogo attivo e fertile con i valori culturali, con i caratteri e le leggi evolutive della natura e con le esigenze della società attuale; per recuperare ferite e alterazioni prodotte, in poco più di cinquant'anni, dallo sviluppo rapido e incoerente di periferie, infrastrutture e turismo. Una complessa figura professionale che implica una specifica formazione universitaria, presente ed attiva da decenni in Italia e in molti paesi del mondo.

Annalisa Calcagno Maniglio

 

 

N.d.C. - Annalisa Calcagno Maniglio, professore emerito in Architettura del Paesaggio, ha istituito e diretto la prima Scuola di specializzazione in Architettura del paesaggio all'Università di Genova, dov'è stata prorettore, preside della Facoltà di Architettura e presidente del Corso di laurea in Tecniche per l'Architettura del paesaggio. Esperto del Consiglio d'Europa per la Convenzione Europea del Paesaggio, dirige la collana Il Paesaggio edita da Franco Angeli.

Tra i suoi libri: Architettura del paesaggio. Evoluzione storica (Calderini, 1982); Giardini, parchi e paesaggi a Genova nell'Ottocento (Sagep, 1984); Giardini e parchi lucchesi nella storia del paesaggio italiano (Pacini, 1992); Alta Lunigiana. Percorsi, segni storici del paesaggio (Pacini, 2011); (a cura di) Per un Paesaggio di qualità (F. Angeli, 2015).

Per Città Bene Comune ha scritto: Bellezza ed economia dei paesaggi costieri (3 marzo 2017).

Dell'ultimo libro curato da Annalisa Calcagno Maniglio - Per un Paesaggio di qualità (F. Angeli, 2015) - si è discusso alla Casa della Cultura nel febbraio 2018 nell'ambito della prima edizione del ciclo Paesaggio Bene Comune curato da Flora Vallone.

Sul libro oggetto di questo commento, v. anche i contributi di: Giampaolo Nuvolati, Città e paesaggi: traiettorie per il futuro (8 dicembre 2017) e Francesco Ventura, Sapere tecnico e etica della polis (28 settembre 2018).

Circa il pensiero di Salvatore Settis sui temi del paesaggio, v. anche la sintesi video della conferenza tenuta alla Casa della Cultura il 12 dicembre 2017 e il testo integrale, a cura di Oriana Codispoti, con la presentazione di Salvatore Veca (Ed. Casa della Cultura, 2018).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

RR


© RIPRODUZIONE RISERVATA

19 OTTOBRE 2018

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018:

R. Balzani, Suolo bene comune? Lo sia anche il linguaggio, commento a: M. Casa, P. Pileri, Il suolo sopra tutto (Altreconomia, 2017)

A. Clementi, Un nuovo paesaggio urbano open scale, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

L. Meneghetti, Stare con Settis ricordando Cederna, replica alla posizione di Marco Romano e Francesco Ventura

C. Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili e la cerbiatta di Cuarón, commento a: C. Olmo, Città e democrazia (Donzelli, 2018)

F. Ventura, Sapere tecnico e etica della polis, commento a: S. Settis, Architettura e democrazia (Einaudi, 2017)

P. Pileri, L'urbanistica deve parlare a tutti, commento a: Anna Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Indovina, Non tutte le colpe sono dell'urbanistica, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Balbo, Disordine? Il problema è la disuguaglianza, commento a: F. Indovina, Ordine e disordine nella città contemporanea (FrancoAngeli, 2017)

R. Milani, Viaggiare, guardare, capire città e paesaggi, commento a: C. de Seta, L'arte del viaggio (Rizzoli, 2016)

F. Gastaldi, Un governo del territorio per il Veneto?, commento a: M. Savino, Governare il territorio in Veneto (Cleup, 2017)

G. Nuvolati, Tecnologia (e politica) per migliorare il mondo, commento a: C. Ratti, La città di domani (con M. Claudel, Einaudi, 2017)

F. Mancuso, Città come memoria contro la barbarie, commento a: A. Zevi, Monumenti per difetto (Donzelli, 2014)

M. Morandi, Per una Venezia di nuovo vissuta, commento a: F. Mancuso, Venezia è una città (Corte del Fontego, 2016)

R. Pavia, Leggere le connessioni per capire il pianeta, commento a: P. Khanna, Connectography (Fazi, 2016)

G. Consonni, In Italia c'è una questione urbanistica?, commento a: I. Agostini, E. Scandurra, Miserie e splendori dell'urbanistica (DeriveApprodi, 2018)

M. Romano, Memoria e bellezza sotto i cieli d'Europa, commento a: S. Settis, Cieli d'Europa (Utet, 2017)

V. Biondi, La nuova crisi urbana negli USA, commento a: R. Florida, The New Urban Crisis (Basic Books, 2017)

P. Colarossi, Per un ritorno al disegno della città, commento a: R. Cassetti, La città compatta (Gangemi, 2012, rist. 2015)

A. Clementi, In cerca di innovazione smart, commento a: C. Morandi, A. Rolando, S. Di Vita, From Smart Cities to Smart Region (Springer, 2016)

P. Pucci, La giustizia si fa (anche) con i trasporti, commento a: K. Martens, Transport Justice. Designing fair transportation systems, (Routledge, 2017)

E. Trusiani, Ritrovare Mogadiscio, commento a: N. Hagi Scikei, Exploring the old stone town of Mogadishu (Cambridge Scholars Publishing, 2017)

A. Villani, Post-metropoli: quale governo?, commento a: A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli (Guerini, 2017)

R. Cuda, Le magnifiche sorti del trasporto su gomma, commento a: M. Ponti, Sola andata (Egea 2017)

F. Oliva, Città e urbanistica tra storia e futuro, commento a: C. de Seta, La civiltà architettonica in Italia dal 1945 a oggi (Longanesi, 2017) e La città, da Babilonia alla smart city (Rizzoli, 2017)

J. Gardella, Attenzione al clima e alla qualità dei paesaggi, commento a: M. Bovati, Il clima come fondamento del progetto (Marinotti, 2017)

R. Bedosti, A cosa serve oggi pianificare, commento a: I. Agostini, Consumo di luogo (Pendragon, 2017)

M. Aprile, Disegno, progetto e anima dei luoghi, commento a: A. Torricelli, Quadri per Milano (LetteraVentidue, 2017)

A. Balducci, Studio, esperienza e costruzione del futuro, commento a: G. Martinotti, Sei lezioni sulla città (Feltrinelli, 2017)

P. C. Palermo, Il futuro di un Paese alla deriva, riflessione sul pensiero di Carlo Donolo

G. Consonni, Coscienza dei contesti come prospettiva civile, commento a: A. Carandini, La forza del contesto (Laterza, 2017)

P. Ceccarelli, Rappresentare per conoscere e governare, commento a: P. M. Guerrieri, Maps of Delhi (Niyogi Books, 2017)

R. Capurro, La cultura per la vitalità dei luoghi urbani, riflessione a partire da: G. Consonni, Urbanità e bellezza (Solfanelli, 2017)

L. Ciacci, Il cinema per raccontare luoghi e città, commento a: O. Iarussi, Andare per i luoghi del cinema (il Mulino, 2017)

M. Ruzzenenti, I numeri della criminalità ambientale, commento a: Ecomafie 2017 (Ed. Ambiente, 2017)

W. Tocci, I sentieri interrotti di Roma Capitale, postfazione di G. Caudo (a cura di), Roma Altrimenti (2017)

A. Barbanente, Paesaggio: la ricerca di un terreno comune, commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

F. Ventura, Su "La struttura del Paesaggio", commento a: A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio (Laterza, 2016)

V. Pujia, Casa di proprietà: sogno, chimera o incubo?, commento a: Le famiglie e la casa (Nomisma, 2016)

R. Riboldazzi, Che cos'è Città Bene Comune. Ambiti, potenzialità e limiti di un'attività culturale

 

 

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